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Una lettura "laica" di Gv 4,1-42 (la samaritana)

sintesi della relazione di Rinaldo Fabris
Verbania Pallanza, 10 dicembre 1995

Al capitolo quarto del vangelo di Giovanni è riportato il dialogo di Gesù con una donna di Samaria, (espressione preferibile rispetto a "samaritana"), rappresentante di quel popolo che vive al centro della terra di Israele, identificabile con l'antico regno del Nord o regno di Israele, che, benché politicamente sia finito nel 721, ha continuato a sopravvivere come realtà religiosa.

"1Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni" 2- sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, 3lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4Doveva perciò attraversare la Samaria. 5Giunse pertanto a una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: "Dammi da bere". 8I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9Ma la samaritana gli disse: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi a me da bere, che sono una donna samaritana?". I giudei infatti non mantengono buone relazioni con i samaritani. 10Gesù le rispose: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". 11Gli disse la donna: "Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?". 13Rispose Gesù: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna". 15"Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua". 16Le disse: "Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui". 17Rispose la donna: "Non ho marito". Le disse Gesù: "Hai detto bene «non ho marito»; 18infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". 19Gli replicò la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta. 20I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". 21Gesù le dice: "Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai giudei. 23Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità". 25Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà ci annunzierà ogni cosa". 26Le disse Gesù: "Sono io, che ti parlo".
27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: "Che desideri?" o "Perché parli con lei?". 28La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: 29"Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?". 30Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
31Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". 32Ma egli rispose: "Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". 33E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?". 34Gesù disse loro: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. 37Qui infatti si realizza il detto: Uno semina e uno miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro".
39Molti samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". 40E quando i samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e dicevano alla donna: "Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".

In questo brano, nella parte centrale del dialogo tra Gesù e la donna al pozzo, vicino al villaggio di Sicar, ricorre due volte l'espressione "in spirito e verità". Gesù rimanda alla relazione con Dio, spirito, il Padre: "né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre". "Questo monte" si riferisce al monte Garizim, montagna che insieme al monte Ebal segna il passaggio della strada che oggi sale da Gerusalemme verso Genin, e dove un tempo c'era l'antica strada che conduceva a Damasco. Da una decina d'anni è una zona proibita, altamente pericolosa, per le note vicende dei rapporti tra israeliani e palestinesi. Oggi vi sorge la città palestinese di Nablus, trasformazione di Claudia Neapolis, costruita da Vespasiano e Tito e che prende il posto dell'antica Samaria Sebaste. Non molto lontano c'era Sichem, l'antica città dei patriarchi.
È una zona ricca di ricordi storici. Di Neapolis è nativo Giustino, il grande scrittore filosofo del II secolo, che aprì una scuola a Roma e divenne cristiano. In questi ultimi mesi sono stati portati alla luce, sul monte Garizim, i resti, le fondamenta, del tempio samaritano, sui quali sono state successivamente edificate delle basiliche. È il destino dei luoghi sacri, continuamente rioccupati da popolazioni che si succedono, le quali usano linguaggi e formule diversi ma conservano la medesima aspirazione religiosa.
Il monte Garizim è legato ai samaritani fin dal tempo di Gesù; ancora oggi vi si radunano in occasione della luna piena di marzo/aprile per quaranta giorni e mettono le tende (sono rimasti in trecento, alcuni di Haifa altri di Nablus) per preparare la Pasqua che celebrano la sera con l'agnello. È l'unica comunità rimasta che celebra la pasqua con il rito dell'esodo. Poiché con il 721 a.C. è finita la loro storia, ritengono testo sacro, Bibbia, solo il Pentateuco, la Torah di Mosè, e non invece la restante letteratura biblica dei profeti e dei sapienti.
Queste premesse ci aiutano ad entrare nella lettura del dialogo di Gesù con la donna di Samaria, percorrendo la via, che io considero feconda, dei simboli, su cui incentrerò anche la conclusione, sul passaggio dal sacro all'esperienza religiosa, mantenendo vigile la coscienza laica che ci impedisce di cadere nelle spire pericolose della sacralizzazione.
Il simbolo fa da ponte, mette in relazione il sacro e il laico, e consente di non finire nella desertificazione del laicismo. Preferisco usare "laicizzazione" piuttosto che "secolarizzazione" come contrario di sacralizzazione. Sacro e laico sono due realtà che devono trovare un accordo, darsi una mano, per interpretare il bisogno dell'essere umano di uscire dall'angoscia del limite, senza finire nelle fughe dell'irrazionale.

1. Il simbolo dell'acqua

Il percorso che propongo parte dal primo simbolo, l'acqua, collegato al simbolo del pozzo con le relative suggestioni, che noi oggi abbiamo irrimediabilmente perso, dell'attingere alla sorgente. Al centro del dialogo, in rapporto al pozzo, si usa il simbolo delle relazioni sponsali, collegate a loro volta con la relazione con il santo. Dio è il Santo e perciò adorare Dio in spirito e verità significa decretare la fine delle montagne sacre e dei templi. Il tempio era occupazione ed uso del sacro con funzioni anche politiche e religiose. Quando, ad esempio, Geroboamo vuole staccare le tribù del nord dal regno di Davide, perché non vadano in pellegrinaggio a Gerusalemme e quindi per non pagare le tasse al sud, fa costruire due vitelli d'oro, due tori, uno a Dan, nel nord della Galilea e l'altro a Betel, santuario legato ai patriarchi. Il sacro viene usato in funzione politica.
Gesù imprimerà una svolta con la dichiarazione sugli adoratori "in spirito e verità", facendo appello alla relazione profonda con Dio.
Verso la fine di questo dialogo, quando la donna è assente e Gesù è rimasto solo con i discepoli, compare un altro simbolo, quello del pane. Il simbolo del pane è presente con tutto il processo della sua produzione, dall'aratura, alla semina, alla mietitura, e infine al pane come compimento di un'opera.
Il percorso, che inizia dall'acqua, che prosegue con il pozzo, con le giuste relazioni con Dio, passando per le relazioni umane, termina con la scoperta di Dio salvatore. La proclamazione di Gesù salvatore del mondo è fatta al termine di questo dialogo con la donna di Samaria e con i samaritani, abitanti di Sicar, e può servire come porta di ingresso a tutto questo celebre dialogo che Giovanni ha inserito nel suo vangelo dopo l'incontro con Nicodemo, il rappresentante del mondo dei giudei, (mentre la donna di Samaria rappresenta i samaritani): "Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo»".
"Il salvatore del mondo" (Ó SwtÂr toã kÕsmou), è una formula che richiama le acclamazioni all'imperatore, ad Esculapio, alle divinità guaritrici. L'imperatore è "il salvatore" (Ó Swt¿r), in quanto distribuisce pane, costruisce strade o concede l'esenzione dalle tasse. Così è chiamato, ad esempio, Augusto, come è documentato dalle iscrizioni dell'Asia, ma anche così sono chiamate le divinità guaritrici.
"Salvatore del mondo" è chiamato questo giudeo incontrato in un giorno assolato, in pieno meriggio, dalla donna al pozzo di Sicar e che le fa scoprire la strada dell'incontro con Dio partendo dalla domanda essenziale per l'essere umano, quella di vivere, espressa attraverso il simbolo dell'acqua e della sete.

acqua che disseta

Partiamo da questo primo simbolo, dall'acqua che disseta, che sfocia nella vita piena, che zampilla fino alla vita eterna; dall'acqua scambiata, come parola intessuta nel dialogo. La prima domanda che Gesù, proveniente dalla Giudea, rivolge alla donna che è giunta sola al pozzo, verso mezzogiorno - il che è abbastanza insolito perché l'acqua si attingeva alla sera e non a mezzogiorno - mentre i discepoli sono andati a fare provviste, è: "Dammi da bere".
Gesù è accanto al pozzo ma non può attingere, ha bisogno della mediazione di qualcuno. Inizia così il dialogo con un momento di contrasto che sottolinea l'estraneità, l'ostilità, il conflitto fra i due gruppi etnici e sociali, tra samaritani e giudei.
Esiste anche una differenza di etnia, perché i samaritani sono nati da un ibrido. Gli Assiri, quando conquistarono Samaria, avevano praticato una tipica forma di pulizia etnica, deportando parte della popolazione, soprattutto intellettuali e tecnici, ed importando stranieri. Dalla combinazione sono nati i samaritani, etnicamente ibridi, religiosamente eretici, dissidenti rispetto alla tradizione religiosa, dato che verso il III-II secolo, forse a partire da Alessandro, hanno avuto un tempio autonomo costruito in concorrenza a quello di Gerusalemme per ragioni politiche, perché avevano sostenuto la campagna di Alessandro per la conquista della Palestina.
C'è una nota dell'evangelista sulle non buone relazioni con i samaritani: "I giudei infatti non mantengono buone relazioni con i samaritani". Nelle parole di risposta della donna viene infatti sottolineato: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". Vi è la contrapposizione giudeo-samaritano, uomo-donna, una diversità anzitutto etnico-religiosa e poi anche antropologica.
Nell'ambiente ebraico osservante un uomo non poteva parlare da solo con una donna: per stabilire un dialogo si richiedeva la presenza del marito. Ad un certo punto, infatti, verrà richiesta questa presenza legittimante il dialogo.
Gesù non tiene conto né che sia samaritana, né che sia donna, né che sia sola con lui, ma partendo dal bisogno biologico dell'acqua pone la domanda. Dietro quella sete si apre così il simbolo che esprime il bisogno umano e prospetta la dimensione religiosa. È la stessa domanda che Gesù formula prima di morire, e con la quale si chiude la scena della morte narrata dal quarto vangelo: "Sapendo che tutto era compiuto, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete»". Anche in questo caso è mezzogiorno e "dopo aver preso l'aceto di cui era imbevuta la spugna, disse: «Tutto è compiuto». E, chinato il capo, diede lo spirito"(Gv 19,28-30). Parždwken tØ pneãma non indica semplicemente lo spirare, il finire, ma il dare lo spirito.
Anche in questo brano troviamo l'offerta che Gesù fa dell'acqua, che è spirito e verità, perché è in rapporto con lo spirito che è Dio. Vi è un arco ideale che collega l'episodio del dialogo presso il pozzo che parte dalla domanda: "Ho sete" con la stessa richiesta finale sulla croce.
La nostra sete è sicuramente uno dei bisogni animali più profondi (l'apporto di liquidi per le nostre cellule) ma è anche esigenza di rapporti affettivi, di rassicurazione. L'offrire da bere a qualcuno in un momento di disagio non vuole tanto soddisfare una necessità fisica, ma stabilire rapporti, rassicurare. Anche il bambino che domanda da bere non sempre ha sete, ma manifesta un bisogno più profondo. Possiamo intuire il rapporto fra il bisogno biologico, fisiologico del bere e la relazione, il significato.

acqua che sfocia nella vita piena

Gesù risponde: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva".
Gesù fa intuire che dietro l'acqua c'è un dono più grande al quale l'acqua rimanda, l'acqua viva rispetto all'acqua del pozzo, e che colui che domanda da bere è in grado di donare acqua viva.
Il quarto vangelo concluderà la scena della morte di Gesù con un momento contemplativo, la constatazione della morte di Gesù da parte del picchetto di esecuzione. Dopo aver spezzato le gambe ai due concrocifissi, un soldato, vedendo che Gesù era già morto, colpì il suo fianco "e subito ne uscì sangue ed acqua"(Gv19,34). Lasciamo stare le spiegazioni fisiologiche del liquido pericardico, che non interessano l'evangelista, e consideriamo le parole di Gesù, in Gv 7,38, che ha promesso l'acqua viva: "Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come dice la scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo ventre" (le traduzioni più pudiche hanno scelto per la liturgia il termine "seno". Ma koilia non significa stomaco o pleura, ma ventre). Gesù diventa sorgente d'acqua viva e sorgente è il suo morire. Attraverso l'acqua comunica la vita, ed il sangue nell'antropologia biblica è la vita.
Il dono di Dio è la vita, è l'acqua, è lo spirito, tutti elementi non separabili: la vita mediante lo spirito, l'acqua dono di Dio che comunica la vita ed è spirito. È quello spirito che Gesù darà con il suo atto d'amore: "Avendo amato i suoi li amò sino all'estremo" e l'atto estremo è la consegna dello spirito nella morte.
Il significato dell'acqua viva viene poi precisato nel brano finale della prima parte del dialogo. Alla donna incredula Gesù dice: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla fino alla vita eterna, fino alla vita piena".
Si parte quindi dalla domanda dell'acqua, l'acqua da bere, e Gesù promette un'acqua che diventa sorgente nell'essere umano che attinge a quest'acqua. Una fontana non più esterna ma gorgogliante nell'intimo che coincide con la coscienza, con lo spirito che rende possibile il rapporto con Dio, con la verità.

acqua-parola e dialogo: la ricerca umana dell'incontro con l'altro e la domanda religiosa

Il passaggio dall'acqua che si beve all'acqua che è sorgente è avvenuto attraverso il dialogo, la parola. Si intuisce il rapporto fra l'acqua e la parola: la parola si assorbe come l'acqua, si ascolta, ma la parola è anche qualcosa che cresce dentro. La parola ascoltata ed assimilata nutre e può diventare sorgente di vita.
L'acqua è certo il simbolo della vita che viene data attraverso lo spirito, ma è anche la parola. Poi incontreremo l'endiadi giovannea "in spirito e verità": lo spirito comunica la verità e la verità per Giovanni è la parola, è Gesù, parola diventata carne che dimora e pianta la tenda in mezzo a noi, che è il Figlio, il grande dono di Dio ("Se tu conoscessi il dono di Dio..."), ed è la pienezza della verità ("pieno di grazia e verità": la grazia, c§rij, è la verità, la parola comunicata).

2. Il simbolo del pozzo

Fermiamoci ora al simbolo del pozzo. Mentre il simbolo dell'acqua va oltre le singole culture, legato tuttora al bisogno di soddisfare la sete, il simbolo del pozzo è più culturale: oggi, al di là delle funzioni ornamentali nelle ville, non è più una realtà come era stata la fontana del paese che dava acqua per tutti senza contatore.

luogo degli appuntamenti e degli incontri

Il pozzo, nella esperienza orientale, in particolare nomadica, è il luogo degli appuntamenti e degli incontri. Si potrebbe paragonare al bar, privo però della suggestione delle piste che arrivano dal deserto, del caldo, della polvere, del bisogno di arrivare al pozzo con tutto il gregge, in una solidarietà stretta tra vita animale e vita del pastore. Ai pozzi dunque giungevano i pastori, i gruppi familiari, i gruppi tribali, e al pozzo si combinavano i matrimoni. Un tempo adempivano a quella funzione i sagrati delle chiese, oggi forse le discoteche.
Nelle scritture si narrano alcuni celebri incontri attorno al pozzo, che fanno da sfondo al dialogo del vangelo di Giovanni. Ecco perché ad un certo momento si pone la questione del marito e dei matrimoni. Il pozzo è il luogo dove si cerca la sposa. Il servo di Isacco venne mandato a Carran, regione originaria di Abramo, per cercare la sposa per il padrone, e trova Rebecca al pozzo. Così Giacobbe, in fuga verso Carran dal fratello Esaù che non gli perdona di avergli strappato con l'inganno, connivente la madre, la primogenitura, vede arrivare al pozzo Rachele e se ne innamora. Dovrà aspettare e lavorare sette anni, al termine dei quali Labano sostituirà astutamente nella notte delle nozze la sposa con la sorella di Rachele Lia, per cui dovranno passare altri sette anni di lavoro prima che Giacobbe possa avere la sposa amata, Rachele.
Anche Mosè incontra Zippora, la futura moglie, al pozzo.
Nell'incontro tra Gesù e la samaritana vengono ricordati gli antichi appuntamenti, si parla dei patriarchi.

ricevere il pozzo (il ruolo della tradizione) e scavare il pozzo (il ruolo della memoria storica)

La donna di Samaria dice che il pozzo ha abbeverato le greggi dei loro antenati, dai quali i samaritani lo hanno ricevuto in eredità e che l'acqua di quel pozzo ricorda tutta la loro tradizione. Inoltre il pozzo non solo è il simbolo del dono di Dio che dà l'acqua, ma è anche di un dono che richiede la mediazione umana: il pozzo va scavato, custodito, difeso. Il pozzo richiama i patriarchi, la lotta di Abramo contro gli sceicchi o i re del Negheb, la storia del passato, la tradizione.
Il pozzo scavato, consegnato e protetto è la memoria storica. È presente l'aspetto del fare emergere l'acqua che corre nelle falde. L'immagine del trovare l'acqua profonda, sorgiva, che è dentro di noi in un processo di analisi della psiche non è semplicemente un artificio, ma è nel passato utilizzata per parlare della lettura biblica. I monaci di Qumran, nella loro regola, scrivono così: il pozzo di cui si parla (nel libro dei Numeri) che Dio ha dato a Mosè non è altro che la legge. Lo studio della legge è scavare il pozzo, attingere l'acqua, andare alle sorgenti, cercare nelle scritture l'acqua viva che disseta. Si torna così al tema della parola assimilata. I pozzi richiamano la tradizione, la memoria storica e scavare il pozzo è ricercare il senso della vita. Noi, oggi, con l'allacciamento alla rete idrica, abbiamo perso questa dimensione. Non c'è più l'esperienza di andare alla falda, di trovare l'acqua che scorre nel profondo. La memoria è attingere a questa profondità. È la memoria che noi abbiamo delle nostre esperienze, delle nostre relazioni.
In un recente convegno a Milano, sulle generazioni e la trasmissione dei valori, c'è stata la constatazione di un sociologo di Bologna, Donati, secondo cui le generazioni di oggi non ricevono più valori dalle generazioni precedenti. Esiste una frattura e l'impossibilità di trasmettere. L'idea del pozzo, della tradizione, della memoria non passa più per ragioni di diversità di rapporti generazionali, di incapacità di condividere le esperienze. Di qui deriva la difficoltà di trasmettere esperienze religiose, dato che esse presuppongono la memoria, la tradizione.

3. Le relazioni sponsali

Il terzo simbolo sono le relazioni sponsali. Il passaggio dalle relazioni sponsali alla relazione con Dio è favorito dalla dimensione simbolica delle esperienze matrimoniali e sponsali della tradizione biblica. Dopo aver parlato dell'acqua, dell'acqua viva e del pozzo dei patriarchi, improvvisamente Gesù dice alla donna: "Va' a chiamare tuo marito".
Non è un diversivo per portare il discorso su argomenti personali, ma, tenendo conto del percorso simbolico, la relazione sponsale è simbolo dell'alleanza.
"La donna rispose: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene: "non ho marito", infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito. In questo hai detto il vero». Replicò la donna: «Signore, vedo che sei un profeta»".Profeta non nel senso che predice o che legge nella profondità, ma nel senso di uomo di Dio, in grado di interpretare la volontà di Dio.
A questo punto non si tratta più delle questioni private della donna, delle sue esperienze sponsali (siamo portati spontaneamente a considerare la donna come irregolare o peccatrice, dato i cinque mariti, che una donna comunque poteva avere regolarmente, più un sesto convivente) - il Gesù di Giovanni non è un moralista che si preoccupa di rovistare nella vita intima di una donna - ma il problema delle relazioni, dopo quello che si è visto del pozzo (luogo di incontro e di appuntamenti, dono che Dio fa, l'acqua, la parola della rivelazione) ci fa intravedere la presenza di una valenza simbolica.

Le relazioni sponsali simbolo della relazione religiosa

La donna è rappresentante del mondo dei samaritani i quali non hanno mantenuto il rapporto con Dio perché hanno venerato altre divinità. Nella parabola sponsale dei capitoli secondo e terzo di Osea, Israele è presentata come una donna sposata che ritorna ai vecchi amanti, ai Baal, alle divinità agrarie ed il profeta, che rappresenta Dio, va a cercare la sposa, la conduce nel deserto. La relazione sponsale irregolare richiama l'alleanza infranta. I samaritani non hanno la vera esperienza di Dio perché hanno venerato altre divinità, quelle che gli Assiri hanno importato. C'è questa lettura in trasparenza della relazione sponsale come immagine della situazione dei samaritani.
Tutto questo diventa ancor più chiaro quando si passa al quarto simbolo relativo all'esperienza religiosa dell'adorare. Gesù dice ai samaritani: "Voi adorate quello che non conoscete", cioè una falsa immagine di Dio: avete creato un culto scismatico, un sacerdozio scismatico sul monte Garizim, "noi giudei di Gerusalemme adoriamo quello che conosciamo perché la salvezza viene dai giudei". Questa espressione ha fatto sospettare alcuni che possa esserci stata una glossa, un'aggiunta in questa frase del testo di Giovanni, in quanto "la salvezza viene dai giudei" contrasta con il finale dell'episodio "questi è veramente il salvatore del mondo". C'è un contrasto. In Giovanni i giudei sono il gruppo ostile, refrattario nei confronti di Gesù e che programma la sua morte.
In questo caso però il contrasto è fra samaritani e giudei: i giudei hanno l'autentica esperienza del Dio unico, nella tradizione che parte da Mosè e passa attraverso i profeti, i samaritani invece hanno congelato l'esperienza, coltivato rapporti non autentici perché hanno venerato altre divinità. I cinque mariti rimandano a questa situazione irregolare della comunità samaritana di cui la donna è rappresentante.

4. Adorare Dio in spirito e verità

La relazione religiosa è mediata dal simbolo dell'acqua, del pozzo, dalle tradizioni, dalla ricerca del rapporto con Dio, la parola, la legge ed i luoghi di culto.

la fine dei templi e dei conflitti religiosi

È interessante a questo punto sottoporre ad analisi il rapporto fra il sacro e la conflittualità umana, perché il rapporto fra i samaritani e i giudei è connotato da una serie di violenze, non solo teologiche, ma anche fisiche, con distruzioni e uccisioni, proprio a partire dalla diversità religiosa che era concentrata nei due simboli sacri, nei due santuari, nei due templi, nelle due montagne: Gerusalemme e Garizim. Secondo i giudei il tempio di Gerusalemme è l'unico legittimo, invece i samaritani hanno costruito un santuario alternativo. Pare che il figlio di un sommo sacerdote di Gerusalemme si sia innamorato della figlia del governatore di Samaria, e sia fuggito con lei in Samaria, con la conseguente nascita di un sacerdozio samaritano, ed un tempio ad esso collegato. Sono vicende, forse un po' romanzate, raccontate da Giuseppe Flavio. Seguirà una lotta violenta: Giovanni Ircano distruggerà questo tempio e l'ostilità tra i due gruppi proseguirà. I pellegrini che discendono dalla Galilea per recarsi a Gerusalemme vengono assaltati e uccisi dai samaritani ed i giudei fanno altrettanto con i samaritani. Il simbolo sacro viene usato per la violenza.
Dice la donna: "I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte, voi dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". Le disse Gesù: "Donna è giunto il momento in cui né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre (Gesù riconosce che i giudei hanno la continuità delle tradizioni religiose ma la contrapposizione dottrinale è finita). È giunto il momento - ed è questo - con cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità perché il Padre cerca tali adoratori, Dio è spirito..." È una delle poche definizioni di Dio nella Bibbia, insieme all'altra sempre del quarto vangelo su Dio come amore. Se Dio è spirito, non può essere strumentalizzato in funzione dei conflitti umani. La simbologia del sacro invece viene utilizzata dal potere religioso. Dio sfugge ad ogni possibile controllo.
Questa immagine dello spirito era già presente nel dialogo di Gesù con Nicodemo: "Chi è generato dallo spirito è spirito e lo spirito è come il vento, tu non sai da dove viene e dove va". Dio è sottratto alla strumentalizzazione.

lo spirito e la verità nel rapporto con Dio

"Dio è Spirito e i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità". L'endiadi, che ricorre anche nella formula "spirito di verità", indica la potenza libera di Dio, identificata nel dialogo precedente con l'acqua viva, che Dio dona al credente per mezzo di Gesù, acqua che zampilla nell'intimo fino alla vita eterna, coincidendo con la verità.
A questo punto possiamo aprire una parentesi sul rapporto fra il sacro e la verità. Il sacro ha a che fare maggiormente con esperienze emotive, affettive, difficilmente catalogabili in categorie razionali, mentre la verità la colleghiamo alla razionalità, alla capacità argomentativa, distintiva tipica dell'essere umano raziocinante. Per la tradizione biblica, cui fa riferimento Giovanni, la verità non è solo la razionalità, la conoscenza frutto di argomentazione o di distinzione o di argomentazione, ma ha a che fare con l'esperienza globale che comprende anche una componente affettiva o emotiva, che comprende anche il sentimento. Oggi noi sappiamo del rapporto che esiste tra la conoscenza e lo stato d'animo. Famoso è il caso classico in neurologia di una persona che, nella metà del secolo scorso, ebbe in un incidente sul lavoro la lesione dei centri dell'emozione; ragionava perfettamente, non aveva alcun deficit di linguaggio, di motilità, ma, avendo perso le connotazioni affettive, non riusciva più a programmare il futuro, cambiava continuamente attività, non era in grado di stabilire relazioni stabili con le persone. In altre parole, per poter decidere, ragionare, ricercare la verità, operare grandi scoperte non è sufficiente possedere una grande capacità dimostrativa o raziocinante, ma è necessario provare affetti ed emozioni. Abitualmente si pensa che l'emozione disturbi il ragionamento, invece senza emozioni ed affetti non riusciamo a decidere e a ragionare in termini umani.
Giovanni, pur non essendo a conoscenza delle scoperte sui legami tra il cervello raziocinante e quello emotivo, collega la verità allo spirito, alla libertà dell'agire di Dio, spirito e potenza libera che comunicano l'amore. La verità per Giovanni è l'amore. Si è abituati a identificare la verità con la dimostrazione lucida, limpida, depurata di tutti i residui emotivi, irrazionali, invece la conoscenza di Dio passa attraverso l'amore e l'amore è la verità.

lo spirito dono del Padre per mezzo del Figlio

La parola assimilata nell'intimo mette in contatto con Dio, spirito e verità. È lo spirito che Dio trasmette a tutti i credenti, è lo spirito di Gesù ed è lo spirito che fa zampillare l'acqua fino alla vita piena. Lo spirito filiale di Gesù mette in contatto con il Padre che è spirito. Gesù infatti dice: "Io sono la verità" e dice anche: "la vita e la via", il tramite per accedere al Padre in quanto è rivelazione e comunicazione dell'amore che dà la vita. Sono inseparabili queste tre dimensioni: il ruolo mediatore di Gesù, il suo essere "via", consiste nell'essere la verità che mette in contatto con la fonte della vita, il Padre.
La prima parte del dialogo si conclude con l'autopresentazione di Gesù alla donna la quale dice: "Quando verrà il rivelatore mosaico, il messia, ci annunzierà ogni cosa". E Gesù le dice: "Sono io che parlo con te". L'ora della relazione con Dio in spirito e verità è già iniziata con questo dialogo. Colui che parla non è semplicemente una persona, ma è colui che dialoga, ed il dialogante è la parola di Dio, la rivelazione. Potremmo dire: "Io sono il logos che è in dialogo con Dio e che nella carne umana diventa fonte delle relazioni".

5. Il simbolo del pane

L'ultimo simbolo, che spesso viene tralasciato perché sembra estraneo al tema dell'acqua, del pozzo, delle relazioni sponsali, è quello del pane, che completa il quadro.

il cibo che dà senso e riempie la vita

La scena muta. La donna, abbandonata la brocca, va al paese per riferire ai suoi compaesani quello che le è capitato. Nel frattempo sopraggiungono i discepoli con le provviste e dicono a Gesù: "Rabbì, mangia". Il dialogo era iniziato con la domanda: "Dammi da bere". Prosegue con l'invito a mangiare. Gesù dà una risposta che invita a guardare oltre, a perforare la pellicola esterna delle parole: "«Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete (come l'acqua misteriosa: "se voi conosceste il dono di Dio")». I discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?»".
L'ambivalenza delle parole di Gesù non viene colta dai discepoli: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera". Il cibo per Gesù è il rapporto con il Padre, rapporto il cui percorso privilegiato è spirito e verità. Gesù, in quanto è figlio, vive della relazione con il Padre. Il mio cibo è fare la volontà del Padre, aderire a lui e portare a compimento l'opera.

il lavoro per avere pane

L'opera viene descritta con la metafora della coltivazione della terra. Immagine che ci aiuta a capire come i rapporti umani vadano coltivati perché portino il loro frutto. Gesù invita i discepoli a guardare i campi: "Alzate gli occhi e vedete i campi che già biondeggiano, sono pronti per la mietitura". Ripercorre quindi tutte le tappe che vanno dalla aratura alla semina alla mietitura fino al pane che si può mangiare.
Spesso chi va a cercare nei vangeli informazioni dottrinali, principi morali ben chiari, resta un po' sconcertato da questo linguaggio che è poetico, allusivo. È il linguaggio che noi usiamo nelle comunicazioni più intense, profonde (non certo nella dichiarazione dei redditi o nelle previsioni meteorologiche).
"Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura?", il compimento dell'opera?
Per noi oggi è difficile avere il senso dell'opera compiuta, il senso e la fatica e del rischio di arare, di gettare il seme, senza sapere se si potrà poi raccogliere. È l'immagine stessa della vita: si fatica, si lavora, ma si avrà un compimento, ci sarà una mietitura? Questa metafora esprime la mietitura di Gesù, immagine che riprenderà parlando della morte: "Se il chicco di grano caduto nella terra non muore, non porta frutto, ma se muore porta molto frutto. Io vi ho scelto, vi ho costituito perché andiate e portiate frutto." Userà anche un'altra metafora, quella della vite e dei tralci.
La fatica del seminare e del preparare il compimento della mietitura è la metafora della sua missione, cioè del senso della sua vita e della vita di ogni essere umano.

la solidarietà tra quanti lavorano nel campo di Dio

Conclude questo brano la catena di solidarietà dei lavoratori: "Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete". Infatti non sempre chi semina vede il compimento e mieterà. È la storia non solo della singola persona, ma delle generazioni. Noi abbiamo un po' perso la possibilità di consegnare ad altri il compito di continuare e completare l'opera da noi intrapresa.
"Io vi ho mandato a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati al loro lavoro". In questa lunga storia di preparazione del terreno fino alla mietitura, che è l'opera di Gesù e dei discepoli, vi è anche tutta la trafila che dai profeti giunge sino a Giovanni Battista e alla donna di Samaria. Colui che guida il tutto è il Padre e così torna il tema iniziale: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera", la mietitura, immagine della missione di Gesù e di ogni essere umano.

6. La scoperta del Dio salvatore

Il dialogo sul tema dell'acqua, delle relazioni sponsali, il problema del culto, del passaggio dalle relazioni sponsali, riportate al loro livello giusto di fedeltà e di perfetta intesa, alla relazione con l'Unico, il Padre, il santo, lo spirito, per mezzo della verità che Gesù comunica: tutti questi temi si annodano nell'incontro tra Gesù, la donna che ha preparato il terreno e i samaritani con la loro dichiarazione. Questo testo ci aiuta a passare dal simbolo umano (l'acqua, il pozzo, le esperienze sponsali, i rapporti umani) all'incontro religioso.

il ruolo provvisorio dei mediatori umani e l'incontro personale

"Molti samaritani in quella città credettero in lui per le parole della donna (che fa da mediatrice, prepara il terreno per l'incontro con Gesù)... E quando i Samaritani giunsero a lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più solo per la tua parola, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che...» . Qui si sottolinea il ruolo provvisorio del mediatore, della donna che adempie alla stessa funzione provvisoria dei profeti, di Giovanni Battista. Al centro c'è l'incontro fra colui che cerca e colui che risponde alla ricerca: Gesù. È l'ascolto personale: "abbiamo udito e conosciuto". Dalla esperienza infine si giunge alla presa di coscienza e alla comunicazione dell'esperienza che avviene nella dichiarazione finale: «Questi è veramente il salvatore del mondo».

la presa di coscienza e la comunicazione dell'esperienza

Solo quando c'è l'incontro personale, l'autocoscienza, è possibile anche la comunicazione, il racconto nel linguaggio religioso che utilizza una formula nota, ma caricata di significati nuovi.
Non è il salvatore astratto degli uomini, ma è per noi samaritani, esclusi, segnati a dito come bastardi, eretici, scismatici, che è il salvatore. "Abbiamo ascoltato e sappiamo che è per noi il salvatore", colui che ci trae fuori dalla estraneità, dalla separazione.
Questa dichiarazione finale è preparata dal dialogo presso il pozzo, dalle questioni sui simboli religiosi e sulle istituzioni religiose disinnescate del loro potenziale conflittuale: il sacro non può più essere usato per alimentare conflitti; il rapporto con Dio è aperto a tutti senza che alcuno possa identificarlo con un tempio o con una particolare religione; ogni essere umano può incontrare la realtà di Dio per mezzo dell'ascolto, della parola, che non è solo esterna, ma scolpita nel cuore.

Conclusioni

Traiamo alcune considerazioni da questa lettura del testo di Giovanni, che fa giocare i simboli umani, antropologici, caricandoli di una dimensione religiosa.
1. La prima conclusione è che l'esperienza religiosa, che è fondamentalmente relazionale, si alimenta dei simboli del sacro, che sono gli archetipi profondi che noi condividiamo con tutti gli esseri umani al di là delle culture e delle esperienze personali.
2. I simboli del sacro esprimono e interpretano le domande dell'essere umano senza connotazioni religiose o culturali. Ogni essere umano ha aperture, attese, bisogni verso l'ignoto, l'inedito, il diverso, l'altro. Ogni essere umano si chiede cosa c'è dietro la parete, oltre la morte, dietro i misteri di un mondo incantato, ma anche terribile, intriso di violenza gratuita, di catastrofi, di lotta per la vita. In ogni essere umano è presente la domanda che nasce da quest'angoscia, quindi il bisogno di fiducia, di rassicurazione, di vivere nonostante la minaccia. Da questa condizione esistenziale nascono i simboli del sacro, come l'acqua, il monte, l'albero o altri più culturalizzati, i quali tutti vengono rivestiti di potenza, di forza alla quale ci aggrappiamo per uscire dallo stato di paura. È possibile far leva su questi simboli, ma senza strumentalizzarli in funzione del ricatto, senza sfruttarli per incrementare la paura e mantenere nella paura le persone.
3. La funzione della lettura laica è di essere coscienza critica che impedisce al simbolo sacro di essere sacralizzato e strumentalizzato dal potere. È una funzione purificatrice. Le chiese hanno vissuto in modo traumatico il confronto con la laicità, che avanza a partire dal 1500, più come una minaccia al loro establishment di potere che non una minaccia alla autentica esperienza religiosa. Invece la coscienza laica svolge una importante funzione di purificazione e di vigilanza sia perché il sacro non venga strumentalizzato, sia perché contemporaneamente venga mantenuta aperta la dimensione al mistero, all'inedito, al nuovo, al non manipolabile, al non esauribile in una legge fisica o formula chimica. Il rapporto tra sacro e laico, su cui si può innestare l'esperienza religiosa, consente all'esperienza umana di vivere, di avere rapporti, di dare senso al lavoro, mantenendola aperta, anziché bloccarla, paralizzarla, richiuderla su di sé. La relazione, l'esperienza umana di incontro e di ascolto, fa passare il sacro nella sua dimensione religiosa. Il ponte fra il sacro e il laico è il simbolo. Il simbolo non è solo religioso, è il tessuto connettivo del nostro linguaggio. Senza le continue aperture al nuovo, all'inedito, noi non riusciremmo a comunicare, ad esprimere il nostro bisogno profondo di vivere, di essere accolti, protetti, di realizzare i nostri progetti. La lettura simbolica proposta di questo testo di Giovanni si può applicare a gran parte della letteratura religiosa, ma anche alla letteratura profana. È su questa leva del simbolo che gioca l'espressione artistica, la quale rimanda oltre l'uso immediato o funzionale delle cose.

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