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Ripensare e ridire Dio

sintesi della relazione di Armido Rizzi
Verbania Pallanza, 20 gennaio 1996

cosa vuol dire porsi il problema di ripensare Dio

Il problema del ripensare Dio è serio e presuppone un discorso più complessivo. Perché solo oggi ci si pone questo problema?

anni 40 e 50: non come ripensare ma come trasmettere in forme didatticamente efficaci le verità cristiane.
Anche negli anni 50 ci si chiedeva come parlare di Dio, ma il problema riguardava il trovare le forme retoriche adatte per trasmettere un ben preciso corpus dottrinale. (prima non ci si poneva neppure questo problema: supplet ecclesia. Si trasmettevano formule con la convinzione che portassero con sé un significato, coglibile con la memorizzazione ). La convinzione soggiacente era che la formulazione della verità non era una formulazione, ma la formulazione. Unico problema riguardava il come trasmettere quella verità definita in formule didatticamente efficaci. La verità formulata in un unico modo nel corso dei secoli doveva essere diversamente modulata in base alle capacità di apprendimento. Presupposto era l'intangibilità e immutabilità della verità cristiana.
Presupposto di questa concezione era che le idee e le proposizioni sono lo specchio della realtà. C'è la convinzione che la realtà possa essere espressa solo in quel modo, anche se in modo non esaustivo. È vero che la realtà di Dio è misteriosa, ma può essere detta in modo appropriata.
Secondariamente solo la formulazione concettuale rende pienamente ragione della verità cristiana. La verità cristiana nella bibbia è ancora imperfetta perché espressa in forma narrativa e simbolica, non tramite concetti.
La bibbia serviva inizialmente come itinerario verso il dogma e poi come fonte di testi per giustificare il dogma.

la svolta ermeneutica del Novecento
La svolta ermeneutica può essere ricondotta a tre capitoli.
Anzitutto le nostre idee sono prospettive di soggetti concreti sulla realtà. Non sono specchi sulla realtà ma prospettive di soggetti sulla realtà.
La verità è la realtà colta secondo una certa prospettiva. Questo vale per qualunque realtà, anche per quella di Dio. È la consapevolezza che le nostre conoscenze portano il peso di tutto quello che ognuno di noi è, senza negare che siano conoscenze della realtà. La nostra prospettiva sulla realtà è sempre individuale (non siamo fatti in serie) e con tratti comuni.
La svolta ermeneutica è la presa di coscienza del carattere insieme soggettivo e oggettivo dell'esperienza di realtà.
C'è inoltre, sul piano teologico, la consapevolezza che le formulazioni dottrinali del cristianesimo sono state delle interpretazioni del linguaggio religioso originario, quello biblico. La conseguenza è che occorre continuamente ritornare alla bibbia, interrogare la bibbia (la bibbia non più semplice strumento per dimostrare la verità dei dogmi).
Infine, poiché la bibbia è parola di Dio in parola di uomini, occorre leggere la parola di Dio dentro la parola umana, i significati divini dentro i significati umani, cioè occorre interpretare. E poiché non è possibile separare una volta per tutte la parola di Dio dalla parola umana, quasi fosse un rivestimento esterno, è sempre necessario interpretare. La parola di Dio è necessariamente dentro le parole degli uomini. Dio si è rivelato all'interno di esperienze umane, che sono diventate poi racconti, simboli, testi.
In conclusione la svolta ermeneutica significa:

  1. che la verità si dà solo in forma di interpretazione;
  2. che la verità fondamentale che contiene Dio non è il dogma ma il simbolo e il racconto biblico;
  3. che un racconto è la espressione di esperienze solo dentro le quali Dio si è fatto conoscere. Dio si è fatto conoscere non dicendoci chi è, ma operando nella storia e operando in modo tale che chi ha visto quei fatti e li ha letti ha capito che Dio è colui che ha operato.

le varie ermeneutiche
Il primo albeggiare di una svolta ermeneutica è avvenuto in campo teologico (i teologi hanno a che fare coni testi). In seguito ha invaso la coscienza filosofica per rientrare in teologia con Bultmann.
L'ermeneutica esistenziale (Bultmann). Per ripensare e ridire Dio oggi significa partire dall'esperienza biblica come esperienza che anche l'uomo di oggi può fare, però in un contesto diverso. L'uomo della bibbia parla di Dio in modo prescientifico. È necessaria una demitizzazione, cioè cogliere la sostanza religiosa che sta dietro il linguaggio mitico, l'esperienza esistenziale del Dio che parla all'uomo per rivelare all'uomo il senso ultimo del suo esistere e per dirgli che questo senso perduto in Gesù Cristo è ritrovato.
La lettura politica. Bultmann riducendo tutto all'esistenza dell'individuo perde la dimensione politica, la trama delle relazioni tra gli individui. Il disegno di salvezza invece non riguarda tanti singoli individui ma la collettività umana.
La lettura psicoanalitica. Arricchisce la lettura esistenziale con la pregnanza del linguaggio simbolico che ha una propria specificità.
La lettura femminista, cerca di andare oltre il linguaggio, e la sua interpretazione, tutto al maschile della bibbia.
La teologia della liberazione. Afferma che la lettura politica è insufficiente. Il luogo originario della rivelazione di Dio nella storia è il povero.
Queste ermeneutiche bibliche sono prospettive, chiavi di lettura per rileggere la bibbia.

pensare Dio come carità

Compito urgente oggi è riportare il parlare cristiano su Dio all'interno dell'orizzonte di senso che la bibbia ci svela (che il linguaggio cristiano ha in parte perduto), ricuperando il principio di alterità.
Durante gli iniziali studi teologici ho avuto la prima percezione dell'ermeneutica studiando la tesi di teologia secondo la quale il Figlio è il concetto del Padre (generato dal Padre con una generazione mentale, con lo stesso tipo di generazione con cui la nostra mente genera le idee) e portando come prova il termine verbum, logos, nel prologo del IV vangelo. Non ci si rendeva conto della diversità tra la concezione medievale di verbum come concetto, e la concezione giovannea di verbum, come parola, come potenza creatrice. La bibbia non ci insegna che Gesù è il concetto del Padre, il concetto che il Padre ha di sé.
La bibbia ci presenta Dio, attraverso un linguaggio simbolico narrativo, come occhio che veglia sull'uomo, come orecchio che ascolta i gemiti del povero, come bocca che pronuncia parole delle quali l'uomo deve cibarsi, come braccio che interviene a difesa di coloro che non hanno giustizia... Ora noi dobbiamo passare attraverso questi modi di parlare di Dio, questi simboli, per chiederci cosa significano per noi, che cosa Dio ha fatto capire di sé.
Per cogliere come la bibbia ci parla di Dio è necessario riscoprire l'orizzonte della narrazione biblica nel principio di alterità, sostituendolo a quello di identità che ha guidato il pensiero filosofico teologico cristiano.
Il principio di identità è l'esigenza di abbracciare dentro un pensiero tutta la realtà, di ricondurre tutte le realtà (natura, uomo, il divino) ad una unica realtà.
Il mondo greco, superando il pensiero "localistico" precedente, coglie nella categoria dell'essere la chiave unica per pensare tutta la realtà. All'interno del campo dell'essere sta tutto: la natura, gli umani e anche il divino (limite: ritenere il linguaggio, le proposizioni mentali e verbali specchio della realtà).
Per il cristianesimo non era facile pensare in questi termini, dato che c'era viva la dimensione del Dio trascendente, della alterità, della differenza essenziale tra Dio e il mondo. Quando il cristianesimo vuole tradursi concettualmente nella cultura ellenistica dominante, anche la fede cristiana viene pensata in termini di essere (natura, essenza, persona, relazione, causalità). Anche il Dio della rivelazione viene pensato come "essere perfettissimo" (catechismo). Questo è pensare Dio secondo il principio di identità. E penso che oggi la teologia non riesca a superare la difficoltà di pensare Dio come essere perfettissimo, da cui tutto deriva e a cui tutto torna, quasi che sia impossibile pensare Dio come soggetto, che ha rivelato se stesso nel racconto di Israele e di Gesù.
Non esiste solo il pensare greco. Nel linguaggio biblico ci sono le premesse di un pensare diverso.
Come Dio si rivela nel racconto dell'evento fondante di Israele, l'Esodo? Nella modalità del principio di alterità, nel senso che:

  • in negativo, Dio è altro dal mondo e dall'uomo. Non c'è nessuna categoria capace di abbracciarli insieme. Dio è diverso da tutto ciò che è punto di partenza umano, non è organico a coloro ai quali si manifesta. Gli ebrei, secondo Esodo 2,23-25, gridano. Non possono gridare a Dio, dato che ne sono privi: sono un non popolo, senza terra, senza identità e senza Dio. E Dio raccoglie quel grido: è Dio che ascolta e che si ricorda.Dio è altro vuol dire che non è il Dio degli ebrei per definizione. È un Dio trascendente, nel senso che ha una sua autonoma identità, che non ha bisogno di un pezzo di terra, di un popolo in cui specchiarsi per definirsi.
  • in positivo, Dio ascolta il grido di Israele. Proprio questo Dio altro si china su costoro che sono un "non popolo". Dio diventa il Dio di Israele per un atto di totale gratuità, senza un perché. È ciò che noi chiamiamo "carità". È un Dio che ascolta i gemiti di chi è nessuno per pura gratuità. È l'amore dell'altro in quanto altro, non amore dell'altro perché nell'altro ritrovo me stesso, una parte di me.

Quando noi pensiamo alle nostre relazioni di amore finiamo sempre per dire che deve esserci una qualche affinità tra i due,e questa visione la riproduciamo sul piano religioso affermando che Dio ci ama perché siamo a sua immagine e somiglianza. Siccome noi possiamo amare solo quello che ci è affine, allora pensiamo che anche Dio sia così.
La bibbia parla di un altro Dio. Il principio delle relazioni è l'amare anche colui con il quale non ho nulla a che vedere, solo perché ha bisogno di me.
Il carattere originario del Dio della bibbia consiste nel fatto di amare gli stranieri, coloro che sono al di là dello spazio dentro il quale noi riconosciamo i nostri. Israele era straniero in Egitto.
Il grande apporto della bibbia alle culture umane è la nuova esperienza di cosa sia il divino, nel gesto di chinarsi sugli ebrei che gemono. Questa definizione del divino diventa definizione di principio dell'umano: Devi amare lo straniero come ho amato te quando eri straniero in Egitto. Non è la definizione di ciò che è l'uomo per natura, ma per vocazione e destinazione. Dire che l'uomo è per vocazione e destinazione capacità di amare lo straniero, di amare ogni altro in quanto straniero rispetto a sé, è qualcosa che va annunciato e che non è frutto di nessuna analisi. È annunciare il Dio che ha amato un popolo per farne il rappresentante di tutta l'umanità e lo ha amato proprio lì dove questa umanità era perduta e lo ha amato riprendendola con Gesù.
Ripensare Dio non è poi solo fare questo annuncio, ma confrontarlo con gli altri discorsi che circolano sull'uomo e, eventualmente, su Dio.
Dire Dio allora è anzitutto cercare di pensarlo bene ripartendo dai testi fondamentali, (Dio come amore gratuitamente donato, come carità), far rivivere poi l'efficace eloquenza del linguaggio biblico in simboli e racconti, proclamarlo cantando nella liturgia, rendendolo visibile in quella parola prima della parola che è lo stile di vita.

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