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Verbania Pallanza, 9 febbraio 2019

Sessualità e corporeità

di Andrea Bocchiola

'''Preambolo: psicoanalisi e sessualità...
Inizierei con un brevissimo preambolo che riguarda il perché uno psicoanalista possa e debba parlare di sessualità. Il motivo è abbastanza semplice. Freud, il fondatore della psicanalisi, non fu il primo a parlare di sessualità in un contesto scientifico e scientifico clinico (la psicoanalisi è innanzitutto una disciplina clinica). Come avrebbe scritto successivamente Foucault, Freud veniva infatti da quasi due secoli di istigazione a parlare di sessualità, a riportare la sessualità all'interno del contesto e dell'orizzonte accademico. Però Freud è stato il primo a riconoscere la funzione strutturante della sessualità nella genesi dello psichismo e nella vita psichica profonda e la sua presenza nella vita psichica neonatale e infantile (ossia della sua presenza nella relazione con le figure di accudimento del bambino). A questa scoperta si unisce quella dell'inconscio. La scoperta del ruolo strutturante della sessualità nella vita psichica va di pari passo con la scoperta di una dimensione nel pensiero umano non direttamente accessibile alla coscienza, quella dell'inconscio rimosso. La coscienza sposta nell'inconscio (rimozione) ciò che non può pensare e tollerare e quindi presidia i propri confini affinché il rimosso non mostri la sua presenza, mentre questo preme invece per accedervi (cosa che fa comunque, con sogni, atti mancati, lapsus, agiti, false percezioni e via dicendo). Tutto questo per dire che le scoperta del ruolo organizzante della sessualità, della sessualità infantile e quella dell'inconscio non sono dissociabili e nel loro insieme rendono conto.
Al fine di seguire meglio la riflessione che svolgerò presento anzitutto i quattro punti che saranno presi in considerazione e sui quali si articolerà il discorso.
Innanzitutto discuterò in modo critico il rapporto tra la sessualità e la corporeità: nella psicoanalisi la sessualità non ha direttamente a che fare con la corporeità.
In un secondo momento illustrerò il rapporto tra sessualità e relazionalità e relazione di coppia. Ne discuterò in modo critico perché alla luce del lavoro clinico della psicoanalisi questo rapporto non è né lineare né scontato ma altamente problematico.
Nel terzo momento presenterò la ragione per cui la sessualità è strutturante dello psichismo. Si parlerà cioè del ruolo della sessualità come origine dell'organizzazione psichica profonda.
Nell'ultimo punto, tenendo conto di quanto esposto, faremo un balzo nel futuro, toccando il tema del rapporto tra sessualità e tecnica per prefigurarci in che direzione i comportamenti sessuali e la sessualità stanno andando.
È di questi giorni l'inaugurazione di una mostra a Milano alla fondazione Prada intitolata "Surrogati" dove le fotografe di questo progetto raccontano la vita di persone, alcune in Europa, molte in America, che convivono, che hanno relazione stabile, affettiva con bambole gonfiabili, con bambole antropomorfe, di donne che hanno una relazione genitoriale con bambolotti perfettamente antropomorfi. Ora se mettiamo insieme questa modalità di vivere la sessualità con lo sviluppo delle biotecnologie ci troviamo in men che non si dica in un orizzonte alla Blade Runner, il famoso film di fantascienza in cui è quasi impossibile distinguere gli umani dai replicanti cioè dagli esseri artificiali in tutto e per tutto simili agli uomini.

1 - Sessualità e corporeità

Fatta questa piccola escursione vengo al primo punto su "Sessualità e corporeità". L'associazione tra sessualità e corporeità è anzitutto una affermazione politica e psicoeducativa. Quando noi parliamo di sessualità e corporeità pensiamo sempre ad una sessualità circoscritta nello spazio di una corporeità, in modo da salvare coscienza e razionalità, in appoggio alla lunga tradizione del pensiero occidentale, che vede nel corpo la tomba dell'anima (Socrate) e che per questo circoscrive la nella corporeità.

la sessualità non è istinto
Possiamo prendere l'associazione come un dato di fatto oppure come un'ingiunzione morale e anche legislativa, quasi una legge che fissa e condanna la sessualità nel recinto della corporeità.
Purtroppo la clinica psicoanalitica racconta una storia differente. C'è un che di vero in un indovinello abbastanza volgare, che chiede cosa sia la cosa più leggera al mondo. E' il caso dell'impotenza maschile, che nel 99% dei casi è psicogena. Ma, cosa strana, noi maschietti di fronte a un problema del genere, preferiamo correre il rischio di una grave patologia organica piuttosto che assumerci la responsabilità di quel pensiero, che, da solo, garantisce o condanna la nostra erezione, Meglio insomma ammalarsi seriamente che ammettere il nostro coinvolgimento soggettivo nel deficit della nostra impotenza. Preferiamo addirittura il rischio di morire (se l'impotenza è addebitata ad una ragione organica vuol dire che si tratta di una patologia molto grave) piuttosto che ammettere di essere coinvolti, di avere qualcosa a che fare con la nostra impotenza.
È questo il primo indizio che ci dice che la sessualità non ha a che fare necessariamente con la corporeità. Nell'impotenza non basta la vicinanza dei corpi, non basta il coinvolgimento sessuale con il corpo dell'altro. Non basta neanche l'istintualità animale.Il che ci porta a una altra considerazione:n la sessualità umana non solo è slegata dalla corporeità, ma è slegata persino dal dato biologico. Solo la sessualità animale è regolata istintualmente, e infatti è circoscritta alle fasi del calore. Solo la sessualità animale non conosce perversione, non conosce transessualità, non conosce tutte le infinite perversioni della sessualità umana, e resta legata a doppia mandata con la riproduzione della specie.
Al contrario, nell'uomo il legame con l'istintualità biologica, non è necessario all'espressione della sessualità. La sessualità umana insomma, ha la possibilità di esprimersi altrimenti e mostra un grado profondo di libertà rispetto al biologico. Non è naturale, non è biologica.
Ecco la prima tesi fondamentale della psicoanalisi sulla sessualità: la sessualità umana non è istinto, non è regolata istintualmente. Non è "natura".

la sessualità indipendente dalla volontà
E a questo punto dobbiamo fare anche un'altra osservazione per problematizzare ancora di più questo campo. Se noi torniamo alle questioni di impotenza scopriamo non solo che la sessualità è indipendente dal corpo, ma lo è anche dalla volontà. Io posso desiderare di avere un rapporto sessuale, ma il mio corpo, o meglio la sessualità in me può rifiutarsi, si può mostrare recalcitrante, può sottrarsi. Non basta la volontà cosciente, non basta il desiderio consapevole per avere una sessualità.
Ecco allora un corollario della prima tesi psicoanalitica sulla sessualità: la sessualità è indipendente dalla volontà, ossia dal pensiero cosciente e dal desiderio consapevole (ti voglio ma qualcosa in me che non è corpo dice no).
All'inizio ho ricordato le due scoperte della psicoanalisi, cioè il ruolo strutturante della sessualità nella evoluzione dello psichismo e la scoperta dell'inconscio. Ora abbiamo il modo di unire le due scoperte: per la psicoanalisi il luogo della sessualità va collocato nell'inconscio, non nei corpi come corpi biologici e nemmeno nelle menti come volontà coscienti. Come ci dice la clinica, la sessualità può corrispondere all'erotizzazione dei corpi, ma con un grado irriducibile di libertà e di autonomia.
Ecco allora un ulteriore corollario della dissociazione tra sessualità e corporeità e della dissociazione tra sessualità e pensiero cosciente: il nocciolo incandescente della sessualità va reperito nel mondo sotterraneo dell'inconscio, dove si decidono i destini della nostra identità di genere e delle nostre scelte sessuali a fianco della natura del piacere e del godimento sessuale.
Ma torniamo alla sessualità e corporeità e complichiamo, se possibile, ulteriormente il quadro.
Abbiamo detto della indipendenza della sessualità dal biologico, che poi vuol dire, indipendenza dalla sopravvivenza dell'individuo e della specie.
Ora, è evidente, anche se il costume sociale procede diversamente, che la sessualità ha sempre a che fare con il fantasma della paternità e maternità e con un qualche genere di rischio.

sessualità e rischio
Ricordo una affermazione di Wojtyla, che fu molto discussa, contro l'uso dei preservativi nel pieno dell'epidemia di Aids (Sindrome da Immunodeficienza acquisita). L'affermazione, pur inappropriata e molto discutibile, conteneva due importanti constatazioni, molto vere secondo la psicoanalisi.
La prima è che la sessualità non può prescindere dal rischio del concepimento. Ogni volta che si ha la sessualità, anche adottando le migliori precauzioni anticoncezionali, si ha a che fare con i fantasmi della paternità e della maternità. Questa paternità e maternità non va concepita in senso naturalistico, ma va collocata nel suo luogo appropriato, cioè nell'inconscio, osservazione che ci tornerà utile più avanti quando cercheremo di ricostruire i destini del genere biologico nella costruzione dell'identità maschile o femminile. Il che significa, tra le altre cose, che l'essere padri e madri, che la genitorialità, proprio come la sessualità, ha molto a che fare con la "cultura" e ben poco a che fare con la "natura".
La seconda annotazione molto vera nell'affermazione di Wojtyla è che la sessualità non può prescindere mai dal rischio, da un certo grado di pericolo, in ultima analisi dalla morte. Basti pensare a tutti i comportamenti sessuali a rischio. Perché gli uomini si dedicano a pratiche sessuali fondamentalmente pericolose? Perché alcuni maschi abituati ad avere rapporti con prostitute, si strappano il preservativo durante il rapporto? Perché molte pratiche sessuali richiedono un certo grado di pericolo, per la salute e per l'incolumità fisica?
La sessualità, oltre alla sua indipendenza dalla corporeità e dalla biologicità, mostra dunque, in aggiunta, una selvatichezza irriducibile che non è possibile circoscrivere. Se da una parte la censuro, emergerà altrove ma emergerà, sovente incarnandosi nel gesto stesso della censura, se la nego mi farà pagare il conto, se la soffoco in pratiche ascetiche invaderà le pratiche ascetiche stesse che diventeranno loro l'esercizio sessuale. Se avessimo la pazienza di leggere gli esercizi di Loyola faremmo una interessante escursione su come la sessualità si esprima attraverso la negazione di sé stessi. Se leggessimo il diario di Teresa D'Avila scopriremmo pagine che sono di una eroticità inarrivabile, come la scena in cui un Arcangelo le si avvicina con una lancia la cui punta incandescente le penetra le carni... la sessualità, cacciata fuori dalla porta, rientra dalla finestra senza rispettare i limiti ed i codici né della natura né delle leggi.

concepimento svincolato dal biologico
Dobbiamo ora fare un altro passo e osservare, il punto è decisivo, che il concepimento stesso è a sua volta totalmente svincolato dal biologico. È una tesi complessa dato che la generazione di un bambino necessita di un utero, di un ovulo e di uno spermatozoo. Ma nelle società contemporanee questa necessità è vittima di una relativizzazione sempre più spinta, come tutte le pratiche di fecondazione assistita dimostrano. La vicenda paradossalmente è antica, basti pensare al racconto del concepimento verginale da parte di Maria, praticamente il primo caso di fecondazione assistita eterologa della storia, con lo Spirito santo al posto del padre (e giustamente infatti, nelle raffigurazioni pittoriche di Maria con il bambino, raramente è presente il padre, mentre la coppia è sempre illuminata dalla luce dello Spirito Santo, quale vero responsabile del concepimento). Oggi, in epoca di fecondazione assistita, dovremmo riflettere sul ruolo della scienza come sostituto postmoderno della divinità.
Del concepimento svincolato dal biologico parlano i tanti casi di infecondità psichica. C'è un'ampia casistica clinica. È il caso della donna che risulta dal punto di vista medico biologico fertile, ma il cui corpo si sottrae al concepimento. L'infecondità psichica può essere anche una infecondità di coppia. Ci sono coppie perfettamente fertili e sane dal punto di vista medico e biologico che si rifiutano al concepimento. A volte succede che, sciolta la coppia e avviata una nuova relazione da uno dei partner, la fertilità abbondi. A volte, raggiunta, dopo un lungo percorso di fecondazione assistita, l'agognata gravidanza, questa risulta intollerabile alla donna.n Se potessimo dilungarci nella storia clinica di casi che sono arrivati in analisi, apparirebbe un panorama sconcertante, che testimonia quanto la possibilità del concepimento sia indipendente e refrattaria ad essere circoscritta nella stretta sfera del biologico.
Quindi, per venire al punto, persino la fecondazione subisce un'interferenza che la emancipa dal biologico. Ma non è finita qui.

indipendenza dell'identità sessuale dal corpo
Proseguiamo dunque la nostra carrellata sull'indipendenza reciproca di corpi e sessualità. Possiamo e dobbiamo ora approfondirla e ad articolarla, osservando, per esempio, l'indipendenza dai corpi della identità sessuale e dell'orientamento sessuale.
Come si diventa uomini e quindi futuri padri o donne e future madri? Come si passa dal corpo biologico che abbiamo in dotazione dalla nascita, all'essere maschi o femmine e a scegliere se essere eterosessuali o omosessuali? Avere un sesso con il quale noi nasciamo non significa necessariamente avere un'analoga ed isomorfa identità di genere, come tutti i disturbi trans testimoniano. Io posso nascere in un corpo di ragazzo, maschile, e pretendere di essere donna e chiedere il cambiamento di sesso (ndr.: proprio in questi giorni il tribunale di Verbania ha riconosciuto il diritto al cambiamento di nome, da femminile a maschile, ad una persona nata in un corpo di donna che si è sempre sentita un maschio).
Quindi avere un sesso, un sesso biologico, non significa dover fare una scelta sessuale corrispondente. Posso nascere in un corpo di uomo, ma questo non vuol dire che avrò necessariamente come oggetto sessuale una donna. Posso avere come oggetto sessuale un altro uomo, come nel caso dell'omosessualità, posso avere entrambi, come nel caso della bisessualità, posso come uomo pretendere di essere donna e come donna essere omosessuale. È un po' il gioco degli specchi dove qualsiasi cosa può essere qualcos'altro, in cui tutti i piani si possono confondere.
Come si passa allora in termini evolutivi dal nascere maschi o femmine al diventare bambini e bambine? Si tratta di un processo di crescita estremamente complesso e aleatorio in cui pesano non solo i codici culturali (l'ambiente, il modo in cui si è educati...) ma anche le identificazioni ai genitori (da bambino mi identifico al papà, da bambina mi identifico alla mamma).
In questo ambito pesa moltissimo il desiderio inconscio dei genitori. Faccio un esempio clinico molto estremo. Una donna ha un rapporto sessuale non violento ma semplicemente sgradito. Quando si rende conto di essere incinta pensa che il bambino non dovrà aver nulla del padre (contrariamente a quanto si pensa, il caso non è così raro). Il figlio, nato come maschio, dopo due anni è chiaramente una bambina, è un maschio che non può avere nulla del padre e di conseguenza ha un comportamento e delle richieste totalmente femminili. Qualcuno direbbe che ha un disturbo trans. Ma davvero lo dobbiamo chiamare disturbo? In generale la psicoanalisi è molto prudente nel chiamare le cose come disturbo e nel qualificare un comportamento come patologico. L'atteggiamento analitico è molto neutrale. L'unico problema della psicoanalisi riguarda la sofferenza: è inaccettabile solo ciò che fa soffrire o che avviene senza il consenso. Ma torniamo al caso che citavo. In questo caso he cosa ha inciso sulla costruzione dell'identità di genere di questo bambino? Ha inciso, direi, il desiderio della madre, neanche troppo inconscio, di un figlio che non abbia nulla del padre. Ha inciso il processo inconscio con il quale la madre ha messo quel bambino in uno spazio mentale, in un contenitore identificatorio femminile, che ha poi avuto il sopravvento sul sesso biologico del bambino, slegando il suo destino, la sua identità di genere, dal presunto determinismo biologico.

ineliminabile dimensione della rinuncia
Ma torniamo al nostro ragionamento. Il punto di partenza è sempre il sesso biologico (anche se non sempre; si pensi alle sindromi adrenogenitali e agli ermafroditismi) ma con una precisazione. Il punto di partenza è un punto di partenza degli altri, del mondo, non del neonato che di essere maschio o femmina non ne sa niente. Assumiamo piuttosto il punto di vista del bambino o della bambina che deve diventare il sesso che è. La scelta tra avere un pene e una vagina non è scontata e matura a partire da una fase di bisessualità neutrale (non sessuale nel senso della sessualità adulta), e di indecidibilità densa di fantasie sul corpo, sul desiderio, su papà e mamma e via dicendo, capace di durare molto a lungo.
Poi si comincia a cristallizzare l'identità di genere, si comincia a diventare il proprio sesso, e non è affatto detto che questo processo sia lineare (pensate ai casi trans precoci, appunto). E neppure è detto che avvenga per mero condizionamento dell'ambiente, o che avvenga semplicemente per via identificatoria positiva (nel senso, ad esempio, che se sono un maschietto mi identificherò al papà per diventare come lui). Piuttosto l'assunzione del proprio sesso avviene, richiede, un certo tipo di castrazione, di lutto, di abbandono, per consolidarsi. Il modo in cui si diventa maschi o femmine mostra come nella costruzione della identità di genere l'ambiente e l'identificazione ai genitori abbiano un peso piuttosto relativo. Sono un bambinetto e voglio diventare maschio, voglio diventare come il papà. Ma il punto è che per diventare come il papà devo rinunciare a essere "il" maschio, per diventare maschio devo rinunciare ad essere il maschio tout court, il maschio con la M maiuscola, il maschio alfa, il maschio che "non deve chiedere mai". Devo rinunciare a coincidere completamente con l'essere maschio. Notoriamente chi pretende di essere il maschio alfa, il maschio che non deve chiedere mai, normalmente il culturista, è impotente, perché si confronta con un ideale irraggiungibile che lo schiaccia, che gli fa sentire costantemente la propria mediocrità rispetto a ciò che vuole diventare.
Lo stesso vale per la donna. Per diventare femmina, donna, devo rinunciare ad essere "la" donna, la femme fatale, cioè devo accettare un certo livello di perdita della mia identità e di lutto rispetto a qualcosa che non posso ottenere e che se pretendo di ottenere mi condanno a non averlo. Tutto questo introduce ancora un ulteriore grado di libertà dei destini della sessualità, in questo caso non rispetto al corpo, ma rispetto all'ambiente.
Nel diventare il proprio sesso, nella costruzione dell'identità di genere si è impegnati in processi complessi e aleatori, non determinati semplicemente dall'ambiente, e che si svolgono su un'altra scena fatta di lutto, di impossibilità di essere il maschio alfa o la femme fatale, e fatta anche dal posto inconscio che i miei genitori mi stanno attribuendo che può non coincidere con il sesso che ho.
Che cosa succede quando qualcuno vuole diventare "il" Maschio o "la" Femmina? Lo vediamo nei casi di transessualità più gravi, che sono quelli di chi, essendo maschi o femmine, credono davvero come uomini di diventare "la" femmina che desiderano essere o, come donne, "il" maschio che desiderano essere e ne sono invece la caricatura, la scimmiottatura, mostrando così non solo l'impossibilità della realizzazione di quel desiderio, ma l'impossibilità di accedere a una identità ideale che, al contatto con la realtà si rivela essere la maschera della propria farsa.

la libertà della scelta dell'oggetto sessuale
Proseguiamo sui livelli di libertà della sessualità. L'orientamento sessuale, che comincia a organizzarsi nei primi anni di vita, almeno nei suoi assetti arcaici, dalla pubertà in poi, comincia a strutturarsi e a manifestarsi.
Abbiamo detto che alla nascita il corpo con cui si nasce può non coincidere con la nostra identità di genere. Tra la nascita e la pubertà si consolida una identità di genere. Alla pubertà poi è richiesto un passo ulteriore, quello della scelta dell'oggetto sessuale. Il ragazzino o la ragazzina affronta il fiorire della sessualità come comportamento e deve scegliere l'oggetto sessuale maschio o femmina.
Ora se l'identità genera un grado di libertà rispetto al sesso biologico, la scelta sessuale ha un grado di libertà rispetto alla diversità di genere. Se sono maschio non necessariamente sceglierò come oggetto sessuale una donna, se sono femmina non necessariamente sceglierò come oggetto sessuale un uomo, come nel caso dell'omosessualità o anche della bisessualità.
Ma la cosa non finisce qui perché, una volta scollinata l'adolescenza, c'è un ulteriore livello di indipendenza della sessualità anche dalla storicità della biografia di una persona.
Accade che qualcuno esca da una relazione eterosessuale, anche da un matrimonio con figli, scoprendo la propria omosessualità. Si può uscire da una biografia eterosessuale per entrare in una biografia omosessuale. Raramente accade il contrario.
Nel corso della biografia di un uomo l'identità sessuale e la scelta sessuale non sono mai stabili, ma sono soggette ad una serie di fluttuazioni anche sottili. Il sopravvenire di una maternità può far smarrire la sessualità.
Solo da lontano l'essere madre ed essere femmina compongono l'essere donna, compongono l'equazione, mentre in realtà ingiungono una rielaborazione dei ruoli estremamente complessa in ciascuna donna, per cui qualcosa può essere guadagnato e qualcosa può essere smarrito. Una donna può non reggere la presenza del proprio desiderio sessuale nel momento in cui diventa madre... Simili considerazioni possono essere fatte per l'uomo.
Un altro esempio drammatico della indipendenza della sessualità: esiste una sessualità della madre verso il figlio che può arrivare addirittura a sigillarsi, escludendo l'uomo. Le donne possono godere sessualmente dei figli non con un incesto agito, ma in mille altri modi più sottili, che possono essere all'origine di patologie gravi, di psicosi, di madri "divoratrici" che trattengono per sé e non lasciano andar via i figli.
Dal punto di vista della psicoanalisi la propria identità di genere e la propria sessualità non sono mai stabilite una volta per tutte, ma devono in qualche modo essere ristabilite e risoggettivate, fatte proprie, in ogni momento della nostra vita, in ogni relazione e in ogni rapporto sessuale stesso.
In ogni rapporto sessuale dobbiamo reinventarci uomini o donne, e dobbiamo anche reinventarci come padri e madri, anche nel caso di aver assunto tutte le precauzioni possibili per non diventarlo. Come vedremo nel terzo punto quando abbiamo un rapporto sessuale noi abbiamo a che fare sì con l'avventura della nostra sessualità adulta, ma anche con un bambino che da qualche parte sta assistendo alla scena primaria della sua origine...
Tutto questo ci porta a constatare la storicità e l'instabilità biografica della sessualità.
Si era etero e si diventa omosessuali, si diventa padri e si torna bambini, si diventa madre e si perde la sessualità, ossia la donna. Si resta donna ma si rinuncia all'essere madre. Si era infeconde e si diventa feconde. Si è impotenti in una relazione, e si recupera potenza al di fuori di quella relazione e così via.

indipendenza della sessualità dalla Legge
Ulteriore esempio della indipendenza della sessualità (e anche della rischiosità, della indipendenza, della selvatichezza della sessualità), non è solo quella dai corpi e dal biologico, ma è l'indipendenza della sessualità da ogni genere di confine, e da ogni genere di legge e dal pensiero cosciente (non dobbiamo mai dimenticare che nel momento in cui stabiliamo l'indipendenza della sessualità dai corpi, stiamo anche stabilendo la sua indipendenza dalla Legge (ossia dal pensiero cosciente e dalla ragionevolezza)
Ora, quali confini varca la sessualità? Beh, francamente tutti.
La sessualità è in grado di varcare il confine tra il piacere e il dispiacere, tra il godimento e il dolore.
Nell'incontro sessuale una quota di dispiacere è facilmente inclusa. Ci sono una infinità di pratiche che prevedono non tanto il dispiacere nel momento eccitatorio, ma il dolore come elemento strutturante dell'incontro sessuale. Un incontro sessuale non è mai riconducibile solo ad un piacere, ma va ricondotto al godimento, cioè a quel più di piacere che include nell'incontro una quota di dolore ed anche, come dicevamo prima, una quota di pericolo e rischio.
La sessualità è in grado di varcare i confini dell'età, come nel caso della pedofilia, o, in modalità meno estreme, nel caso di coppie formate da protagonisti con rilevanti differenze di età, paragonabili in qualche modo clinicamente all'incesto.
La sessualità è in grado di ignorare la differenza tra umano e animale (perversioni zoofiliche).
La sessualità non conosce i confini tra vita e morte, come nei casi di necrofilia.
E, come vedremo nell'ultimo punto, la sessualità è in grado varcare il confine tra l'organico e l'inorganico. E' notizia di cronaca l'apertura a Torino di un bordello dove i clienti incontrano non donne in carne e ossa ma bambole artificiali.
Ma più ancora, la sessualità, come tutti noi purtroppo sappiamo, varca anche i confini stabiliti dalla Legge. E infatti la sessualità è capacissima di ignorare e infrangere anche quella legge fondamentale per la strutturazione della società e della civiltà, che è il tabù dell'incesto. Non solo quello dei padri con i figli, ma anche quello delle madri con i figli (e dei parenti con i figli, se volessimo seguire la traccia fatta di orrore e pornografia della violenza sessuale familiare, violenza che, lo ricordo, vede le famiglie italiane tristemente protagoniste).
Ora, senza varcare i confini della psicopatologia, ci sarebbero alcune osservazioni su una ulteriore e importante scoperta della psicoanalisi, ossia l'esistenza di una sessualità materna precoce e di un godimento materno, potenzialmente disturbante per il neonato. Argomento scabroso e terribile, perché il corollario della sessualità materna verso il neonato è l'odio. Alla sessualità della madre, quando non sublimata in una cura che deve essere in qualche modo erotizzata, eccitatoria, quindi vitalizzante, si accompagna l'odio. Ma l'argomento è delicato e sarà forse per un'altra occasione.

2 - sessualità e relazione

Tutte queste osservazioni ci portano a considerare un ulteriore grado di libertà che la sessualità si prende con gli umani. È la sua autonomia dalla relazione o, con una brutta parola oggi di moda, dalla "relazionalità"
Il grado di libertà che la sessualità ha dalla corporeità, lo ha anche dalla "relazionalità" e dalla "affettività". Può averla come proprio sfondo, uno sfondo auspicabile, ma non necessario.
Scriveva da qualche parte in un bel intervento Lidia Maggi che la sessualità ci aprirà al piacere, al futuro, alla felicità e all'incontro, e scriveva ancora che l'oggetto dell'incontro eterosessuale è l'amato unico e non interscambiabile. La psicoanalisi, osservando ciò che avviene nella vita, non potrebbe essere meno d'accordo.
La sessualità è infatti e necessariamente un varco, una apertura verso l'altro? Sì, ma non necessariamente.
La sessualità ci apre al piacere, ci apre al futuro, ci chiama alla fecondità e alla felicità e all'incontro? Certamente ma non necessariamente.
L'oggetto del desiderio sessuale è l'amato, unico e non interscambiabile? Certamente e auspicabilmente, ma non necessariamente.
La sessualità può conoscere mille modi per esprimersi che non richiedono una relazione, che fanno a botte con la relazione, che non richiedono neanche l'interesse del corpo del mio partner.
La sessualità - ulteriore tesi della psicoanalisi - è indipendente dall'altro ed è indipendente dalla relazione con lui. Non c'è bisogno dell'altro e di essere in relazione con lui. Non c'è bisogno che il piacere sia necessariamente genitale. Si gode con l'altro ma si gode anche senza l'altro. Si gode senza l'altro, anche stando con lui.

natura perversa e polimorfa della sessualità
Una delle ulteriori scoperte della psicoanalisi riguarda la natura perversa polimorfa della sessualità. Il bambino quando nasce non sa di essere maschio o femmina, non sa di essere sé. Lo imparerà su di sé nella storia della sua educazione che non passa solo da quello che i genitori gli dicono, ma anche da come i genitori maneggiano e manipolano il suo corpo. È così che il bambino impara il proprio corpo, lo impara attraverso la manipolazione, il contenimento, il maneggiamento materno e paterno. Questo maneggiamento ha prevalentemente a che fare con delle zone che per la psicoanalisi sono zone erogene.
Le zone erogene hanno a che fare anzitutto con la bocca, con l'allattamento. Non c'è forse eccitamento sessuale nel bambino allattato? Chiunque può osservare che l'espressione di un bambino al termine di una poppata è simile a quella di un adulto dopo un orgasmo, o di un drogato dopo l'assunzione della dose. La bocca non è solo il luogo dove gli alimenti vengono introdotti nella tabula rasa organica del bambino, ma è anche il luogo della relazione profonda e complessa con la madre, di una relazione che è anche erotizzante e che rende la bocca una delle soglie più importanti per l'organizzazione dell'immagine corporea del bambino e del suo psichismo.
La questione anoressica illustra bene questo aspetto.
Non è vero che l'anoressica non mangia perché vuole essere bella e diventare una modella. È un luogo comune diffuso perché consolatorio. La bambina, l'anoressica, non vuole il cibo perché il cibo è avvelenato. Vuole il cibo con dentro l'amore e se nel cibo non c'è l'amore mostra immediatamente, assumendo un emetico o un lassativo, ciò che il cibo è per lei, vomito o merda.
Quando i bambini piccoli hanno un reflusso gastrico può trattarsi di un equivoco di relazione tra la madre e il bambino per cui quella roba lì non va né su né giù.
In questo modo si costituisce la prima zona erogena, quella orale, che è anche il primo luogo di contatto e di rapporto con il mondo e con l'altro, che diventerà poi in futuro, attraverso i suoi sostituti, l'atto sessuale.
Lo stesso vale per l'ano e la zona anale. Da genitori, madri o padri, siamo molto preoccupati delle produzioni dei nostri bambini. L'ha fatta? come l'ha fatta? di che colore è? è bella? dove l'ha fatta? nel pannolino? nel vasino? nel water? si è sporcato? È infinita la casistica, come pure le pratiche messe in atto che possono essere terribili per il piccolo destinatario di clisteri non necessari per ogni colica. Tutte queste manipolazioni, nel bene e nel male, collaborano a formare la seconda zona erogena e a costituire iI prodromo di quello che sarà la sessualità adulta.
Le zone erogene nella loro evoluzione coincidono con le aree di dialogo con il mondo e la loro delimitazione è essenziale alla strutturazione del pensiero e alla delimitazione della differenza io-mondo. Possono andare tutte insieme nell'incontro totale con il proprio partner, ma possono anche essere indipendenti e non aver bisogno dell'interezza dell'oggetto. Per avere un godimento sessuale non ho bisogno di tutto il mio corpo e non ho bisogno di tutto il corpo del mio partner.
Così, in tante città occidentali ci sono i famosi bar in cui da dietro delle porte chiuse, attraverso un foro, sporgono peni che i clienti e le clienti possono utilizzare a loro piacimento. Le zone erogene una volta stabilizzate possono funzionare in modo indipendente dalla relazione, in modo indipendente dall'integrità del corpo dell'altro.
Tutto questo conferma l'indipendenza della sessualità dalla relazionalità e in modo ancora più estremo la sua indipendenza dall'integrità del corpo dell'altro. L'integrità è certamente possibile, ma non è mai necessaria.

l'esperienza dell'indicibile
Secondo la psicoanalisi il rapporto della sessualità con la corporeità è estremamente fluido. La sessualità si sviluppa secondo linee che prescindono dalla corporeità e anche dalla costruzione dell'identità di genere. Il dato biologico è in un certo senso irrilevante perché può subire mille mutazioni nel passaggio dal sesso biologico all'identità di genere. Questa considerazione mi spinge a chiarire qualcosa che ha a che fare con la pensabilità dell'esperienza.
Facciamo un esempio
Come facciamo ad avere una concreta esperienza di pensiero della fecondazione? Come possiamo avere un'esperienza di pensiero di un evento enigmatico e innominabile come questo?
La scienza ci permette di descrivere pedissequamente come questo accade.
Dal punto di vista biologico ed embriologico possiamo descrivere tutte le tappe dal concepimento al feto fino alla nascita. Ma questo vuol dire avere esperienza di pensiero della fecondazione, dal punto di vista della vita vissuta?
È utile riprendere la riflessione di Blanchot sui miti fondativi della nostra cultura, come il mito di Edipo. Mi limito a qualche cenno sul mito. Quando Edipo arriva alle porte di Tebe, ha a che fare con la Sfinge. La Sfinge pone a Edipo una domanda ambigua: qual è quell'animale che all'alba del giorno procede su quattro zampe, a mezzodì su due e alla sera su tre? Edipo risponde correttamente: è l'uomo. In questo modo vince il trono di Tebe e il letto della madre. Produrrà figli che sono fratelli, provocando l'ira degli dei che invieranno ogni genere di maledizione su Tebe. Rispondendo, Edipo diventa lui stesso il mostro in Tebe. Avendo eliminato il mostro alla porta di Tebe, diventa lui il mostro che, avendo rapporti con la madre, produce figli che sono fratelli. Ma torniamo alla domanda. Edipo ha veramente risposto? Se diciamo che l'uomo è quell'animale che all'alba... diciamo davvero ciò che l'uomo è? La risposta di Edipo non ha un significato intrinseco.
Questo ci mette a contatto con una importante differenza epistemologica che riguarda il funzionamento del sapere e delle scienze. Noi possiamo considerare le cose, e porci le domande, come problemi. Un problema per essere scientifico deve avere tutti gli elementi che permettano la soluzione. Il problema dell'esistenza di Dio non è scientifico, perché vi sono variabili indecidibili. Un indovinello è scientifico se ha tutti gli elementi che consentono di formulare una risposta corretta. La domanda come problema implica dentro di sé tutti gli elementi della risoluzione. La domanda come problema porta risposte che sono operative e anche molto utili, perché a noi serve conoscere tutto il processo della fecondazione e dello sviluppo embrionale. Ci serve per la fecondazione assistita, ci serve per la prevenzione dell'aborto, e via dicendo.
Ma in questo modo ho saturato la domanda? C'è nella domanda che la Sfinge pone a Edipo un altro lato, un enigma. Non basta rispondere alla domanda della Sfinge sull'uomo, che l'uomo è l'uomo. La domanda della Sfinge è imponderabile, è quello che si direbbe una domanda infinita. Non nel senso che non finiremo mai di rispondere, ma nel senso che nel momento stesso in cui si pone la domanda, noi non siamo già più in grado di rispondere. Avere a che fare con un enigma, con l'enigma posto sull'uomo, vuol dire avere a che fare con l'esperienza di una indicibilità, di una imponderabilità radicale che non finiremo mai di saturare.
Ecco, quando io dico che la sessualità è indipendente dal sesso biologico, voglio anche dire che la sessualità, indipendentemente dal dato biologico, ci pone dinanzi all'esperienza dell'imponderabile, all'esperienza di un enigma con il quale occorre confrontarsi continuamente, che continuamente genera una battaglia e un conflitto dentro di noi. A un'esperienza che trasforma il "dato biologico" in una questione soggettiva, in una questione profonda che riguarda la verità rispetto a se stessi.
E questa trasformazione di un'evidenza biologica in un enigma, non colpisce solo la natura, ma anche la "cultura". La psicoanalisi tratta dello sviluppo della sessualità, ma interpreta il soggetto non come qualcosa che collega la natura - come dato biologico - alla cultura, ma come qualcosa che collega un dato enigmatico - il sesso di partenza - con una peripezia che è interminabile. L'ambiente non influenza il comportamento linearmente, ma indirettamente, attraverso molte circonvoluzioni in cui può succedere di tutto. Non basta avere dei poster di modelle magre per diventare anoressiche. Scontrarsi con la propria sessualità vuol dire scontrarsi con qualcosa che non è mai deciso in partenza e che rende il dato ambientale (sociale e culturale) aleatorio e relativo, rispetto ai destini della soggettività.

la natura esiste solo nella cultura
Ulteriore precisazione speculativa. Quando noi diciamo dato biologico, non stiamo parlando della natura per differenza dalla cultura, perché siamo già nella cultura. La natura non esiste come natura. Lo dico da filosofo teoretico. Perché nel momento in cui noi pensiamo la natura e la fondiamo siamo già all'interno di un discorso culturale che produce come proprio oggetto l'oggetto naturale per differenza dall'oggetto culturale. La natura in sé, senza di noi insomma, "non si sa", "non si dice", non può dirsi. La diciamo noi ponendola per differenza dalla cultura. Quindi, quando noi parliamo di dato biologico, parliamo di un dato che sta nell'occhio dell'osservatore, ma non nell'evento che osserviamo. Lo scopriamo anche nei bambini. Il bambino quando nasce ha un sesso biologico, ma il sesso di cui è dotato lo vede il mondo, non il bambino. Per il bambino è un evento enigmatico con il quale dovrà fare i conti tutta la vita, potendo scegliere molte strade, compresa quella dell'ablazione e della ricostituzione di un altro sesso. E questo ci porterà al terzo punto, che affronterò molto brevemente per arrivare all'ultimo punto e alle conclusioni.

3 - sessualità come origine (e trauma)

Nel tentativo di cogliere la natura selvatica della sessualità non dobbiamo dimenticare che il suo potere strutturante e organizzatore della vita psichica, ha sempre un inizio, una origine, abbastanza movimentata, che poi si ripete ad ogni rapporto sessuale. In fondo, se ci pensiamo, in ogni rapporto sessuale non stiamo forse assistendo alla scena primaria, non è forse sempre con noi un piccolo bambino che assiste, traumatizzato e ipnotizzato, alla scena primaria, alla scena delle origini? Alla scena della sua origine? Troviamo qui, non come elemento consolatorio e irenico, ma perturbante e inquietante, il nesso profondo tra sessualità e generatività. In ogni atto sessuale ciascuno di noi ricapitola la scena eccessiva e debordante, impensabile e per questo traumatica, della nostra origine.
Origine sulla quale i bambini passano infiniti giorni ad alambiccarsi con fantasie e supposizioni, che piano piano strutturano, insieme agli eventi della cura materna e paterna, la loro immagine corporea e la loro individuazione e separazione dall'ambiente, e che rimane come traccia, insieme a tutto quel mondo di fantasie infantili cui ho accennato, nel mondo degli adulti alle prese con la fatica di essere e conquistare ogni giorno, io direi soggettivare, la propria sessualità e identità di genere.
Il che ci porta ad un'ultima constatazione sulla selvatichezza della sessualità e a considerazioni su temi più ampi e complessi, come quello, tra la sessualità (come complesso di identità sessuale, scelta sessuale, concepimento) e la tecnica.

4 - sessualità e tecnica

Forse non tutti conoscono la storia del primo transessuale, sulla quale è stato fatto un film (The Danish Girl) riguardante una vicenda ambientata negli anni venti e trenta del secolo scorso. Un medico inventò una tecnica per cambiare il sesso ai maiali. Il transessuale zero fu un uomo (o meglio una donna nata in un corpo di uomo) che, venuto a conoscenza di questa tecnica, contattò il chirurgo per chiedergli un intervento su di sé. Fu così il primo transessuale, il primo paziente, che ebbe la possibilità di cambiare sesso.
Cosa ci insegna questo episodio, anche da punto di vista bioetico? Ci insegna che una volta che noi abbiamo a disposizione una tecnica, non possiamo più fare come se non ci fosse. Il comparire di una nuova tecnologia modifica la soglia dell'umano, la altera irreversibilmente, e non possiamo più fare finta che non esista. La possiamo proibire, ma inutilmente, perché quello che verrà proibito, semplicemente passerà sul lato oscuro della vita, ed accadrà ugualmente. Possiamo vietare l'aborto, semplicemente l'aborto diventerà clandestino. Vietassimo il cambiamento di genere sessuale, semplicemente questo si sposterà sul mercato clandestino, come è stato per molto tempo all'origine e come è ancora adesso, almeno in parte.
Nel momento in cui compare una nuova pratica tecnica, la forma dell'umano si modifica. Un esempio classico, forse più intuitivo: l'uomo della cultura orale non corrisponde minimamente all'uomo della cultura scritta. I mondi orali, come quello degli indio Yanomami, non hanno una cultura scritta. E non scrivere vuol dire innanzitutto non scrivere la storia. La cultura orale è una cultura del presente, in cui la storia viene totalmente ricapitolata, ma anche reinventata. Gli Yanomami non hanno un testo scritto che stabilisca come le cose andarono effettivamente dal punto di vista dell'osservatore universale, come è avvenuto per esempio per le guerre del Peloponneso narrate per iscritto da Tucidide. La loro storia è costantemente riprodotta, ricreata nei canti orali e rifondata in quel momento. Non c'è il testo zero rispetto al quale le traduzioni differiscono. Quindi, per prima cosa, l'uomo della cultura orale non scrive, e non vive nella storia. Tutto questo ha delle conseguenze sui soggetti. Se io non posso dire come le cose sono avvenute veramente, la stessa identità soggettiva rimarrà agganciata ad un presente senza storia. Curiosamente, gli Yanomami non hanno neanche una psicologia. Se io non ho una scrittura, che presuppone che ci sia un significato dietro lo scritto, non avrò neanche un corpo dietro il quale ci sarà un'anima.
Se andiamo a ricapitolare la storia della nostra cultura classica, vedremmo che l'anima non compare all'improvviso come un oggetto che abbiamo scoperto nel mondo, ma è il prodotto di una evoluzione epocale determinata dal passaggio dalla cultura orale alla cultura scritta, e alla cultura scritta alfabetica, per la quale il linguaggio, composto di segni convenzionali, deve rendere ragione dei significati che davvero contano. Ecco qui il corpo come tomba dell'anima. Come infatti il linguaggio, insieme di segni convenzionali, deve render ragione dei significati che davvero contano, così il corpo è il segno dell'anima, il segno di ciò che davvero conta. In questo modo il corpo non conta più.
La scrittura può essere vista e letta come una tecnica, una tecnica che nel momento in cui compare cambia profondamente lo statuto dell'umano. Oggi, anche se siamo ancora parzialmente all'interno del paradigma della scrittura, stiamo vivendo una trasformazione antropologica che riguarda non solo la natura dei nuovi media, ma il fatto che si va verso una nuova rivoluzione, quella della realtà aumentata, o della realtà simulata, che ha risvolti anche per la sessualità. I confini tra il reale e il virtuale stanno cominciando progressivamente a slabbrarsi e a confondersi. Questa rivoluzione è in corso.
Ogni trasformazione tecnologica comporta mutamenti nell'umano. Nel momento in cui ho a disposizione una tecnica di cambiamento del sesso, apro la possibilità alla transessualità che prima non esisteva. Il transessuale, prima dell'avvento di nuove tecniche operatorie, era ritenuto semplicemente un matto, una persona che delirava perché pretendeva di essere un maschio in un corpo di donna, o viceversa. Il fatto che la tecnica abbia reso possibile questa transizione ha mutato lo statuto della psicopatologia, ha mutato lo statuto del delirio. Quello che prima era delirio, diventa una rivendicazione politica.
Questo cambiamento ha aperto la strada ad un'altra mutazione. Se possiamo cambiare sesso, la decisione sul sesso diventa una decisione politico-identitaria e non di devianza psichiatrica. Da ora in poi, stiamo cominciando ad autorizzare un mondo in cui sarà possibile discutere in ogni momento non solo del sesso, ma anche della propria identità indicata nel nome. È di qualche anno fa, l'intervento di un sindaco di New York che riconobbe il diritto ai cittadini di decidere sul proprio nome, di scegliere un nome maschile o femminile. Una posizione del genere fa rientrare la decisione del proprio sesso nell'ambito delle decisioni politiche.
Questo vale anche per la fecondazione. Nel momento in cui io posso usare una serie di tecniche che modificano le possibilità del concepimento, non posso più fare come se queste non ci fossero. Posso solo misurarne le conseguenze, e cioè che non abbiamo più bisogno di un uomo e di una donna per avere un bambino. Qualche anno fa è stato possibile, attraverso manipolazioni del midollo, dedurre gli spermatozoi dal midollo di una donna. Quindi è possibile circoscrivere il circuito della fecondazione totalmente all'interno del femminile, con totale esclusione del maschile. Nel momento in cui io posso impiantare gli ovuli fecondati in un utero, si distrugge la coppia parentale e si creano nuove possibilità come quelle della gravidanza surrogata. Anche in questo caso vietare non serve. Quello che si vieta semplicemente si trasferirà su un'altra scena, ovviamente illegale.
La mostra Dolls con i bambolotti, realizzata dalla Fondazione Prada, racconta la stessa cosa da un vertice diverso. Nel momento in cui posso proporre un bambolotto sufficientemente antropomorfo ad un soggetto che l'accetta come partner, sto assistendo ad un cambiamento sia dell'umanità che della relazionalità. Il processo è irreversibile, perché basta che sia logicamente possibile perché possa installarsi senza contraddittorio.
Ora, siamo in conclusione, cosa ci dice tutto questo rispetto alla sessualità e a tutti i suoi risvolti (concepimento, identità di genere, scelta di oggetto sessuale e così via), se non che la sessualità, per quanto indipendente dai dati biologici, è invece plastica e pronta a sfruttare i cambiamenti delle pratiche di scrittura del mondo, ossia delle trasformazioni culturali, di costume e tecnologiche, mostrando una volta di più la sua intima relazione con una libertà radicale che non si presenta senza interrogarci profondamente. Ad esempio mettendo in relazione la libertà radicale di cui la sessualità è portatrice, con la relazione della vita umana con la tecnica. Relazione che andrebbe finalmente problematizzata, allontanando il pregiudizio che fa della tecnica il luogo di alienazione dell'umanità, per rileggerlo più profondamente e cominciare a vedere come vita umana e tecnica alla fine coincidano. A cominciare a vedere nella tecnica la verità della vita umana, l'impossibilità di dissociarle. L'impossibilità di dissociare la vita umana dalle sue pratiche di scrittura. Ma questo è tutto un altro discorso.

gender e omosessualità

di Giannino Piana

Sono grato per l'invito a partecipare a questi incontri che ho frequentato fin dagli inizi nel ricordo riconoscente di don Giacomini. Pallanza, negli anni successivi al Concilio e agli inizi del mio insegnamento, è stato l'ambiente che più mi ha stimolato e sostenuto.
Percorrerò un itinerario non in perfetta continuità con quello proposto da Andrea Bocchiola di carattere squisitamente psicologico e psicoanalitico sul rapporto, o meglio, sul non rapporto tra sessualità e corporeità, e sul rapporto-non rapporto tra sessualità e relazioni interpersonali e sociali. Terrò conto e reagirò ad alcuni spunti del suo intervento nel proporre la mia riflessione non tanto sulla sessualità in generale, di cui altre volte ho parlato, quanto su due specifiche tematiche particolari, quella del gender e quella dell'omosessualità, con qualche accenno alla transessualità. Omosessualità e transessualità spesso vengono confuse, pur essendo diversissime non solo dal punto di vista psicologico e psicoanalitico ma anche dal punto di vista antropologico.

sesso e gender

La parola "gender", termine inglese tradotto abitualmente in italiano con "genere", pur avendo la stessa radice etimologica, ha una caratura diversa. Mentre il termine "genere" è applicato abitualmente al genere maschile e al genere femminile, il termine "gender" ha una articolazione molto più ampia.
Affronterò la tematica del "gender" in tre momenti. Anzitutto cercheremo di chiarire il concetto di "gender", utilizzato con accezioni molto diverse. Si parla spesso di "teoria del gender", qualche volta di "ideologia del gender", soprattutto quando si vogliono sottolineare gli aspetti negativi. Preferisco utilizzare il termine più corretto scientificamente di "studi di genere", indicando in questo modo quegli studi che si sono sviluppati a partire dagli anni 90 negli Stati Uniti. Lo stesso termine "gender" ha subito una costante evoluzione e la sua problematica occupa un posto centrale nella riflessione antropologica e etica sessuologica.
In un secondo momento recupereremo le radici del concetto di "gender" facendone una verifica critica.
Infine, in un terzo momento, metteremo in evidenza le implicazioni etiche del discorso sul "gender", che agitano una opinione pubblica a volte frastornata e che vedono posizioni molto diverse e anche contrapposte sia all'interno del mondo laico che in quello che fa riferimento alla tradizione cristiana, forse soprattutto cattolica.

il concetto di gender
Il primo a parlare di gender è stato uno psicosessuologo americano, George Money, il quale, studiando il fenomeno dell'ermafroditismo, anche nei suoi risvolti più profondi, ha iniziato a cogliere la differenza che esiste tra il sesso, che è il dato biologico costitutivo dell'identità personale, e il gender, che è invece, come lui lo definisce, una sorta di costrutto socio-culturale prodotto dai modelli sociali e dai modelli culturali del contesto in cui si vive.
A partire da queste considerazioni si è posta poi l'attenzione sulla distinzione tra tre diversi livelli dell'identità.
Anzitutto c'è l'identità in cui uno si identifica, quella che si percepisce, che si riscontra dentro di sé. È una identità che può essere diversa, come nel caso della transessualità, dal dato biologico originario.
C'è poi il ruolo, vale a dire come il soggetto viene percepito dalla società dentro la quale vive, ovvero quale modello di comportamento ci si attende dall'essere uomo o dall'essere donna all'interno di quella società.
C'è infine il comportamento che discende in parte dall'identità e in parte dal ruolo. Il comportamento indica la modalità secondo cui si esercita nelle relazioni la vita sessuale, legata in parte predominante al sesso biologico ("sex"), in parte ai condizionamenti culturali.
Nella maggior parte dei casi c'è correlazione armonica tra i tre livelli dell'identità (modo di percepirsi, modo in cui si è percepiti, comportamento messo in atto). È la situazione considerata normale, in quanto statisticamente più diffusa.
Esistono poi tutta una serie di modalità di percepirsi e di costruire la propria identità in cui non c'è correlazione tra i tre livelli, come nel caso dell'omosessualità, della transessualità, della bisessualità ecc.
Fino a qualche anno fa, su riviste scientifiche, venivano elencate 23 modalità diverse di identità, oggi si parla di 40. Si rischiano eccessi ideologici sul gender, che possono essere di ostacolo nel cogliere l'effettiva rilevanza e importanza della tematica del gender stesso.
Le ragioni per cui, dagli inizi degli anni 90 si è sviluppata la riflessione sul gender sono molteplici.
Una prima ragione è legata alla riflessione dei movimenti femministi, una riflessione articolata e non univoca. Nella fase più recente si è passati (almeno in alcune aree della propria elaborazione) dal teorizzare il valore delle differenze, proponendo come modello la reciprocità tra i sessi, alla loro negazione, perciò alla rinuncia a catalogare i generi in forza dell'apertura a un intreccio indefinito di possibilità espressive anche a livello sessuale.
Anche le rivendicazioni dei movimenti omosessuali in relazione al fenomeno dell'omofobia hanno contribuito a porre l'attenzione sulle tematiche del gender.
Un'altra ragione è lo sviluppo della ideologia liberale, che ha sottolineato con forza la libertà dell'autocostruzione individuale della persona. La riflessione prevalentenella nostra cultura attuale spinge in direzione della esaltazione dell'individualismo anche in reazione all'eccesso di politicizzazione degli anni 70. Lo stesso movimento femminista porrà la propria attenzione sulle tematiche legate alla soggettività, al piacere, al desiderio, all'autorealizzazione. Dietro le teorie del gender c'è certamente una interpretazione della vita in senso individualistico.
Si deve aggiungere poi che un ulteriore (e decisivo) contributo all'approfondimento dei presupposti antropologici che stanno alla radice della teoria del «gender» (oltre a quelli già segnalati dell'ideologia liberale e del pensiero femminista) è stato fornito dalla riflessione di alcuni pensatori di area francese - da Michel Foucault a Gilles Deleuze sino a Jacques Derrida - che, partendo dalla consapevolezza della ricchezza dell'umano, hanno reso trasparente come la questione dell'identità vada ripensata nell'ottica di una maggiore attenzione alla singolarità della coscienza di sé e della propria libertà, nonché facendo spazio alle decisioni soggettive e agli stili di vita personali ed evitando perciò di dare l'adesione a paradigmi universalistici, che non rispettano le diversità individuali.

natura e cultura
La tematica del gender quale rilevanza ha sul piano della riflessione antropologica? Costituisce una novità assoluta rispetto al passato? Ci sono certamente degli antecedenti. Ricordo di aver letto una cinquantina di anni fa un libro di un antropologo francese, Abel Jeannière, (Antropologia sessuale, Gribaudi, 1969) in cui si metteva a fuoco la questione degli elementi che costituiscono l'identità dell'umano. Venivano analizzate tre ipotesi formulate nel corso della storia.
La prima ipotesi riconduce l'identità dell'umano al dato biologico. È una interpretazione dell'umano di tipo naturalistico, in cui la natura umana è intesa solo in senso biologico e non invece in modo che tenga conto anche di razionalità e coscienza. Il riferimento a un dato biologico originario si riflette sul modo di percepire l'identità e il comportamento personale. In questa visione naturalistica la pratica dell'omosessualità viene ritenuta contro natura, e non perché, come in seguito si dirà, non rispetti la dualità originaria dell'umano, la reciprocità dell'essere maschio e dell'essere femmina, ma per ragioni di fecondità. In un contesto in cui la fecondità era un elemento di grande rilevanza (tratto che contraddistingueva tutte le culture occidentali), l'inaccettabilità della pratica omosessuale risiedeva nella infecondità.
Per la stessa ragione era condannata e ritenuta contro natura, la masturbazione, la dispersione del seme maschile, allora considerato il vero contenitore della vita. E sempre per la stessa ragione non era ritenuto comportamento contro natura la violenza all'interno del rapporto sessuale, perché comunque aperto alla fecondità. La violenza nei confronti della donna non era ritenuta un comportamento contro natura, ma semmai un atto ingiusto.
Una seconda ipotesi è legata alle teorie più radicalmente culturali. Simone de Beauvoir, nel Seondo sesso, afferma che non si nasce uomo o donna ma lo si diventa, grazie ai processi culturali, grazie al fatto che la cultura impone certi modi maschili o femminili di essere. Mentre le teorie naturalistiche affermano che essere uomo o essere donna è un puro prodotto del dato biologico, questa ipotesi afferma che l'essere uomo o donna è un puro prodotto culturale, un prodotto della cultura dominante.
Per Jeannière la teoria interpretativa più vera dell'identità dell'essere umano, dell'essere uomoe dell'essere donna, va fatta risalire alle teorie relazionali. Né il puro dato biologico, né quello solo culturale fanno l'identità. L'identità avviene nella relazione, nel faccia a faccia tra uomo e donna, nel faccia a faccia in cui si diventa uomo nei confronti della donna e si diventa donna nei confronti dell'uomo. Nei casi normali il confronto con la femminilità da parte dell'uomo e il confronto con la mascolinità da parte della donna costruiscono l'identità di ciascuno. La relazione, segnata da un dato biologico e da processi di carattere sociale e culturale, diventa il momento forte, costituisce il fondamento della costruzione della identità.
Trovo questa prospettiva interessante perché ci riporta a quella concezione dell'uomo non come individuo ma come persona, nel solco di una tradizione culturale oggi molto attuale anche dal punto di vista politico, lontana sia dall'individualismo assolutizzato dimentico del sociale, sia dal collettivismo che non rispetta l'individualità. La persona è certamente un individuo, con una identità unica e irripetibile, ma è anche costitutivamente un essere relazionale, che si autocomprende e si autocostruisce nella relazione, a partire dalle relazioni parentali fino a quelle più estese.
La visione relazionale fa superare sia la concezione riduzionistica al dato biologico sia quella riduzionistica al dato culturale accogliendole entrambe.
Dal passato è possibile attingere sollecitazioni interessanti e non sterili, importanti per interpretare e accompagnare il processo attuale sempre più complesso, caratterizzato dalla nascita della questione del gender, che necessita di ulteriori analisi e approfondimenti.
È senz'altro merito della teoria del «gender» l'aver dato maggiore rilevanza nella definizione dell'identità di genere ai vissuti personali, concorrendo così al superamento di alcuni pregiudizi, fonte di gravi discriminazioni, come quelle che hanno a lungo determinato (e in parte tuttora determinano) l'emarginazione di alcune categorie di persone, gli omosessuali e i transessuali in primis. D'altra parte, non si può negare che esista un indubbio aspetto di verità nella difesa che la gerarchia cattolica ha fatto (e fa) del dato biologico quale base imprescindibile dell'umano, segnalando pertanto il pericolo che la sua decostruzione finisca per comprometterne gravemente l'identità.

gender e etica
Alla radice del problema del gender sta il rapporto tra natura e cultura, senza riduzioni né alla sola natura (se sacralizziamo il dato naturale cadremmo in una visione materialistica che fa dipendere tutto dal dato biologico) né alla sola cultura. Il rapporto natura cultura è un rapporto complesso, dialettico, in cui i due elementi confluiscono e devono in qualche modo interagire tra loro. L'identità umana è certamente frutto di processi legati in parte alla natura e in parte alla cultura (intesa in senso antropologico) e che si sviluppano in una direzione di reciprocità che si manifesta in diverse modalità. L'omosessualità esprime una diversa modalità di sviluppo della relazionalità. Diversa non perché negativa, ma perché si discosta dai comportamenti considerati statisticamente normali, prescindendo da inaccettabili valutazioni etiche.
C'è una radice biologica originaria dell'umano che deve essere riconosciuta. Il documento conclusivo del sinodo sulla famiglia, riprendendo un testo predisposto dal gruppo di lingua tedesca,mette bene in evidenza la correlazione tra sesso e gender, e cioè come l'identità dell'umano sia fatta sia dal sesso che dal gender e dal loro intreccio. Per quanto riguarda il dato "naturale", occorre tener conto che la natura umana non è mai puramente biologica in quanto rinvia sempre alla cultura. Già Tommaso faceva consistere nella razionalità (natura ut ratio) la specificità della natura umana. La razionalità è ciò che mi permette di conoscere e anche di intervenire in modo equilibrato sul dato biologico.
Ci sono modi assai diversi di intendere il gender, alcuni dei quali discutibili ed equivoci. Si pensi alla ideologia gender di cui parlavo all'inizio, o alla teoria queer (identità di genere e sessuale per lo più costruita socialmente). Si sostiene non solo che uomini e donne si diventa, ma che si nasce con una identità neutra. Si sostiene l'opportunità di dare ai bambini che nascono non un nome maschile o femminile, ma un nome neutro, perché poi l'interessato possa scegliere il grado medio della propria identità. Si parte dal presupposto che non esiste un dato originario dell'umano, ma che tutto è continuamente interscambiabile: radicalizzando, posso essere un giorno uomo, quello successivo donna per poi tornare nuovamente uomo... Sono queste le posizioni che secondo me preoccupano l'attuale papa e non senza ragioni. Qualche volta papa Francesco è intervenuto per sostenere che esiste una identità originaria dell'umano, quella dell'essere uomo e dell'essere donna, su cui costruire la vita delle relazioni.
Respingendo posizioni unilaterali e semplificatrici di marca strettamente ideologica che hanno peraltro scarsi riscontri nella realtà, si deve ammettere che la lettura del mondo umano che proviene dalla teoria del «gender» non può che sollecitare l'etica in generale, e quella di ispirazione cristiana in primo luogo, a fondare i propri orientamenti su basi più ampie di quelle tradizionali, prestando maggiore attenzione alle complesse dinamiche che presiedono alla costruzione dei comportamenti, dinamiche legate ai processi strutturali e culturali propri della società cui si appartiene.
La rivelazione biblica offre, a tale proposito, importanti suggestioni,e invita a riflettere sulla dialettica esistente tra la postulazione di un «principio», l'archetipo, al quale non si può rinunciare (cioè la differenza dei sessi che ha la sua origine nel dato biologico e che viene ricondotta all'ordine della creazione) e il costante riferimento alle forme culturali, che modellano, di volta in volta, l'identità e le preferenze sessuali, configurandole, nella loro dimensione storica, come fenomeni in costante divenire.
La riflessione sin qui condotta ci riporta ad una idea di ethos, e quindi di comportamento, connessa al significato originario proprio del termine greco, che per un verso significa "dimora", vale a dire stabilità e appartenenza, e per altro verso "costume", vale a dire variabilità dei comportamenti. Ethos indica il comportamento morale legato in parte alla cultura ma non senza radici.
Il rapporto tra attenzione alle radici e attenzione alla mobilità dell'esperienza umana richiede la ricerca costante di un equilibrio mai fissato una volta per sempre. Non devo dimenticare le radici, che sono sì radici biologiche ma anche, come insegna Tommaso, non biologiche, come la dimensione della socialità, come la dimensione dell'apertura al futuro (che caratterizza il mondo umano a differenza di quello animale). Non devo però neppure dimenticare il "costume" e la variabilità dei comportamenti. Occorre avere nella riflessione etica una certa duttilità che permetta di cercare costantemente un equilibrio tra i due momenti, attenti alla continuità e aperti al cammino di novità.

omosessualità

Non tratterò il problema della transessualità per motivi di tempo. Mi soffermerò solo su due aspetti relativi all'omosessualità. Anzitutto affronterò l'aspetto più propriamente antropologico, che riguarda la definizione di omosessualità, riconducendo l'omosessualità al comportamento omosessuale.
Secondariamente farò qualche riflessione di carattere etico. La ricaduta etica è importante perché ci aiuta a capire come vanno valutati i comportamenti. Come ci ricordava Giancarlo nell'introduzione, la tentazione ricorrente è quella di ridurre l'etica a valutazione dei comportamenti, soprattutto dei comportamenti negativi, dimenticando che la ragione più importante dell'etica è quella di orientare positivamente, di offrire delle prospettive e dei cammini positivi, che aiutino la crescita della persona rispetto ad alcuni orizzonti di senso che si traducono poi in valori.

omosessualità, un modo di essere al mondo
L'omosessualità - quella vera - è la tendenza di una persona adulta (pienamente formata) a vivere la propria esperienza affettiva e sessuale con persone appartenenti al proprio stesso sesso. Si tratta di un'attitudine stabile (e irreversibile), di un vero e proprio modo di essere-al-mondo, che coinvolge tutti gli aspetti della personalità: dal rapporto con il proprio corpo al rapporto con gli altri e con la natura. In realtà, al di là della definizione appena data, l'esperienza omosessuale (come del resto quella eterosessuale) si differenzia profondamente da soggetto a soggetto, al punto che più che di omosessualità, si dovrebbe parlare di "persone omosessuali", cioè di persone accomunate dall'orientamento omosessuale, che viene tuttavia vissuto secondo modalità tra loro profondamente differenziate.
Anche per quest'ultima ragione è difficile risalire alle cause che sono alla base dell'insorgenza di tale orientamento. Nonostante il moltiplicarsi negli ultimi decenni di studi sempre più accurati, permane tuttora la divisione tra chi ritiene l'omosessualità una tendenza innata e chi invece la ritiene una tendenza acquisita. Ma ancora più complesso e frastagliato è il panorama dei fattori che vengono chiamati in causa per cercare di spiegarne le motivazioni: si va da chi attribuisce l'origine dell'orientamento omosessuale al dato biologico, oggi in particolare al patrimonio genetico; a chi lo riconduce ai processi psicologici ed educativi dei primi anni di vita; e a chi, infine, chiama in causa il fattore culturale, facendo riferimento ai modelli dominanti e alla loro incidenza sulla formazione della personalità.
Più che assolutizzare, in maniera unilaterale, l'uno o l'altro dei fattori in gioco è forse più corretto tenere in considerazione l'intreccio che spesso tra essi si istituisce, e che assume connotati diversi a seconda delle diverse situazioni soggettive. L'attrazione omosessuale rimane del resto (come peraltro quella eterosessuale) avvolta nel mistero; in causa vi è infatti il mistero della persona dì cui la sessualità è diretta espressione.
Va detto che anche l'eterosessualità è un mistero ed è avvolta in una dimensione di enigma. Le ragioni per cui si fa una scelta, anche eterosessuale, non sono mai riconducibili totalmente a ragioni oggettive. Certamente la bellezza e l'intelligenza di una persona hanno un'importanza, ma non esclusiva. Al di fuori del contesto di una certa relazione si possono trovare persone più intelligenti e più belle. Il problema della scelta rimane insolubile. La scelta ha a che fare col mistero, ha a che fare con l'enigma nel senso profondo del termine.
A livello di omosessualità, come pure a livello di eterosessualità, si deve tener conto dell'esistenza di una gamma indefinita di percezioni, che sono diverse anche a seconda del singolo soggetto. Sentirsi omosessuali non è detto che sia la stessa cosa per tutti coloro che si definiscono tali. La percezione è molto differenziata a seconda delle situazioni, delle esperienze di vita, ecc.

dimensione antropologica
Venendo al primo aspetto, quello antropologico, vorrei fare alcune considerazioni, per soffermarmi poi sulle implicanze etiche.
Una prima considerazione si riallaccia al discorso della tradizione biblica, che contiene un'interpretazione non particolarmente benevola di questi fenomeni. Sappiamo che l'omosessualità nel mondo ebraico - si vedano in proposito alcuni testi del Levitico - veniva condannata e punita con la messa a morte. Si riteneva l'omosessualità un abominio. Nel primo capitolo della Lettera ai Romani, quindi in un testo del Nuovo Testamento, Paolo con una certa enfasi mette l'omosessualità in relazione stretta con il peccato di origine, e quindi con la decadenza dell'uomo. Vede l'omosessualità come una sorta di rifiuto dell'ordine creazionale, dell'ordine divino originario.
Però nella Bibbia, ci sono anche spunti molto interessanti, che consentono altre prospettive che cercherò di rielaborare da un punto di vista più propriamente antropologico e filosofico.

l'unità dell'umano sta prima della differenza
La prima affermazione particolarmente significativa è che l'unità uomo-donna sta prima della differenza uomo-donna. L'unità dell'umano sta prima della differenza. L'umano, prima di tutto, nel suo statuto originario, è una unità all'interno della quale si istituisce poi una differenza. Questo è vero da tutti i punti di vista. È vero dal punto di vista biologico. Ciò che distingue l'essere uomo dall'essere donna è solo una Y all'interno del patrimonio genetico. Esiste certamente il dimorfismo sessuale, ma all'interno dell'unità dell'umano.
E anche dal punto di vista psicologico e antropologico, il maschile e il femminile non sono due realtà che appartengono esclusivamente o all'uomo o alla donna, ma sono due dimensioni costitutive tanto dell'essere uomo quanto dell'essere donna. Per utilizzare un approccio di tipo junghiano, l'animus e l'anima sono presenti sia nell'uomo che nella donna. Cioè il maschile e il femminile sono costitutivi dell'essere tanto dell'uomo quanto della donna. Semmai è il modo in cui si rapportano tra loro, che differenzia poi l'essere uomo e l'essere donna.
Le differenze che riscontriamo dal punto di vista dei comportamenti, dei ruoli, sono molto legate alla cultura, cioè ai processi culturali intervenuti.
Questo discorso che privilegia l'unità sulla differenza lo troviamo presente in modo significativo anche nei testi della creazione, in Genesi. Il racconto della Genesi dice con chiarezza che l'Adamo originario era maschio e femmina insieme e che dall'Adamo originario viene poi tratto l'uomo e la donna. Dalla costola non viene fuori Eva. L'Adamo originario, diviso, fa sussistere l'uomo e la donna. Da quel momento nasce l'uomo e la donna.
Un passo del libro della Genesi conferma l'affermazione appena fatta: "A sua immagine lo creò, maschio e femmina li creò". L'Adamo originario, creato a sua immagine, è l'unità, l'unità dell'uomo e della donna. La differenziazione scaturisce da questa originaria unità.
L'unità originaria spiega anche come le differenze non siano al primo posto nel rapporto uomo-donna. Prima viene ciò che accomuna l'uomo e la donna, non ciò che li distingue. La differenza sessuale, cioè il fatto di essere uomo o donna, è meno rilevante di quanto sembri, è solo un piccolo aspetto all'interno di una realtà molto più unitaria che differenziata.
Mi sono soffermato su questa prevalenza dell'unità, sia per evitare di privilegiare semplicemente la datità biologica, che pure presenta una certa continuità, sia per tener conto che la differenza nell'umano è la differenza del soggetto, della sua unicità e irripetibilità. Quando si manifesta una contrarietà all'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali a causa della mancanza della differenza di genere, si dimentica che c'è anche la differenza dei due soggetti come persone, che interagiscono come persone.
È opportuno sottolineare che la differenza non è soltanto quella sessuale. Più importante è la differenza personale: anche tra due maschi e tra due donne ci sono delle diversità soggettive personali molto profonde che possono interagire creando condizioni dialettiche nel rapporto.

la relazione è più importante delle modalità in cui si realizza
Un'altra affermazione importante dell'antropologia moderna, che ha riscontri anche nelle Scritture,
è che la relazione è più importante della modalità in cui si realizza. Cioè la relazionalità è un dato costitutivo dell'umano. Vi è certamente un archetipo fondamentale, e su questo sono d'accordo anche con quanto dice ripetutamente papa Francesco, cioè che la relazione uomo-donna è un archetipo, costituisce cioè un modello esemplare. È sì un archetipo che però si sviluppa anche attraverso altre forme, altre modalità, come quella transessuale, quella omosessuale... Per la verità, quella transessuale è più vicina all'archetipo, dato che il rapporto è vissuto come eterosessuale. L'uomo che si sente donna e che quindi si percepisce come donna, va alla ricerca di un altro uomo, ma in quanto vuol vivere quel rapporto come rapporto da donna a uomo. Non si tratta pertanto di un rapporto omosessuale. Vi è una grande differenza tra l'omosessualità e la transessualità, come ben sappiamo.
Tutte le scienze umane, come la psicologia, ecc., evidenziano l'importanza della relazionalità. Noi siamo, come persone, soggetti in relazione, soggetti che vivono in relazione, che si sviluppano e diventano autocoscienti nel rapporto con l'altro, con gli altri, con il mondo, con la vita. La costituzione dell'umano è relazionalità. Se è relazionalità, questa relazionalità si sviluppa in tutta la ricchezza dei suoi significati in forme diverse, sia pure naturalmente con l'esclusione nel caso dell'omosessualità della dimensione procreativa, impossibile dal punto di vista fisico.
Quindi c'è una limitazione della possibilità generativa, come ci sono anche altre limitazioni legate al fatto che la differenza sessuale ha una certa rilevanza in rapporto allo sviluppo della relazione. Però la relazione è il dato fondamentale.
Prima dicevo che nella Genesi l'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, e questa immagine e somiglianza si realizza anzitutto nell'unità dell'umano, e poi anche nella differenza. Ma anzitutto nell'unità. L'uomo è immagine di Dio in quanto è all'interno di se stesso relazione, che poi trova espressione nell'essere uomo e nell'essere donna. D'altra parte tutta la tradizione cristologica e trinitaria che si è sviluppata all'interno del cristianesimo mette l'accento sul fatto addirittura che Dio è relazione. Dio non ha relazione, ma è relazione. Quando Giovanni al termine del Nuovo Testamento, afferma che "Dio è carità", non dice che "ha la carità". Dire che "è carità" è cosa molto diversa dal dire che ha la carità. Cioè la carità è la misura di Dio, è l'essenza stessa di Dio, Dio è carità. Come può Giovanni dire che Dio è carità? Lo può dire perché il Dio che si è rivelato attraverso Gesù Cristo non è un Dio solitario. Di un Dio solitario non si può indicare la carità come costitutiva del suo essere. Soltanto un Dio che vive in relazione di persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito, può essere definito carità. L'amore implica la relazione. L'essere amore implica essere costitutivamente in relazione. La relazionalità, ancor prima delle modalità in cui si realizza, esprime lo stesso mistero cristiano in tutta la sua concretezza, in tutto il suo dispiegarsi.

i criteri della valutazione morale
Il giudizio morale sugli atti e sul comportamento omosessuale è andato soggetto, sul piano storico, a considerevoli mutamenti. La tradizione ebraico-cristiana, che ha esercitato una grande influenza sulla formazione del pensiero occidentale, è stata a lungo caratterizzata (e lo è tuttora in parte) da una visione fortemente negativa nei confronti dell'esercizio dell'omosessualità. Il riferimento ad alcuni testi del Primo Testamento e del Testamento cristiano, come abbiamo visto, e l'incidenza, che le correnti dualiste del tempo - dal neoplatonismo allo stoicismo, dallo gnosticismo al manicheismo - hanno avuto nei primi secoli sugli sviluppi della tradizione cristiana hanno contribuito a determinare tale visione.
La manualistica morale cattolica, che nasce alla fine del XVI secolo, dando sistemazione alle indicazioni scaturenti dalla teologia patristica e medioevale - per le quali l'omosessualità viene indicata con il termine dispregiativo di "sodomia" - non fa che accentuare questa prospettiva. L'omosessualità è collocata nell'elenco dei peccati "contro natura", perché l'esercizio della sessualità avviene qui al di fuori dell'apertura alla fecondità procreativa, che è considerata come il fine cui l'incontro sessuale connaturalmente tende.
I documenti ufficiali del magistero cattolico più recenti non si discostano di molto da questa posizione. Pur non usando più il concetto di "contro natura" e distinguendo l'orientamento omosessuale dall'atto e dal comportamento, non esitano a considerare lo stesso orientamento (tendenza) come "intrinsecamente disordinato", e dunque a ritenere eticamente inaccettabile qualsiasi atto omosessuale.
La possibilità di uscire da questa distretta è legata a un radicale cambiamento di paradigma; al passaggio cioè da un paradigma "naturalistico" - quello soggiacente alle dottrine ricordate - a un paradigma "relazionale", il quale, sia nel momento valutativo che in quello propositivo, privilegi come criterio (al pari del resto a quanto avviene nell'ambito eterosessuale) la qualità della relazione, la capacità cioè di viverla nel segno dell'amore reciproco. Le difficoltà che al riguardo si incontrano nel vivere il rapporto omosessuale - difficoltà provocate in larga misura dall'ostilità o almeno dalla diffidenza dell'ambiente esterno - non escludono certo la possibilità di dare ad esso - come è peraltro dimostrato da molti significativi esempi - una dimensione di vera autenticità. L'assenza della differenza sessuale e dell'apertura alla fecondità procreativa non costituiscono ostacoli insormontabili all'attuazione di tale progetto. Non si deve, d'altronde, dimenticare che la differenza sessuale non è l'unica forma di differenza soggettiva - la più significativa e radicale è infatti quella legata alla unicità e irripetibilità della persona - e si deve inoltre ricordare che la fecondità, in quanto apertura del rapporto agli altri, non si esaurisce nella procreatività, ma ha un raggio di espressione molto più ampio e socialmente rilevante.
Ho potuto verificare l'importanza della relazione quando, su richiesta di don Ciotti, ho accompagnato un gruppo (Davide e Gionata) di omosessuali credenti, singoli e coppie. Mi aveva molto colpito il fatto che le persone più stabili e equilibrate erano quelle che avevano una relazione stabile con un partner.
La qualità della relazione, la modalità in cui viene vissuta, costituisce pertanto il criterio etico fondamentale per orientare e valutare un comportamento. Questo vale per ogni rapporto sia etero che omosessuale.
Nella valutazione devo tener conto di alcuni valori, come quello della gratuità, della fedeltà non ripetitiva ma creativa, della fecondità come apertura agli altri e non riducibile alla dimensione biologica della procreatività.

riassunto

una sessualità indipendente dalla corporeità
(Andrea Bocchiola)

Freud è stato il primo a riconoscere la funzione strutturante della sessualità nella genesi dello psichismo e nella vita umana profonda e a scoprire l'inconscio, una dimensione del pensiero umano non accessibile direttamente alla coscienza.
Nell'approccio psicoanalictico la sessualità non ha a che fare necessariamente con la corporeità: la sessualità umana non è istinto, non è regolata istintualmente. La sessualità è indipendente anche dalla volontà, dal pensiero cosciente e dal desiderio consapevole. Il nocciolo incandescente della sessualità va reperito nel mondo sotterraneo dell'inconscio, dove si decidono i destini della nostra identità di genere e delle nostre scelte sessuali.
Inoltre la sessualità non può prescindere dal rischio del concepimento e non può mai prescindere da un certo grado di pericolo. Mostra una selvatichezza irriducibile.
Lo stesso concepimento è svincolato dal dato biologico, come testimoniano i tanti casi di infecondità psichica anche di coppia.
La costruzione di un'identità di genere non dipende solo dal dato biologico, ma anche da codici culturali e dal desiderio inconscio dei genitori.
Ma anche l'ambiente e l'identificazione ai genitori hanno un peso solo relativo nella costruzione della identità di genere, nella quale svolge un ruolo importante la dimensione della rinuncia. Per diventare un maschio o una femmina devo rinunciare ad essere "il" maschio o "la" femmina.
Nel corso della biografia di un uomo non solo l'identità sessuale ma anche la scelta sessuale non è mai stabile. Si può uscire da una biografia eterosessuale ed entrare in una omosessuale.
Dal punto di vista della psicoanalisi la propria identità di genere e la propria sessualità non sono mai stabilite una volta per tutte, ma devono in qualche modo essere ristabilite e risoggettivate, fatte proprie, in ogni momento della nostra vita, in ogni relazione e in ogni rapporto sessuale stesso.
La sessualità è indipendente da qualsiasi confine, dal confine della legge, dal confine dell'età, dal confine tra umano e animale, dal confine fra vita e morte, dal confine tra organico e inorganico
Il grado di libertà che la sessualità ha dalla corporeità, lo ha anche dalla "relazionalità" e dalla "affettività". La sessualità non è necessariamente un'apertura verso l'altro, un'apertura al futuro.
La sessualità - ulteriore tesi della psicoanalisi - è indipendente dall'altro ed è indipendente dalla relazione con lui.
Il bambino impara ad essere maschio o femmina non solo grazie a ciò che dicono i genitori ma anche a come il suo corpo viene manipolato. Le zone erogene nella loro evoluzione (orale, anale...) coincidono con le aree di dialogo con il mondo e la loro delimitazione è essenziale alla strutturazione del pensiero e alla delimitazione della differenza io-mondo. La sessualità è indipendente dalla relazionalità e dall'integrità del corpo dell'altro.
Quando dico che la sessualità è indipendente dal sesso biologico, voglio anche dire che la sessualità ha nel dato biologico l'esperienza dell'imponderabile, l'esperienza di un enigma con il quale occorre confrontarsi continuamente, che continuamente genera una battaglia e un conflitto dentro di noi.
C'è un nesso profondo tra sessualità e generatività. In ogni atto sessuale ciascuno di noi ricapitola la scena eccessiva e debordante, impensabile, della propria origine.
Infine sul rapporto tra sessualità e tecnica occorre riconoscere che ogni tecnologia modifica la soglia dell'umano. Possiamo vietarla ma senza risultati.
La tecnica non è solo lo strumento di cui la natura umana si dota per supplire a qualche grado di deficienza. La tecnica è consustanziale all'umanità e esprime la sua differenza intrinseca. L'umanità non è in grado di coincidere mai con se stessa, perché è sempre spostata sulla scena della tecnica e della cultura.

sesso e gender
(Giannino Piana)

Il concetto di gender è utilizzato con accezioni molto diverse e ha subìto una costante evoluzione. Sarebbe bene parlare di "studi di genere", prescindendo da preconcette valutazioni.
Lo psicosessuologo americano George Money, che per primo ha parlato di gender, ha colto la differenza tra il sesso, il dato biologico, e il costrutto socio-culturale, che ha chiamato "gender".
A partire da questo si è posta l'attenzione sulla distinzione tra tre diversi livelli dell'identità: il modo di percepirsi, il modo in cui si è percepiti (il ruolo), il comportamento messo in atto. C'è di solito una correlazione armonica tra i tre livelli. Esistono però anche tutta una serie di modalità di percepirsi e di costruire la propria identità in cui non c'è correlazione tra i tre livelli, come nel caso dell'omosessualità, della transessualità, della bisessualità ecc.
Le ragioni dell'avvento della riflessione sul gender sono molteplici. Un ruolo importante lo ha svolto il pensiero femminile, con una riflessione articolata e non univoca, come pure l'ideologia liberale che ha spinto in direzione dell'individualismo e dell'esaltazione delle forme di vita in senso individualistico.
L'antropologo francese Jeannière, già una cinquantina d'anni fa, sulla questione degli elementi che formano l'identità umanaindividuava tre di verse ipotesi formulate nel corso della storia: quella naturalistica che riduce tutto al dato biologico, quella che riconduce tutto al dato culturale (Simone de Beauvoir), quella relazionale, che tiene conto sia del dato biologico che di quello culturale.
L'uomo è percepito come persona e non solo come individuo, l'uomo è un essere costitutivamente relazionale.La teoria del "gender" ha avuto il merito di dare maggiore importanza ai vissuti personali,concorrendo così al superamento di alcuni pregiudizi, fonti di gravi discriminazioni, soprattutto per omosessuali e transessuali.
Alla radice del problema del gender sta il rapporto tra natura e cultura, senza riduzioni né alla sola natura né alla sola cultura. Ci sono modi assai diversi di intendere il gender, alcuni dei quali discutibili ed equivoci. La riflessione biblica offre importanti suggestioni e invita a riflettere sulla relazione tra l'irrinunciabile principio (la differenza fondata sul dato biologico) e le cangianti forme culturali. Attenzione alle radici e alla mobilità dell'esperienza umana alla ricerca di sempre nuovi equilibri.
omosessualità
(Giannino Piana)
dell'omosessualità ci si soffermerà solo sul alcune dimensioni antropologiche per delineare poi alcune indicazioni di carattere etico.
Nonostante nella tradizione biblica siano presenti valutazioni molto negative della pratica omosessuale è possibile cogliere alcune indicazioni particolarmente interessanti in una prospettiva antropologicofilosofica.
Anzitutto l'affermazione della precedenza dell'unità dell'umano rispetto alla differenza. L'umano, prima di tutto, nel suo statuto originario, è una unità all'interno della quale si istituisce poi una differenza. Questa affermazione è confermata dalla genetica, dalle scienze umane. Anche nel racconto della Genesi, l'umano originario è l'unità, da cui segue poi la differenza uomo e donna.Le differenze uomo donna non stanno al primo posto, ma sono successive e non riguardano solo la dimensione sessuale.
Un'altra affermazione importante dell'antropologia moderna, che ha riscontri nelle Scritture, è che la relazione viene prima delle modalità in cui si realizza. La relazione uomo donna è un archetipo, un modello esemplare, che può però svilupparsi anche in altre modalità (omosessualità, transessualità...). La relazionalità è costitutiva dell'essere umano. Nella visione cristiana, Dio, la cui immagine è l'essere umano, è carità, è relazione.
La tradizione ebraico-cristiana, che ha esercitato una grande influenza sulla formazione del pensiero occidentale, è stata a lungo caratterizzata da una visione fortemente negativa nei confronti dell'esercizio dell'omosessualità. È necessario cambiare paradigma, da quello naturalistico a quello relazionale, che privilegia la qualità della relazione.

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