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sintesi della relazione di Brunetto Salvarani
Verbania Pallanza, 3 maggio 2008

Mi chiedo: non sta per caso rischiando di diventare stucchevole, il ricorrente lamento sull'ignoranza concernente la Bibbia, nella cultura italiana, e la conseguente esortazione al suo studio? Si tratta di una frequentazione necessaria sul versante della fede ebraica e cristiana, certo; ma anche indispensabile per poter penetrarne il multiforme lascito nella storia della mentalità, dei costumi, dell'arte, delle lettere, della musica e della filosofia europee e occidentali; nonché per ricorrervi quale filigrana utile a decifrare tanto le più potenti trame dell'immaginario - da Adamo ed Eva all'Apocalisse - quanto i minuscoli fili dell'ordito, e persino le eredità linguistiche più popolari (dall'esodo estivo al frutto proibito). Stucchevole perché reiterato, forse, eppure direi da riprendere ancora, come accade in effetti, grazie ad appelli di associazioni, giusti pianti di specialisti e perorazioni intermittenti sul fatto che non abitarla significa rinunciare da subito a cogliere appieno la nostra civiltà; e che acquista un pizzico di paradossalità, nella stagione in cui di raffinate e convenienti Bibbie a puntate si stanno infarcendo persino i principali settimanali e quotidiani nazionali. Indice di successo, indubbiamente (ma quanto effimero?), così come ulteriore fonte d'interrogazione sui motivi per cui il testo biblico non riesce a passare nel bagaglio intellettuale di un connazionale mediamente acculturato(1). Tanto più che, pochi anni fa, si è celebrato il quarantesimo anniversario della Dei Verbum, la costituzione conciliare che, è stato detto ripetutamente, dovrebbe aver sancito la fine dell'esilio della Parola di Dio nella chiesa cattolica. Con la catechesi, la liturgia, la pastorale postconciliari che avrebbero dovuto risentirne positivamente. Peraltro, ne fanno fede tanto i risultati delle inchieste relative(2) quanto il senso comune e l'esperienza quotidiana, poco si smuove realmente e lo scenario, nel complesso, non muta per nulla.

1) alle radici di un'assenza paradossale

Quali le cause? Non saremmo chiamati a stupirci se, a fronte della richiesta di tener conto delle radici ebraico-cristiane dell'Europa in vista della sua nuova costituzione, non ha preso avvio un altrettanto perentorio invito ad un'elaborazione culturale al riguardo, con un focus specifico su quella Bibbia che di tali radici è base, bussola e punto di riferimento costante? Occorre dunque, in primis, passare in rassegna le motivazioni per cui, in un Paese come il nostro dove - crocianamente - "non ci si può non dire cristiani", in realtà per molti secoli ci si è potuti dichiarare tali, pur senza essere uomini e donne radicati nella Bibbia(3).
Eppure - come nota correttamente il pastore valdese Giorgio Girardet - per oltre un millennio, dal IV ad almeno il XVII secolo, la Bibbia è stata il testo base della cultura sia religiosa sia secolare, dal quale si attingevano le verità da credere e spesso le norme da seguire e che, con la sua presenza nelle cattedrali, nei monasteri, nelle scuole e nella letteratura popolare, ispirava intellettuali, scrittori e artisti, influenzava la mentalità dei popoli europei e ne plasmava il linguaggio(4). Prima della diffusione della stampa, infatti, è verosimile supporre una certa familiarità con i materiali biblici, anche a partire dalla visione di quella vera e propria Biblia pauperum rappresentata dall'arte a disposizione del popolo. Le facciate delle austere, medievali cattedrali romaniche, ad esempio, o i cicli di affreschi delle cappelle interne di quelle gotiche, svolgevano infatti tale funzione di exempla scolpiti o dipinti. Ma è anche difficile immaginare un'approfondita ricezione della dantesca "Divina Commedia" - per andare su un caso letterario eclatante - senza poterne intuire, se non tutte, almeno molte delle allusioni scritturistiche ivi presenti. Lo stesso Umanesimo (si pensi alla filosofia di un Pico della Mirandola o di un Erasmo, o all'arte pittorica di un Masaccio o un Paolo Uccello) si avvale largamente, quanto inevitabilmente, dell'immaginario biblico. Sia pure, talvolta, per stravolgerlo, o piegarlo ai dettami del nuovo clima culturale: come accade anche al successivo Rinascimento, da quello trionfante di un Raffaello e di un Leonardo a quello inquieto di un Michelangelo e di un Ariosto. La cesura decisiva, per ciò che ne concerne una conoscenza diffusa, avviene proprio in quegli anni: anni conciliari in quel di Trento, e di messa in atto da parte romana di una risoluta strategia difensiva nei confronti dell'altrettanto duro attacco luterano. E' qui, nei primi decenni del Cinquecento, che il magistero cattolico decide di prendere decisamente le distanze da quanto caratterizza il verbo protestante, autoimpedendosi - de facto - di cogliere la novità che stava maturando in tante coscienze formatesi nel milieu umanista: l'opportunità, se non la necessità, di un approccio diretto con i passi biblici tradotti nelle lingue nazionali, in funzione sia di una migliore loro comprensione sia di una vita più coerente sul piano evangelico. La maggioranza dei padri conciliari tridentini, al contrario, si attestava sulla posizione del teologo Alfonso de Castro, che nella seduta del 9 marzo 1546 aveva dichiarato la traduzione della Bibbia in volgare "madre e fonte dell'eresia". Il mese successivo, del resto, Trento riaffermava con estremo vigore il principio ermeneutico per cui la lettura della Bibbia sarebbe inscindibile dalla tradizione autentica, rappresentata ovviamente dal magistero ecclesiastico cattolico. E se nel decreto finale sulle Sacre Scritture la questione della legittimità dell'uso della loro versione in volgare resta sotto traccia, in occasione della stesura dell'Indice dei libri proibiti (1559) si giungerà a diffidare direttamente i fedeli, fino a vietarne loro il possesso personale e il contatto diretto. L'approccio al testo biblico nelle lingue nazionali era ammesso viris tantum doctis, che fossero stati in grado di dimostrare di possedere una licenza scritta del vescovo o dell'inquisitore(5). Si creavano così le premesse per rendere la Bibbia sostanzialmente impossibile da frequentare, in ambito cattolico: al contrario di quanto accadde, di norma, nelle nazioni che avevano accettato la riforma luterana e nelle comunità ebraiche, dove anzi essa assurgeva a patrimonio comune, entrando anche nelle famiglie e negli ambienti scolastici. Nei secoli seguenti, non mancheranno altre autorevoli condanne esplicite: da quella di papa Clemente XI in relazione ad alcune tessi del Quesnel assai avanzate sul piano biblico (1713) a quella di Pio VI riferita al Sinodo di Pistoia, che aveva valutato non solo buona ma anche necessaria la lettura biblica da parte di ogni cristiano (1799). Curiosa e significativa, in tale direzione, la reprimenda in rima di un domenicano pavese contro le traduzioni: "A asinello reca fava ad mancare/ ad omini ignoranti la Bibbia per vulgare". Nonostante circolassero in italiano alcune traduzioni che diverranno celebri (da quella del calvinista lucchese Giovanni Diodati, stampata da esule a Ginevra nel 1607, a quella dell'abate pratese Antonio Martini, uscita a Firenze tra il 1782 e il 1792) e nella Francia percorsa dalla sensibilità calvinista e ugonotta si avviassero persino i primi studi critici biblici (con Richard Simon), nel cuore della stagione illuminista un pontefice come Benedetto XIV - regnante dal 1740 al 1758 - arrivava a proclamare pubblicamente che una versione in italiano della Scrittura avrebbe potuto condurre ad "infiniti errori" il popolo, capace al massimo di comprendere le parole, ma non di intenderne il senso autentico. Mentre diversi papi (Pio VII nel 1816, Gregorio XVI nel 1844, Pio IX nel 1846), a proposito delle emergenti Società Bibliche - la prima era sorta a Halle, in Germania, già nel 1710 - condanneranno recisamente la conseguente "immoderata bibliorum versionum licentia in vernaculo sermone". E' innegabile, pertanto, che l'Italia, chiusa al potenziale confronto fecondo con la ricerca scientifica di marca protestante, vada annoverata tra le nazioni biblicamente sottosviluppate in un'ideale geografia postridentina: con ristrette e frammentarie eccezioni, da un certo uso della Bibbia in qualità di supporto catechistico alla diffusione delle storie sacre (nel giansenismo e nell'illuminismo cattolico), alla cultura popolare contadina, con le devozioni e i misteri di Gesù. Nel corso dell'Ottocento, poi, affioreranno altre difficoltà, riconducibili non soltanto alle chiusure di marca cattolica, ma altresì alla convinzione, tipica delle classi dirigenti postunitarie, secondo cui la dimensione religiosa sarebbe stata da confinare alla sfera delle opzioni private: con le variegate risonanze dell'annosa questione romana e del relativo conflitto aperto fra la chiesa e il giovane regno italiano, che contribuiranno a relegare il fatto religioso in quanto tale ai margini della vita civile e politica. Poco dopo la fine del Concilio Vaticano I, ad esempio, verranno abolite le facoltà teologiche ancora esistenti nelle università dello stato (la legge è del 26 gennaio 1873), con un palese disinteresse da parte del mondo cattolico. Si sanciva, in tal modo, la frattura ufficiale tra chiesa e mondo accademico laico, destinata a non ricomporsi per parecchi decenni: un Tevere sempre più largo, d'altra parte, rappresenterà il miglior viatico - beninteso, in negativo - per l'affermazione di un doppio, opposto ma in fondo convergente integralismo, con l'opzione laicista da una riva, e quella clericale dall'altra, entrambi impegnate a rendere la Bibbia un vero e proprio libro assente anche in ambito culturale. Per sintetizzare, con Elena Loewenthal, potremmo dire che qui "nella formazione religiosa comune si è badato sempre più al dogma che alla conoscenza, alla catechesi piuttosto che al racconto e alla ricerca dentro il testo sacro"(6).

2) la bibbia, il grande codice

Il nostro rapsodico excursus storico si arresta al momento della rinascita della Bibbia nel mondo cattolico, segnata simbolicamente dal sorgere nel 1909 del Pontificio Istituto Biblico e, successivamente, dalla già citata Dei Verbum. Scelgo ora di passare a una riflessione sugli effetti deleteri che l'assenza della Bibbia nei circuiti culturali ha prodotto, e sulle possibili strategie da mettere in campo per cominciare a ovviarvi.
Effetti che, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti. Evitando la canonica (quanto penosa) litania degli aneddoti tragicomici a proposito dell'ignoranza italica al riguardo, mi limito a citare un'inchiesta dell'Università Cattolica di una decina d'anni fa, ma ancora attuale, in cui, andando per eufemismi, non emerge una particolare sensibilità dei cattolici al riguardo. Alla domanda "Indipendentemente dal fatto che lei sia o meno credente, che cosa dovrebbe fare, secondo lei, una persona che crede in Dio?", in effetti, la risposta "Leggere e meditare la Bibbia o altri testi sacri" si piazzava agli ultimi posti, superata da molte altre fra cui "Rispettare l'ambiente naturale" (con tutto il rispetto) e "Impegnarsi in politica per il bene comune" (come sopra)...(7)
Ma ecco Francesco De Sanctis, il grande critico della letteratura italiana che ha dominato il secondo Ottocento: "Il primo linguaggio dell'animo fu la lirica. E qui cominciai il mio corso. La distinsi, secondo il contenuto, in religiosa, eroica e amorosa. Toccai della lirica greca e romana, riserbando la trattazione a un corso speciale. Mi fermai molto sulla lirica ebraica, esaminando in ispecie il libro di Giobbe, il canto di Mosè dopo il passaggio del mar Rosso, i salmi di David, la cantica di Salomone, i canti dei profeti, specialmente Isaia. Avevo sete di cose nuove, e quello studio era per me nuovissimo. Non avevo letto mai la Bibbia, e i giovani neppure. (... ) Era per noi un viaggio in terre ignote e lontane dai nostri usi. Con esagerazione di neofiti, dimenticammo i nostri classici, fino Omero, e per parecchi mesi non si udì altro che Bibbia. (...) Mi meraviglio come nelle nostre scuole, dove si fanno leggere tante cose frivole, non sia penetrata un'antologia biblica, attissima a tener vivo il sentimento religioso, ch'è lo stesso sentimento morale nel suo senso più elevato".(8) Dalle considerazioni autobiografiche e commosse di De Sanctis sulla sua tardiva scoperta degli splendori relativi al testo biblico possiamo prendere le mosse per segnalare il dramma, così squisitamente italiano, dell'ignoranza diffusa della Bibbia in un paese che ne è pieno. Un paese del quale - infatti - una gran porzione di storia, di arte, di musica, di letteratura è profondamente intrisa di pagine sacre ("non c'è un aspetto della nostra cultura, compreso il marxismo, che non sia stato influenzato dalla cultura espressa dalla Bibbia", scriveva anni fa Umberto Eco in una "Bustina di Minerva" de "L'Espresso").
Ancora. "Studio l'ebraico, leggo la Bibbia. Alcune pagine, alcune parole mi hanno rivelato qualcosa della loro verità e mi hanno istigato a darne notizia. Non ho adattato il testo ad una interpretazione, ne sono stato invece piegato. La Bibbia è almeno una letteratura e il Dio di Israele è se non altro il più grande personaggio dei tempi"(9). Questa riflessione dello scrittore partenopeo Erri De Luca, impegnato da anni in un coraggioso lavoro di scavo nel testo biblico di cui egli cerca di restituire il più fedelmente possibile il dipanarsi del linguaggio originale, appare tanto perentoria quanto difficilmente contestabile. Come accennavamo sopra, una porzione assai consistente, infatti, delle pagine di poesia, narrativa e anche saggistica prodotte dalla cultura dell'occidente vede quale protagonista, spesso esplicito o almeno chiaramente sottinteso, il Dio biblico di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. La "Commedia" dantesca, il "Paradiso perduto" di Milton, la meravigliosa vena mistica di Juan de la Cruz e di Teresa di Avila (forse gli esiti più alti della lirica spagnola di sempre) e persino "Il processo" di Franz Kafka, uno dei vertici della letteratura novecentesca della crisi, che riecheggia in tutta evidenza la drammatica parabola di Giobbe, stanno lì a dimostrarlo: e naturalmente - occorre ricordarlo? - non si tratta che di qualche esempio fra i maggiori, citato alla rinfusa. E se Paul Claudel ha legittimamente potuto parlare della Bibbia come di un "immenso vocabolario", l'artista Marc Chagall l'ha descritta come "l'atlante iconografico" dell'arte di sempre, mentre il grande critico Eric Auerbach era arrivato a distinguere nel sapere occidentale solo due stili fondamentali, quello della Bibbia e quello dell'Odissea: due archetipi così basilari da aver generato e condizionato tutti gli altri successivi(10).
E persino un autore difficilmente sospettabile di particolari simpatie religiose come Friedrich Nietzsche, nel suo "Aurora", giungeva ad ammettere che "per noi Abramo è più di ogni altra persona della storia greca o tedesca. Tra ciò che sentiamo alla lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro o di Petrarca c'è la stessa differenza che tra la patria e la terra straniera"(11).
Ciò che sorprende, semmai, è che la teologia cristiana ben raramente ne abbia preso atto con la dovuta consapevolezza (in controtendenza potremmo citare, per lo scorso secolo, gli episodi piuttosto isolati di un Romano Guardini e di un Hans Urs von Balthasar), e che quasi mai abbia operato in modo cosciente attorno all'ipotesi della letteratura come luogo teologico, secondo l'auspicio formulato in un fascicolo di "Concilium" del 1976 da J-P. Jossua e J.B. Metz: "Bisogna arrivare a chiedersi qual è il contributo che unicamente la letteratura può dare, cercare ciò che nessuna teologia concettuale saprebbe dire e che invece la letteratura esprime, a modo suo, con potenza"(12).
Finalmente, negli ultimi anni, le cose stanno cominciando a cambiare. Certo, già il Vaticano II, nella "Gaudium et Spes", aveva focalizzato il tema, nel quadro di un auspicato dialogo rinnovato tra "chiesa" e "mondo", dichiarando: "A loro modo, anche la letteratura e le arti sono di grande importanza per la vita della chiesa. Esse si sforzano infatti di conoscere l'indole propria dell'uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo; si preoccupano di scoprire la sua situazione nella storia e nell'universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una migliore condizione dell'uomo. Così sono in grado di elevare la vita umana, espressa in molteplici forme, secondo i tempi e i luoghi(13)".
E un'accelerazione vistosa del dibattito si è registrata in occasione dell'uscita nel nostro paese della traduzione del volume curato dal critico letterario canadese Northrop Frye, intitolato "Il grande codice. La Bibbia e la letteratura"(14). Sin dal titolo, vi si faceva riferimento ad una felice considerazione dell'artista e letterato inglese William Blake, secondo cui "l'Antico e il Nuovo Testamento sono il grande codice dell'arte": una sterminata unità testuale che ha dato forma - a livello di linguaggio, miti, metafore, schemi e tipologie - a tanto pensiero occidentale, e senza un riferimento costante alla quale è decisamente improponibile l'ipotesi di riuscire a decifrare un patrimonio iconografico e letterario che ha attraversato i secoli e i movimenti culturali; un prototipo e un deposito di creatività poetica che ha permesso al mito biblico una persistente fecondità. L'ampia analisi fryiana dimostra che il rapporto fra Bibbia e letteratura può essere inteso a vari livelli, e in modi diversi se analizziamo la teoria estetico-letteraria che da essa emerge, se riflettiamo sul fatto che essa si autopone, a propria volta, quale prodotto letterario ed estetico, o se - infine - consideriamo il testo sacro principalmente come generatore di letteratura e arte, per cui occorrerebbe (sulla linea ermeneutica tracciata nel corso del Novecento da Paul Ricoeur e Hans Georg Gadamer) cimentarsi con la sua "storia degli effetti di senso". Insieme a mons.Ravasi, senza dubbio il biblista italiano più attento alla discussione in corso, potremmo dire che due dovrebbero essere i momenti di una più completa esegesi che non accantoni le sue tradizionali strumentazioni d'analisi storico-critica e teologica: da un lato l'elaborazione di una Literaturwissenschaft biblica, cioè di una scienza letteraria specifica per le Sacre Scritture, e dall'altro una Wirkungsgeschichte, cioè - appunto - la vicenda degli effetti, degli influssi, delle interpretazioni di cui la Bibbia è stata oggetto nella storia della tradizione(15) .
Se da una parte, dunque, viene invocata un'analisi estetica della pagina biblica, già sperimentata con successo, ad esempio, dall'esegeta spagnolo Schoekel(16), dall'altra si sottolinea la dimensione del testo sacro quale "opera aperta"(17), in sé non conclusa, rispetto alla quale - nell'atto di reazione alla trama degli stimoli e di comprensione della loro relazione - ogni suo fruitore porta una concreta situazione esistenziale, una sensibilità condizionata, una determinata cultura, gusti, propensioni, pregiudizi, in modo che la comprensione della forma originaria avviene secondo prospettive perennemente nuove e sempre differenti.
Alle analisi strettamente esegetiche, perciò, risulterebbe molto importante allegare anche l'effetto provocato dalla Bibbia non solo nella tradizione teologica o spirituale, ma pure in quella artistica: letteratura, arti figurative, musica, teatro, cinema hanno compiuto, lungo i secoli, una propria, straordinaria reinterpretazione dei materiali biblici(18).
Si tratta, com'è evidente, di un'impresa ciclopica, praticamente infinita: non per questo da abbandonare o da sottovalutare, ma piuttosto da avviare e da intraprendere con vigore e convinzione, oltre che con la consapevolezza che, comunque, trovare la posizione corretta di un'unica tessera di un puzzle immenso può aiutare a completarne l'opera.

3) la bibbia a scuola (e non solo)

Personalmente, sono convinto che proprio qui, in un recuperato rapporto serio con la Bibbia che sappia andare oltre la sola conoscenza catechistica e la pura curiosità nozionistica, si giochi in buona parte il futuro del cristianesimo nel nostro paese. Ma anche, vorrei dire, del futuro tout court del nostro Paese e di una reale integrazione europea: su tale versante, mi parrebbe importante che il Progetto culturale orientato in senso cristiano della CEI scelga di investire maggiormente in questa direzione, traendo spunto dall'intuizione felice di Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio Adveniente secondo cui "per conoscere la vera identità di Cristo, occorre che tutti i cristiani tornino con rinnovato interesse alla Bibbia" (n.40). Nella consapevolezza che non si tratta di un'operazione facile, bensì complessa, e che richiede una buona dose di pazienza; e che il conflitto delle interpretazioni e degli approcci (strutturalista, psicanalitico, narratologico, femminista, midrashico, e così via) sembra fatto apposta per scoraggiare i potenziali lettori ma va colto come un'occasione per ulteriori approfondimenti dopo e alla luce di quel metodo storico-critico che, solo, permette una sana contestualizzazione del testo.
Un nodo cruciale, in ogni caso, in vista di un salto di qualità reale sul piano di un approccio di tipo culturale e aconfessionale(19), potrebbe essere la presenza della Bibbia nella scuola pubblica, che rischia di essere confinata - nella migliore delle ipotesi - all'ora di religione cattolica (che, com'è noto, è oggi un insegnamento facoltativo, di cui gli studenti possono o no avvalersi)(20). Eppure, ripetiamolo, il corpus della letteratura biblica rappresenta la base della civiltà europea non meno della cultura classica! A cercare di ovviare a una tale clamorosa mancanza, già nel 1989 Biblia, associazione laica di cultura biblica, aveva lanciato un Appello che fece un certo rumore. Presentato nel quadro di un convegno svoltosi a Napoli, l'Appello per l'inserimento della Bibbia nel curriculum professionale degli insegnanti italiani, più ancora che per la creazione di una specifica ora di Bibbia, era firmato da personalità di svariata provenienza religiosa e culturale - da Alberoni a Bo, da Cacciari a Contini, da Eco a Magris, dallo stesso Ravasi a Turoldo - con l'intento esplicito di "contribuire a colmare una carenza storica gravissima della cultura e della scuola italiana: l'assenza di una conoscenza adeguata del grande codice dell'Europa e dell'occidente, la Bibbia"(21). L'obiettivo dell'iniziativa, rilanciata di recente nel contesto del ventesimo anniversario di Biblia, è di riuscire a trarre la Scrittura dalla sua condizione periferica, presentandola per quello che è, un testo-matrice passibile di numerose interpretazioni e letture che non è solo la narrazione della storia del popolo ebraico. Sorto all'interno di determinate civiltà, infatti, esso racchiude al proprio interno il pensiero di una pluralità di popoli, lingue e culture, ed ha esercitato influssi decisivi su molte manifestazioni della storia del mondo. Nonostante la buona volontà dell'associazione, presieduta dalla combattiva Agnese Cini, e la nascita di un apposito coordinamento costituito da un folto gruppo di altre associazioni e riviste sotto la denominazione di Bibbia Cultura Scuola, e a dispetto dei non pochi consensi ricevuti da più parti, l'Appello non ha prodotto risultati stabili. A riprova di un'esigenza diffusa sul piano culturale, cui però le istituzioni politiche, almeno sinora, non si sono dimostrate in grado di corrispondere, si può ricordare l'amaro paradosso della firma (maggio 2001) di uno specifico Protocollo d'intesa fra il Ministero della Pubblica Istruzione, nella persona dell'allora ministro Tullio De Mauro, e la stessa Biblia, orientato alla diffusione della conoscenza della Bibbia all'interno delle nostre istituzioni scolastiche per realizzare un programma comune nelle seguenti aree: a) ricerca e sperimentazione di nuovi modelli di lettura e di interpretazione interdisciplinare dei grandi codici dell'occidente nell'ambito storico, artistico, filosofico e letterario (è quella che si chiama Wirkungeschichte, storia degli effetti di senso, con un termine coniato da H.G.Gadamer); b) produzione di materiali didattici da diffondere attraverso strumenti multimediali; c) formazione e aggiornamento del personale. Tutto molto bello: salvo il fatto che, complici le elezioni politiche di poco successive alla stipula del Protocollo e il conseguente cambio di maggioranza, del documento si perderanno le tracce, mentre gli splendidi progetti immaginati resteranno malinconicamente sulla carta. Pensare che lo stesso De Mauro (né cattolico né di cultura cattolica), qualche mese prima, aveva rilasciato un'intervista a Famiglia Cristiana in cui era giunto a definire la Bibbia "una bomba conoscitiva", aggiungendo che - se fosse stato per lui - l'avrebbe imposta a tutti gli studenti come libro di testo...
La rilevanza della Bibbia, però, non riguarda soltanto aspetti legati alla fede, o alla cultura. Seguendo una suggestione del cardinal Carlo M.Martini, in una società di laicità matura si può evidenziarne anche il carattere di libro che educa(22): non solo come libro letterario ma anche come testo sapienziale, "che esprime la verità della condizione umana, di qualunque continente e cultura, può sentirsi specchiata almeno in qualche parte di esso", e come libro narrativo. In tale direzione, lo è "perché descrive le vicende di un popolo nell'ambito di altri popoli attraverso un cammino progressivo di liberazione, di presa di coscienza, di crescita di responsabilità del soggetto individuale, fornendo un paradigma storico valido per l'intera storia dell'umanità".
Un altro motivo per approfondire e divulgare la Bibbia, poi, è che solo a partire da essa sarà possibile far avanzare il faticoso cammino del dialogo ecumenico. La Bibbia, nonostante la diversità dei canoni e la varietà delle letture, accomuna le grandi e piccole famiglie del cristianesimo, ed è un segnale consolante il fatto che proprio nell'ambito dell'esegesi siano stati compiuti - per giudizio unanime - i passi più ragguardevoli in funzione di una lettura ecumenica della Parola di Dio (si pensi, per fare solo un esempio, al buon impatto ottenuto dalla Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente, uscita in versione integrale nel 1985). Ma la Bibbia, secondo il cardinal Martini, è potenzialmente il grande libro dell'Europa non solo per le chiese cristiane europee, ma anche perché sarebbe in grado di dare fondamento e nerbo ad un dialogo interreligioso serio e approfondito. La medesima sottolineatura è presente nella versione 2005 dell'Appello di Biblia, in cui fra l'altro si legge: "Una riscoperta consapevole e rigorosa della matrice biblica dell'occidente è urgente in questo momento storico, segnato dall'inedita presenza in Italia e in Europa di comunità religiose numericamente crescenti e diverse da quelle di origine ebraica e cristiana. In questa direzione appare tanto ovvio quanto doveroso ricordare che l'islam, nel suo testo fondante, fa proprie moltissime componenti del messaggio biblico. Riflettere dunque sulla comune eredità biblica del vicino oriente e dell'occidente non comporta chiusure né contrapposizioni, ma anzi potenzia le capacità di comprensione di altre civiltà e altri universi religiosi".

4) le tracce di un risveglio...

Un sano realismo, concludendo, costringe ad immaginare tempi non brevi per un'inversione di tendenza. Il che non dovrà spingerci a desistere nel cammino così faticosamente intrapreso, si badi! Certo, come abbiamo sommariamente descritto sopra, i motivi dell'assenza della Bibbia nei maggiori circuiti culturali italiani vengono da molto lontano, e quelli che giustificherebbero una sua maggiore conoscenza indipendentemente dalle opzioni di fede avranno bisogno di più stagioni per sedimentarsi a fondo. Per di più, il clima attuale del nostro Paese, propenso a concedere al cristianesimo la palma sommamente ambigua di una religione civile che produca valori etici a basso costo ma non disturbi il manovratore, non lascia presagire sviluppi rilevanti al riguardo(23). La Bibbia, verrebbe da dire, si può citare e può rendere chi la cita persino à la page, ma non è conosciuta e percepita come un elemento decisivo su cui investire in termini di progetti educativi, scolastici, formativi. I buoni segnali provengono, semmai, come succede spesso oggi, da iniziative locali o addirittura periferiche, promosse dalle parrocchie di periferia, dalle diocesi, dalle case editrici religiose ma anche, sempre meno di rado, dagli enti locali: tanto che sovente, in eventi culturali assai frequentati quali i Festival (letterari o filosofici), gli appuntamenti aventi per oggetto temi religiosi e biblici sono tra i più affollati. Penso a esperienze quali la performance teatrale di un Gioele Dix dal titolo "La Bibbia ha (quasi) sempre ragione", compresa di libro omonimo(24), straordinaria rilettura della Scrittura che non ha nulla a che fare con i classici barzellettieri biblici, ma rappresenta un vero e proprio (e riuscito) tentativo di teologia narrativa dallo schietto sapore ebraico. Mentre due valenti e coraggiosissimi attori come gli sposi Franco Giacobini e Angela Goodwin stanno, dal 2004, conducendo a Roma un progetto ecumenico di lettura integrale della Scrittura nell'arco di alcuni anni, qualche anno fa (2005), a Vicenza, è persino nato un apposito Festival Biblico, con l'obiettivo di portarne la lettura nelle piazze e coinvolgervi pure gli indifferenti e gli estranei ad un vissuto ecclesiale(25); mentre qualcosa del genere sta partendo anche a Bergamo... E si potrebbe proseguire! E' sensato considerarli come iniziali segni dei tempi, in vista di un'acquisita consapevolezza che l'ignoranza della Scrittura è e sarà il caso serio delle chiese cristiane? Ovviamente, non possiamo che augurarcelo, se è vero che - come ebbe a scrivere a buon diritto San Girolamo - "l'ignoranza delle Scritture equivale all'ignoranza di Cristo"(26). E se ciò che è maggiormente preoccupante, nel successo travolgente di un best-seller come "Il Codice da Vinci", non è tanto che alcuni milioni di nostri connazionali si siano sorbiti le inverosimili storie di Dan Brown sulla Maddalena e su Gesù, ma che la maggior parte di loro ignorasse la vicenda evangelica della Maddalena e dello stesso Gesù, offrendo la propria tabula rasa sulla Bibbia al primo venuto, dotato di fantasia e di ruvida spregiudicatezza27.

un breve riassunto

Non frequentare e abitare la bibbia significa rinunciare a cogliere appieno la nostra civiltà. Nonostante nuove e raffinate pubblicazioni del testo biblico, nonostante gli oltre quarant'anni dalla costituzione conciliare Dei Verbum che avrebbe dovuto sancire la fine dell'esilio della Bibbia nella chiesa cattolica, come attestano i risultati di recenti inchieste, poco si smuove realmente e lo scenario, nel complesso, non muta.
Per oltre un millennio, dal IV ad almeno il XVII secolo, la Bibbia è stata il testo base della cultura sia religiosa sia secolare, dal quale si attingevano le verità da credere e spesso le norme da seguire. La cesura decisiva, per ciò che ne concerne una conoscenza diffusa della bibbia, avviene con il concilio di Trento, con la messa in atto da parte romana di una risoluta strategia difensiva nei confronti dell'altrettanto duro attacco luterano. Ci si autoimpedisce di cogliere l'opportunità, se non la necessità, di un approccio diretto con i passi biblici tradotti nelle lingue nazionali, in funzione sia di una migliore loro comprensione sia di una vita più coerente sul piano evangelico. Prevale la concezione che la traduzione della Bibbia in volgare sia "madre e fonte dell'eresia" che condurrà poi a vietarne il possesso personale e il contatto diretto. Si creavano così le premesse per rendere la Bibbia sostanzialmente impossibile da frequentare, in ambito cattolico, al contrario di quanto accadde, di norma, nelle nazioni che avevano accettato la riforma luterana e nelle comunità ebraiche. E' innegabile, pertanto, che l'Italia, chiusa al potenziale confronto fecondo con la ricerca scientifica di marca protestante, vada annoverata tra le nazioni biblicamente sottosviluppate in un'ideale geografia postridentina. La chiusura nel corso dell'Ottocento delle facoltà teologiche nelle università di stato, frutto congiunto del laicismo e del clericalismo dominante, sancisce l'assenza della bibbia dalla cultura italiana.
L'assenza della Bibbia ha avuto effetti deleteri nei circuiti culturali: è il dramma, così squisitamente italiano, dell'ignoranza diffusa della Bibbia in un paese che ne è pieno. Un paese del quale - infatti - una gran porzione di storia, di arte, di musica, di letteratura è profondamente intrisa di pagine sacre. Di questo la teologia cristiana ben raramente ne ha preso atto con la dovuta consapevolezza, e quasi mai ha operato in modo cosciente attorno all'ipotesi della letteratura come luogo teologico. "L'Antico e il Nuovo Testamento sono il grande codice dell'arte": una sterminata unità testuale che ha dato forma - a livello di linguaggio, miti, metafore, schemi e tipologie - a tanto pensiero occidentale. Alle analisi strettamente esegetiche risulterebbe molto importante allegare anche l'effetto provocato dalla Bibbia non solo nella tradizione teologica o spirituale, ma pure in quella artistica: letteratura, arti figurative, musica, teatro, cinema hanno compiuto, lungo i secoli, una propria, straordinaria reinterpretazione dei materiali biblici.
In un recuperato rapporto serio con la Bibbia, che sappia andare oltre la sola conoscenza catechistica e la pura curiosità nozionistica, si gioca in buona parte il futuro del cristianesimo (e non solo) nel nostro paese. Un nodo cruciale, in vista di un salto di qualità reale sul piano di un approccio di tipo culturale e aconfessionale, potrebbe essere la presenza della Bibbia nella scuola pubblica.
La rilevanza della Bibbia non riguarda soltanto aspetti legati alla fede, o alla cultura. In una società di laicità matura si può evidenziarne anche il carattere di libro che educa: non solo come libro letterario ma anche come testo sapienziale, e come libro narrativo.
Un altro motivo per approfondire e divulgare la Bibbia, poi, è che solo a partire da essa sarà possibile far avanzare il faticoso cammino del dialogo ecumenico. La Bibbia accomuna le grandi e piccole famiglie del cristianesimo, e proprio nell'ambito dell'esegesi sono stati compiuti - per giudizio unanime - i passi più ragguardevoli in funzione di una lettura ecumenica della Parola di Dio. La Bibbia inoltre sarebbe in grado di dare fondamento e nerbo ad un dialogo interreligioso serio e approfondito.
La Bibbia non è conosciuta e percepita come un elemento decisivo su cui investire in termini di progetti educativi, scolastici, formativi. I buoni segnali provengono, come succede spesso oggi, da iniziative locali o addirittura periferiche, promosse dalle parrocchie di periferia, dalle diocesi, dalle case editrici religiose ma anche, sempre meno di rado, dagli enti locali.

(1)In relazione al ruolo della Bibbia come grande codice della cultura (l'espressione, ormai invalsa nell'uso, è del critico letterario canadese N.Frye, Il grande codice, Einaudi, Torino 1986), mi permetto di rinviare al mio A scuola con la Bibbia. Dal libro assente al libro ritrovato, EMI, Bologna 2001, e a P.STEFANI, La radice biblica e i suoi influssi sulla cultura occidentale, Paravia-Mondadori, Milano 2004. Entrambi i testi sono dotati di una cospicua bibliografia, cui rimando per ulteriori approfondimenti sul tema.

(2)Cfr. AA.VV., "La Bibbia. Un tesoro dimenticato", in Famiglia Cristiana n.18 (2008), inchiesta speciale.

(3)Un documentato sguardo in merito è offerto da G.PLATONE, a cura, La Bibbia e l'Italia, Claudiana, Torino 2004

(4)G.GIRARDET, Bibbia perché, Claudiana, Torino 1993, p. 196

(5)Cfr. G.FRAGNITO, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Il Mulino, Bologna 1997.

(6)E.LOEWENTHAL, "Gli analfabeti della Bibbia", in La Stampa (12/9/2000), p.22.

(7)AA.VV., La religiosità in Italia, Mondadori, Milano 1995, pp.332-335.

(8)F. DE SANCTIS, La giovinezza, Garzanti, Milano 1981, pp. 192 ss.

(9)E. DE LUCA, Una nuvola come tappeto, Feltrinelli, Milano 1991, p. 9

(10)E. AUERBACH, Mimesis. Il realismo nella letteratura, voll.I-II, Einaudi, Torino 1983 (la prima edizione dell'opera è del 1946).

(11)Cit. in G. RAVASI, "La Bibbia, grande codice della poesia e dell'arte", in Religione e Scuola n.10 (1991), p.36.

(12)J.P. JOSSUA - J.B. METZ, "Teologia e letteratura", in Concilium n.5 (1976), p.14. In questa direzione, pur seguendo diverse metodologie, rinvio a H. BLOOM, Rovinare le sacre verità, Garzanti, Milano 1992; P. PIFANO, La luce di Giobbe, Santi Quaranta, Treviso 1994; e al mio Le storie di Dio. Dal Grande codice alla teologia narrativa, EMI, Bologna, 1997.

(13)Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n.62 in EV 1/1528

(14)N. FRYE, Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Einaudi, Torino 1986.

(15)G. RAVASI, "art.cit.", p. 35.

(16)Ricordo, fra gli altri, l'esemplare L. A. SCHOEKEL, Manuale di poetica ebraica, Queriniana, Brescia 1989.

(17)Cfr. U.ECO, Opera aperta, Bompiani, Milano, 1976.

(18)È doveroso rammentare che una lettura ermeneutica della Bibbia affonda le proprie radici nell'opera dei padri e della filosofia medievale: si pensi al criterio suggerito da Gregorio Magno secondo cui "Scriptura cum legentibus crescit" o alla considerazione di Giovanni Scoto che "Sacrae Scripturae intepretatio infinita est".
Nel canone biblico, del resto, la molteplicità dei percorsi di senso appare intenzionale, programmatica (basti citare la replica delle narrazioni di episodi paralleli fra i Libri di Samuele, dei Re e delle Cronache, o la quadruplice presenza evangelica): essa non va quindi intesa semplicemente come il risultato di una lettura particolare o degli apporti soggettivi dei vari lettori, ma piuttosto come «valore da realizzare» che il testo stesso si prefigge.
Per una riflessione attuale sull'argomento, rimando a P. C. BORI, L'interpretazione infinita, Il Mulino, Bologna, 1987.

(19)Si tratta di un approccio che, di per sé, non nega né afferma la natura di parola rivelata attribuita alla Scrittura dalle varie comunità religiose che la riconoscono come proprio libro sacro di origine divina. Tale prospettiva esclude, però, che l'esistenza di una personale scelta di fede costituisca una precondizione indispensabile per rendere intelligibile la Bibbia (cfr. P.STEFANI, op.cit., p.3).

(20)In questo contesto, andrà salutato con sicuro favore l'avvio di un ambizioso progetto rivolto appunto alla scuola. Si tratta di Bibbia Educational, che appunto intende contribuire a promuovere la conoscenza della Bibbia e delle sue tradizioni religiose e culturali nell'ambito educativo. Qui la Bibbia, insieme al Corano, è considerata un codice culturale e religioso che ha generato culture e tradizioni, la cui presenza è rintracciabile in molti saperi scolastici (come l'arte, la filosofia, le letterature, la storia, la religione, le scienze) e in altre tradizioni contemporanee (la cinematografia, la musica...). Ecco perché il progetto non ha come destinatari professionali (soltanto) i docenti di IRC, bensì tutti i docenti che - si legge nella presentazione dell'iniziativa - "con lealtà professionale e laicità scientifica e metodologica non trascurano alcun documento che possa offrire agli studenti più efficaci e più efficienti strumenti per interpretare il nostro presente ed il patrimonio che ancora vive tra noi": dato che, come sosteneva il grande biblista L.Alonso Schökel, la Bibbia non è stata scritta per gli studiosi...
Ulteriori informazioni sono reperibili nel sito, appositamente approntato, www.bibbiaeducational.it; per ogni chiarificazione, suggerimenti e reperimento di spunti in funzione didattica, ci si può rivolgere direttamente al prof.Troìa con l'indirizzo p.troia@bibbiaeducational.it.

(21)Cfr. COMITATO BIBBIA CULTURA SCUOLA, Bibbia il libro assente, Marietti scuola, Milano 1993. Tra le numerose pubblicazioni nate dall'esperienza di Biblia, ricordo almeno l'utile Vademecum per un lettore della Bibbia, Morcelliana, Brescia 1998, che ha la funzione di costituire una guida pratica per quanti si avvicinino per la prima volta alla Scrittura.

(22)C.M. MARTINI, "La parola di Dio nel futuro dell'Europa", in AA.VV., Non passare oltre, EDB, Bologna 2003, pp. 383-390.

(23)Cfr. E. BIANCHI, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006.

(24)G. DIX, La Bibbia ha (quasi) sempre ragione, Mondadori 2008 (1° ed. 2003). Vi si racconta il Dio geniale ma svogliato della creazione, l'Adamo spaesato e alienato dai primi giorni nell'Eden; le peripezie di un Giona tutt'altro che prono agli ordini divini che si ritrova nella pancia della balena ("Che faceva per ingannare il tempo? Contava i villi intestinali?"); le perplessità (anche giuridiche) di Abramo sul "patto" e sulla circoncisione ("Proprio lì? Non si poteva fare su un'unghia?"); la carognata che Giacobbe fece al fratello gemello e le umiliazioni alle quali si sottopose poi per amore di Rachele, compreso andare a letto con la sorella racchia. Per finire con le visioni da poeta psichedelico del profeta Gioele (al quale l'autore è, per ovvi motivi, molto affezionato...). Si può vedere, al riguardo, la mia intervista "Divina Commedia. Gioele Dix e la Bibbia", in Jesus n.7 (2004).

(25)www.festivalbiblico.it

(26)PL 24,17; ripreso in Dei Verbum n.25.

(27) In proposito, rimando al mio "Cosa c'è dietro il Codice da Vinci", in Jesus n.6 (2005), pp.78-84.

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