Etiche ed ecumenismo
sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 4-5 marzo 1989
Per ecumenismo si intende lo sforzo di partire dalle differenze per trovare punti di riferimento comuni, punti di convergenza oltre ciascuna religione.
Il discorso ecumenico si è progressivamente allargato a partire dalla ricerca di un superamento delle divisioni delle varie confessioni cristiane, al rapporto tra le diverse religioni, sino al rapporto tra credenti e non credenti.
Se il tema dell'ecumenismo è affrontato sul piano etico è necessario tener presente l'ultimo livello, dato che l'etica è un punto di convergenza che va al di là delle religioni. L'etica è per sua natura un tema laico.
Oggi inoltre esistono più etiche. Non esiste più un'etica universale dedotta da una sola ragione. Oggi si moltiplicano le ragioni perché si moltiplicano le culture, le ideologie, e quindi le interpretazioni della vita. Occorre cercare di vedere fin dove è possibile convergere su alcuni punti di riferimento comuni per poter affrontare i gravi problemi del nostro tempo. Questa pluralità è presente anche all'interno del mondo religioso e cristiano. Il rapporto tra esperienza di fede ed esperienza etica è declinato in modo diverso dalle varie religioni: ci sono religioni più marcatamente etiche (buddhismo, shintoismo...) e religioni in cui l'aspetto etico è meno immediatamente presente. La religione cattolica accentua molto il rapporto vangelo-legge con un'etica normativa molto dettagliata, con il rischio di una morale casuistica e ridotta a una etica naturale, il protestantesimo invece sottolinea la dimensione del vangelo con scarsissima attenzione alla dimensione normativa ritenuta pericolosa. La tradizione ortodossa invece ha una posizione mediana in quanto sente l'esigenza di elaborare un'etica concreta, anche normativa, ma con l'attenzione al primato della coscienza, dato l'accento posto alla dimensione dello Spirito.
i connotati del pluralismo etico
C'è una situazione di profonda ambivalenza per l'esistenza di forti spinte universalistiche, unificatrici e la tendenza al ripiegamento sul particolare, con venature a volte integraliste.
Le spinte unificatrici sono presenti a livello strutturale, nei processi di interdipendenza economico-sociale, politico e culturale che creano nuove forme di interconnessione tra i popoli (es.: l'informatica e l'universalizzazione dell'informazione). Sono saltate le tradizionali coordinate spazio-temporali. Per capire una realtà particolare occorre far riferimento a dati più allargati...
Sono però presenti anche tendenze particolaristiche, spesso guidate da motivi economici: il divario tra nord e sud del mondo, le sperequazioni presenti all'interno delle aree sviluppate. C'è la segmentazione in senso corporativo delle società più avanzate, con l'accentuazione dei bisogni individuali o della categoria di appartenenza, con critiche allo stato sociale non per eliminare la burocratizzazione, ma per esaltare interessi individuali contro quelli di tutti e dei più poveri in particolare. Anche in campo religioso si assiste a forme di integralismo (non solo nel mondo islamico) con l'affermazione di identità di contrapposizione. Sono atteggiamenti antiecumenici.
Alla radice c'è la caduta di un'etica universale, con la difficoltà a trovare valori comuni condivisibili perché fondati sulla ragione universale. Oggi siamo consapevoli che non è possibile dedurre dalla ragione un modello di comportamento, perché l'etica è un fatto storico prodotta da un uomo non astratto, ma storicamente condizionato da una certa cultura. Di qui il pluralismo etico, con la relativizzazione di qualunque sistema. Anche in Italia, mentre nel primo dopoguerra, accanto a una forte contrapposizione ideologica c'era una forte convergenza etica su alcuni valori comuni condivisi, che ha prodotto la nostra costituzione, oggi, ridottasi la contrapposizione ideologica, è accresciuta la difficoltà a dialogare sul piano etico.Anche sul piano dell'etica politica ci sono difficoltà a trovare punti comuni. Ecco perché il ritorno a teorie contrattualistiche o neocontrattualistiche, che cercano di rintracciare le regole del gioco che consentano di mediare tra esigenze diverse in una situazione di complessità. Il rischio, in assenza di un minimo di valori comuni, è che la mediazione privilegi le categorie forti penalizzando i più deboli. E ancor più grave è il rischio del decisionismo, con la mediazione operata dal più abile.La moltiplicazione delle appartenenze a causa della complessità sociale produce crisi del senso, ma anche del fondamento, dei valori comuni (la secolarizzazione più radicale). Ognuno ha il proprio sistema. Trionfa il particolare in un contesto di assenza della domanda di senso e di fondamento. C'è la tendenza oggi ad eludere le domande di senso, per appoggiarsi ad un particolare molto limitato ai significati.
La scomparsa poi delle classi con l'avvento della società complessa ha fortemente indebolito la ricerca del bene comune a vantaggio della ricerca dell'interesse individuale e di gruppo.
Di fronte a questa situazione segnata da spinte universalistiche e particolaristiche come rifondare la vita personale e sociale su una istanza etica di solidarietà universale e come rispettare le esigenze dei singoli, dei gruppi, dei popoli, facendoli convergere in un progetto più ampio che si arricchisca dell'apporto di tutti e sia capace di interpretare comuni bisogni e, se possibile, comuni valori?
esigenze ecumeniche del pluralismo etico
Per fare questo è necessario partire da alcuni fondamentali presupposti teologici.
il rapporto cristianesimo-cultura, fede-cultura
Quale modello adottare per il rapporto fede e cultura?
Se si pensa di adottare un modello rigidamente deduttivistico nel rapporto fede-cultura, in cui la fede viene considerata come un sistema di verità, di valori, di norme da applicare alle diverse situazioni, il problema del rapporto non c'è più in quanto la fede non si fa carico delle diversità culturali e della necessità di favorire un processo di universalizzazione tra i vari sistemi etici.
Dal medioevo sino ad oggi ha prevalso il modello ascendente e responsoriale. Ascendente perché si partiva dalla cultura per arrivare alla fede, responsoriale perché la fede era concepita come una risposta ad un bisogno culturale. Questo modello era plausibile dentro a una cultura omogenea, religiosa e metafisica, come quella medievale, che ricercava le cause ultime della realtà approdando alla esistenza di Dio (dal contingente al necessario, dall'ordine all'ordinatore...). Questa cultura arrivava ad una teologia naturale (fondata sulla ragione) ma in un contesto di sacralità.
Il rischio è l'identificazione della fede con la religione, con la costruzione di un Dio secondo i canoni della ragione umana, stemperando l'assoluta gratuità e alterità del Dio cristiano.
Il rischio è diventato più grave con l'illuminismo che afferma una ragione capace di inglobare e interpretare tutta la realtà, in opposizione al cristianesimo o con il deismo (Dio solo della ragione) o con la negazione di Dio. Come reazione nasce una teologia apologetica che è più una teologia naturale che una teologia della rivelazione, senza il clima religioso e di mistero proprio della cultura medievale. Il Dio così elaborato non sfuggirà alla critica di Feuerbach di attribuire a Dio ciò che è proprio dell'uomo, di proiettare in Dio i bisogni umani. Anche Karl Barth criticherà questa teologia che elabora l'idea di un Dio come risposta ai bisogni dell'uomo: Dio è totalmente altro.
Questo modello ascendente e responsoriale lo si trova anche nel Vaticano secondo e nelle teologie del postconcilio (teologia del progresso, teologia neopolitica, teologia della liberazione) che tendono a vedere la fede come risposta a bisogni umani (bisogni di emancipazione e di liberazione).
Per salvaguardare l'alterità della fede è necessario elaborare un modello discendente e non responsoriale. La fede non è risposta ad un bisogno umano, neppure a quello religioso, ma è un far compagnia ai bisogni umani. La fede accompagna qualsiasi bisogno dell'uomo, senza risolverglielo, con l'annuncio di un Dio che è assolutamente vicino, compagno, perché ha vissuto i problemi dell'uomo nel mistero dell'incarnazione, ma insieme infinitamente lontano lasciando l'uomo alle proprie responsabilità storiche. La fede è del tutto gratuita, perché non dà risposte ai bisogni, risposte da cercare con fatica con la propria ragione. Dio è entrato nella storia, ma l'uomo non può catturarlo. L'accompagnamento, il sedersi a mensa, è capacità della fede di restituire significato alle situazioni perdenti, è apertura di speranza verso il senso di ciò che umanamente non ha senso. Nel mistero della croce il non senso acquista senso. La fede non ha un suo sistema, culturale politico o etico, e il suo unico criterio di giudizio è stare dalla parte dell'ultimo, con la possibilità di riscattare tutta la responsabilità umana in termini anche di autonomia etica.
È possibile riscattare l'autonomia della morale umana come continua responsabilità dell'uomo di ricercare, attraverso la propria ragione, le risposte ai vari problemi della vita personale e sociale, sospinti dalla fede cristiana, a vivere i valori con una maggiore radicalità e interiorizzazione (discorso della montagna: non basta non uccidere, occorre far crescere...)
Questo modello di rapporto fede-cultura è fecondo anche dal punto di vista ecumenico: una fede in compagnia degli uomini, che svela loro un senso inedito delle cose, ma nello stesso tempo lascia loro il compito di ricercare le risposte da dare ai bisogni che umanamente vengono emergendo.
rapporto tra creazione, storia ed escatologia
La struttura delle fede cristiana è trinitaria, perché creazione, storia e escatologia, i tre grandi momenti della storia della salvezza, sono legati al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Nella teologia postconciliare si è accentuata la categoria di storia e di redenzione con concentrazione su Gesù Cristo, trascurando quella di creazione con gravi conseguenze per il discorso ecumenico perché il problema di Dio è centrale nel rapporto con le altre religioni.
Il recupero del cristianesimo come storia di salvezza, superando la riduzione del cristianesimo a dottrina, ha portato ad una enfatizzazione della dimensione della storia, della storicità come categoria universale in termini progressisti, evolutivi (la dialettica) con l'abbandono della categoria di creazione, a sua volta identificata con una lettura fissista della realtà. Il mantenimento della categoria della creazione avrebbe permesso l'ancoramento della storia nel concreto, nella spazio-temporalità.
Questa accentuazione della dimensione storica porta a leggere l'escatologia come proiezione nel futuro inteso come avvenire storico, col rischio di identificare il futuro storico con il futuro di Dio non rispettandone l'alterità.
La tentazione oggi è quella del ribaltamento della prospettiva, abbandonando la dimensione storica con il recupero della centralità della creazione con un ritorno a volte a visioni sacralizzanti la natura (nella bibbia non si parla di natura, ma di creazione). L'abbandono della storia comporta anche il ritorno dell'apocalittica, rileggendo l'escatologia in termini apocalittici: il futuro di Dio è una realtà totalmente altra senza nessuna continuità con la storia, anzi questo futuro per affermarsi comporta la distruzione della storia.
Occorre elaborare un nuovo modello di rapporti tra creazione, storia ed escatologia dove centrale è la storia. Secondo la visione biblica il cristianesimo è storia di salvezza. Lo stesso concetto di creazione emerge al di dentro dell'esperienza di Dio come il Dio dell'alleanza, come il Dio dentro la storia. La centralità della storia come storia di salvezza si accompagna a una ridefinizione del concetto di creazione intesa in modo dinamico. La creazione è l'atto di Dio che ha dato origine alle cose e che contiene già l'affidamento delle cose alla responsabilità umana. L'uomo è chiamato a portare a compimento ciò che Dio ha iniziato. Il giardino di Eden è lo spazio che Dio ha affidato all'uomo per coltivarlo e per custodirlo: trasformazione e rispetto, lavoro e contemplazione.
Occorre poi ricuperare anche il rapporto tra storia, creazione e escatologia. La storia è aperta escatologicamente. Tra futuro mondano e futuro di Dio c'è continuità e discontinuità (oltre le visioni apocalittiche): né appiattendo il futuro di Dio su quello umano, né slegandoli.
Il confronto ecumenico esige, per essere universalistico, la non riduzione della fede a nessuna cultura, ideologia o etica, ed insieme esige una riflessione sulle categorie cristiane che torni a fare spazio alla particolarità, alla storia concreta di un popolo.
Qui il particolare può essere assunto in quanto segnato da una volontà di crescita complessiva dell'uomo. Qui le etiche possono essere assunte e l'Evangelo può giocare come fermento, aprendo le etiche verso l'orizzonte complessivo o radicalizzando il valore di queste etiche.
alcuni problemi storici su cui convergere da parte delle etiche
La riflessione fatta sul rapporto fede-cultura consente alla fede di uscire dal particolarismo, di universalizzarsi, calandosi nella concretezza della storia e assumendone così il particolare.
Come oggi ricomporre in unità il discorso etico nel rispetto delle differenze, sia assumendo la spinta verso l'universalità (dimensione universale dei problemi concreti) che la spinta verso il particolare (rispondere ai bisogni concreti degli uomini situandosi in un preciso contesto)?
La composizione di queste due spinte non può più rifarsi ad un modello deduttivistico, che faceva derivare da una astratta ragione umana valori universali comuni. È necessario far comunicare le diverse ragioni, i diversi sistemi etici per procedere nella direzione dell'universalità. Dalla pluralità delle ragioni occorre spingersi quanto più è possibile verso una ragione. È un processo che prende le mosse dal basso (non dall'alto), mettendo in atto procedure che tendano a far convergere i sistemi etici diversi per vedere se esistono punti di riferimento comuni. Ad esigere la convergenza è il fatto che nessuno si salva da solo.
ricuperare l'istanza etica
C'è chi ritiene falso il problema etico dato che a guidare la vita degli uomini sul piano individuale e collettivo basta la spinta degli interessi, individuali o corporativi. Ci si aggrega per convergenza di interessi. È la rinascita del vecchio contrattualismo alla Hobbes. Per elaborare un modello universale di etica è necessario risuscitare l'istanza etica, elaborando anche le regole per mettere in comunicazione sistemi etici diversi.
per una nuova qualità della vita
Tutte le etiche oggi sono attraversate dalla domanda di una nuova qualità della vita. La logica della quantità è insufficiente. Occorre riqualificare la vita che per alcuni vuol dire giungere alla soddisfazione di alcuni bisogni fondamentali, per altri invece alla autolimitazione dei bisogni (in particolare di quelli indotti, responsabili di alienazione e dequalificazione della vita)
I nuovi movimenti (ecologico, per i diritti umani, della pace), che attraversano tutte le aree geografiche, ideologiche e culturali, evidenziano in positivo ciò verso cui occorrerebbe camminare.
Occorre poi camminare in termini di riflessione etica comune sulla problematica delle manipolazioni della vita umana, al fine di evitare rischi paurosi per la vita dell'uomo, senza penalizzare la ricerca. In gioco c'è il bene delle generazioni future, il futuro dell'umanità. È urgente trovare convergenze, favorendo comunicazioni.
tre condizioni
Per elaborare questo ecumenismo etico sono importanti tre condizioni.
1. Ogni chiesa deve accettare di essere parte e non tutto, di convertirsi alla totalità della verità che nessuno possiede, ma che sta sempre oltre. La chiesa deve essere convinta di non essere il regno, di essere in tensione verso il regno, lasciandosi giudicare dal regno. La chiesa non deve avere la presunzione di dare risposte ai problemi da sola, ma deve ricercare le risposte insieme agli altri.
2. Ogni chiesa deve accettare di essenzializzare il proprio messaggio depurandolo dal sovraccarico ideologico e culturale, per cogliere la propria identità. L'ecumenismo non significa stemperamento della propria identità. Il confronto serio presuppone un recupero effettivo di identità per scoprire l'identità dell'altro non come contrapposizione, ma come arricchimento. L'identità cristiana da ricercare non è quella di tipo sociologico ma quella che fa riferimento alla radicalità evangelica.
Essenzializzando il messaggio la chiesa cattolica deve riproporre la centralità del tema di Dio. Il discorso ecumenico con le grandi religioni non può ridursi all'aspetto ecclesiologico o cristologico, e deve aprirsi alla concezione trinitaria di Dio, non solo come Padre o come Figlio ma anche come Spirito, come creatività e novità.
3. Ogni chiesa deve riconoscere il valore di tutto l'umano di cui ogni uomo vive. Al di là della formulazione dottrinale occorre accettare l'implicito del vissuto. Il vissuto è molto più omogeneo delle formulazioni dottrinali, sul vissuto sono possibili convergenze. L'etica diventa qui un campo di incontro fecondo.