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L'uomo d'oggi di fronte alla morte

sintesi della relazione di Armido Rizzi
Verbania Pallanza, 21-22 novembre 1981

Si parlerà degli atteggiamenti odierni di fronte alla morte mettendo in rilievo cosa è cambiato e perché è cambiato rispetto a quelli dei secoli precedenti.
Si prospetterà poi una meditazione sul senso della morte nell'ambito della sapienza cristiana.

la morte nei secoli

È possibile ricondurre le visioni della morte a tre concezioni fondamentali: concezione organica, concezione meccanica, concezione trascendente.

concezione organica

La realtà è vista come un grande organismo vivente, come un tutto di cui gli individui e ogni cosa sono una parte, ciascuno con un proprio preciso ruolo. Ogni parte è funzionale all'ordine del tutto e su ogni parte rifluisce il bene del tutto. È la concezione prevalente nella civiltà agricola ma è presente anche in alcuni filosofi della civiltà borghese (Hegel, Marx).
Se il tutto è un grande organismo vivente, oltre il tutto non c'è più nulla, non c'è un oltre morte. La vita è questa vita, e i morti vivono una specie di prolungamento di questa vita. Non è l'al di là, l'immortalità, la risurrezione.
Se il soggetto della vita è il tutto e gli individui sono parti, il singolo scompare passando la fiaccola ad un altro. Non c'è il problema della morte individuale.
Abramo morì sazio d'anni e si ricongiunse con i suoi: l'individuo si spegne senza rimpianti perché ha toccato la misura colma della vita.
In teoria la morte individuale non fa paura, fa paura eventualmente per le conseguenze che quella morte individuale, soprattutto se si tratta di persone che svolgono un ruolo importante, può avere per il gruppo (il tutto). La morte è vista come un passaggio dalla vita sensibile a quella misteriosa dei morti: non c'è rottura ma una certa continuità.

concezione meccanica

La realtà è un insieme caotico di fatti puramente casuali, non è un organismo vivente con un ordine e una finalità. Non c'è un perché: esistiamo e basta. La morte in teoria non fa problema: tutto è sottomesso al caso. Lo posso parzialmente dominare con l'intelligenza.
Nei fatti la morte fa problema e fa paura perché nell'uomo alberga il desiderio di vivere.
Le soluzioni sono o la soppressione del desiderio (soluzione ascetica, buddhista), o il godere il più possibile di ciò che la vita offre (dato che dobbiamo morire), o la disciplina dei desideri (la saggezza)

concezione trascendente

La vita dell'uomo ha un senso, va verso una direzione, e non è interamente organica a questo mondo. Questa concezione si è espressa in tre diverse modalità.
Nelle concezioni gnostiche, acosmiche, l'uomo non è organico a questo mondo, perché questo mondo non è la sua casa e vi è cascato dal suo vero mondo. Su questa terra l'uomo è in esilio, in carcere. La gnosi è la dottrina di salvezza che guida l'uomo verso la sua vera casa, e la morte è la porta di ingresso in quella casa, nella vera identità.
Nella concezione "tetica", la vita è considerata così bella da desiderare che non finisca mai. La morte è un'interruzione momentanea di una vita che continua nell'al di là (immortalità).
La concezione dell'uomo biblico nasce dalla crisi di fede di Israele in un Dio che ha promesso al giusto la bontà e la felicità, a cui invece è toccato di finire sul letamaio (Giobbe). Di qui scaturisce la concezione di un al di là in cui la vita del giusto sia colma. La vita nell'al di là non è una continuazione, ma un rovesciamento della vita dell'al di qua. Il desiderio dell'al di là si basa sulla promessa di Dio non nel desiderio della vita.

concezioni della morte in occidente (Ariès)

Ariès individua quattro tappe nell'occidente segnato dalla tradizione cristiana.
La morte addomesticata. Dall'inizio della età cristiana fino al XII secolo la morte non costituisce un particolare problema. Domina la visione organica della vita e non ci si pone il problema della morte come giudizio, della vita come prova.
La morte, come momento forte della vita, diventa una cerimonia pubblica, viene ritualizzata, entra nel paesaggio domestico della vita dell'uomo.
La morte di sé. Tra il 1100 e il 1200 emerge nel vissuto della coscienza della gente la convinzione che ognuno sarà giudicato da Dio su come ha vissuto. La morte è l'ultima tappa di questa vita su cui saremo giudicati. Il giudizio è già nel momento della morte.
Questo acutizzarsi della coscienza individuale è testimoniato dalle immagini del giudizio universale, dalle immagini della morte o del morto, dal recupero della individualizzazione della sepoltura ("qui giace").
La morte dell'altro (del familiare). Il culto della morte dell'altro porta con sé il culto del cimitero. L'avere il proprio morto nel sepolcro è avere l'illusione che viva ancora con noi. Tra chi vive e chi muore c'è un dialogo di amicizia e di amore (si pensi a "i sepolcri" di Foscolo).
La morte proibita. È l'ultima trasformazione della morte. Con l'avvento del nostro secolo la morte viene trasfigurata, dislocata, sottoposta alla decisione del medico. È ciò che si vedrà nel prossimo punto.

gli atteggiamenti odierni di fronte alla morte

Ci sono coloro che denunciano la rimozione della morte da parte degli uomini di oggi, ci sono coloro che invece vedono una maturazione nella coscienza odierna.

sdrammatizzare la morte

C'è un nuovo atteggiamento da parte degli uomini di oggi di fronte alla morte. La morte viene sdrammatizzata, a causa di tre fattori: i risultati della medicina, fenomeni di costume legati alla civiltà avanzata, una diversa rappresentazione della morte.

i risultati della medicina

La medicina è intervenuta nel fenomeno morte in modo vistoso. Ad esempio, la diminuzione della mortalità infantile e la sconfitta delle grandi epidemie come la peste hanno reso meno quotidiana l'esperienza della morte. A differenza del passato il veder morire non fa più parte dell'esperienza dell'uomo.
Si è sbiadita anche la convinzione della sua ineluttabilità, che rimane sullo sfondo.
La medicina inoltre diminuisce l'intensità della sofferenza fisica del morire, attutendo l'elemento di terrore che l'accompagnava.
Oggi l'individuo dichiarato incurabile muore nel reparto specialistico dell'ospedale. L'uomo che muore non ha più attorno a sé il paesaggio domestico, il paesaggio umano. Il suo orizzonte è costituito da medici e infermieri specialisti, che si interessano della sua malattia, non dell'accompagnarlo alla morte. Una volta dichiarata incurabile la malattia, il medico non sa più cosa fare o cosa dire: "non c'è più niente da fare". Spesso chi muore non sa neppure di dover morire: prevale il silenzio, il non dire la verità. Così il malato viene espropriato della sua morte.

alcuni fenomeni di costume della civiltà avanzata

Muta anzitutto il rapporto con il morto. Il rapporto col cadavere è gestito da persone terze.
Nel villaggio della società contadina la morte di un individuo era la morte di quell'individuo. Nella nostra società, dove prevalgono rapporti funzionali, l'individuo è sostituibile. Il posto che uno lascia è preso da un altro. Il rapporto con il morto è sempre più anonimo (distanze tra i familiari, pluralità di rapporti...)
Scompare progressivamente il lutto. Il lutto è privatizzato, è ritenuto un fatto esclusivamente personale e non si vuol far pesare sugli altri ciò che è privato. Vien persa la funzione di valvola di sfogo propria della ritualizzazione del lutto.
La morte diventa tabù, prendendo quel posto che prima occupava il sesso.
Una volta il sesso era rimosso. I bambini non sapevano nulla del sesso, mentre conoscevano la morte. Ora il processo si è rovesciato. I bambini sanno tutto sul sesso, ma non sanno più nulla della morte (gli si dice "è partito per un lungo viaggio").
Si diffonde l'abitudine della cremazione. Per molti significa non sentirsi obbligati a tornare sulla tomba. Si recidono i legami con il morto.

una diversa rappresentazione della morte

I mass media ci mettono sotto gli occhi quotidianamente lo spettacolo della morte, ma queste rappresentazioni non servono a scuotere le nostre coscienze. Dopo il turbamento della prima volta prevale l'assuefazione all'immagine della morte. Sembra quasi di assistere ad un film.

una diversa consapevolezza

È rinato un interesse nei confronti della morte, testimoniato dall'apparizione di molte pubblicazioni sul tema ad opera di studiosi di varie discipline in questi ultimi dieci anni.
Nell'attuale società industriale non c'è solo ottundimento della coscienza critica, ma anche una sua rinascita, legata alla quale vi è una nuova attenzione alla morte. A partire dalla crisi energetica del 1973 si è diffusa l'autocoscienza di crisi. Dalla crisi energetica è scaturito un interesse per i temi ecologici e per la crisi economica. Lo sviluppo tecnologico è percepito sempre più come minaccia alla sopravvivenza dell'umanità. È il sentimento apocalittico della consapevolezza della catastrofe che si diffonde. Per reazione si pone la pace come ideale da perseguire sopra ogni altro.
Anche il rinnovato interesse per i temi legati alla soggettività e al personale comporta una maggiore attenzione alla morte.
Come pure il terrorismo e la diffusione delle droghe ha fatto crescere il senso di un maggior rispetto per la vita.

proposte di meditazione sul senso della morte nell'ambito di una sapienza cristiana

relatività delle prospettive sulla morte

La morte come dato è la cessazione della vita biologica e niente di più. La morte però è investita dei significati più densi. La morte acquista senso solo se la inseriamo in una visione del mondo, e ogni visione del mondo, e quindi ogni lettura della morte, ha una propria validità e un proprio limite.

la prospettiva biblica e cristiana sulla morte

Il senso della morte è correlato a quello della vita, che nel linguaggio biblico non è mai solo esistenza biologica. La morte così non è solo cessazione della vita biologica, quanto il mancare di uno di quei beni che qualificano l'esistenza biologica e la rendono vita. Il concetto di morte è legato al concetto di privazione di beni essenziali (malattia, calunnia, esclusione dalla comunità, abbandono, prigionia, esilio: sono situazioni di morte). Il cessare della vita è solo uno degli aspetti di questa morte, se avviene prima del tempo giusto, come il morire giovani. Nella bibbia c'è un giudizio negativo sulla morte in quanto frutto del peccato. "Se peccherai, morirai".
Nella bibbia non c'è l'angoscia della morte perché in contrasto con il nostro desiderio di vivere in eterno. Il desiderio di immortalità potrebbe essere un fatto culturale, o una proiezione del subconscio.
La risurrezione nel Nuovo Testamento non si fonda sul nostro desiderio di immortalità, ma sulla promessa di Dio, sulla speranza che l'ingiustizia non possa essere l'ultima parola della realtà.
La morte a cui dobbiamo ribellarci è quella che è frutto della nostra cattiva soggettività, sono le carenze dei poveri. Invece che la vita abbia un termine non deve essere legato al peccato, alla maledizione.
Bisogna ricuperare nella visione biblico-cristiana la positività della morte della visione organica, come un passare la fiaccola,espressione di un ordine generale. Questo ordine interno alle cose nella visione biblica è mantenuto, all'interno dell'idea di creazione. È la morte serena in quanto è un giungere a maturazione della vita.
Ritrovare il senso positivo della morte significa ritrovare la bellezza della vita. Dobbiamo ricuperare la positività della finitezza, l'idea che nel disegno di Dio una gioia che finisce non è una gioia vana, vuota. È vana quella gioia che cerco di arraffare, non quella che accolgo per colmare la mia vita.
Nella disattenzione verso la ricchezza di senso delle cose della vita c'è una specie di arroganza. Il richiamo a pensare la morte come misura colma della vita è richiamo ad accettare positivamente il senso della nostra finitezza.

la morte violenta

Non è escluso che si debba bere il calice della morte amara come Gesù, ma dobbiamo pensare che a noi sia risparmiato (se possibile). Si deve sdrammatizzare l'agone degli ultimi momenti: tutta la nostra vita è questo agone. Il vero luogo del giudizio sarà non davanti alla morte, ma davanti ai fratelli.

sorella morte

Tra l'assoluta dipendenza dalla morte propria del passato e l'attuale controllo sulla morte (che mi do quando voglio io) c'è la francescana sorella morte, né padrona, né schiava. Ed io rispetto alla morte non sono né padrone né schiavo.
Tutto ciò che dà all'uomo una relativa emancipazione dalla durezza e dalla fatalità del morire è cosa buona. Privo di senso è tentare di tirare avanti a tutti i costi.

aiutare a morire gli uomini da uomini

Bisogna premurarsi di procurare tutto ciò che può dare il senso della serenità della vita, aiutando a morire gli uomini da uomini.
In conclusione, cerchiamo per noi e per gli altri una morte dal volto umano, perché questa è la morte che trova il volto di Dio.

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