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Desiderio e rivoluzione bioetica (ingegneria genetica, fecondazione assistita, clonazione...)

sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 11 marzo 2000

Mentre il precedente incontro affrontava temi di etica generale, indagando su un corretto rapporto tra desiderio e obbligazione, la riflessione del presente incontro si riferisce a una problematica più specifica, quella della rivoluzione bioetica, in riferimento al tema generale del desiderio. Dietro le problematiche bioetiche affiorano modalità espressive del desiderio.
Nell'affrontare questa tematica occorre superare un approccio puramente normativo, imperante oggi nell'etica sia cattolica che laica (questo si può fare, questo no, e così via...) e cercare di inquadrare le tematiche bioetiche in riferimento alle grandi categorie del senso dell'esistere (vita e morte, natura e cultura, corporeità...). I temi connessi con la bioetica hanno a che fare con la manipolazione della vita umana in tutti i suoi aspetti e momenti. Quale significato hanno questi interventi, queste manipolazioni in relazione alla vita complessiva dell'uomo?
In questa prospettiva di ricerca del senso è necessario tener presenti alcuni dati:

  1. il venir meno, grazie anche alla bioetica, della distinzione tra etica pubblica e etica privata. I problemi della bioetica, infatti, sono problemi sia di etica privata (toccano più direttamente alcuni soggetti che si sottopongono ai processi manipolativi) sia di etica pubblica (i processi avviati hanno ricadute sociali di fortissima incidenza);
  2. occorre poi essere attenti agli orientamenti complessivi della ricerca in campo scientifico-tecnologico, al fatto cioè che la ricerca riceve spinte, dal potere politico, economico e ideologico, che la muovono in certe direzioni piuttosto che in altre. Così la tradizionale distinzione tra una scienza neutra e disinteressata e una tecnologia da valutare invece eticamente è venuta meno. È vero che esistono spinte che vengono dal basso, come la richiesta diffusa ad avere il figlio proprio. Ma questa stessa richiesta è fortemente sollecitata dai mass-media, a loro volta in sintonia con i principali interessi economici, politici e ideologici di alcuni gruppi.

analisi della situazione attuale

Sotto quali figure si presenta oggi la dinamica del desiderio nel campo bioetico?

identificazione tra desiderio e diritto incondizionato
Nel campo della procreazione assistita c'è la tendenza a identificare il desiderio di un figlio proprio con un diritto assoluto e incondizionato, ma non senza contraddizioni.
Ad esempio, in Italia, per un verso c'è una forte riduzione della natalità, per svariati e complessi motivi, c'è cioè una tendenza "contro la vita" e per un altro verso c'è l'esasperazione del desiderio al figlio proprio ad ogni costo.
O ancora c'è da un lato una giusta tendenza ad un concetto allargato di fecondità, non limitato alla fecondità biologica, dall'altro lato c'è una spinta ad una concezione solo biologica della fecondità, con l'alimentazione del desiderio al figlio biologicamente proprio, mascherando a volte, come in certe forme di fecondazione assistita eterologa, che sia proprio.
L'attuale tendenza è di dare soddisfazione al desiderio, ritenendolo un diritto acquisito, che va a tutti i costi perseguito.

identificazione del desiderio con l'onnipotenza
Il desiderio viene identificato con il non riconoscimento del limite. La corsa alle manipolazioni genetiche, in campo vegetale, animale e umano, ha operato un vero e proprio salto qualitativo nel processo di ominizzazione. L'uomo che riteneva di essere divenuto, grazie alla scienza e alla tecnica, padrone del mondo, ora (si pensi alle possibilità offerte dalla clonazione) diventa dominatore di se stesso, autocreatore di sé. La tendenza attuale è in questa direzione e provoca una forte difficoltà a fissare il limite tra possibilità enormi che si aprono (si pensi alle possibilità di sconfiggere molte malattie con manipolazioni genetiche molecolari) e i rischi sempre più evidenti (clonazione umana, riduzione della biodiversità in campo vegetale, animale e umano) che impongono di non superare certi confini.
Le diverse posizioni esistenti su questo problema, da quelle più rigide a quelle più aperte, non nascono solo dalla conoscenza dei problemi in gioco, ma da precomprensioni di tipo ideologico, che possono orientare più negativamente o più positivamente l'atteggiamento nei confronti della ricerca scientifico-tecnologica.

desiderio come sfida del rischio
E' il desiderio che diventa temerarietà, è la volontà di dimostrare che oggi si riescono a fare cose impensabili fino a poco tempo fa.
Il rischio oggi ha esteso i propri confini. Anche nel passato, nella varie forme di sperimentazione attuate, esisteva una certa parte di rischio. Oggi però il rischio è venuto moltiplicandosi, sia quantitativamente che qualitativamente, soprattutto perché le manipolazioni messe in atto si intersecano sempre più con un sistema già fortemente manipolato. Mentre è possibile fare previsioni sui risultati immediati che quel processo manipolativo avrà, è impossibile calcolare con una certa precisione gli effetti a lunga scadenza, proprio per l'intreccio che avrà con altri processi manipolativi preesistenti.
Il sistema dentro il quale siamo e che noi abbiamo creato diventa sempre più incontrollabile e sempre meno dominabile.
Queste considerazioni dovrebbero condurre ad un atteggiamento di maggiore responsabilità, nei fatti però possono provocare una sfida, molto adolescenziale, del rischio. Per l'adolescente il rischio, più che costituire un invito alla prudenza, alimenta la sfida.

prospettive di elaborazione positiva del desiderio

Saranno delineate alcune prospettive positive di elaborazione del desiderio riprendendo, in modo più allargato, il discorso sulle figure fatto precedentemente.

distinguere desiderio e diritto
E' necessario distinguere il livello del desiderio da quello del diritto, ma non solo a proposito di desideri vani, come li definiva Epicuro, alienanti, non umanizzanti, ma anche a proposito di desideri legittimi. Anche i desideri legittimi, come quello di procreare, non possono essere identificati con diritti assoluti e incondizionati. Bisogna distinguere tra bisogno, desiderio e aspirazione.
Mentre il bisogno è perfettamente oggettivabile, circoscrivibile, definibile, e pertanto ad ogni bisogno legittimo corrisponde un diritto, il desiderio è un campo sconfinato, aperto, mai totalmente oggettivabile e quindi non riducibile al diritto, dato che non esiste la possibilità di una definizione del desiderio in termini precisi, propria del diritto.
In vista di una elaborazione positiva del desiderio, non identificandolo con un diritto assoluto, occorre anche tener presente che non si può pregiudizialmente rifiutare la bontà dell'utilizzo delle tecniche di procreazione assistita, come aiuto ad un legittimo desiderio umano che altrimenti non può essere soddisfatto (il giudizio morale deve essere dato di volta in volta nell'ottica finalistica, soppesando le ricadute positive e negative). Occorre cioè trovare un equilibrio tra legittimità del ricorso a queste tecniche e non esasperazione in termini assoluti del ricorso.
In termini più positivi significa andare oltre un concetto solo biologico di fecondità (presente nella casistica morale cattolica del passato) per cui essere fecondi significa fare il figlio proprio, verso un concetto di fecondità come apertura agli altri. Alla radice della fecondità nel rapporto di amore di coppia c'è la spinta ad andare oltre, ad espandersi, alla comunicazione. "Amor est sui diffusivum" (Tommaso d'Aquino).
Allora la fecondità, se connessa strettamente all'amore di coppia, ha un'area molto ampia di possibilità espressive, che vanno dalla procreazione a varie forme di presenza della coppia nella società civile e nella comunità ecclesiale (dall'impegno sociale in senso allargato, a quello sindacale, a quello di quartiere, a quello nei confronti delle categorie marginali, a quelli più specifici legati all'esercizio della paternità e maternità, come l'adozione e l'affidamento).
Lo stesso significato della fecondità biologica trova piena possibilità di essere recepito se è inserito in un concetto più ampio di fecondità.
Nella prospettiva cristiana si aggiunge un altro elemento che impedisce l'identificazione tra desiderio e diritto al figlio proprio. Il figlio non può essere rivendicato come diritto perché è dono. E il dono chiama alla responsabilità, a creare le condizioni perché il dono possa essere fatto e elargito (l'ottica cristiana è sempre relazionale: il dono di Dio offerto chiama l'uomo all'accoglienza libera).
Il concetto del figlio come dono e non come diritto assoluto è condizione per favorire un processo di educazione che non sia proiezione di sé. Alla concezione del figlio come diritto subentra sul piano educativo l'atteggiamento di possesso esclusivo, totalizzante, di proiezione di sé sul figlio.
Educare è tirar fuori, creare le condizioni perché l'altro sia veramente se stesso, non un replicante del genitore o dell'educatore.

integrare correttamente possibilità e limite
Tendenzialmente siamo portati a opporre possibilità e limite, a vedere il limite come negazione automatica della possibilità. Invece l'autentica acquisizione del proprio limite, né sminuendolo né maggiorandolo, è la condizione per l'esercizio corretto delle proprie possibilità. Proprio chi non fa correttamente i conti con le proprie reali possibilità inevitabilmente va incontro a paralisi o a frustrazioni.
L'esigenza di una corretta integrazione di possibilità e limite nella bioetica viene espressa oggi sia da parte cattolica che laica nel principio che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è sempre umanizzante e quindi eticamente lecito. E' difficile però l'applicazione del principio soprattutto nella prospettiva teleologica, finalistica che ricerca il rapporto che esiste tra fini perseguiti e conseguenze negative indotte dai mezzi utilizzati per perseguire quei fini. Ma la difficoltà di verifica non implica che non si debba fare i conti con il limite.
In una prospettiva cristiana la presa di coscienza del limite si fonda sulla dimensione di creaturalità propria dell'uomo. La creaturalità è dipendenza, limite, distanza radicale tra finito e infinito, è caducità, precarietà, essere per la morte (Heidegger). Proprio la tendenza a rimuovere il rapporto con la morte caratteristico della nostra società e cultura rende incapaci di accettare il limite.
Allora l'antidoto alla tentazione di onnipotenza assoluta e smisurata - che la cultura della soggettività e le possibilità della ricerca scientifica e tecnologica esasperano - sta nel prendere coscienza della creaturalità o dell'essere per la morte.

criteri per un'etica del rischio
E' necessario elaborare criteri per un'etica del rischio, rischio legato alle difficoltà previsionali. Si è allargato lo spazio del rischio non prevedibile e pertanto nel calcolo degli effetti positivi e negativi si allarga, tra gli effetti negativi, la zona d'ombra del rischio non prevedibile.
Il principio di fondo è quello dell'etica della responsabilità, che chiama in causa il soggetto, la sua libertà, che lo chiama in causa in rapporto ad un'azione di cui il soggetto deve misurare le conseguenze e che lo chiama in causa nel rapporto che deve instaurare con qualcuno, che non è il semplice individuo ma l'intera umanità. Oggi le manipolazioni possono riguardare la stessa specie umana.
Gli atteggiamenti di fondo da assumere sono sostanzialmente due: la prudenza nel mettere in atto nuovi processi manipolativi e la vigilanza sui processi innescati, dato che all'inizio non posso prevedere tutte le conseguenze.
Regole più specifiche per un'etica del rischio sono:

  1. non innescare mai processi irreversibili, che non si possono più fermare;
  2. sottostare al criterio della giustizia distributiva, per cui le conseguenze positive e negative devono essere equamente distribuite;
  3. valutare le conseguenze in base a una concezione allargata di bene comune, che non è solo il bene della comunità umana esistente, ma che si estende al mondo naturale e che tiene conto anche del bene delle generazioni future.

dibattito

etica privata e etica pubblica: due pesi e due misure.
Nel mondo cattolico c'è stato un uso di due metodologie diverse a seconda che il discorso della vita veniva condotto sul versante dell'etica privata o dell'etica pubblica.
Sul versante dell'etica privata ha prevalso l'impostazione rigorosamente deontologica: certe azioni sono in sé intrinsecamente cattive, contro natura, e pertanto non possono mai essere messe in atto, accada quel che può. Esempio: aborto terapeutico. L'aborto è sempre da evitare, comunque, anche se le conseguenze del non intervento sono la morte della mamma e del nascituro, la morte di due vite anziché di una sola.
Sul versante dell'etica pubblica invece ha prevalso un criterio rigidamente teleologico, finalistico, che ha comportato, forse con troppo lassismo, l'ammissibilità del ricorso alla pena di morte, all'uccisione del tiranno, alla guerra. Anche in questo caso si tratta di sopprimere vite umane, però non si utilizza il criterio deontologico.
Bisogna andare verso un uso corretto del modello teleologico, ma su tutti i fronti.

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