I diritti dell'uomo: via per elaborare la conflittualità nei rapporti sociali e tra le culture
sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 11 marzo 1995
La valorizzazione della categoria dei diritti umani consente di individuare alcuni elementi comuni su cui convergere e attraverso cui costruire una convivenza sociale ordinata e pacifica, in cui si integrino le diversità culturali.
genesi e formulazione storica della categoria dei diritti umani
La categoria dei diritti umani nasce fuori della riflessione cristiana, su di un terreno laico (illuminismo e rivoluzione francese). Solo di recente la chiesa assumerà quella categoria, arricchendola di ulteriori significati.
Hobbes e Locke hanno per primi formulato teoricamente il concetto di diritti umani, anche se anticipazioni si trovano nel diritto romano (provocatio ad populum) e nella Magna Charta libertatum del 1215, inglese, in cui si separano il potere esecutivo e quello giudiziario in nome dei diritti umani dei cittadini. Prodromi dei diritti umani ci sono anche nell'elaborazione del diritto naturale nella scolastica.
La moderna formulazione dei diritti umani avviene a partire dal XVI secolo, causata da molti fattori, quali l'espansione del luteranesimo (autonomia e laicità degli ordinamenti mondani), lo sviluppo dell'umanesimo (ricerca di una base razionale su cui fondare la politica), l'introduzione della categoria del diritto naturale, soprattutto da parte della scuola di Salamanca (De Vitoria fonda i diritti dei popoli), che parla non solo di diritti degli individui ma anche di diritti dei popoli e delle culture (è il periodo della conquista dell'America).
La categoria dei diritti umani nasce in senso stretto ai tempi dell'illuminismo. Punto di partenza non è il diritto naturale, non è la comune humanitas, ma l'individuo. I diritti umani nascono come diritti dell'individuo, come diritto soggettivo, non come diritti di un uomo dotato di una natura universale.
L'ascendente storico è il nominalismo, che nega l'universale.
La categoria dei diritti umani ha come genesi il diritto soggettivo, il diritto dl singolo. Locke è infatti il fondatore del liberismo.
Alla categoria dei diritti umani si perviene dalla necessità di mediare, attraverso il consenso sociale, il contratto, i diritti soggettivi. Chi vive in uno stato non solo deve rivendicare i propri diritti soggettivi, ma anche riconoscere i diritti soggettivi degli altri.
I diritti dell'uomo non si fondano su qualcosa di oggettivo, ma sono il frutto di un consenso contrattualistico. Si scende a patti per un principio egoistico, individualistico (difendo i miei diritti, limitandoli, per esercitare il diritto di libertà). I diritti di libertà per Locke sono il diritto alla vita, il diritto alla proprietà, il diritto di espressione e di pensiero. Lo stato è il tutore dei diritti di libertà.
Il primo limite di questa concezione è quello della disuguaglianza. Non sono diritti dell'uomo in quanto tale ma in quanto cittadino, o dell'uomo che è in grado di farli valere. Se non si creano le condizioni per l'esercizio rimangono diritti astratti.
Il secondo limiti è che valgono solo all'interno dello stato.
Il concetto di diritti umani assume nuove connotazioni dopo la seconda guerra mondiale con le nuove costituzioni e con la carta delle Nazioni Unite del 1948.
I diritti anzitutto si fondano sul concetto di dignità della persona, come frutto dell'esperienza traumatica del nazismo e del fascismo e della concomitante riflessione filosofica.
Inoltre le nuove costituzioni contengono un allargamento dei diritti umani da diritti di libertà a diritti di solidarietà, da diritti civili e politici a diritti economico-sociali. Lo stato non si limita più a tutelare la libertà, ma anche interviene per mettere tutti nella possibilità di esercitare concretamente quei diritti.
contributo della riflessione cristiana
Questa attenzione alla dignità della persona umana e ai diritti di giustizia e solidarietà si rinviene nella dottrina sociale della chiesa che si sviluppa nel periodo postbellico.
La categoria dei diritti umani è stata recepita dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII. Il tema della pace è basato sul recupero della categoria dei diritti umani, sia come diritti della persona che come diritti dei popoli. Si passa da una visione garantista ad una visione solidarista (il diritto ad essere sostenuto), da una visione intrastatuale ad una visione universalistica.
Ci sono motivazioni più specificamente teologiche di fondazione della categoria dei diritti umani. Innanzitutto il tema dell'uomo come immagine di Dio, fondamento della irripetibilità di ciascuno, dell'essere chiamati ciascuno per nome. Poi c'è lo sviluppo del concetto di persona, debitore della concezione cristiana del Dio comunione di persone, che esistono in quanto si danno. Dio è relazione e dono, non è soggetto che si costituisce autonomamente. Così l'uomo, immagine di Dio, è relazionalità. C'è il superamento di una visone puramente individualistica. Il fondamento dei diritti umani, non è il diritto naturale, non è l'individuo, ma la persona come soggetto relazionale. La socialità inerisce all'essere persona. La società è finalizzata alla crescita delle persone.
Nel magistero successivo (Populorum progressio) la categoria dei diritti umani si sviluppa in direzione dei diritti dei popoli, in una situazione di interdipendenza crescente, in cui la ricchezza degli uni è connessa alla povertà degli altri.
Altro elemento interessante è il principio di sussidiarietà, riequilibrato oggi con quello di solidarietà. Nel passato l'affermazione forte era sul principio di sussidiarietà, sul massimo di valorizzazione della società civile, con uno stato che doveva intervenire in un'azione di quasi supplenza (c'era una forte tendenza all'invadenza dello stato).
Successivamente la prospettiva cambia nella dottrina sociale della chiesa, con un maggior peso dato al principio di solidarietà, coniugandolo diversamente con il principio di sussidiarietà. Per un verso compito dello stato è fornire alcuni servizi propri delle istituzioni pubbliche, per un altro verso deve favorire l'intervento dei singoli e dei gruppi. Oltre all'individuo e allo stato c'è anche la società. Oltre ai diritti della persona ci sono anche i diritti delle diverse soggettività sociali, che devono essere ugualmente riconosciuti.
i diritti umani come via per elaborare la conflittualità nella società, tra gli stati e tra le culture
Anzitutto la categoria dei diritti umani è feconda in vista dell'elaborazione della conflittualità nella vita politica. Uno dei motivi principali della crisi in cui versa la politica oggi deriva dall'assenza di valori comuni attorno a cui convergere, per elaborare un progetto di convivenza civile capace di interpretare i bisogni di tutti. Mentre c'è minore conflittualità sul versante del progetto politico (crisi delle ideologie) c'è una profonda incomunicabilità sui valori di fondo.
La politica si riduce a scambio, a mediazione tra piccoli interessi, e, in una società con tendenze corporative sempre più accentuate, a favorire gli interessi delle corporazioni più forti. In assenza di valori comuni di riferimento condivisi vince il più forte. Le ragioni della situazione sono molteplici (complessità sociale, cultura individualistica, caduta del senso di appartenenza collettiva...). Sul piano teorico trionfano le teorie di tipo contrattualistico o neoutilitariste, comunque utili per elaborare regole comuni. Però il contrattualismo afferma l'impossibilità di un'etica della politica fondata sulla convergenza attorno a valori comuni.
È necessario recuperare una serie di valori comuni fondamentali, tramite la categoria dei diritti umani, che può diventare il referente transculturale su cui fondare una politica progettuale e non solo del giorno dopo giorno.
La difficoltà riguarda i contenuti concreti, storici dei valori che in astratto tutti condividono (libertà, giustizia...) e della loro gerarchizzazione.
Se ci si muove solo sul terreno delle regole il pericolo è quello della società dei due terzi, in cui la maggioranza, nel rispetto delle regole, terrà in una situazione di marginalità la minoranza.
Occorre in seguito elaborare la conflittualità prodotta dal rapporto tra culture. Se si vuole passare da una situazione di multiculturalità ad una di interculturalità è necessario rintracciare presupposti comuni, attraverso la categoria dei diritti umani. Occorre anzitutto abbandonare il pregiudizio etnocentrico, senza cadere nel relativismo culturale. Se si vuole che tra le culture ci siano processi di relazione è necessario individuare una humanitas che trascende le culture, su cui è possibile fondare in senso allargato il concetto di diritti umani, come diritti fra le culture.
Una ulteriore difficoltà nell'elaborare il confronto tra culture deriva dal fatto che certe culture sono lontane dal percepire il senso della categoria dei diritti umani, come nel caso dell'islam.