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Per una teologia della comunità cristiana

sintesi della relazione di Mario Cuminetti
Verbania Pallanza, 12-13 gennaio 1980

Nella relazione verranno indicati 1) alcuni elementi di carattere storico e teoretico per una riflessione sulla comunità cristiana 2) alcune linee generali per una teologia della comunità cristiana.

diverse ecclesiologie

Bisogna premettere che non c'è una sola teologia della comunità cristiana, ma ce ne sono tante. L'esistenza di più chiese ne è già una prova. Ma anche all'interno della stessa chiesa cattolica non c'è una sola ecclesiologia o riflessione sulla comunità cristiana, non c'è una sola concezione della vita della comunità cristiana, non c'è un solo modo di riflettere sulla chiesa. Questa diversità non significa rottura della comunione, ma dipende semplicemente dal fatto che la comunità cristiana è un modo in cui, in una determinata situazione, degli uomini rispondono alla chiamata di Dio, lodano Dio, si organizzano. In base a culture e influenze diverse, il modo di risposta alla grazia di Dio, il modo di annunzio, è diverso, perché la chiesa è una realtà storica. Piuttosto il problema è quello di verificare gli elementi comuni e di vedere se gli elementi fondamentali restano costanti, e verificare se nella diversità è vissuta la stessa fede.
È interessante e utile leggere un passo della Didaché (II secolo), in cui è riassunto il senso della comunità cristiana e in cui possiamo già trovare gli elementi per una teologia della comunità cristiana:
"Ricordati, Signore, della tua chiesa, liberala da ogni male, rendila perfetta nel tuo amore, raccoglila dai quattro venti, Tu che l'hai santificata, conducendola nel Regno che le hai preparato".

alcuni elementi di carattere storico e teoretico

Due esempi ci chiariranno come momenti diversi, modi diversi di strutturarsi della chiesa danno luogo a ecclesiologie diverse.
Il primo esempio riguarda il termine ecclesia mater.
Nei primi secoli il termine stava a indicare che la chiesa (intendendo con questo termine la comunità cristiana locale, non la gerarchia) è madre perché genera alla parola di Dio, alla fede. Chiesa e eucaristia erano due realtà inseparabili.
Dal quarto secolo in poi, quando ormai la chiesa è vista come impero, con poteri ben precisi anche a livello politico e giuridico, Ecclesia mater non si riferisce alla funzione di generazione alla fede, ma diventa un titolo di autorità, assume un significato giuridico e rivendicativo. La chiesa è madre non perché genera o rende presente Cristo, ma perché ha autorità.
Il secondo esempio considera la figura del papa.Nella lettera indirizzata al patriarca di Alessandria, il papa S. Gregorio (IV secolo) scrive: "Vostra Beatitudine mi dice "come voi avete comandato". Prego tenere lontano da me questa espressione, perché so chi sono io e chi siete voi. Secondo la sede episcopale siete mio fratello, sec0ndo la santità mio padre. Non ho quindi nessun comando da dare; mi sono solo fatto premura di dire ciò che mi sembra utile. Non ho però l'impressione che la Vostra Beatitudine abbia del tutto tenuto a mente ciò che volli imprimere nella vostra memoria. Avete detto che né voi a me, né altri a chiunque, deve scrivere cose del genere; ed ecco, nell'intestazione della vostra lettera a me trovo quel titolo pomposo che avevo rifiutato in cui voi volevate rivolgermi a me come papa universale. Prego la Vostra diletta santità di non ripetere più cose del genere, perché è sottratto a voi quanto assurdamente è attribuito ad un altro. Non è mio desiderio essere grande in parole, ma nella condotta di vita. E io non posso accettare qualcosa come onore, quando so che intacca l'onore dei miei fratelli. Io sono veramente onorato quando nessuno è privato dell'onore che gli spetta. Ma se la vostra santità mi chiama papa universale, si sottrae appunto qualcosa, ascrivendo a me l'universale. Ciò non deve essere. Scompaiano dunque le parole che gonfiano la vanità e feriscono l'amore..."
Questo ci fa capire quale concezione della chiesa era allora dominante: una concezione per cui ogni comunità locale era autonoma ed aveva la sollecitudine di tutta la chiesa universale perché rispecchiava in sé tutta la chiesa.
Posteriore di cinque secoli è il Dictatus papae. L'ideologia romana si è ormai imposta totalmente; il documento di Gregorio VII (secolo XI) la riflette crudamente e testimonia una situazione che durerà per molti secoli:
"La chiesa di Roma è stata fondata dal Signore soltanto. Di diritto solo al vescovo di Roma spetta l'appellativo di universale. Soltanto lui ha il diritto di emanare nuove leggi, fondare nuove comunità, destituire i vescovi senza un verdetto sinodale...Solo a lui spetta il diritto di portare le insegne imperiali. Solo lui porge il piede da baciare a tutti i principi. Il nome di papa è riservato solo a lui sulla terra... Nessun sinodo, senza il suo volere, può essere chiamato universale. Egli ha il diritto di deporre gli imperatori, il suo giudizio è insindacabile. Non può venir giudicato da nessuno... Nessuno potrà essere chiamato cattolico se non si conforma alla chiesa di Roma. Il papa può sciogliere i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà prestato ai sovrani iniqui".
I vescovi ora non hanno più alcun potere. Mentre in origine con il nome di papa erano chiamati tutti i vescovi, piano piano si è verificato un restringimento notevole.
Gregorio VII in realtà aveva inteso la centralizzazione del potere a Roma come mezzo necessario per ridare un minimo di libertà alla chiesa; ma questo tipo di ecclesiologia che si impone per necessità diventa l'unico tipo valevole per sempre.
Perfino la lettura della bibbia viene fatta corrispondere alla concezione dominante in un determinato momento. È accaduto, di fatto, lungo i secoli. Per esempio "ubi Spiritus ibi ecclesia" significa, nel linguaggio biblico, che la chiesa esiste dove agisce lo Spirito (fondamentale è l'azione dello Spirito, non le strutture). Questa frase sarà trasformata in "ubi Petrus ibi ecclesia" dove per Pietro si intende il papa. Siamo davanti a due teologie diverse.
Altro esempio: "homo spiritualis iudicat omnia" (1Cor 2,15) sta a significare che l'uomo pieno di Spirito giudica qualsiasi cosa. Questo passo lentamente è applicato solo ai vescovi (secoli IV e V), poi solo papa. È un restringimento della ecclesiologia.
Così "sedes apostolica" era detto di tutte le chiese, come Roma, Antiochia, Gerusalemme. Poi si disse solo per la chiesa di Roma.
Quanto detto ci permette di concludere che la teologia della comunità cristiana è pluralista, cioè ci sono diverse concezioni della chiesa il cui fondamento sta nel mistero di Dio, della grazia di Dio, che mai è totalmente afferrabile dall'uomo, per cui ogni tentativo di riflessione non potrà essere che parziale.
Si tratta di pluralità di teologie, di liturgie, di strutture, di riti, di confessioni di fede.
Ora il problema è come esprimere l'unità di fede, come trovare i modi per correggersi reciprocamente e fraternamente mantenendo ciascuno la sua peculiarità.
Veniamo da secoli in cui è mancata l'autonomia delle chiese, in cui la chiesa era uguale a gerarchia e a società perfetta. Il Vaticano II ha rotto con questa concezione affermando che la dimensione fondamentale della chiesa è il popolo di Dio: tutti i suoi membri sono uguali, ugualmente salvati da Dio attraverso Cristo. I vari popoli di Dio rispondono diversamente alla sua chiamata.

ecclesia semper reformanda

Un elemento essenziale per la costruzione di una teologia della comunità cristiana è Ecclesia semper reformanda, cioè la chiesa è sempre chiamata a confrontarsi con il Signore e con gli uomini, a mutarsi.
Nella storia della chiesa ogni tentativo di riforma è legato ai cambiamenti radicali avvenuti nella società. Questo perché la chiesa, in una riflessione su se stessa, coinvolge due estremi: la parola di Dio e la società. Pertanto un cambiamento della società è uno stimolo per la chiesa a reincarnare di nuovo la parola di Dio. Una chiesa, che vuole restare uguale a se stessa, è infedele al vangelo, perché la chiesa deve essere incarnata.
Vediamo quali elementi ecclesiali si mettono in moto quando una comunità tende a riformarsi, cerca di cambiare. Come punto di riferimento consideriamo l'epoca di Gregorio VII, epoca in cui nasce l'esigenza di una riforma per mettere fine ai due mali allora dominanti: la simonia e il concubinato del clero. Dalla riforma gregoriana hanno origine quei movimenti religiosi detti "ereticali" (siamo nel secolo XI).
Ne deduciamo che, quando la comunità cristiana tende a riformarsi, i primi elementi che sono messi in rilievo sono l'esigenza di una vita comunitaria e immediatamente dopo la povertà. Poi per giustificare i fatti il ritorno alle origini, cioè la rilettura del Nuovo Testamento. Infine la declericalizzazione della chiesa (che equivale all'esigenza dell'uguaglianza di tutti davanti a Dio, annuncio della parola di Dio da parte dei laici), spostamento dei limiti tra sacro e profano, la desacralizzazione.
Comunità, fraternità, povertà, uguaglianza sono segni, manifestazioni, dell'annuncio del Regno.
Una comunità che sorge sulla base di questi elementi ha delle caratteristiche, è strutturata secondo dei valori che nessun tipo di organizzazione ha. Questa comunità vive se si basa sull'uguaglianza, la massima semplicità, la povertà, i rapporti fraterni; al contrario, una comunità organizzata è caratterizzata da uno status sociale all'interno di essa, dalla ricchezza, dai rapporti gerarchici. Ora la chiesa per sussistere, perché il vangelo si incarni, per la sua continuità, deve essere minimamente organizzata. Sorge quindi un problema ecclesiologico: come queste due realtà si dialettizzano e si comunicano gli aspetti positivi. Per costruire qualsiasi teologia della comunità cristiana questo problema non si può evitare.
Si può riproporre in questi termini: rapporto tra la chiesa come diaspora (seminata nel mondo, costituita da piccoli gruppi, come nella lettera a Diogneto) e chiesa come unità organizzata. La vita della chiesa è sempre data da una dialettica costante tra istituzione e movimenti, tra omogeneità e differenziazione. Una dimensione fondamentale della chiesa è la conflitualità. L'unità della chiesa si può esprimere solo in modo conflittuale. Tentare di negare la conflittualità nella chiesa significa identificare l'unità con l'uniformità.

linee generali per un teologia della comunità cristiana

La chiesa è comunità di credenti, cioè è fatta di persone che credono, che hanno fede. Non credono nella chiesa, credono in Dio, nello Spirito. Credono la chiesa (la chiesa come oggetto di fede), perché in essa è presente lo Spirito. Mentre mi identifico con Dio, obbedisco a lui totalmente, non posso identificarmi totalmente con la chiesa perché non è Dio, ma è la risposta degli uomini a Dio. Proprio l'identificazione parziale con la chiesa rende possibile la critica, la riforma, la dialettica movimenti-istituzione. Altrimenti la chiesa diventa il Regno già realizzato.
La chiesa è comunità di fede perché in essa agisce lo Spirito. Allora la chiesa si fa in virtù della grazia, attraverso la fede. È un dono di Dio. La fede si realizza per grazia di Dio, attraverso la chiesa.
Marco 1,15: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo".Il Regno è ormai in mezzo agli uomini; Dio è presente, la sua promessa è già in azione. La presenza del Regno in mezzo agli uomini è la buona novella. Solo credendo che il Regno è presente riesco a cogliere il significato del presente e della storia. L'immagine fondamentale del Nuovo Testamento è quella del Regno presente e della chiesa come annuncio di questa presenza. Il Regno è l'azione potente di Dio; è una salvezza per tutti gli uomini, anche per i peccatori. È annuncio di pace, buona notizia.
La chiesa ha il compito di essere messaggero di gioia che annuncia la pace, che reca una buona notizia, che annuncia la salvezza. Il Regno esige che sia annunciato in mezzo a tutti gli uomini, non solo all'interno della chiesa. La chiesa non vive per sé ma per dare questo annuncio a qualsiasi uomo. Evangelizzazione (cioè annuncio del Regno) e catechesi (il compito più immediato all'interno della comunità cristiana) sono due cose distinte. Le nostre comunità hanno uno stile di vita più volto al mantenimento di fede che non all'annuncio di essa. La comunità, incaricata dell'annuncio del regno, è definita da una pratica specifica, esigita dall'annuncio stesso: è la pratica messianica (distinta dalla pratica pastorale, legata alla crescita della comunità), legata:
a) alla fede: si crede che Gesù è presente, che la sua promessa è efficace, che il suo Regno non verrà meno. Si crede nel successo del movimento da lui iniziato e quindi della chiesa (successo nel senso di servizio e di fedeltà al Signore);
b) alla carità: si riassume nell'eucaristia, cioè la condivisione del pane con tutti, il simbolo della partecipazione da parte di tutti alla stessa mensa, aperta a tutti e condivisa da tutti;
c) alla speranza: una comunità formata di uomini che riescono a vivere nella fraternità, ad avere rapporti nuovi, a condividere il pane, che diventa un segno che annuncia e testimonia che la speranza di rapporti nuovi è possibile entro la storia; un segno che realizza la speranza che il Regno è già presente e che Dio lo porterà a compimento.
La pratica esigita dall'annuncio del Regno rompe col codice sociale dominante nella storia, basato su denaro e interesse, autorità, gerarchia sostituendovi rapporti sociali basati su altri valori. Questo nuovo sistema di rapporti è l'ecclesialità. Dove c'è questa prassi basata sul dono, sullo scambio, sulla condivisione, lì c'è la chiesa. È in questo senso che la comunità cristiana annuncia il Regno. La chiesa è comunità cristiana in quanto designa e realizza una pratica specifica, legata all'annuncio del regno e che si articola in quei tre livelli.
È il luogo in cui si vigila perché questo tipo di pratica non si annulli, non passi in secondo piano rispetto alle preoccupazioni, legate alla sussistenza della comunità.

Alcune indicazioni sulla struttura della chiesa

1. condizione primaria: la chiesa è popolo di Dio, aperto all'ascolto della parola;
2. la struttura carismatica, cioè i singoli membri delle comunità, devono sviluppare i carismi, ciascuno secondo i suoi doni e le sue capacità. Uno dei primi compiti della comunità cristiana è aiutare ciascuno a scoprire e valorizzare i suoi doni. Chi non sa ascoltare il vicino, l'uomo, non sa ascoltare Dio.
3. La struttura ministeriale: la comunità, per la sua vita e per il suo ordine, riconosce, in base ai carismi, un compito a determinate persone, lo legittima (per esempio, con l'imposizione delle mani) gli dà una certa autorità, lo rispetta. Qualsiasi organizzazione ha bisogno di un riconoscimento dei compiti, dei ministeri. Però il riconoscimento di alcuni ministeri rischia di gonfiarli e di delegare ad essi dei compiti che devono invece essere svolti dalla comunità. È avvenuto storicamente che si sono concentrati i poteri in alcune persone. Siamo sempre succubi di questo rischio.
Questa struttura della chiesa è necessaria per la sua vita interna; però la chiesa è sempre per il mondo, per annunciare il vangelo agli altri. C'è il rischio di dimenticare che la comunità è per il mondo, per annunciare il vangelo agli altri, per annunciare il vangelo a tutti.

elementi specifici della situazione attuale

La crisi attuale della chiesa come organizzazione è crisi di un tipo di chiesa, quello che si è imposto a partire dal sesto secolo: la chiesa universale (un'unica chiesa modellata su Roma; la fedeltà o meno alla chiesa equivaleva alla fedeltà o meno alle indicazioni che venivano da Roma). Questo tipo di chiesa è in crisi anche per il tipo di società in cui siamo inseriti. Non si può più costruire una chiesa universale, omogenea e uniforme perché oggi c'è un esaurimento dei valori fondamentali e condivisi. Appare evidente oggi che il papa da Roma non può dare indicazioni pratiche, per esempio, alla chiesa africana, né fare un discorso sulla pace o sulla fame valido per tutto il mondo. Si pone autonomamente il problema della diversità e dalla autonomia. La chiesa è chiamata a questa riforma.
Il primo problema che si pone oggi è perciò quello della fine di questo tipo di chiesa universale e del riconoscimento della autonomia e della particolarità delle chiese locali. Resistere a questa evoluzione, in questo senso, significa resistere alla storia.
Un altro problema è questo: mentre prima ci si riconosceva membri di una stessa comunità cristiana in base a rapporti verticali con l'autorità della chiesa (rapporto esterno), oggi ci si riconosce tali non tanto per l'obbedienza al sacerdote o al vescovo o al papa, ma per un'esperienza più personalizzata del rapporto con Dio, per la condivisione della prassi messianica, sulla base di rapporti interpersonali, di esperienze comuni, ecc... C'è il rischio di fondare comunità solo tra persone omogenee politicamente o ideologicamente. Bisogna allora vedere, come, con persone non omogenee, si riesce a comunicare e a riconoscere che c'è unità. Oggi la comunità cristiana è riconosciuta come tale solo se riesce a diventare segno nella storia di qualcosa che la trascende, se riesce a testimoniare qualcosa d'altro. Nasce quindi il problema di diventare credibili.

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