Cristianesimo come religione civile
Quale rapporto tra cristianesimo e società in un contesto di pluralismo di fedi e di crisi di valori condivisi?
sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 21 gennaio 2006
I rapporti tra Cristianesimo e politica sono profondamente influenzati dai mutamenti avvenuti a seguito del processo di globalizzazione. La politica è in difficoltà sia per la presenza di poteri forti, come quello economico e quello della informazione, sia per la dimensione transnazionale dei problemi. La religione cristiana d'altra parte perde consenso all'interno ed è sempre meno influente all'esterno per l'avanzare del processo di secolarizzazione.
In questo contesto, la presenza sempre più massiccia in occidente di tradizioni religiose e culturali diverse è percepita come un attentato all'identità nazionale. Per questo riprende consistenza l'idea di "religione civile", che rinvia ad una complessa eredità storica.
L'idea di "religione civile"
È Rousseau a formulare per la prima volta il concetto di religione civile, che distingue da altre forme religiose (religione dell'uomo, quella del prete e quella del cittadino), riconducendola di fatto ad un'etica finalizzata ad alimentare il senso dell'appartenenza collettiva. Si tratta quindi di una forma di religiosità generale, conseguibile con la ragione, che sta al di sotto delle fedi particolari e i cui contenuti sono l'esistenza di una divinità onnipotente e provvidenziale, la sopravvivenza personale dopo la morte e la retribuzione delle opere terrene. Questi contenuti danno solidità al contratto sociale, suscitando nel cittadino l'amore per le leggi, al di là della mera obbedienza strategica.
L'intento di Rousseau non è quello di rendere la religione funzionale all'utilità politica, ma di dare un fondamento etico alla politica. Permane però un'ambiguità, perché il concetto di religione civile se per un verso implica il riconoscimento che la politica non è autosufficiente, dall'altro favorisce la concezione dell'onnipotenza della politica. Si supera l'autonomia individuale con il ricorso a motivazioni sentimentali (paura delle sanzioni divine e amore per le leggi), che sopperiscono all'insufficienza di argomenti razionali.
Successivamente il processo di secolarizzazione in occidente enfatizza gli aspetti di onnipotenza della politica, con un ribaltamento di prospettiva: non è più la religione (eticizzata) a supportare la politica, ma è la politica a diventare religione, assumendo il carattere sacrale di assolutezza e di intangibilità.
La situazione attuale presenta caratteristiche nuove. L'odierno concetto di religione civile non può essere ridotto ad una concezione del cristianesimo, in cui la politica viene concepita come dipendente dalla fede né, inversamente, a una sacralizzazione della politica, che si appropria della dimensione religiosa. Ciò che oggi viene ricercato è un rapporto di mutuo sostegno tra cristianesimo e politica, rapporto ricercato per lo stato di precarietà in cui ambedue si trovano. Il dialogo si sviluppa pertanto su entrambi i fronti in termini di mera funzionalità: la politica ricorre infatti alla religione cristiana per difendere l'identità dell'Occidente dall'incursione di altre tradizioni culturali e religiose, che si presentano con una identità forte; mentre, a sua volta, il cristianesimo, divenuto minoritario, sembra ricuperare, nell'appoggio dato a una politica particolare, la propria visibilità storica e la possibilità di contare nei processi che guidano la vita collettiva. Si direbbe che venga riproponendosi, sia pure in un contesto diverso e con logiche diverse, una forma di "costantinianesimo", caratterizzato dal riconoscimento dell'autonomia dei rispettivi ambiti - la secolarizzazione ha definitivamente sancito la loro distinzione - ma insieme dall'ammissione della necessità di una loro collaborazione, in ragione di interessi differenziati, che possono essere tuttavia meglio perseguiti (o tutelati) convergendo in una forma di accordo comune.
Due esperienze di "religione civile"
Il ritorno della religione civile riguarda non solo il nostro paese, ma anche gli Stati Uniti, dove assunto particolare evidenza in occasione della campagna presidenziale conclusasi con il secondo mandato a G. Bush.
il caso americano
La cultura politica americana ha avuto sempre un retroterra religioso, riconducibile ad un singolare intreccio tra pensiero ebraico e religiosità protestante, da cui deriva il robusto senso di appartenenza nazionale e la consapevolezza di essere un popolo eletto in vista di una particolare missione per l'intera umanità.
Queste convinzioni sono state alimentate dai numerosi movimenti fondamentalisti presenti in America e dalla diffusa percezione della presenza del divino nella società che porta a considerare la democrazia come teologia dominante e che trasforma il cristianesimo in fattore decisivo della stabilità nazionale per la sua capacità di conciliare sperimentalismo politico e coesione sociale (come osserva Tocqueville). La religione americana è dunque, per definizione, una religione politica, che incide sulla vita pubblica, cementando l'unità nazionale e stimolando processi di crescita comune; la politica americana a sua volta, iscritta com'è in termini immediati nella sfera religiosa, si ammanta di un carattere sacrale.
Questi tratti hanno assunto tinte ancora più forti dopo l'11 settembre 2001, con il riemergere di tendenze fondamentaliste e di stati di ansia apocalittici. Bush, anche per la sua provenienza texana e per l'esperienza personale di fuoriuscita dalla dipendenza dall'alcol grazie ad un percorso religioso (si ritiene un new born in Christ), è percepito come uomo della provvidenza dalla galassia di movimenti religiosi più conservatori e punto di riferimento per una parte consistente della popolazione, di cui fa proprie le istanze, cavalcandone le paure. Il suo programma elettorale di conservatorismo compassionevole, la condanna esplicita di alcune pratiche come l'aborto hanno esercitato un ruolo importante nella rielezione. La guerra in Iraq poi ha consentito a Bush di rispolverare un linguaggio ispirato a toni biblici e teologici, di enfatizzare la missione storica della nazione americana chiamata a farsi paladina della lotta del Bene contro il Male.
Il pericolo non è solo quello di un uso politico della religione, funzionale a restituire all'America una posizione centrale nel mondo, ma anche quello di conferire un alone religioso e sacrale alla politica vigente, assolutizzandola, indebolendo così la democrazia.
Quindi qui il concetto di religione civile ha una duplice accezione: da un lato indica una sorta di consacrazione dall'alto della politica, dall'altra il conferimento alla politica di una portata sacra, con attività il cui significato va oltre il livello umano (lotta del Bene contro il Male).
il caso italiano
Di segno diverso è il caso italiano. Il ritorno alla religione civile non coinvolge solo il rapporto tra mondo ecclesiale e uomini politici che si ispirano a credenze religiose, ma si estende anche ai laici, i cosiddetti atei devoti, privi di veri interessi per la religione, ma che fanno ricorso ad essa come strumento efficace per difendere il patrimonio di cultura e di valori dell'Occidente, patrimonio che ritengono in pericolo per la presenza di etnie, di culture e di religioni diverse, ed in particolare dell'islam.
Questo stato di cose, frutto di una pericolosa forma di complicità tra alte gerarchie ecclesiastiche e laici arroccati su posizioni di netta chiusura nei confronti di culture diverse, è stato lucidamente denunciato dalla Comunità di Bose nella Lettera dell'Avvento 2003, con osservazioni che meritano di essere, sia pure parzialmente, riportate.
"Oggi ci pare che la tentazione più seria che colpisce i testimoni del Signore Gesù fattosi uomo come noi, morto e risorto per ristabilire la piena comunione dell'umanità e del cosmo intero con Dio - scrivono le sorelle e i fratelli di Bose - venga dall'irresistibile fascino della religione civile. È il fascino di un cristianesimo visto anzitutto come cultura di un popolo, addirittura di una identità nazionale, che assicuri il ricompattarsi di una società e che si ammanta di evidenti risultati culturali: una presenza cristiana che inevitabilmente apparirà sempre più come la declinazione dell'equazione "cristianesimo uguale occidente"... C'è una richiesta - soprattutto da parte di quanti, politici o intellettuali, in massima parte estranei alla vita cristiana, ritengono di dover guidare le trasformazioni - di poter disporre dei cosiddetti valori cristiani come di una sorta di 'vaso degli dei' cui attingere per mantenere in buona salute la società, per darle unità di fronte ai pericoli esterni, per fornire coesione e ragioni trascendenti di fronte al nemico che si profila all' orizzonte o che viene creato! È cosi che la chiesa viene ridotta a una potente lobby etico-sociale. E l'invito rivoltole in questo senso da intellettuali non cristiani trova purtroppo accoglienza favorevole anche da parte di autorevoli ecclesiastici che desiderano apprestare una chiesa forte, massicciamente visibile e presente negli spazi vuoti delle ideologie, una chiesa che sappia essere forza di pressione in società dove pure è diventata numericamente minoranza".
Il rischio che stia avanzando in alcuni settori del mondo laico il tentativo di impadronirsi della religione cristiana per fini puramente utilitaristici è fuori discussione. L'interesse non è dettato da motivazioni di fede o da curiosità intellettuale, ma solo da motivi politici. La chiesa è spesso oggi ridotta a strumento posto al servizio di una cultura particolare; il che spiega perché vengano privilegiate le posizioni espresse dai settori più rigidi della gerarchia e perché si sollevi talora l'accusa di relativismo (da quale pulpito!) nei confronti di quei credenti che sollecitano il dialogo con altre culture e con altre credenze religiose. La religione è concepita come instrumentum regni, come guardiana di una cultura particolare contro le altre culture.
Sul versante ecclesiale il ricorso, presente nei fatti, all'idea di religione civile, è dettato dalla preoccupazione della chiesa di recuperare la propria influenza sulla società italiana. La dissoluzione dell'unità politica dei cattolici ha fatto venire meno un rapporto privilegiato con la politica, finalizzato ad esercitare una pressione sul potere politico per orientare la legislazione su temi eticamente sensibili e per garantire la conservazione e l'acquisizioni di privilegi.
La chiesa ha così cercato nuove forme di intervento nella società. La proposta del progetto culturale mira ad una forma di presenza nella società civile, per incidere sulla formazione delle mentalità e del costume. Sulla stessa linea si collocano altri interventi come la richiesta di mantenere il crocifisso in alcuni luoghi pubblici (scuole, tribunali, ecc.), con il rischio di ridurlo ad emblema della cultura nazionale e di sottrargli pertanto la carica eversiva originaria; o la collusione tra religione e nazione che si è prodotta in occasione del funerale per le vittime italiane di Nassirija - emblematica è stata sotto questo profilo l'omelia del Card. Ruini - ; o, infine (ma non ultima in ordine di importanza), la pressione esercitata - peraltro senza esito - per inserire nella Carta Costituzionale europea l'esplicito riferimento alla tradizione cristiana, in quanto fattore costitutivo della formazione dell'identità europea, sottovalutando, da un lato, la complessità e varietà delle radici culturali dell'Europa, difficilmente riconducibili ad un'unica matrice e dimenticando, dall'altro, che l'apporto della chiesa non ha favorito soltanto lo sviluppo di processi di crescita umana, ma ha anche talvolta determinato l'emergere di intolleranze, che vanno apertamente stigmatizzate.
La "religione civile" pertanto, oltre a favorire il ritorno di un clericalismo, che riduce il cristianesimo a un sistema di potere, finisce per provocare la sostituzione del ruolo evangelico della chiesa con quello politico dando origine a un doppio equivoco: la sconfessione dell'autonomia della politica a causa della intromissione della chiesa in essa e il mancato riconoscimento dell'autonomia del laicato, cui viene sottratta la gestione delle attività temporali affidatagli dal Vaticano II come campo di esercizio della mediazione storica dei valori evangelici. Ancora più grave è inoltre la perdita da parte della chiesa della propria identità spirituale: perdita che le sottrae la possibilità di essere autenticamente chiesa, di leggere cioè profeticamente i segni della presenza di Dio nella storia e di rendere testimonianza al regno che viene.
Un nuovo modello di rapporti tra cristianesimo e politica
L'esigenza del ritorno alla pratica della radicalità evangelica è dunque l'elemento fondamentale da ricuperare.
La possibilità che la chiesa pronunci una parola libera e profetica sulle grandi questioni del mondo odierno dipende da un atteggiamento di radicale spoliazione del potere, rinunciando alla propria autoaffermazione e acquisendo una vera autonomia da ogni sistema culturale e sociale. La pretesa di tutelare la propria identità mediante la pura e semplice riaffermazione dei valori appartenenti ad una tradizione culturale particolare contraddice l'universalità del cristianesimo e quindi la possibilità di incarnarsi in diverse culture. Lo stretto legame tra cristianesimo e cultura occidentale è stato causa di profonde ferite, non ancora del tutto rimarginate.
nessuna fuga dal mondo: la questione della laicità
Il rifiuto del modello di religione civile (rapporto con la politica basato su logiche di potere) non comporta una visione spiritualizzata del cristianesimo, senza alcuna rilevanza sociale. La laicità non può essere vista, come vuole la tradizione liberale e illuministica, mera separazione.
La critica di ogni forma di religione civile deve andare di pari passo con la critica di ogni forma di laicismo, che tende a confinare la religione nella sfera privata, riducendola a fenomeno che attiene alla coscienza personale, senza alcuna rilevanza sociale. Siamo oggi spinti a ripensare i rapporti tra religione e politica sia dalla crescente presenza di persone appartenente a tradizioni culturali e religiose diverse, sia per l'impossibilità di tracciare linee nette di demarcazione tra sfera del sacro e quella del profano.
L'esigenza poi di un giudizio critico del cristianesimo nei confronti della situazione presente emerge con forza dalla constatazione del pericolo di disumanizzazione insito in una forma di secolarizzazione di stampo economicista, causa di sperequazioni economiche e sociali inaccettabili, fautore di una ideologia centrata sull'utile produttivo e sul consumo.
Oggi la sfida è alta: si tratta di dare vita ad una figura di laicità che favorisca l'incontro tra tradizioni culturali e religiose diverse, avviando un dialogo coraggioso tra le varie componenti della società alla ricerca di valori alternativi all'ideologia dominante, che propongano cammini efficaci di promozione umana.
il modello della mediazione etica
Nei testi del Vaticano II è presente un modello di definizione dei rapporti tra cristianesimo e politica. Vi si afferma l'autonomia della politica, con l'esplicito riconoscimento del valore delle realtà temporali e con la piena valorizzazione del laicato che ha uno specifico ruolo di impegno nel mondo. Affermare l'autonomia della politica significa ammetterne la radicale laicità: la politica va studiata per se stessa, aprendosi - secondo la prassi democratica - al confronto con tutti i cittadini.
Autonomia e laicità non implica neutralità etica. La politica, in quanto attività finalizzata al bene umano, postula il riferimento ad alcuni valori (riconoscimento della centralità della persona e il rispetto della sua dignità, l'attenzione al bene comune dell'intera famiglia umana, la costruzione di un ordine rispettoso della uguaglianza di tutti i cittadini e volto a sollecitarne la responsabilità partecipativa, una solidarietà che privilegi i bisogni dei meno garantiti). Il perseguimento di dette finalità non può essere assicurato con il solo ricorso alla tecnica, ma esige il rimando all'etica, che ha le sue radici nell'esperienza razionale dell'uomo.
Alla fede non compete la soluzione tecnica dei problemi politici e neppure l'indicazione di orientamenti etico-normativi per affrontarli correttamente. La fede ha il compito di fornire all'attività umana un orizzonte di senso trascendente, che metta in condizione l'uomo insieme di radicalizzare (si pensi alle radicali esigenze contenute nel discorso della montagna) e di relativizzare l'impegno di trasformazione del mondo, mostrandone l'insufficienza per l'edificazione del regno.
Non è possibile pertanto ricavare dalla fede un progetto politico ben definito, come pure bisogna rifiutare la tentazione di rendere del tutto funzionale la fede alla politica (quando cioè il cristianesimo si trasforma in supporto a un sistema culturale e ideologico particolare.
L'ipotesi pertanto di religione civile è sconfessata sia in ragione dell'autonomia della politica, sia ancor più in ragione della specificità del messaggio evangelico, della sua irriducibilità a ogni modello culturale, ossia della sua universalità.
Solo a queste condizioni la proposta cristiana può ricuperare la sua incidenza sulla realtà sociale e politica, trasformandosi in coscienza critica di tutti i sistemi e di tutte le ideologie storiche e suscitare l'attesa per il regno che deve venire. È questo il senso vero della laicità che, come osserva acutamente Filippo Gentiloni, "è consapevolezza del limite di tutto, anche della politica, anche della chiesa, è tolleranza delle opinioni altrui, è coscienza di una verità che si costruisce giorno per giorno, che non è mai data per scontata né definitivamente raggiunta. È virtù vicina alla cristiana umiltà. È negazione di qualsiasi ideologia totalizzante. Il suo contrario non è dunque il religioso, ma l'integralismo".