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Il Dio violento nelle Scritture ebraiche

sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio
Verbania Pallanza, 19 novembre 1994

il problema teologico delle immagini di Dio

Il problema della violenza investe il problema teologico delle immagini di Dio. Per violenza intendiamo qualsiasi azione contro la vita, dal renderla amara al toglierla del tutto.
Occorre distinguere anzitutto tra una violenza ingiusta espressione della malvagità umana e una violenza "giusta", perché operata per una giusta causa o per conseguire nobili fini (es. l'uccidere per legittima difesa). Ciò che fa problema non è la violenza ingiusta, ma quella "giusta", quella ad es. degli oppressi contro gli oppressori al fine di giungere ad una liberazione.
La violenza inoltre può essere direttamente ascrivibile all'uomo, come singolo o come collettività, oppure può essere comandata o compiuta da Dio stesso. Fa problema soprattutto quella violenza che la bibbia attribuisce direttamente a Dio.
Tra violenza dell'uomo però e quella di Dio non c'è una netta demarcazione: un uomo violento può avere solo un'immagine di Dio violento. L'uomo, nelle sue concezioni religiose, proietta ciò che è o ciò che sperimenta di essere. A sua volta l'immagine del Dio violento contribuisce a confermare e a legittimare la violenza umana. I rapporti sono di reciprocità.
L'uomo tende a proiettare in Dio non solo gli aspetti positivi, ma anche quelli aggressivi, violenti. E questa violenza proiettata in Dio entra nell'arte, nella cultura, diventa patrimonio culturale di tutti.
Il problema della violenza ha anche le proprie radici in immagini del Dio violento.

la rimozione della violenza delle Scritture ebraiche: il Dio bifronte

Chi legge la bibbia ebraica rimane impressionato dagli episodi di violenza. È bene, per rispetto verso gli ebrei, parlare di bibbia ebraica piuttosto che di Antico Testamento: la bibbia ebraica deve essere presa nella sua autonomia, senza utilizzare chiavi di lettura tratte dal Nuovo Testamento, chiavi di lettura legittime ma confessionali.
Schwager ha elaborato una statistica impressionante: più di 600 passi parlano espressamente di attacchi con annientamento e uccisioni di gruppi o di popoli; in circa 1000 passi si parla del fatto che l'ira di Dio divampa e punisce con morte e rovina. Più di 100 passi testimoniano che Jahvé ordina espressamente di uccidere uomini. Per N. Lofhink "la storia della esegesi della bibbia è una storia di rimozione della violenza".
Solo la lettura delle opere di René Girard mi ha fatto aprire gli occhi sul macroscopico problema della violenza, sulla funzione della violenza sacrificale (religiosa) come valvola di sfogo della violenza della società e quindi come fonte di ricompattamento sociale.
Questa commistione tra violenza e sacro è presente anche nella bibbia. Per Girard, forse con una lettura un po' parziale, la bibbia è l'unico testo nel quale si ode la voce degli oppressi che denuncia il meccanismo della violenza nei confronti del capro espiatorio. Nella bibbia invece c'è anche una violenza che viene deificata, che diventa uno strumento utile e necessario per ottenere pace e salvezza. La violenza messa in Dio significa che Dio stesso dipende dalla violenza. Non si vuole vedere il carattere mostruoso della violenza, della nostra violenza proiettata in Dio.
Rudolph Otto nell'opera "Das Heilige" (Il sacro), mostra come il divino, il sacro presente nella tradizione ebraica, cristiana e musulmana, è un Giano bifronte: un mysterium fascinans, affascinante, fonte di vita di bontà, di grazia, e un mysterium tremendum che aggredisce e che porta alla morte. Nella bibbia è il Dio che dà la vita e dà la morte, innalza e abbassa, crea e distrugge.
Quando diciamo che Dio è buono ma anche giusto, vogliamo dire che è anche violento per conseguire la giustizia.
Mentre nelle religioni monoteistiche l'uomo proietta nell'unico Dio gli aspetti tremendi e fascinosi che sono propri dell'uomo stesso, nelle religioni dualistiche l'uomo proietta nel principio del bene gli aspetti positivi e nel principio del male quelli negativi. Ora nella bibbia è presente solo questa immagine di un Dio bifronte, fascinoso e tremendo, fonte di vita e di morte o c'è anche un'altra immagine, minoritaria ma significativa, che, come un fiume carsico, ogni tanto esce allo scoperto?

tre soluzioni al problema del Dio bifronte

Marcione: netta contrapposizione tra bibbia ebraica e bibbia cristiana

Marcione, armatore del II sec. convertitosi alla fede cristiana e folgorato dalla lettura di Paolo, accoglie delle Scritture solo quelle parti che parlano di un Dio che è puro amore, escludendo l'intera bibbia ebraica, e parte del Nuovo Testamento (accoglie solo il vangelo di Luca e Paolo). Marcione risolve il problema delle contrastanti immagini di Dio eliminando una parte consistente della bibbia. Ha sicuramente avuto il merito di non aver rimosso il problema, anche se la soluzione adottata è vicina a una posizione dualistica, manichea.

Bultmann e la soluzione di tipo dialettico

Per Bultmann la funzione della bibbia ebraica è di rinviare per contrapposizione al Dio di Gesù Cristo, passando dal Dio della legge al Dio della grazia, dall'uomo religioso che pensa di poter entrare in comunione con Dio attraverso l'osservanza rigorosa della legge all'uomo che si affida ciecamente all'amore gratuito di Dio.

la soluzione evoluzionistico

È la soluzione più comune. Antico e Nuovo testamento sono un'unica storia che evolve progressivamente. È la soluzione più apprezzata dai cristiani, anche perché maggiormente consolatoria: mentre gli ebrei costituiscono il punto di partenza i cristiani si collocano al punto di arrivo. È una soluzione però non pienamente fedele al dato biblico.

assumere lo scontro di immagini presenti nella bibbia

Ma in Gesù non c'è solo l'immagine di un Dio d'amore, c'è anche il tema della condanna dei malvagi al fuoco eterno. Non esiste cioè una progressiva evoluzione da un'immagine di un Dio violento ad una che esclude totalmente la violenza.
Solo Giovanni è riuscito quasi sempre ad avere un'immagine di Dio senza violenza, in particolare quando afferma che Dio ha mandato il suo figlio nel mondo non per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi. Non è presente qui il Dio che giudica premiando e castigando. Non è Dio che condanna l'uomo ma è l'uomo stesso che si autocondanna chiudendosi alla parola. Siamo noi giudici e sanzionatori di noi stessi. Il giudizio non si compie alla fine, ma attraverso le scelte che operiamo. Solo in un'occasione Giovanni parla della collera di Dio, tema invece ricorrente in Paolo.
Nella bibbia, anche in quella cristiana, abbiamo lo scontro non di due divinità, ma di due immagini di Dio. Quando leggiamo la bibbia non incontriamo direttamente Dio, ma le immagini di Dio di Mosè, del popolo di Israele, di Gesù, di Paolo ecc. "Dio nessuno lo ha mai visto, ma il Figlio suo ce lo ha narrato" (Paolo).
Ora se di Dio si hanno solo immagini umane quale è il valore della bibbia? Quali immagini rispecchiano il volto di Dio? Il polo negativo, violento è nostro, non di Dio. Noi esportiamo in Dio la nostra distruttività e negatività per poterla giustificare. Noi siamo i violenti. Dio è tutt'altro. Nell'ottica di fede scorgiamo nelle immagini contrastanti di Dio la presenza dello Spirito che non soffoca né i processi proiettivi né quelle immagini folgoranti di un Dio puro. Dio è all'interno di questo scontro.
Abbiamo un'immagine troppo divina della bibbia. Non lo è di fatto. Lo stesso Gesù Cristo non è un puro Figlio di Dio, ma è figlio di Giuseppe e Maria e figlio di Dio allo stesso tempo.
Noi siamo chiamati a scegliere nello scontro di immagini tra un Dio bifronte, insieme mysterium fascinans et mysterium tremendum, o un Dio solo mysterium fascinans.
La nostra ipotesi è che l'immagine di un Dio bifronte, anche se quantitativamente nettamente maggioritaria, circa l'80-90% dell'intera bibbia, è una produzione umana, una proiezione degli aspetti positivi e negativi dell'uomo in Dio. È un meccanismo culturale. L'elemento originale invece è l'immagine di Dio che è solo fonte di vita. In una visione di fede è la voce profetica che emerge dal meccanismo culturale.

l'immagine del Dio bifronte nelle Scritture ebraiche

il diluvio: una violenza "giusta" per combattere una violenza "ingiusta"

La tradizione Jahvista (Gen 6, 1-4), che più volte aveva parlato della violenza dell'umanità originaria (disobbedienza, fratricidio) per spiegare il diluvio accenna solo alla misteriosa unione, percepita come mostruosa commistione, dei figli di Dio con le figlie dell'uomo da cui sarebbero nati i giganti. La tradizione Sacerdotale, che è sostanzialmente pacifista e nettamente contraria alla violenza umana, ritiene che il peccato originale consista nella diffusione della violenza (Hamas in ebraico) sulla terra (Gen 6, 11-13). La terra sta tornando al caos originario. Il diluvio stesso, conseguente alla violenza umana, è un ritorno al caos originario, alla morte, alle acque che invadono nuovamente la terra. Il diluvio è espressione anche della concezione di un Dio sanzionatore che retribuisce il bene con il bene e il male con il male. Il Sacerdotale non si accorge della contraddizione di voler condannare la violenza umana attraverso la violenza distruggitrice del diluvio. Mentre prima del diluvio l'uomo era vegetariano (visione non violenta) dopo il diluvio potrà cibarsi di carne di animali (Gen 9,3). E i comandamenti di Noè (Gen 9, 6-7) esprimono insieme una netta condanna della violenza umana (violenza ingiusta) e una sanzione altrettanto violenta della violenza (violenza giusta): "Chiunque verserà il sangue di un uomo per mezzo di un uomo il suo sangue sarà versato".

l'esperienza dell'Esodo

"Dio ci ha tratto dall'Egitto (Dio liberatore) con mano forte e braccio disteso (Dio sanzionatore)". Nel libro dell'Esodo si narra epicamente l'uscita dall'Egitto di tribù oppresse che sperimentano un Dio efficacemente liberatore, che libera gli oppressi sprofondando gli oppressori nel mare dei giunchi, con modalità diverse secondo la tradizione Jahvista (Dio fa soffiare il vento da oriente che prosciuga il mare) o la tradizione Sacerdotale (Dio, per mezzo di Mosè, separa le acque). È un Dio che dona la vita agli uni seminando la morte tra gli oppressori.

il dono della terra

La storia dell'esodo e dell'entrata delle tribù nella terra è la storia di una promessa. Dal punto di vista storico la penetrazione delle tribù israelitiche nella terra di Canaan avvenne in tempi diversi e in modi diversi, sia mediante infiltrazioni pacifiche in zone disabitate o scarsamente popolate sia per mezzo di colpi di mano militari.
Il racconto biblico parla invece di un unico capo, Giosuè, che, con tutto il popolo di Israele, in 3 o 4 campagne militari sconfigge e annienta tutti i cananei: È questa la visione della tradizione deuteronomista, redatta al tempo del re Giosia (640-609), rinvenibile nei libri del Deuteronomio e di Giosuè. Questa racconto nasce in un tempo di forte nazionalismo, quando Giosia vuole ricostituire l'impero davidico. Il progetto sarà sostenuto e giustificato dai circoli deuteronomistici, originari del Nord e venuti a Gerusalemme dopo la caduta di Samaria (721). La legittimazione avviene attraverso l'esposizione dell'ideale della guerra sacra: Dio, nella spartizione della terra ai popoli, ha assegnato a Israele la terra di Canaan, pertanto legittimamente è possibile annientare gli abitanti di quella regione perché lascino il posto agli israeliti. Anzi Dio stesso interviene per sbaragliare il campo nemico e quindi i combattenti non devono temere (Dt 20, 1-4). Tutta la normativa sulla guerra sacra è esposta in Dt 20, 1-17: se una città rifiuta di sottomettersi si farà la guerra, uccidendo tutti i maschi se la città conquistata è straniera, annientando ogni essere vivente (herem) se è cananaica. È impressionante la ferocia di questa prassi enunciata dalla tradizione deuteronomistica, legata al diritto divino del popolo di Israele alla terra di Canaan. La tradizione sacerdotale, pacifista, narra che l'ingresso della comunità israelitica in Canaan avviene senza nessuna violenza, anzi si compie con la celebrazione della Pasqua con i frutti della terra.

il giudizio di Dio

L'anima più profonda, laica, di tutto l'ebraismo è la sete di giustizia. Di fronte all'evidente ingiustizia nella società, soprattutto nei poveri nasce la speranza che la giustizia sia fatta da parte del re. Date le deludenti prove fornite dai re, la speranza viene proiettata in Dio, visto come l'unico giudice imparziale, sanzionatore, che rende a ciascuno secondo le sue opere. È un'immagine di Dio che scaturisce da bisogni sociali e che svolge una funzione sociale, infliggendo ai malvagi la pena dovuta e ai buoni il premio.
P. Ricoeur ritiene che siano stati gli uomini ad elaborare il mito della pena che deve ristabilire l'equilibrio rotto dalla colpa, e, senza molta congruenza, di una pena corporale per una colpa morale. Dio entra in questo schema mitico, dato che Dio sa leggere i cuori, sa misurare bene la colpa e pertanto anche la sanzione adeguata.

Sodoma e Gomorra

La tradizione Jahvista (Gen 18, 26 ss.) narra della distruzione di Sodoma, città divenuta esemplare per corruzione umana e per giusta e tremenda punizione divina.
Per l'anima ebraica il giusto è la distinzione (chiaro e scuro, asciutto e bagnato, terra e acqua, bene e male, maschile e femminile). Mentre il disordine, il caos, il male è la confusione. Per questa mentalità pertanto la omosessualità è un terribile male in quanto confusione di sessi.
Dio, giudice giusto, distruggerà le due città perché in esse non si trova nessun giusto. Dio punisce solo i malvagi e risparmia i giusti. Il giusto giudizio di Dio sarà ricorrente nella predicazione profetica. Ma a partire da Amos i profeti affermano che Dio sarà impietoso giudice del suo popolo infedele alle clausole del patto.

i profeti

Amos (9,7-8) mette sullo stesso piano il popolo di Israele e gli altri popoli ("Io lo sterminerò dalla faccia della terra").
Ezechiele sottolinea con forza che il popolo di Giuda si è meritato la distruzione di Gerusalemme e l'esilio: "Ora tra breve rovescerò il mio furore su di te e su di te darò sfogo alla mia ira. Ti giudicherò secondo le tue opere..." (Ez 7,8-9).

letteratura apocalittica

Nel postesilio compare anche la visione del giudizio universale, quando saranno annientati tutti i malvagi e finalmente sarà ricreato un mondo di giustizia e di pace. È la letteratura apocalittica. Addirittura i malvagi saranno resuscitati per poter essere condannati e annientati: è una resurrezione per la morte! Emerge qui con evidenza la forza dello schema del giudizio di Dio.

l'invocazione della "vendetta" divina

La vendetta nelle Scritture ebraiche non ha a che fare con l'arbitrio o con un particolare sadismo, ma si pone all'interno della legge, per perseguire efficacemente la giustizia. La vendetta è la difesa di un diritto conculcato. La vendetta, addirittura, oltre che un diritto, è un dovere, perché è necessario ristabilire l'ordine leso.
Nei salmi i poveracci chiedono la vindicatio, la vendicazione del proprio diritto. In altri salmi si invoca la vendetta con violenza distruggitrice contro l'oppressore a favore dell'oppresso.
"Tu fa' di loro un turbine, Dio mio, come paglia al vento" (Salmo 83,14). "Sorgi, Jahvè; nell'ira tua scagliati, contro la rabbia dei miei nemici" (Salmo 7,7). "In tribunale sia condannato, la sua difesa sveli i suoi delitti. Brevi siano i suoi giorni, un altro prenda il suo lavoro. Restino orfani i figli e vedova sua moglie. Si sperdano i suoi figli a mendicare, li scaccino lontani dalla casa in rovina. L'usuraio estorca ogni suo bene, gente straniera lo depredi d'ogni guadagno. Nessuno gli serbi pietà o si commuova dei suoi orfani. Sterminio alla sua discendenza, non viva il suo nome più di una generazione" (Salmo 109,7-13: un israelita lancia tremende maledizioni contro le persone che lo hanno accusato e perseguitato ingiustamente. Sembra quasi che la sete di vendetta prevalga sul desiderio di giustizia). "Gioisca il giusto che ha visto la vendetta, lava i suoi piedi nel sangue dell'empio" (Salmo 58,11).

l'immagine profetica del Dio di grazia, di perdono, di vita

il perdono di Dio

I profeti annunciano un Dio che perdona, che rompe la logica del nesso colpa - pena, facendo seguire alla colpa il perdono.
Osea parla dell'eterna comunione di vita tra Jahvè e il suo popolo: "Ti farò mia sposa per sempre" (2,21).
Per Geremia Israele sarà sempre il popolo di Jahvè e non sarà più rigettato (31,36-37).
In Ezechiele Dio afferma: "Non mi adirerò più" (16,42). Così Gioele: "Non farò più di voi il ludibrio delle genti" (2,19). E Naum: "Se ti ho afflitto non ti affliggerò più" (1,12).
Il secondo Isaia afferma che Israele non berrà più il calice dell'ira di Jahvè (51,52). Per Ezechiele Dio è con Israele per sempre, anche quando gli si rivolterà contro (20,9.14.22.44).

il Dio che Giona non può accettare

Giona non vuole obbedire all'ordine di Dio di recarsi a Ninive per invitare il popolo alla penitenza e fugge. Ripreso e condotto a forza nella città, è adirato per l'esito favorevole della sua predicazione. Non può accettare un Dio di sola grazia. Da fedele israelita si è costruito un'immagine di Dio bifronte, benigno verso Israele e punitore nei confronti degli altri popoli, soprattutto se nemici. Ma Jahvé ribatte così a Giona, che si era preoccupato per la morte della pianta di ricino: "Io non dovrei aver compassione di Ninive, quella grande città, nella quale ci sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere tra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?" (4,11).
Qui Dio ha un solo volto, quello del mysterium fascinans, che dà solo la vita, non la morte. Dobbiamo stupirci per il fatto che un 10% della bibbia ebraica ci parli di un Dio di solo amore e di sola vita.

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