Trasformazioni della religiosità in Italia
Alcune chiavi di lettura
sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 15 dicembre 2012
Vi ringrazio per la fiducia accordatami nell'assegnarmi il compito di delineare la situazione della religiosità oggi in Italia. Non è un tema del quale mi occupo in modo specifico. Forse un esperto in sociologia della religione o in antropologia religiosa avrebbe potuto dare alla relazione un taglio più approfondito. Svolgendo una sorta di supplenza, cercherò comunque di offrirvi alcune chiavi di lettura sul modo in cui viene vissuta la religione oggi nel nostro paese, facendo riferimento ai dati di due recenti inchieste su questa tematica.
La prima è l'indagine svolta nei primi mesi del 2007 dall'Istituto demoscopico Eurisko di Milano, i cui dati sono analizzati in maniera molto circostanziata da Franco Garelli e da suoi collaboratori in un volume (Religione all'italiana. L'anima del paese messa a nudo, Il Mulino, Bologna 2011) che è di fatto un ritratto a tutto campo della religiosità degli italiani, distinti per categorie, secondo i loro diversi livelli di credenza - dai "convinti e attivi" fino ai "senza religione" - e dove si mettono in rilievo le differenze comportamentali legate all'età, al sesso, all'istruzione e alle aree geografiche di appartenenze (dal Nord al Sud).
La seconda è un'indagine più specifica, condotta non su tutto il territorio nazionale, come la prima, e nemmeno sull'insieme della popolazione, ma solo sul territorio del Triveneto (quindi Veneto, Friuli Venezia-Giulia e Trentino Alto Adige) e sul mondo giovanile (il campione intervistato va dai 18 ai 29 anni). Anche questa inchiesta è stata pubblicata e analizzata in un volume dal titolo: "C'è campo? Giovani, Spiritualità, Religione", pubblicato dalla casa editrice Marcianum Press di Venezia, che fa capo all'istituto San Marco. Sarà interessante fare dei confronti con l'indagine riguardante l'insieme della popolazione e, poiché affronta il tema della religiosità tra i giovani, che sono anche il mondo di domani, scoprire quali prospettive si aprono per il futuro.
Svilupperò la mia relazione in tre momenti.
Nel primo momento cercherò di mettere a fuoco alcuni dati di carattere generale riguardanti soprattutto l'oggi, tratti dall'inchiesta Eurisko.
Il secondo momento sarà maggiormente dedicato alle riflessioni sulla religiosità del mondo giovanile, in base all'inchiesta svolta nel Triveneto.
Il terzo momento sarà dedicato agli orizzonti che si aprono, al "che fare", a come si deve muovere chi è impegnato nella evangelizzazione, non solo la gerarchia ma l'insieme del popolo di Dio in tutte le sue articolazioni.
I parte. La situazione generale
l'Italia è un'eccezione?
L'indagine dell'Eurisko, che si è avvalsa di un campione accuratamente selezionato di 3160 persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni, intendeva verificare la plausibilità della tesi di chi sostiene che l'Italia religiosa rappresenti un'eccezione nel panorama europeo, sia per la maggior persistenza del sentimento religioso che per il legame (tuttora piuttosto solido) con il cattolicesimo, nonché per il protagonismo della Chiesa, più esposta che altrove nel dibattito pubblico sulle tematiche etiche e sociali.
Mentre nel panorama europeo l'esperienza della pratica religiosa è in profonda decadenza e la società si presenta profondamente secolarizzata, sembrerebbe che l'Italia sia un'isola felice con una religiosità più persistente, con una maggiore presenza di strutture del mondo cattolico ed una più alta frequenza ai sacramenti e in particolare alla messa domenicale.
situazione ambivalente
Da un lato, è vero che la situazione italiana presenta aspetti specifici rispetto a quella di altri paesi. Basterebbe fare il confronto con la Francia. Chi ha un po' di dimestichezza con questo paese, si rende subito conto, per esempio, che le messe alla domenica sono molto meno frequenti e soprattutto molto meno frequentate di quanto non lo siano da noi (anche in città grandi, nella cattedrale, c'è una sola messa, rispetto alle nostre numerose celebrazioni).
Però giustamente Garelli mette in evidenza fin dall'inizio che la situazione italiana è ambivalente, contraddittoria, per la presenza di una serie di elementi discordanti.
Si registra infatti ancora un forte riferimento al simbolismo religioso per solennizzare certi momenti fondamentali della vita (la nascita, la morte, il matrimonio...), forse anche legato al fatto che nella cultura occidentale non esiste una simbologia laica. Nel nostro paese alcuni sacramenti, come il battesimo, la prima comunione, la cresima, sono ancora celebrati da una parte consistente della popolazione. Anche il matrimonio religioso, pur avendo avuto un calo notevole rispetto al matrimonio civile, ha ancora una buona tenuta. Lo stesso si può dire per i funerali religiosi.
A fronte di questa constatazione, si rileva però anche in Italia una grande libertà e autonomia delle coscienze rispetto alle posizioni ufficiali della Chiesa in molti campi della vita morale e sociale. Questo processo di secolarizzazione è risultato evidente, già a suo tempo, con il referendum sul divorzio e con quello sull'aborto. E lo si continua a rilevare, non solo nella non osservanza di indicazioni di comportamento (relative ad esempio alla sessualità), ma anche nel dissenso e nella contestazione di alcune posizioni ufficiali (ad esempio, contro l'ingerenza della Chiesa in ambito politico).
Dall'analisi dell'indagine Eurisko, emergono alcuni punti significativi della religiosità degli italiani, su cui vorrei riflettere con voi.
quale modello di religiosità
1. Spinta alla soggettivizzazione dell'esperienza religiosa
Assistiamo anche nel nostro paese ad una spinta sempre maggiore alla soggettivizzazione dell'esperienza religiosa in genere e quindi anche dell'esperienza cristiana. Il modello di religiosità che si diffonde è quello della "religione fai da te", un modello tendenzialmente individualista.
Si mantiene un generico riferimento alla religione cristiana, ma di questa si assumono quegli aspetti che più hanno a che fare con la realizzazione soggettiva, lasciando perdere gli altri. Una delle conseguenze di questa soggettivizzazione è il declino della frequenza ai sacramenti, in parte all'eucaristia, in modo molto marcato alla confessione-penitenza. La partecipazione ai sacramenti dell'iniziazione e alla prima comunione è comunque ancora significativa.
L'attenzione invece ai precetti della chiesa è molto ridotta. Il non frequentare la messa domenicale non è più percepito come in passato un grave peccato. Altri precetti come quelli del rispetto del magro e del digiuno sono quasi del tutto ignorati o ritenuti poco significativi. Tra i pochi che ancora si confessano, quasi nessuno denuncia di non aver rispettato i precetti, di non essere per esempio andato a messa la domenica.
Le stesse verità cristiane sono soggette a questo processo di soggettivizzazione e di assunzione parziale e selettiva. Mentre sembra far meno problema l'accettazione della figura di Gesù Cristo come figlio di Dio, il mistero trinitario è scarsamente preso in considerazione, visto come lontano dall'esperienza di vita. Fortemente rimesse in questione sono le verità escatologiche, le verità dell'al di là, per le quali ognuno elabora posizioni personali.
2. Crescente adesione alle pratiche della tradizione orientale
Un ulteriore segno dell'orientamento soggettivo in ambito religioso è costituito dalla crescente adesione alle pratiche della religione orientale. Dalle statistiche elaborate, risulta essere un fenomeno minoritario ma in importante crescita. Si diffonde un atteggiamento sincretistico, che unisce all'interno di un'esperienza religiosa fondamentalmente cristiana e cattolica elementi di altre religioni. Noto è il fascino esercitato dal buddhismo per la forte accentuazione posta sulla realizzazione soggettiva, sulla possibilità di esprimere se stessi in modo autentico. Di fronte ad un cristianesimo sempre più dottrina e sempre meno esperienza vissuta, ad un cristianesimo poco carismatico e molto istituzionale, le pratiche religiose dell'oriente (come la meditazione trascendentale) sembrano corrispondere meglio ai propri bisogni di interiorità, di ascolto.
3. Rapporto con la chiesa flessibile e relativo'
Un terzo elemento è un diffuso atteggiamento non di opposizione all'istituzione ecclesiastica, ma di adesione parziale, flessibile, con riserva. Anche tra i credenti più partecipi alla vita della chiesa (l'indagine Eurisko distingue diverse tipologie di credenti: gli "impegnati", i "domenicali", i "saltuari"...) prevalgono atteggiamenti di adesione critica più che di aperta contestazione come accadeva in passato, all'epoca della contestazione, con comunità di base vivaci e battagliere. È ridimensionata la chiesa come istituzione a vantaggio di una religiosità che valorizza il rapporto diretto con Dio. Si ritiene cioè la mediazione ecclesiale sempre meno rilevante.
La minor fiducia nella chiesa istituzione è stata influenzata da alcuni fenomeni, come quello della pedofilia, che hanno provocato specialmente in alcuni paesi (soprattutto in Germania, Olanda, Belgio e Irlanda) forti riduzioni di partecipazione alla vita della chiesa. Un altro motivo di disaffezione sono stati i recenti eventi del cosiddetto "Vatileaks", cioè la sottrazione di documenti riservati da parte di stretti collaboratori del papa (maggiordomo, ecc.), che hanno fatto sorgere interrogativi anche sul modo in cui viene governata attualmente l'istituzione.
Questo rapporto dialettico con l'istituzione, per un verso esprime la non condivisione con alcune prese di posizione del magistero su temi di ordine etico o anche sociale e politico, per un altro verso è anche l'affermazione di una maggiore autonomia da parte del laicato, promossa dal concilio, di una maggiore consapevolezza della corresponsabilità nella conduzione della vita della chiesa. C'è chi si chiede, infatti, perché a 50 anni dal Concilio non si riprendano, anche rivisitandole e riattualizzandole, le tematiche conciliari, e si indica invece un "anno della fede" (quasi ci fossero anni della non fede) con riferimento più al catechismo della Chiesa cattolica che al Vangelo...
Grosso apprezzamento invece godono le parrocchie, tanto per la loro maggiore vicinanza alla vita delle persone quanto per lo sviluppo di attività non solo religiose ma anche sociali. In particolare è valutato molto positivamente il volontariato soprattutto in campo socio-assistenziale, sia perché risponde a bisogni che l'istituzione pubblica fa fatica a soddisfare, sia perché esprime una testimonianza più autentica dei valori evangelici.
A questo proposito è significativo, nell'ambito dell'inchiesta dell'Eurisko, il bassissimo livello di consenso di cui godono gli ecclesiastici. I vescovi hanno solo il 31% di consenso (inferiore a quello accordato alla polizia), il clero il 40%.
Nell'epoca della soggettivizzazione sempre meno si sente il bisogno di mediazioni in campo religioso (il rapporto con Dio me lo gioco da solo), mentre si valuta più positivamente la funzione sociale.
4. Rapporto nuovo e diverso tra convinzioni religiose e orientamenti etici
Un altro aspetto interessante che risulta dall'indagine è il rapporto tra convinzioni religiose e orientamenti etici. Si nota cioè uno scarto tra le convinzioni religiose e il comportamento etico, tra l'adesione ai contenuti della fede, e la loro traduzione sul terreno etico.
Abbiamo già visto che l'inchiesta rileva che la stragrande maggioranza degli intervistati disattende praticamente, e spesso contesta anche teoricamente, le indicazioni date dal magistero della Chiesa in molti campi. Si tratta dei tradizionali problemi della sessualità (autoerotismo, contraccezione, omosessualità...), fino ai problemi connessi con i diritti di alcune categorie di persone (conviventi, divorziati, coppie di fatto, sia etero che omosessuali...)
Su convivenze e divorzi, i tre quarti della popolazione intervistata (tutte persone con almeno un minimo di credenza religiosa) si esprimono a favore del riconoscimento delle convivenze e dell'accettazione del divorzio.
Parzialmente diverso è l'atteggiamento nei confronti dell'aborto. Infatti solo un quarto del campione intervistato è favorevole, mentre i tre quarti lo accettano solo in circostanze particolari che lo rendano necessario. È la posizione di coloro che tengono conto anche di altri valori oltre a quello della vita e del loro possibile conflitto.
Anche sulle singole questioni della bioetica vi sono posizioni diverse. Mentre ad esempio l'eutanasia attiva viene accettata dal 36%, più alto è il grado di adesione per l'eutanasia passiva e, evidentemente, per il rifiuto dell'accanimento terapeutico.
L'indagine dell'Eurisko rileva anche l'atteggiamento nei confronti dei beni, in particolare di quelli economici, offrendo interessanti spunti di riflessione. Dai dati raccolti risulta il prevalere di una mentalità benesseristica e consumistica da parte delle persone intervistate. Una percentuale superiore al 50% ritiene che l'acquisto di beni superflui sia una cosa più che legittima, che l'arricchimento, anche conseguito contravvenendo alle leggi (ad esempio non pagando le tasse, ecc.), è un fatto positivo. Solo il 38% si dichiara nettamente contrario. Il che sembra denunciare una scarsa attenzione al valore della solidarietà, apparentemente in contrasto con il significativo sviluppo del volontariato.
5. La questione della laicità e dell'azione pubblica della Chiesa
Un ultimo aspetto riguarda la laicità e l'azione pubblica della chiesa. Sulle questioni cosiddette eticamente sensibili (si pensi al referendum sulla legge 40 riguardante la procreazione medicalmente assistita, con l'invito all'astensione da parte di Ruini allora presidente della Cei), sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, sull'ora di religione e sull'esenzione fiscale dei beni ecclesiastici, le risposte degli intervistati sono state molto diversificate.
Rispetto ai temi eticamente sensibili giudica legittimo l'intervento dei vescovi la quasi la metà degli intervistati, mentre il 27% si dichiara contrario in nome di una visione più spirituale della chiesa. Più ampio il consenso ad un intervento della chiesa su tematiche sociali e di giustizia da parte dei credenti socialmente impegnati, mentre i tradizionalisti spingono sui valori non negoziabili.
Sulla presenza dei simboli religiosi in luoghi pubblici i tre quarti sono favorevoli. I contrari si trovano soprattutto tra i più praticanti, preoccupati sia dello svilimento del significato della croce, sia del rispetto di una società sempre più multireligosa.
La maggioranza è poi contraria alla esenzione fiscale dei beni immobili della chiesa non specificamente destinati a finalità religiose, in nome di una chiesa povera che deve rifiutare vantaggi da parte dello stato.
Gli intervistati riconoscono per un verso l'importanza della religione per la società, in particolare quando è portatrice dei valori di coesione sociale, finalizzati a rendere più umana la convivenza, mentre per un altro verso ritiengono che occorra rispettare l'autonomia dello stato e delle sue istituzioni e che la chiesa pertanto non debba ingerirsi in questioni che lo stato deve affrontare laicamente, senza riferimenti diretti a concezioni religiose precise.
II parte. La condizione giovanile
1. Mutamento qualitativo nei sentimenti religiosi
La seconda inchiesta a cui faccio riferimento riguarda il mondo dei giovani, è stata condotta dall'Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto (Osret) su un campione di 72 persone tra i 18 e i 29 anni, e pubblicata nel volume intitolato "C'è campo? - Giovani, spiritualità, religione" (ed. Marcianum Press) del professor Alessandro Castegnaro, sociologo, docente all'università di Padova e alla Facoltà teologica del Triveneto, nonché presidente dell'Osret.
Naturalmente, i giovani intervistati erano persone che avevano a che fare con il fatto religioso, e non soggetti che pregiudizialmente si dichiaravano atei o agnostici.
Cercherò di fare un confronto su alcuni punti significativi delle due inchieste, per mettere a fuoco alcuni elementi che possono aver a che fare con il discorso dell'evangelizzazione, che, ripeto, è un compito che riguarda l'intera comunità cristiana, non solo il magistero.
I giovani sono, in un certo senso, coloro che "vanno formati", sono il mondo del futuro, sono coloro che diventeranno gli adulti di domani, che dovranno assumersi delle responsabilità non solo nella società, ma anche all'interno della comunità cristiana.
L'indagine rileva che, tra i giovani, nonostante le apparenze esterne facciano pensare ad una religiosità non molto diversa da quella del passato, si assiste invece ad un importante mutamento qualitativo in quelli che Castegnaro chiama i "sentimenti religiosi". Cerco di descriverlo con dei tratti che lo caratterizzano.
bisogno di trascendenza
Si rileva nei giovani il bisogno di trascendenza, cioè del contatto con una forza, un'energia, una entità che trascende il vissuto quotidiano. È un qualcosa che rimane indifferenziato e non sempre personalizzato, ma che ha a che fare con il mistero.
È un sentimento più marcatamente presente in coloro che si dichiarano religiosi, ma che in genere rimane sullo sfondo, per emergere soprattutto in alcuni momenti forti della vita, laddove i giovani si imbattono in alcune situazioni oggettive di difficoltà, che possono essere legate alla loro crescita, alla loro formazione personale, al rapporto con l'ambiente, o che riguardano il problema del senso della vita, che si pone soprattutto in situazioni limite, come la morte di una persona cara, di un amico, di un compagno, ecc. Sono questi i momenti in cui emerge l'interesse religioso come riconoscimento di una certa trascendenza.
Dio più come possibilità che come realtà esperita
In questa visione di religiosità diffusa, e al contempo tentacolare e fluttuante (cioè che si appoggia su più elementi, senza avere un riferimento preciso) Dio viene visto più come una possibilità che come una realtà esperita. Il senso della trascendenza si canalizza verso un divino anche personale, ma adombrato come possibilità, non come esperienza reale e sentita.
religione non al centro della vita
Castegnaro aggiunge che la religione non è più al centro delle preoccupazioni dei giovani di oggi, e questo ci dà la misura del livello raggiunto dalla secolarizzazione, che non è più solo crisi del sacro in senso tradizionale, ma è anche crisi del fondamento. Anche i giovani che hanno un riferimento alla religione non la vivono come centrale nella loro vita. È per loro un elemento eccentrico rispetto alle sfide dell'età evolutiva che si trovano ad affrontare e che sono di altro genere, come il lavoro, l'inserimento nel mondo degli adulti, le prospettive di futuro, magari la passione per lo studio, le scelte di vita personali, sentimentali, affettive. La religione è uno dei vari elementi, ma non il principale. Emerge sullo sfondo come un elemento a cui riferirsi in alcuni momenti, ma in modo informe e instabile e senza grande rilevanza.
2. Individualizzazione del credere che non si identifica con l'individualismo
Su questa tesi dell'indagine io ricavo alcuni aspetti che puntualizzano altrettanti elementi di questa religiosità.
una religione non come eredità ma come scelta
Il primo elemento è, come nell'indagine precedente, l'individualizzazione del credere e della pratica religiosa, il coinvolgimento soggettivo nel fatto religioso. La differenza rispetto all'indagine precedente sta in una interpretazione in termini più positivi dell'individualizzazione, che, secondo Castegnaro, non significa necessariamente individualismo.
L'individualizzazione infatti è anzitutto il passaggio da un cristianesimo sociologico (che era quello dettato dalla società in cui si viveva in passato, carica di sacro, di senso religioso, dove cioè dominante era la visione religiosa della vita) ad una religione vissuta come scelta individuale. Oggi il contesto sociale non crea più le condizioni per un'appartenenza religiosa scontata. Occorre una scelta individuale, un coinvolgimento diretto. Il soggetto non subisce dall'esterno passivamente una certa condizione religiosa, ma la elabora e la vive in prima persona. In questo senso la scelta è un elemento di positività. C'è sì l'aspetto di soggettivizzazione, ma anche di personalizzazione, cioè di maturazione di una religiosità più autentica.
Castegnaro dice poi che non ci sono più identità ereditate, che è cessata la trasmissione. È vero che le famiglie mandano ancora i bambini in parrocchia per la preparazione ai sacramenti, ma questo tipo di trasmissione funziona soltanto come comunicazione di alcune nozioni le quali, nel migliore dei casi, vengono assimilate attraverso il catechismo. Non funziona invece come inserimento in un'esperienza viva, anche perché la secolarizzazione non è presente soltanto nel contesto esterno (nella società, nei media...), ma attraversa le famiglie e tutte le agenzie educative.
In questa situazione l'adesione è più difficile, ma, quando c'è, la rende più soggettivamente motivata. La propria appartenenza ad una religione o ad una comunità non viene percepita come una realtà in cui si è necessariamente inseriti, perché lì si è nati e lì si vive, ma viene rivendicata come scelta autonoma.
Ecco perché Castegnaro parla non di individualismo, ma di recupero di un'identità frutto delle proprie scelte, così che la religione è percepita, laddove scelta, come una conquista di libertà e non come un'imposizione. C'è, dietro a questo atteggiamento, un rifiuto dei condizionamenti del passato e nello stesso tempo una riappropriazione soggettiva, in cui sono in gioco la responsabilità e la sensibilità personali.
un'etica fondata sull'interiorità e sull'autonomia personale
Da questa visione che si basa su una scelta personale discende un'etica che si fonda sull'interiorità e sull'autonomia della persona. I giovani non considerano più valore ciò che gli viene trasmesso come tale, ma ciò che riescono a vivere come valore interiorizzato. Per riuscire a ritenere che un determinato comportamento risponda a un certo valore, bisogna che quel valore si sia sedimentato interiormente, che il soggetto se ne sia appropriato personalmente, che lo senta come valore proprio.
Questa importante dimensione è però ambivalente, in quanto produce una soggettivizzazione dei valori e delle loro gerarchie.
È valore ciò che è valore per me. Ma in base a quale criterio lo decido? Quali sono i parametri di riferimento per ritenere, in situazioni conflittuali, che un certo valore deve prevalere sull'altro? Nella vita si presentano situazioni in cui devo scegliere il valore preminente. Non basta avere un quadro valoriale, occorre un quadro valoriale gerarchizzato, in cui alcuni valori sono posti al vertice e altri hanno rilevanza minore.
C'è quindi la tentazione da parte di ciascuno di farsi la propria morale, la propria etica, in base a ciò che ognuno "sente" come valore.
A questo proposito, occorre distinguere tra informazione ed educazione. L'informazione è comunicare dei dati, dire come stanno le cose. L'educazione è un processo molto più lento, che ha come obiettivo l'assimilazione in profondità dei valori, che vengono trasmessi anche informando, ma che soprattutto devono essere vissuti e resi evidenti tramite la testimonianza. Non si educa per quello che si dice, ma per quello che si fa e per quello che si è. Si educa attraverso la testimonianza che si manifesta nelle proprie scelte, nelle proprie azioni, nel comportamento che quotidianamente si tiene, che è espressione della propria identità personale.
stili di vita personalizzati, più riflessività
Dall'inchiesta emerge quindi l'esistenza per alcuni giovani di una identità religiosa autentica, da cui discende un'etica caratterizzata dall'appropriazione in profondità di determinati valori. Gli stili di vita dei giovani sono quindi normalmente più personalizzati di quanto non lo fossero un tempo quelli degli attuali adulti, che si rimettevano al condizionamento del contesto sociale.
Secondo Castegnaro c'è una maggiore riflessività, cioè una capacità di elaborare in proprio, nonostante le apparenze contrarie.
A dire la verità, qualche volta mi sembra che questa inchiesta sia troppo ottimista (anche se l'ottimismo ci può aiutare a leggere con maggiore attenzione alcuni comportamenti nel mondo giovanile che riteniamo a prima vista superficiali). Però ammetto che anch'io, nei miei contatti con i giovani all'università, ho visto maturare una consapevolezza anche molto forte su alcune tematiche, che mi ha permesso di ritenere che l'immagine di un mondo giovanile piatto e superficiale non sia del tutto vera. Ci sono senz'altro dei giovani poco riflessivi, ma non è questa la caratteristica di una intera generazione. Forse noi adulti siamo incapaci di leggere e di interpretare le tensioni che attraversano il mondo giovanile, anche per la grande distanza tra genitori e figli, per l'accelerazione del tempo, per le trasformazioni (pensate solo alla differenza tra la società pre-informatica e post-informatica...) che hanno inciso in maniera molto profonda sulle nuove generazioni, condizionando il loro modo di sentire, di pensare, di rapportarsi alla realtà, di vivere le relazioni...
rielaborazione personale e trasmissione
Secondo Castegnaro gli stimoli esterni, anche in campo valoriale, vengono sempre fatti reagire dai giovani con ciò che viene da dentro. Per cui l'esteriorità va misurata con l'interiorità, l'eteronomia, (ciò che viene da fuori) va misurata con l'autonomia.
Solo in questo modo, solo con la rielaborazione personale, può avvenire e avviene la trasmissione dei valori. Molto più difficile è la trasmissione delle regole, delle norme (mi riferisco sempre alle regole proposte nella comunità cristiana). Le norme vengono avvertite come esterne, ispirate da un principio di autorità. La loro accettazione da parte dei giovani è perciò molto difficile. Mentre i valori possono orientare una vita ed essere interiorizzati, le regole hanno bisogno di una giustificazione ulteriore ed è più difficile farle proprie. Sono quindi oggetto di un processo di selezione. La Chiesa viene vissuta come produttrice di obblighi e divieti, dunque come una forza limitante, che si contrappone al soggetto.
al centro dell'etica: il rispetto dell'altro
Il principio fondamentale attorno a cui ruota l'etica per i giovani, secondo questa indagine, è il rispetto dell'altro. È un valore riconosciuto da tutti gli intervistati, anche se non sempre praticato. A fondamento di tale principio sta l'idea che ogni persona ha una dignità umana che deve essere riconosciuta in quanto tale.
Il rispetto dell'altro si traduce nel principio etico della tolleranza, che può presentare anche un risvolto negativo se vissuto come indifferenza verso l'altro. E' un rispettarsi nel senso di non farsi del male e non invece del farsi carico dell'altro. È l'espressione di quell'etica debole, figlia del pensiero debole, sorto con la caduta delle ideologie che provocavano contrapposizioni e violenze. Come afferma in un'intervista Castegnaro "L'agire morale è quindi orientato dal fondamentale criterio di non procurare sofferenza agli altri (...). Il principio del rispetto implica però una sospensione del giudizio sulle scelte degli altri. E qui c'è una componente di relativismo."
Secondo Castegnaro però, questo aspetto negativo, che ci può essere, viene largamente superato da un altro aspetto, cioè dalla percezione, forse dettata anche dalla interdipendenza del mondo globalizzato in cui viviamo, che non ci si salva se non insieme, che non ci si può salvare da soli, che occorre vivere il rapporto con l'altro, il rispetto dell'altro, nel segno di una reciprocità positiva.
Tale reciprocità si esprime nel rispetto del pluralismo (culturale, etico, ecc.), quindi nella scelta di non imporre la propria visione (ideologica, etica, ecc.) ma, nello stesso tempo, anche nella volontà di camminare insieme, di fare operazioni che vadano nella direzione dell'interesse di tutti.
Gioca molto, dice Castegnaro, il discorso dell'interesse: il mio interesse non può essere coltivato se non coltivo anche l'interesse dell'altro.
3. Immagine critica dell'istituzione ecclesiale
Sull'immagine dell'istituzione ecclesiale, non c'è molto da aggiungere rispetto a quanto detto per l'inchiesta dell'Eurisko, se non che i giovani hanno sulla Chiesa uno sguardo critico ancor più radicale.
La vedono come una realtà di cui non si sentono parte. Quelli più praticanti la assumono in qualche momento come una realtà con cui confrontarsi, ma in genere non senza un coinvolgimento vero e profondo.
Sono molto critici su alcuni aspetti della Chiesa. Ne criticano, per esempio, la ricchezza. Non accettano l'astrattezza e la rigidità dei principi che penalizzano certe categorie di persone, non riconoscendo loro determinati diritti. Per esempio (e questo emerge moltissimo anche nella prima inchiesta) l'impossibilità per i divorziati di accostarsi ai sacramenti, è una delle prime cose che vengono messe radicalmente in discussione. Si ritiene assurdo, da parte delle persone intervistate e soprattutto da parte dei giovani, che la chiesa oggi si comporti ancora così.
Si contesta naturalmente il potere che la Chiesa esercita sul versante sociopolitico. E viene contestata anche quella che potremmo chiamare l'ipertrofia normativa, cioè l'eccesso di norme. Come già accennavo, soprattutto i giovani respingono gli aspetti normativi, che invece sembrano costituire un elemento fondamentale della struttura della Chiesa.
4. Esigenza piuttosto avvertita di una spiritualità
Concludo con un'osservazione che dovrebbe essere oggetto di un'ulteriore e più attenta riflessione. Castegnaro sottolinea il fatto che la crisi della religione non è necessariamente crisi della spiritualità. A fronte di una riduzione di spazio per la religiosità, nel mondo giovanile si riscontra un'esigenza piuttosto forte di spiritualità. Per un giovane, una spiritualità è qualcosa che gli appartiene, che ritiene di poter vivere a modo suo, facendo riferimento anche a fonti diverse.
Diminuisce una religiosità legata agli aspetti tradizionali e istituzionali, ma permane un'esigenza di spiritualità intesa come apertura alla trascendenza, al mistero, a qualcosa che sta oltre, che non viene magari ben definito contenutisticamente, di cui non si sa dire il nome con precisione, ma che si percepisce, si sente, si vive. C'è quindi una ricerca di sorgenti interiori, limpide, pure, che contribuiscano ad una interpretazione del senso dell'esistere.
III parte. Quali prospettive?
Dalle indagini presentate emergono alcune prospettive per l'evangelizzazione, per annunciare e testimoniare la buona notizia oggi. Ne ho individuate tre che vi presento rapidamente.
1. una fede adulta che coinvolga la soggettività personale
Di fronte a questa situazione, mi pare che la prima prospettiva per chi vuole evangelizzare seriamente (compito che spetta alla comunità cristiana tutta) rispondendo ai bisogni delle persone del nostro tempo, sia quella di vivere una fede adulta e matura, una fede che coinvolga la soggettività personale, una fede radicata nel modo di sentire profondo di ciascuno. Parlo quindi di una proposta di fede, non di religiosità.
La religiosità è secondaria rispetto alla fede.
La distinzione tra fede e religione, fatta a suo tempo dal mondo protestante, soprattutto da Bart e da Bonhoeffer, è molto importante. La fede ha bisogno, certo, di riti, di verità, di simboli, di religiosità insomma, ma li trascende, sta prima e oltre la religiosità. Occorre andare alle radici, andare alla fede, anche perché non c'è più nella società quella religiosità diffusa, quel sacro che domina la vita delle persone, quelle precondizioni che potevano di per sé condurre alla fede.
La fede non ha bisogno di tanti supporti di ordine razionale. Credo che siamo alla fine dell'apologetica. Credo cioè che il discorso di fede debba essere riproposto allo stato puro, senza quelle mediazioni razionali, che pure talvolta sono necessarie. È la fede sine glossa di Francesco d'Assisi, è un cristianesimo offerto come una testimonianza pura di fede.
In questi giorni, rievocando i 50 anni del Concilio, mi torna in mente spesso la figura di Papa Giovanni, una persona in una posizione istituzionale elevata, eppure così semplice. Ho vissuto gli anni del concilio a Roma, quindi immerso in quella realtà. Papa Giovanni era un papa dalla fede pura. Un papa che a 78 anni ha deciso di fare un concilio! "Ma lei è troppo vecchio per fare un concilio", era stata la reazione del suo segretario, monsignor Loris Capovilla, quando il papa gli aveva confidato le sue intenzioni. Nel suo diario, il papa scrisse allora che non lo avrebbe più detto a nessuno. E quando fece l'annuncio ufficiale ("Ho deciso di fare un concilio. E sarà un concilio ecumenico"), sconcertò tutti i cardinali presenti quella sera alla basilica di San Paolo. Giuseppe Alberigo, storico della Chiesa morto alcuni anni fa, parlando degli ultimi pontefici diceva che Paolo VI era l'uomo del tormento religioso, che Giovanni Paolo II era il papa dell'ideologia cattolica, e che Giovanni XXIII era il papa della fede pura!
Ritengo che siamo alla fine dell'apologetica, degli sforzi di rapportare la fede alla scienza e alla ragione. Ormai siamo immersi in una cultura pluralista, una cultura dove il pluralismo non è solo ideologico e dottrinale, ma anche etico e valoriale. Facciamo quotidianamente l'esperienza di constatare che uomini che non credono vivono bene in senso etico. La fede non è più il presupposto per un comportamento positivo dal punto di vista etico. La fede diventa un fatto elitario, cioè di scelta, che va oltre i condizionamenti e le mediazioni. Diventa una realtà che esige esperienze autentiche. Per questo, la fede non è tanto l'adesione ad una dottrina, ma è esperienza, testimonianza. Soprattutto è la testimonianza di persone che vivono quella fede pura cui alludevo, che a me sembra sia stata rappresentata davvero in maniera emblematica da Papa Giovanni, quel personaggio ai vertici della Chiesa, che, in posizione di estremo potere, è riuscito a dimostrare come si possa continuare a essere semplici, a credere in Gesù Cristo senza tanti orpelli.
2. una chiesa che dia testimonianza dei valori evangelici
La seconda proposta è quella di una Chiesa che dia testimonianza vera dei valori evangelici, di una Chiesa povera, non solo di ricchezze, ma anche di potere, povera di volontà di prevaricazione o di imposizione. "Se il seme non cade per terra e non muore, non porta frutto". Il paradosso del cristianesimo è la croce, è l'impotenza, è la sconfessione della potenza. La croce è il mistero di un Dio che ha rinunciato, come dice la lettera ai Filippesi, a essere se stesso per assumere fino in fondo la condizione umana e l'ha assunta fino alla morte, e alla morte di croce.
L'idea di una Chiesa dei poveri, o Chiesa povera, nel Concilio era emersa come una delle tendenze, fatta propria e proposta da un gruppo di vescovi che facevano capo al cardinale di Bologna Lercaro. Non ha avuto grande spazio nei documenti conciliari, ma ha lasciato una traccia profonda.
È la visione di una chiesa che abbandona l'atteggiamento giudicante, tutto precetti e doveri, per immergersi profondamente nell'umano, come fermento che fa crescere, come seme che dà vita, che fa rinascere. Sarebbe una luminosa proposta per gli uomini di oggi che vivono una religiosità sempre più plurale, fluttuante, mobile. Sarebbe il ritorno alla radicalità evangelica, a quel vangelo sine glossa di Francesco d'Assisi, dove i valori che emergono sono quelli delle beatitudini: beati i miti, beati i misericordiosi, beati i poveri, beati i perseguitati...
3. dialogo fecondo con esperienze religiose diverse
La terza proposta è quella di cercare un dialogo sempre più ricco e profondo con le diverse esperienze religiose presenti nel mondo, non solo con le chiese cristiane (cioè con il mondo protestante e con il mondo ortodosso, all'interno del tradizionale dialogo ecumenico), ma anche con le grandi tradizioni religiose, come l'islam, l'induismo, il buddhismo, per ripensare insieme il senso della vita in un'ottica misterico-trascendente, per camminare insieme verso il medesimo orizzonte.
Questa proposta di dialogo presuppone un cristianesimo aperto, dove l'ecumenismo non sia concepito come il venire delle altre chiese o delle altre religioni verso la chiesa di Roma, ma come un camminare insieme verso un Dio più grande. Questo vuol dire incontrarsi reciprocamente nel dialogo, portando ciascuno il proprio spezzone di verità, sapendo che ciò che di Dio sappiamo è sempre meno di quello che non sappiamo, perché Dio è comunque sempre oltre, sta sempre davanti a noi e sempre oltre noi, e non può mai essere catturato da nessuna religione, da nessuna chiesa.
la diversità cristiana
Il dialogo non significa rinuncia alla diversità cristiana, in particolare a presentare il cristianesimo come umanesimo attraverso il mistero della incarnazione, il mistero di un Dio che si fa uomo, carne, che valorizza enormemente la dignità dell'uomo, capace di dignità assoluta. Questa specificità e diversità cristiana non va però avanzata come un elemento di discordanza o di contrapposizione, ma come un elemento di arricchimento. E il dialogo sarà arricchito anche da quanto ci viene dalle altre tradizioni religiose, che hanno dei contenuti molto importanti e significativi.
Oltre all'incarnazione, altro elemento fondamentale del cristianesimo è la carità, che supera la logica della reciprocità, del do ut des, della stretta giustizia. La giustizia deve certamente essere realizzata, ed è la prima forma di carità. Ma la carità trascende anche la giustizia e immette nella dinamica dei rapporti la gratuità, il dono, il perdono. Questi elementi di assoluta novità rompono il cerchio delle contrapposizioni, delle mediazioni, spezzano tutte le barriere, compresa la barriera del rapporto col nemico.
Questa dinamica di carità e di perdono immessa dentro la vita delle persone rende possibile cogliere la novità del Dio cristiano, il Dio umanizzato, il Dio che ha reso trasparente il mistero trinitario, il mistero del Dio comunione. Un Dio che ha realizzato una comunione profonda nel mondo per gli uomini con il dono totale di sé sulla croce.
Questo cristianesimo può essere anche oggi una proposta che raggiunge un'umanità in crisi, non solo sul piano economico, ma anche a livello di valori. Può essere una proposta che risponde a una domanda di senso spesso latente dentro a molti, ma non del tutto cancellata, anche attraverso l'adesione a un mistero che ci trascende e che trova il suo compimento nella realtà del mistero di Dio.
Riassunto
Dalla recente indagine condotta dall'Eurisko e analizzata da Garelli e dai suoi collaboratori, sulla religiosità degli italiani, viene anzitutto rimessa in discussione l'idea di una presunta eccezione del nostro Paese rispetto ad un'Europa sempre più secolarizzata. La peculiarità della situazione italiana, derivante dallo stretto legame con il cattolicesimo, dalla ricca presenza delle strutture del mondo cattolico nella società e dal forte interventismo pubblico della gerarchia, solo parzialmente si manifesta in un maggiore riferimento al simbolismo religioso che si esprime attraverso il ricorso ai sacramenti nei momenti forti della vita, come nascita, matrimonio e morte, anche data l'assenza di una simbologia laica. Soprattutto poi la lontananza o talora il dissenso verso alcune posizioni ufficiali della chiesa mitigano il carattere di eccezione del nostro Paese.
L'indagine rileva prima di tutto il processo di soggettivizzazione dell'esperienza religiosa che si esprime in forme individualistiche che privilegiano le dimensioni più legate alla realizzazione personale. La frequenza ai sacramenti, seppure diversificata, è in costante diminuzione, come pure è molto ridotta l'attenzione ai precetti della chiesa, la cui non osservanza non viene più percepita come peccaminosa. Le stesse verità cristiane sono accolte in modo selettivo e parziale.
Un secondo dato è la crescente adesione, con un atteggiamento sincretistico, alle pratiche della tradizione orientale, più in linea con la dimensione della realizzazione soggettiva rispetto ad un cristianesimo più dottrinale.
Altro dato è il rapporto di adesione parziale e flessibile all'istituzione chiesa. Non è più tempo di contestazione ma di presa di distanza dalla funzione mediatrice della chiesa a vantaggio di una religiosità che valorizza il rapporto diretto con Dio. I fenomeni della pedofilia e le ultime poco edificanti vicende vaticane hanno contribuito ad una maggiore presa di distanza. La non condivisione di alcune prese di posizione del magistero su temi di ordine etico e polito-sociale sono anche espressione della maggiore autonomia del laicato, promossa dal concilio. Grande apprezzamento hanno invece le parrocchie, più vicine alla vita delle persone e più attente alle esigenze della società.
Nel rapporto tra convinzioni religiose e comportamenti etici la ricerca registra una significativa dissonanza rispetto agli insegnamenti della chiesa (sessualità, famiglia, bioetica...), disattesi praticamente e contestati teoricamente. Diffusa è la mentalità benesseristica e consumista, nonostante la presenza di un volontariato attento ai temi della solidarietà e della condivisione.
Per quanto attiene la laicità, da parte del campione intervistato si riconosce per un verso l'importanza della religione per la società, in particolare quando essa è portatrice dei valori di coesione sociale, finalizzati a rendere più umana la convivenza, mentre dall'altra si ritiene che occorra rispettare l'autonomia dello stato e delle sue istituzioni e che la chiesa pertanto non debba ingerirsi in questioni che lo stato deve affrontare laicamente, senza riferimenti diretti a concezioni religiose precise.
L'inchiesta dell'Osservatorio religioso del Triveneto, guidata dal professor Castegnaro, sulla religiosità dei giovani tra i 18 e i 29 anni, fornisce indicazioni sul futuro, importanti per affrontare il tema della evangelizzazione da parte dell'intera comunità cristiana. Siamo di fronte ad un mutamento qualitativo nel modo di vivere la religiosità.
È presente anzitutto un bisogno di trascendenza, di rapportarsi a qualcosa di trascendente, inteso non sempre in senso personale. Questo bisogno emerge soprattutto in momenti forti dell'esistenza, di fronte a situazioni oggettive di difficoltà, anche in rapporto ai problemi sul senso della vita. La religione non è più percepita al centro della vita dei giovani, ma è ritenuta un aspetto tra altri altrettanto importanti, come il lavoro, l'inserimento nel mondo degli adulti, la relazione affettiva...
Da un cristianesimo sociologico, mutuato dall'esterno, dal contesto socio-culturale, si è passati ad un cristianesimo come scelta individuale. Questa individualizzazione va vista anche positivamente nella prospettiva di una maggiore personalizzazione, di una religiosità più autentica e personale.
La trasmissione delle identità si è interrotta. Tuttalpiù al catechismo si trasmettono alcune nozioni, non più inserite in un'esperienza viva, dato che famiglia, scuola, mass-media sono segnate dal processo di secolarizzazione. L'adesione è pertanto più difficile, ma anche più motivata e libera.
Anche la trasmissione dei valori è più complicata, dato che i giovani non considerano più valore ciò che gli viene trasmesso come tale, ma quello che riescono a vivere in proprio, interiormente, come valore. Se positiva è l'adesione personale al valore, cresce il rischio della soggettivizzazione, del crearsi ognuno la propria morale. È pertanto evidente l'importanza di una educazione che si basi sulla testimonianza.
Ancora più difficile è la trasmissione delle norme, avvertite come autoritarie e costrittive, in particolare quelle della chiesa.
Il rispetto dell'altro è il principio attorno a cui ruota l'etica dei giovani, che si esprime in una maggiore tolleranza delle diversità, anche se con il rischio dell'indifferenza.
Il mondo giovanile, rispetto al mondo adulto, guarda ancor più criticamente l'istituzione chiesa, soprattutto la scarsa povertà, l'astrattezza dei principi e l'eccesso di norme. La riduzione della religiosità (più legata ad aspetti tradizionali e istituzionali) si accompagna ad una esigenza molto avvertita di spiritualità, di apertura al mistero, alla trascendenza, per rispondere alle esigenze interiori, agli interrogativi del senso dell'esistere.
Dalle indagini presentate emergono alcune prospettive per l'evangelizzazione, per annunciare e testimoniare la buona notizia oggi.
Anzitutto una comunità cristiana chiamata alla evangelizzazione deve proporre una fede adulta che coinvolga la soggettività personale, che si radichi nel modo di sentire profondo di ciascuno. Al centro deve tornare la fede, rispetto ad una religiosità (riti, verità, simboli...), pur necessaria ma secondaria. La dimensione di fede va riproposta allo stato puro: è la fede sine glossa di Francesco d'Assisi, è la fede di Giovanni XXIII che ha il coraggio di indire un concilio a 78 anni, sconcertando l'apparato ecclesiastico. Siamo alla fine dell'apologetica, delle pur necessarie mediazioni razionali, dentro una cultura dove il pluralismo non è solo dottrinale e ideologico, ma anche etico e valoriale. La fede è diventata una scelta (tra altre scelte) ed ha bisogno di un contatto vitale con esperienze autentiche. Prima del credo e della dottrina viene la testimonianza di persone che vivono la fede pura.
Una seconda prospettiva è quella di una Chiesa che dia testimonianza dei valori evangelici, di una chiesa povera non solo di ricchezze ma anche di potere, di una chiesa che abbandona l'atteggiamento giudicante, tutta precetti e doveri, e che si immerge nell'umano per essere fermento, fonte di vita e di rinascita.
Un'ultima prospettiva è quella di una chiesa aperta al dialogo fecondo con tutte le altre tradizioni religiose, per camminare insieme verso un comune orizzonte, consapevole della propria parzialità e della propria ricchezza e diversità. In particolare la diversità cristiana si esprime nel mistero della incarnazione (dignità assoluta dell'uomo), e nel superamento della logica della reciprocità, della stretta giustizia, attraverso il precetto della carità, del dono e del perdono.