Incontri di "Fine Settimana" percorsi su fede e cultura |
Corso Biblico 2022/2023 I pani e i pesci. Rut e Giona |
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Pensare dentro la BibbiaUn itinerariosintesi della relazione di Armido RizziVerbania Pallanza, 9 febbraio 2008 Fedele al titolo: "Pensare dentro la Bibbia - un itinerario", vi farò il racconto dello svolgimento del mio incontro con la Bibbia, sia come teologo, almeno da un certo punto in poi, sia come cristiano. Ovviamente vi parlerò dell'aspetto "pubblico", degli aspetti visibili della mia vita che sono stati segnati dall'incontro con la Parola di Dio. Cosa sia il mio incontro con la Parola di Dio nel profondo, lo sa soltanto Lui, perché soltanto Lui "scruta le reni e il cuore" (Geremia 11,20; Salmo 7,10; Sapienza 1,6). Primi incontri con la Parola di DioAlle elementari (la parabola del figliol prodigo)Il primo ricordo che ho di una forte impressione lasciatami da una pagina biblica risale all'età di 9 o 10 anni. In un altare laterale della mia parrocchia d'origine (Belgioioso in provincia di Pavia), una maestra elementare che era anche catechista raccontò la parabola del figliol prodigo. Questo racconto mi commosse e da allora mi è sempre rimasto nel cuore. Posso dire che è il mio primo ricordo del Vangelo, e vorrei anche che fosse l'ultimo, cioè mi auguro di arrivare al momento in cui tornerò, come il figliol prodigo (siamo tutti un po' figli prodighi) alla casa del Padre, a ricevere il suo abbraccio. Chiudendo così il cerchio. Alle medie (lettura di racconti biblici)Del mio primo anno in seminario (avevo 10 anni ed ero in prima media) ricordo le letture di avvenimenti biblici dal libro "La Bibbia del fanciullo" (che casualmente ho ritrovato l'anno scorso grazie a mia sorella). Si trattava di storie come, per esempio, quella di Giuseppe venduto dai fratelli, con le successive vicende in Egitto, le sue interpretazioni dei sogni del faraone, ecc. Naturalmente, ciò che maggiormente mi colpiva e mi rimaneva impresso di quei racconti erano gli elementi drammatici. In seminario, al liceo (predilezione per autori che si basavano su testi paolini)Del periodo del seminario, non ricordo di avere ascoltato della predicazione biblica.
Nel periodo della "teologia" (uso strumentale dei testi biblici a supporto di tesi teologiche)Del periodo degli studi di teologia (che ho iniziato in seminario e avrei continuato e concluso presso i Gesuiti), ricordo l'uso della Bibbia come antologia di testi a supporto di tesi teologiche. Col senno di poi, posso dire che c'erano effettivamente delle tesi che avevano un loro fondamento biblico (ad esempio, la tesi "Dio è creatore del mondo", aveva un chiaro riferimento biblico nel libro della Genesi), ma per altre tesi il rapporto con la Bibbia era molto indiretto o semplicemente fondato su un equivoco, soprattutto per il fatto che quelle tesi erano nate all'interno di un mondo il cui linguaggio era il latino, e si basavano quindi sulla traduzione latina della Bibbia, la "vulgata". Vi faccio due esempi. Per quanto riguarda la tesi del matrimonio come sacramento (tesi cattolica, perché i protestanti accettano solo battesimo ed eucarestia come sacramenti), la prova scritturistica (che era normalmente seguita dalla prova patristica e qualche volta dalla prova razionale) si basava sul capitolo 5 versetto 32 della lettera di Paolo agli Efesini, dove in latino troviamo: "Sacramentum hoc magnum est, ego autem dico in Christo et in Ecclesia". Cioè l'unione dell'uomo e della donna viene detta "sacramento" grande in Cristo e nella Chiesa. Ma "sacramentum" traduce il greco "mysterion", che le traduzioni di oggi rendono con "mistero". A sua volta "mistero" non significa qui qualcosa che supera la ragione (come quando si parla del "mistero della Trinità"), ma qualcosa che ha attinenza con il disegno prima nascosto in Dio e ora manifestatosi in Cristo Gesù: la volontà divina di chiamare tutti gli uomini alla salvezza. L'espressione paolina non riguarda pertanto il carattere sacramentale del matrimonio.
Cento tesi, ma non una che dicesse "Dio è amore"Al termine degli studi di filosofia (3 anni) e di teologia (4 anni), ho fatto quello che si chiama l'"examen ad gradum", che permetteva di diventare gesuita professo e che era un po' la sintesi di tutti quegli anni di studio, raccolta in cento tesi. Pensate che in quelle cento tesi, che sintetizzavano tutta la formazione intellettuale del gesuita (ma lo stesso valeva di ogni altro curriculum teologico), non ce n'era neanche una al cui centro vi fosse Dio come amore. Mi meravigliò e mi rallegrò quindi la lettura, allora, di un libro di un domenicano (padre Héris, se ben ricordo), dal titolo "Dio è amore", che ne parlava facendo riferimento alla Bibbia e poi anche a San Tommaso. Bibbia e spiritualità ignazianaUna parentesi, a proposito dei due anni di noviziato dai Gesuiti, ricordo che ci si rifaceva a quel tanto di Bibbia che serviva per nutrire la spiritualità ignaziana, e ci si teneva a dire che nelle sue visioni Ignazio aveva capito tanto di Dio da non aver più bisogno delle Scritture. La scoperta del mondo della BibbiaMa nel frattempo, durante il triennio di filosofia a Gallarate, ebbi l'occasione di fare la scoperta del mondo della Bibbia.
1. L'enciclica "Haurietis Aquas": presentazione dell'amore di Dio attraverso testi bibliciIl primo fu dovuto al fatto che facevo parte di un gruppetto di studenti gesuiti che curavano in modo particolare la devozione al cuore di Gesù e che proprio in quel periodo (1955 o 1956) uscì l'enciclica "Haurietis Aquas" (Attingete le acque), che parlava del cuore di Gesù non più sul piano devozionale, ma presentando l'amore di Dio attraverso testi biblici a partire dall'Antico Testamento. Per noi fu la scoperta di un mondo. Questa raccolta di testi, fatta in maniera semplice, mostrava come già nelle scritture ebraiche il centro della rivelazione di Dio è la rivelazione del suo amore, che tutto questo si concentra nella vita di Gesù, e che il cuore diventa il simbolo di questa concentrazione dell'amore di Dio nella vita e nella storia di Gesù. Erano testi fondamentali, che però noi non avevamo mai veramente sentito. 2. La pubblicazione e lo studio della "Bible de Jérusalem"Il secondo elemento, ancor più importante, fu la pubblicazione in volume unico (sempre alla metà degli anni '50) della Bible de Jérusalem (quella che circola in Italia dal almeno 35 anni, con la traduzione della CEI ma con le note della "Bibbia di Gerusalemme"), che ebbi in regalo da un amico. Ci sono delle note esplicative, che si riferiscono a singole parti, versetti, ecc., come in ogni edizione della Bibbia, ma ci sono anche delle note chiave, cioè delle note tematiche su temi fondamentali, come Dio amore, Dio sposo, Dio padre, Dio madre, Dio pastore, lo Spirito, o simboli come la vigna, l'acqua, il fuoco, ecc. Grazie alla presentazione di questi temi, ben sviluppati, con le citazioni dei passi principali, questa lettura per me fu davvero la scoperta della Bibbia come un mondo, e non come un'antologia di testi e, peggio, di singoli passi decontestualizzati. Il canto dei salmiUn altro elemento che mi permise di avvicinarmi alla Bibbia, in particolare ai salmi, fu la pubblicazione anche in Italia, in quegli anni, di un libretto del gesuita padre Gelineau, che permetteva di cantare i salmi anche in lingua italiana, con melodie e ritmi facilmente assimilabili. Anche a motivo della mia inclinazione per la musica e per la presenza fra i miei compagni di studi di persone come Gino Stefani ed Eugenio Costa, che sarebbero in seguito diventati uno professore di musicologia al DAMS di Bologna, l'altro uno dei più importanti promotori liturgici in Italia, la possibilità di cantare i salmi permise un ulteriore avvicinamento alla Bibbia. Un primo approccio criticoCon tutto ciò, non ero però ancora arrivato a quella che sarebbe stata una lettura critica della Bibbia.
L'idea di un Dio creatore di ordine (cosmos) e non di materiaNella prima edizione, a differenza di quella odierna, in una nota si parlava ancora di "creazione dal nulla", con l'intento di mostrare la differenza tra la concezione biblica della creazione del mondo da parte di Dio e quella del sistema aristotelico in cui il substrato della natura è una materia che esiste dall'eterno.
Licenza in filosofia (tentativo di conciliare il pensiero greco con il mondo biblico)Alla fine dei tre anni di studio a Gallarate, per conseguire la licenza in filosofia, bisognava fare un'esercitazione. La mia è consistita nel mettere assieme quel sistema di pensiero che avevo appreso e a cui aderivo appassionatamente, cioè il sistema di pensiero tomista, con il mondo biblico. Feci dunque la mia esercitazione su "Sacra scrittura e pensiero greco", dimostrando (ero convinto di aver dimostrato) che in realtà le strutture di fondo del pensiero biblico erano le stesse del pensiero greco. Pensate che è proprio ciò contro cui mi batto da quarant'anni!
Tre anni di "magistero" (Preparazione di preghiere basate su testi biblici)Prima di iniziare gli studi teologici, sono stato mandato (come è normale prassi dai Gesuiti) a fare tre anni di "magistero", cioè ad insegnare (italiano e greco in una classe, italiano, latino e storia in un'altra) in una specie di seminario minore in Val Nure, vicino a Piacenza. C'erano ragazzi dalla prima media alla quinta ginnasio, che facevano gli studi classici. Ero anche prefetto di disciplina dei più grandi, che seguivo quindi anche fuori da scuola. Al mattino e alla sera, questi ragazzi si trovavano a recitare sempre le stesse preghiere (Padre Nostro, Ave Maria, Angelo di Dio, Eterno riposo, ecc.). Allora, servendomi del lavoro che avevo fatto attraverso la lettura della Bibbia, soprattutto dei salmi, pian piano ho preparato loro delle preghiere imbastite di citazioni dell'Antico e del Nuovo Testamento, tratte anche da salmi e inni. Le ho ritrovate recentemente, e penso che, anche se sono forse un po' troppo dense, siano state un modo di accostare quei ragazzi alla Bibbia. Studi di teologia in Spagna (crollo della costruzione teologica tradizionale)A studiare teologia fui mandato a Comillas, nel nord della Spagna, un bellissimo paesino con porticciolo sul mar Cantabrico. Il paese era dominato da una specie di castello, fondato dal marchese di Comillas, sede di un collegio affidato ai Gesuiti, dove, fin dalla fine dell' '800, veniva mandata la crème dei seminaristi (dalla prima media alla formazione sacerdotale) delle diocesi del centro-nord della Spagna. Negli anni '30, era stato annesso un altro edificio, meno signorile, dove venivano inviati anche i Gesuiti a studiare filosofia e teologia.
La concezione metafisica (attraverso l'intelligenza, l'uomo può e deve risalire dal mondo fino a Dio)Cercherò di chiarire qualche concetto. Qualcuno di voi ricorderà il verso di Dante che dice che in Dio "s'interna (...) ciò che nell'universo si squaderna". Io direi: Dio è la concentrazione di tutte quelle qualità che nell'universo, nella creazione, sono distribuite, disseminate, ma in forma "partecipata" e diversamente calibrata. Per spiegare questo concetto si usavano delle immagini, come quella del sole che dà luce e dà calore (era solo un'immagine, anche se qualche filosofo medioevale la prendeva in senso proprio). Come il sole è una concentrazione estrema di luce e calore che illumina e riscalda tutte le creature, così è, in maniera analoga, Dio.
Maturazione di una "teologia alternativa"Quindi fu una crisi. Non di fede, ma del linguaggio della fede, necessario per poterla esprimere. Allora mi sono messo a cercare un'alternativa, per continuare a pensare e a dire la mia fede nel Dio di Abramo e di Gesù Cristo. Lentamente, anno dopo anno, è maturata quella che, più avanti, avrei chiamato una teologia alternativa. "Alternativa" non nel senso corrente del termine, ma in quanto basata sul principio di "alterità" invece che sul principio di identità (Dio è l'essere, e dentro lo spazio dell'essere c'è tutto e tutto vi è conoscibile). Ancora: un uso improprio della BibbiaUno dei punti forti di quel sistema che era crollato era il testo di Esodo 3,14, quando Dio dà a Mosè la missione di portare il suo popolo fuori dall'Egitto, e Mosè vuole sapere cosa rispondere a chi gli chiederà chi sia quel Dio che glielo ordina. La risposta era tradotta con "Io sono l'Essere". Questa espressione veniva portata come la prova biblica di quella visione del mondo e di Dio di cui prima dicevo. Oggi nessuno studioso delle Scritture dice questo. L'interpretazione più coerente con tutto lo sviluppo del rapporto tra Dio e Israele così come è narrato dalla Bibbia, è quella che traduce: "Io sono il Presente". Non il presente in quanto tempo, distinto dal passato e dal futuro, ma: "Io sono colui che è presente", nel senso di: "Eccomi qua: ci sono e ci sarò per te", il che significa: che Dio è quella realtà che si è fatta presente all'uomo, che resta presente. Dio è l'amore fedele. La scoperta delle religioniMa se non possiamo inscrivere Dio all'interno di uno spazio di conoscenza a partire dal mondo, in che modo possiamo sapere di lui? E' qui che cominciò a delinearsi, nella seconda metà degli anni '60, il nuovo approccio: Dio lo si conosce attraverso un'esperienza specifica, l'esperienza religiosa, e attraverso i testi che la documentano.
dalla metafisica alla fenomenologia: dal mondo dell'essere al mondo del sensoStudio della fenomenologia della religioni: l'interpretazione dei testiLe esperienze religiose si sono sedimentate in tradizioni orali e/o in testi; chi vuol capire una religione ed entrare nel suo mondo deve interpretare questi testi.
La tesi in cristologiaPerciò, pur essendo indirizzato dai superiori a insegnare filosofia della religione, decisi con la loro approvazione di laurearmi in teologia, per affrontare una lettura più approfondita di quella religione nella quale e della quale vivevo: la rivelazione del Dio della Bibbia. Questa scelta si precisò in forza di un evento che mi ha segnato in profondità: la perdita di un amico e confratello morto su una strada di Roma per un infarto fulminante. Egli stava lavorando su un tema di cristologia; venni in possesso dei suoi materiali e appunti, e mi sentii sollecitato a continuare la sua ricerca. Su questo punto devo fermarmi un poco, e chiedo perciò un pizzico di pazienza.
La comunità "sessantottina" di Milano e la richiesta di "riduzione allo stato laicale"Avviene, a questo punto, una svolta importante nella mia vita. Nel '70, mentre ero ancora gesuita - erano anni in cui era possibile fare delle sperimentazioni - i superiori mi diedero il permesso di fondare a Milano una comunità. Era una comunità di studenti sessantottini, composta, durante il primo anno, oltre che da me, da tre ragazzi e tre ragazze, con i quali vivevo (salvo i tre giorni in cui andavo ad insegnare a Gallarate) e a cui confluivano una ventina di altri studenti. La domenica celebravamo la messa, il giovedì facevamo la lettura della Bibbia, il lunedì ci incontravamo per i "lunedì antropologici", cioè discutevamo su un determinato libro che era stato scelto e letto, su argomenti riguardanti etica, politica, religione, ecc. In quell'anno ho maturato la decisione di chiedere la cosiddetta "riduzione allo stato laicale".
A servizio della Parola, in comunità e in uno stile di povertàUscendo dalla Compagnia di Gesù, non avevo ancora chiaro ciò che avrei fatto nella vita, salvo tre cose: la prima era che intendevo restare a servizio della Parola, la seconda era vivere in uno stile di povertà e la terza continuare a vivere in comunità.
Incontri importantiIn quegli anni, dal '70 al '78, ho fatto alcuni incontri molto importanti per me. L'incontro con il '68 e la dimensione politicaInnanzi tutto c'è stato l'incontro con il '68, che per me ha avuto un'importanza maggiore dello stesso Concilio Vaticano II, perché gli elementi teologici "conciliari" li avevo già incontrati e in qualche misura assimilati in letture precedenti (dei grandi teologi del Concilio come Rahner, Schillebeeckx, De Lubac, Congar, Daniélou...). L'irruzione del '68, invece, è stata quella che mi ha aperto alla dimensione politica, non solo sul piano di qualche militanza, ma anche e soprattutto come oggetto di riflessione: temi quali politica ed etica, politica e religione, politica e laicità, e altri affini, non mi hanno più abbandonato. L'incontro con la teologia della liberazione: la storicizzazione delle scelte di fedeIl secondo incontro è stato quello con la teologia della liberazione latinoamericana, nata nella seconda metà degli anni 60. Il libro base è stato Teologia della liberazione del peruviano Gustavo Gutierrez. Questo libro, scritto in Perù e uscito in versione italiana nel 1972 (prima ancora dell'edizione spagnola), mi ha aperto gli occhi sulla dimensione biblica dei poveri e del Dio dei poveri. Questa chiarificazione è stata quasi simultanea alle riflessioni consegnate al libretto sulla povertà. Si è trattato di un rileggere la Bibbia a partire dall'Esodo - il Dio liberatore - fino a Gesù, il Messia, che prende posizione, di vedere quindi la storicizzazione delle scelte di fede, di comprendere che fede e amore non devono restare dimensioni che collegano a Dio in un'esperienza spirituale-mistica, ma devono incarnarsi nella storia, e incarnarsi con una scelta precisa, quella dei poveri. Certo, Dio non ama solo i poveri, ama anche i ricchi; nei ricchi però ama il povero che è in loro. Cioè la fragilità, la debolezza, la caducità, per cui basta un soffio per porre fine a potere, ricchezza, ecc. (io amo chiamarla la povertà ontologica).
L'incontro con il protestantesimoCerti avvenimenti mi hanno anche portato ad un incontro con il protestantesimo. Prima attraverso le letture per preparare il corso di antropologia teologica per la Facoltà di Napoli (Lutero e il carattere fondante della fede), poi anche attraverso un giro di amicizie, a Milano, che è rimasto importante, perché, riflettendo, in quegli anni, anche sulle mie scelte di vita, ero giunto ad un punto in cui dovevo "decidermi a decidere", se restare gesuita o se prendere il volo... E' stata la lettura di un teologo e storico valdese su Gioventù evangelica (la rivista dei giovani valdesi), che parlava di laici che fanno teologia, a farmi scoprire che quello era il mio posto. Ho avuto anche la tentazione di passare alla Chiesa valdese, poi invece sono rimasto nella Chiesa cattolica: sono scelte che uno non riesce mai a motivare sino in fondo... Da allora dico che sono un cattolico, ma sono un teologo cristiano, e da almeno una quindicina d'anni aggiungo: sono un teologo ebraico-cristiano, nel senso che il lavoro più continuativo che ho fatto negli ultimi vent'anni è stato sull'Antico Testamento. La ripresa del tema dell'ermeneuticaInsieme al 68, alla teologia della liberazione e alla tradizione protestante è stato per me fondamentale la ripresa del tema dell'ermeneutica. I tre momenti dell'ermeneuticaGià dal '69, degli amici che lavoravano nella direzione di "Servizio della Parola", la rivista per la predicazione domenicale, mi chiesero di fare una piccola serie di articoli sull'arco ermenuetico. Ho articolato questo arco in tre momenti: l'esegesi, l'attualizzazione e l'applicazione. Esegesi vuol dire leggere il testo dentro il suo contesto, attualizzazione vuol dire ripensarlo dentro il nostro contesto, applicazione - dimensione più pastorale - significa adattare il mio modo di esprimermi alle persone a cui mi rivolgo (può essere il pubblico vario della messa domenicale, o quello dei bambini o quello di un gruppo già caratterizzato). L'adattamento non cambia né il momento esegetico, né il momento di ripensamento nell'oggi, ma li applica al pubblico presente, in modo che, come diceva Bultmann, la Parola di Dio parli ad ognuno (a me, e a queste persone che ho davanti) in prima persona. La rivista è andata avanti per diversi anni mantenendo questo schema, cioè facendo intervenire, per ogni trittico di letture della Messa che doveva essere commentata, prima un esegeta, poi un teologo che cercava di attualizzare, poi un pastoralista, un parroco, ecc., che faceva l'applicazione. La storia dell'interpretazione a partire da BultmannMi venne poi chiesto di scrivere, per un libro di introduzione alla Bibbia - I libri di Dio. Introduzione generale alla sacra scrittura, curato da Martini e Pacomio (Marietti 1975) - un articolo sulla storia dell'interpretazione della Bibbia a partire da Bultmann fino alla prima metà degli anni 70, e di sviluppare anche quello che io ritenevo, e continuo a ritenere, la pura teoria ermeneutica. Cioè, fondamentalmente, una lettura critica, in cui ci sia la libertà del lettore, ma al servizio della fedeltà: da un lato evitare il letteralismo, perché la lettera spesso riguarda non il nucleo del messaggio ma il suo rivestimento, dall'altro non considerare il testo come un pre-testo. Chiedersi invece che cosa dice effettivamente il testo passando attraverso l'esegesi, cioè la contestualizzazione; poi ri-pensare quello che ho capito attraverso l'esegeta, e quindi trasmetterlo facendo attenzione all'uditore che ho davanti. La tesi in filosofia su BultmannNella seconda metà degli anni 70, ho ripreso in mano Bultmann perché alcuni amici mi hanno convinto, quasi forzato, a laurearmi in filosofia, nell'illusoria certezza che potessi avere accesso all'insegnamento presso l'università di Stato. Ho quindi fatto la tesi di nuovo su Bultmann, di cui stavo traducendo Credere e comprendere (tra parentesi, credo di avere tradotto almeno i due terzi di quello che circola di Bultmann in italiano). Questa volta, mi sono messo interamente dalla parte di Bultmann, difendendolo dalle denunce che gli venivano fatte dai teologi politici, e anche da alcuni teologi della liberazione, che lo vedevano come un intimista. Io ho cercato di far vedere che Bultmann non aveva sviluppato la dimensione politica della Parola di Dio, ma neanche la negava. E anzi la sua adesione di fede e di carità, la sua visione del soggetto credente, era ben espressa nella frase: "La fede cristiana è il coraggio e la forza del credente di assumersi nella solitudine della decisione la responsabilità del suo agire". Coniugare Bultmann con i teologi della liberazionePer questi motivi sono tornato su Bultmann, e da allora dico che cerco di fare teologia coniugando Bultmann (la serietà dell'interpretazione della Parola di Dio che parla a te e di te) con la teologia della liberazione. E' vero che non bisogna fermarsi a Bultmann, ma spingersi avanti ed esplicitare anche le dimensioni politiche, di liberazione storica, di quella visione "in fede e amore". Quindi coniugare Bultmann con i teologi della liberazione. Essere cercatori del sensoNell'ultimo anno passato a Milano, con Mario Cuminetti e qualcun altro, avevamo organizzato una scuola di teologia per le comunità di base. Infatti il mio ambiente allora era prevalentemente quello delle comunità di base, dei preti operai, dei cristiani per il socialismo (avendo letto le cose che scrivevo, erano loro che mi chiamavano più facilmente a parlare), pur non avendo mai fatto parte organica di nessuno di questi gruppi, perché avevo l'impressione che troppo forte (benché non certo esclusiva) vi fosse la dimensione del dissenso. Io invece avevo fatto mia un'espressione di don Abramo Levi, che una volta nella redazione di Servitium, rivista di spiritualità, aveva detto: "Noi non dobbiamo né andar dietro al consenso (seguire tutto quel che dice la gerarchia, l'autorità, ecc.), né rincorrere il dissenso. Dobbiamo essere cercatori del senso". Per questo mi sono limitato ad essere un simpatetico fiancheggiatore di questi movimenti di base. La crisi della teoria marxista come visione totalizzanteAll'interno di questa scuola di teologia, già alla fine degli anni '70, con 10-12 anni di anticipo sul crollo del muro di Berlino, si cominciò a studiare il problema della crisi (peraltro avvertita anche all'interno del PCI), della visione totalizzante della teoria marxista. Si diceva che non era più possibile seguire quella visione totalizzante, che rischiava di diventare una specie di religione, di messianesimo. E molti, soprattutto nelle comunità di base, entrarono in crisi, proprio perché avevano sposato il marxismo per la sua visione utopica, compresa la sua dimensione totalizzante, con l'impegno a realizzare la società comunista, dove ognuno darà agli altri secondo le proprie capacità e riceverà dagli altri secondo i propri bisogni. E il metodo per arrivare a costruire questa bellissima società perfetta era fare la rivoluzione, in quanto si riteneva che, capovolgendo il sistema economico che è alla base, tutto il resto, che è sovrastruttura, sarebbe crollato, e ne sarebbe nato l'uomo nuovo.
Il messianismo nella Bibbia e nella vita quotidianaCosì ho cominciato a riflettere su queste domande e a studiare il messianismo nella bibbia, anche dietro la spinta di un amico francese, esegeta finissimo, che mi fece notare che nella bibbia i primi accenni al messianismo futuro, utopico, riguardano la terra promessa e come vivere giorno dopo giorno sulla terra promessa, come realizzare quello che lui chiamava l'exode sur place, l'esodo sul posto, l'esodo da rinnovare ogni giorno. Poi ho letto che anche altri esegeti dicevano che Israele doveva passare ogni giorno il fiume Giordano. Era una bellissima metafora per dire "rientrare ogni giorno nella terra promessa e farla vivere secondo la sua destinazione". Non è una grande terra neanche oggi, è piuttosto povera, però diventa una terra ricca di frutti se si vivono e si raccolgono attraverso il principio della condivisione. Allora, proprio nel periodo del passaggio da Milano a Fiesole, scrissi: Messianismo nella vita quotidiana, cioè l'esodo sul posto. Ognuno è, in prima persona, quello che Marx pensava fosse la classe operaia intesa miticamente. Questo non vuol dire che non ci si debba organizzare per migliorare la società, ecc. , ma il seme dell'utopia non può essere un movimento globale che sistemi le cose una volta per tutte. Non ci sarà mai nessuna società dove spunterà irreversibilmente l'uomo giusto, pacifico, solidale. Questo sarà il lavoro da fare giorno dopo giorno, prima su di sé e poi nella sua applicazione storica. Quindi messianismo, o utopia se volete, nella vita quotidiana. Questa è un'idea che da allora in poi mi ha sempre accompagnato. Da Milano a FiesoleIl trasferimento da Milano a Fiesole è avvenuto a seguito dell'invito da parte di padre Turoldo e padre Vannucci, dei Servi di Maria, di andare a vivere in una casa che avevano avuto in donazione, con la clausola testamentaria di utilizzarla non per scopi di lucro, ma per farne luogo di incontri di carattere culturale, di formazione, di accoglienza e di ospitalità. Posta in cima alla collina più alta di Fiesole, è, per me, "il posto più bello del mondo", con un panorama a 360 gradi, comprendente, da un lato, in basso, Firenze e dall'altro lato tutta la valle del Mugnone fino al monte Senario; nella casa è incorporata una piccola pieve del 1300, dedicata a Sant'Apollinare, il tutto molto ben ristrutturato dai precedenti proprietari intorno agli anni '30.
Il viaggio in Perù e la scoperta della povertà estremaIn quegli anni ho fatto un'altra esperienza molto importante. Nell''83 una comunità di religiosi (una congregazione di origine francese, ma ormai in prevalenza bergamasca), che aveva fondato una missione in Perù, mi chiamò a tenere una serie di lezioni e a parlare nelle parrocchie. Questo viaggio in Perù è stato per me la scoperta concreta della povertà, cioè dei poveri. A distanza di 25 anni, posso veramente dire che è stato un avvenimento che mi ha segnato come nessun altro.
La teologia della liberazione e l'Esodo (il grido dei poveri e l'iniziativa di Dio)Allora ho capito qual era l'ambiente vitale dentro cui è nata e cresciuta la teologia della liberazione (a Lima, nei luoghi dove Gutierrez viveva). Questa mi ha ulteriormente spinto alla lettura della Parola di Dio, dove, attraverso una varietà di testi e di generi letterari, si presenta, distesa su secoli e secoli, la storia dei poveri e del Dio con loro. Alla fine del secondo capitolo dell'Esodo, si legge che gli Ebrei, stranieri e schiavi in Egitto, "gridarono". Non innalzano preghiere, è impossibile per loro pregare, perché si sono dimenticati il loro Dio, e non possono certo pregare gli dei egiziani. Quindi "lanciano un grido". Alcune sere fa, a Mantova, commentando questo passaggio, ho mostrato l'immagine di Il grido di Munch, in cui "si vede" questa voce che squarcia i cieli e non trova risposta. Ma nel testo biblico si dice che questo grido arriva all'orecchio di Dio, e Dio si ricorda dell'alleanza fatta con Abramo e Giacobbe, e si prende cura degli ebrei stranieri e schiavi, di costoro che sono dei nulla. E' l'iniziativa della gratuità divina. Dio dalla parte dei poveri. Il MagnificatNietzsche presenta questa dimensione come uno scandalo, affermando che gli Ebrei, essendo incapaci di qualunque cosa, si sono inventati un Dio che sta dalla parte degli incapaci, dei meschini, dei gregari, mentre, a suo avviso, il divino si manifesta nei nobili, negli aristocratici, nei valorosi, nei potenti, in quelli che producono la storia. Il nazismo ha preso questi suoi testi per farne una specie di fondamento filosofico.
La "scoperta dell'America": una realtà in chiaro-scuroSono tornato in Perù nel 1988, questa volta per studiare la dimensione culturale. Ci si avvicinava al 1992, quinto centenario della "scoperta dell'America", ed io facevo parte di un gruppo anti-celebrativo, contrario al trionfalismo dei "portatori di civiltà". Mi sono sentito in dovere di mettermi a studiare la questione, e in quei tre mesi in Perù sono riuscito a raccogliere un'ampia bibliografia, di circa 90 libri, scoprendo che, come spesso succede, prevalgono gli opposti estremismi, la "leggenda rosa" e la "leggenda nera": per alcuni c'è solo la grande celebrazione della civiltà, per altri solo la dimensione dell'eccidio. E mi sono accorto che le cose sono in chiaro-scuro, che c'è il bene e il male, che ci sono delle pagine straordinarie dei missionari francescani, domenicani, gesuiti, ma anche delle pagine nerissime... Le attività del Centro Sant'ApollinareIl corso di "teologia alternativa"Negli stessi anni ho attivato per la prima volta a Fiesole il corso di teologia alternativa di cui vi dicevo, che aveva come scopo quello di provare a riscrivere addirittura i trattati teologici: il Dio uno e trino, la cristologia, la grazia, la chiesa, i sacramenti e i cosiddetti novissimi, cioè l'escatologia; riscriverli a partire dalla Bibbia, dal principio dell'alterità del Dio biblico rispetto al creato, e dell'alterità di quell'amore con cui Dio ci ha amato e ci chiede di amare, che è l'amore etico, l'amore comandato. Il corso si è svolto il primo anno a Fiesole (nove fine-settimana, da ottobre a giugno) e l'anno dopo a Mantova. L'ho rifatto a Fiesole nell'ultimo anno della nostra presenza lì (mia, di mia moglie e anche di mia figlia fino a 6 anni fa), come coronamento della nostra attività in quel centro. Dio in cerca dell'uomo e l'uomo in cerca del fratelloIn questo corso sviluppavo in forma sistematica l'idea che già avevo esposto pochi anni prima in una riflessione sulla spiritualità (e che venne pubblicata nel 1987 con il titolo: Dio in cerca dell'uomo. Rifare la spiritualità). L'asse della spiritualità biblica non è la ricerca umana di Dio in base al nostro "desiderio di infinito", né da parte di Dio la ricerca della sua gloria in creature che sono il riflesso della sua bellezza; è invece quell'amore con cui ci ama proprio per la nostra debolezza, per il nostro nulla, e con cui chiama ognuno di noi ad amare l'altro da sé. Non la partecipazione dell'essere ma la partecipazione della gratuità: con la fede che la accoglie e la carità che la pratica.
La Scuola della Pace - la pubblicazione dei "Quaderni di Sant'Apollinare"A Fiesole, per quattro anni (1994-1998) abbiamo attivato anche una scuola della pace. Mi avevano chiamato a Boves (CN), dove era operante una famosa scuola della pace, e questo mi ha ispirato a proporla anche a Fiesole, affrontando temi come violenza e pace nelle religioni e nella storia dell'occidente, e studiando figure e movimenti alternativi. Gli incontri sono stati poi fissati in diciotto Quaderni, con le relazioni dei vari interventi. Per quanto riguarda la Bibbia, fu Giuseppe Barbaglio a parlarci del "Dio bifronte", dove tratti di violenza attraversano la figura fondamentale del Dio di amore e di misericordia. Ho poi ripreso questo tema in una meditazione finale, dove sintetizzavo la prospettiva dei due Testamenti come segue: la giustizia genera la pace (intesa come shalom: pienezza di vita) (Antico), la pace (del cuore, cioè il perdono e la riconciliazione) genera la giustizia (Nuovo).
Le letture biblichePer 25 anni abbiamo fatto anche delle letture bibliche, nel senso più capillare del termine. Abbiamo cominciato con Giovanni, alternando poi, ogni anno o ogni due anni, un testo dell'Antico e un testo del Nuovo Testamento. Per tre volte abbiamo scelto dei temi, per esempio il linguaggio simbolico per parlare di Dio (cioè soprattutto gli antropomorfismi: cosa vuol dire quando Dio "vede", Dio "sente", Dio "parla", cosa vuol dire "la mano" o "il braccio di Dio", ma anche, relativamente al linguaggio psicologico, che cosa vuol dire "l'amore di Dio", la sua "fedeltà", il suo "amore uterino", l'amore giurato, la sua gelosia, la sua collera). Un anno abbiamo studiato le parabole di Gesù, e negli ultimi due anni ci siamo dedicati allo studio sul cuore, nell'accezione biblica di cui dicevo sopra. L'insegnamento alla Facoltà teologica di FirenzePer 5 o 6 anni ho insegnato alla facoltà teologica di Firenze, una volta facendo il corso di antropologia per tappare un buco, e altri 5 o 6 anni con il biblista nei corsi per la licenza in teologia: il collega biblista svolgeva la parte esegetica, ed io, passando naturalmente attraverso il suo lavoro esegetico, riprendevo i vari temi, pensando "dentro" la Bibbia. Il saluto a Fiesole e al Centro Sant'ApollinareA questo punto chiuderei con un breve accenno alla lettera che ho mandato agli amici, come saluto alla casa di Fiesole che vi ho tanto decantato (che è stata venduta in cambio dei lavori di ristrutturazione della Casa Emmaus costruita da p. Turoldo a Sotto il Monte negli anni '60).
"Alla grazia si dice grazie"In quel profilo delle attività del Centro, dicevo che questa casa, con la chiesetta dedicata a Sant'Apollinare, è stata una grazia. Grazia innanzitutto nel senso originario del termine, cioè un atto di gratuità, di donazione, e poi grazia anche nel senso di bellezza, poiché è un luogo incantevole. Perciò non ho voluto che quella del dolore per la partenza fosse la mia (la nostra, con mia moglie Alberta) parola più profonda, che invece può essere solo di ringraziamento: alla grazia si dice grazie. Come a ribadire tutti i canti, i salmi in particolare (salmi di lode, di azione di grazie), che in questi quasi trent'anni sono riecheggiati tra le mura del Centro Sant'Apollinare. Gratuità e circolazione dei beniMa non basta. La gratuità del dono ricevuto è stata anche il principio della nostra gestione del Centro: abbiamo dato gratuitamente sia il mio lavoro intellettuale sia il lavoro logistico-gastronomico di Alberta e Benedetta. Non abbiamo mai chiesto niente, se non la rifusione delle spese vive. Lavoravamo quindi sempre gratuitamente; suggerendo agli amici che venivano di lasciare liberamente qualcosa in più per poter pagare i relatori e, dal 1983, per istituire una cassa "amici del Perù" con cui aiutare i religiosi presso i quali avevo lavorato, e negli ultimi anni, un'associazione interparrocchiale sulle alte Ande per un consultorio psicologico (perché si sta diffondendo anche da loro, non solo nel mondo ricco, il fenomeno del suicidio di giovani). Accoglienza e messianismo nella vita quotidianaMolte persone sono venute a stare con noi, alcune per poco tempo, qualcuno per qualche mese, qualcuno anche per anni. Più a lungo di tutti è rimasto un senegalese, per più di sei anni. Ricordo una notte di Natale (24 dicembre), in cui abbiamo riunito gli amici che erano passati da noi (almeno quelli che erano ancora vicini a Firenze): erano rappresentati quattro continenti (non c'era ancora l'australiano, che è venuto dopo!). C'erano cristiani (cattolici, protestanti, anche un ortodosso), un ebreo israeliano, grandissimo amico, un musulmano credente, marocchino, e poi una famiglia di bosniaci, musulmani etnicamente, in realtà atei, scappati dalla loro terra negli anni 90. Sant'Apollinare è stato il tentativo di realizzare, in nuce, quella circolazione dei beni che avevo chiamato il messianismo nella vita quotidiana. Il bene di una casa in cui alloggiare e trovare un po' di pane, per chi ne aveva bisogno; e il bene di quell'altro pane che è la Parola di Dio e il lavoro di scavo dentro di essa. ("Anche la teoria è pane": era questo il titolo che avevo dato ad alcune paginette di una specie di autobiografia intellettuale, inserita in una raccolta di dieci teologi italiani pubblicata da Marietti negli anni '80). La teologia alimenta la vita, la vita alimenta la teologiaE in questa circolazione di gratuità, in questo luogo dove ho visto che poteva essere tentata la realizzazione del messianismo nella vita quotidiana, al tempo stesso abbiamo avuto anche l'opportunità di imparare dalle persone ospitate. Quindi la teologia che alimenta la vita e la vita che alimenta la teologia.
(Il testo delle relazioni, tenute a Pallanza il giorno 9 febbraio 2008 da Armido Rizzi, non è stato revisionato dal relatore) |