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Continuità e discontinuità del Concilio Vaticano II

sintesi della relazione di Luigi Bettazzi
Verbania Pallanza, 27 ottobre 2007

Una delle grandi grazie che il Signore mi ha fatto è stata quella di partecipare al Concilio Vaticano II. Ero un giovane vescovo, stavo per compiere 40 anni, ed ero ausiliare del cardinal Lercaro, arcivescovo di Bologna e moderatore al Concilio.

il cammino della rivelazione dell'amore di Dio

Il primo grande concilio, anche se non è conteggiato fra i concili ecumenici, è quello di Gerusalemme, intorno agli anni 50, in cui si discusse se i pagani, per diventar cristiani, dovessero prima diventare ebrei, sottoponendosi alla circoncisione. Ad Antiochia molti non ebrei volevano divenire cristiani. Anche l'evangelista Luca, come dice il nome, non era ebreo, ma greco, e greci erano i sette primi diaconi, come Stefano, Filippo, ecc.
Per illustrare l'importanza del problema che si poneva allora, risalgo... fino ad Adamo, fino alla creazione.
Dio è amore, e ha voluto fare l'uomo a sua immagine e somiglianza. Ma l'uomo si è talmente riempito di sé, da considerarsi autosufficiente .
Quando parliamo del peccato di Adamo ed Eva, lo chiamiamo originale, perché è alle origini, ma io ritengo che è originale perché l'origine è dentro l'uomo. L'uomo si sente così grande da voler fare di testa sua rifiutando di accogliere ciò che Dio vuole. In questo sta l'origine del male: nella tendenza a chiuderci, a farci primi, come singoli e come popoli.
Ma Dio vuole che l'uomo sia amore. E poiché non è facile portare l'umanità, che si è richiusa egoisticamente su se stessa, ad aprirsi, Dio comincia a scegliersi un popolo e a dirgli che Dio è al di sopra, non al suo livello. E' in questo senso che si deve intendere la proibizione della legge antica di fare delle immagini di Dio. Nelle sinagoghe, ed anche nelle moschee, non si trovano immagini umane, tanto meno di Dio. Fare un'immagine di Dio, vuol dire ridurlo al proprio livello.

amare il prossimo e i nemici

Al suo popolo Dio dice che deve amare il prossimo, che deve cioè anzitutto amare chi gli è più vicino, il connazionale e il correligionario. Del prossimo fan parte non solo le persone importanti, ma anche i più poveri e gli emarginati, come le vedove, gli orfani, lo straniero.
Gesù Cristo arriva a dire che Dio è amore non solo per il suo popolo, ma per tutti. E ci rivela Dio come Trinità.
Come diceva Monsignor Tonino Bello, le persone della Trinità non sono uno più uno più uno, che farebbero tre, ma uno per uno per uno, che fa uno!
Essere gli uni per gli altri, amarsi gli uni gli altri: così ci vuole Dio, che è amore.
E nel Vangelo leggiamo: "Avete udito che è stato detto: ama il prossimo e odia il nemico, ma io vi dico: amate anche i vostri nemici."
Questo è il cammino dell'amore, della rivelazione di Dio.
Questa apertura universalistica si affermerà e si approfondirà progressivamente.

il concilio di Gerusalemme e l'apertura ai pagani

Per gli Ebrei era importante non contaminarsi con gli altri popoli. Non potevano fare accordi con altri popoli, perché gli accordi comportavano spesso l'accettazione delle loro divinità (si pensi per esempio al panteon, al tempio dedicato a tutti gli dei di tutti i popoli, costruito dai Romani; si pensi all'Areopago di Atene in cui c'erano le statue di tutti gli dei, compresa quella al "dio ignoto" da cui San Paolo prenderà spunto per annunciare il Dio di Gesù). Gli ebrei non potevano entrare nelle case dei pagani, che, come i Romani, spesso avevano sulla porta i loro Lari e Penati, a cui si sarebbero dovuti inchinare.
Quando Pietro va a Cesarea e converte Cornelio, al suo ritorno a Gerusalemme viene rimproverato per essere entrato nella casa di un pagano!
Ad Antiochia, Pietro inizialmente accetta di mangiare insieme ai pagani, ma in seguito, su pressione dei giudaizzanti, non va più a mangiare da loro.
Ma San Paolo si oppone a Pietro "a viso aperto perché evidentemente aveva torto" (Gal 2,11).
E per risolvere la questione (necessità della circoncisione per essere cristiani), fanno un concilio a Gerusalemme. Si riuniscono gli apostoli e i primi discepoli e decidono che i pagani non sono obbligati a farsi prima ebrei, con la circoncisione. Devono solo osservare alcune cose (un piccolo compromesso storico), per rispetto degli ebrei, come l'astenersi dal mangiare carne di animali soffocati o offerta agli idoli.
E' ad Antiochia che coloro che accoglievano il vangelo furono chiamati cristiani .
Finché i cristiani restarono minoranza e a volte perseguitati non ci furono gravissimi problemi da affrontare, ad eccezione forse della questione dei lapsi, di quei cristiani che rinunciavano almeno esteriormente alla fede cristiana, sacrificando agli idoli, per evitare la persecuzione.

dai concili dogmatici al concilio pastorale

La situazione cambia con Costantino e l'instaurarsi di un nuovo rapporto tra stato e chiesa, con interferenze e sostegno reciproco. Si manifestano dissensi e divisioni fra i cristiani sul modo di intendere i grandi misteri della fede cristiana, come la Santissima Trinità.
Come è possibile che Dio sia insieme uno e tre? (I musulmani ci accusano di scarso monoteismo)
Un prete di Alessandria d'Egitto, Ario, agli inizi del quarto secolo, risolve il problema affermando che solo il Padre è veramente Dio, mentre il Figlio è un Dio di serie B, e lo Spirito Santo di serie C! Ario ottiene estesi consensi, dando luogo a duri scontri e accese divisioni.
Quando a Milano (374) si riunì la popolazione in chiesa per eleggere il nuovo vescovo (perché allora era la gente che nominava i vescovi! per fortuna che hanno cambiato, altrimenti la gente non nominerebbe mica noi!), emersero due posizioni contrastanti tra chi voleva un vescovo ariano e chi no. Dovette intervenire il questore per sedare gli animi e placare le violenze, mettendo pace fra i litiganti. Visto il successo, fecero vescovo per acclamazione il questore che si chiamava Ambrogio, dopo averlo battezzato e ordinato prete.
Per dirimere la questione, Costantino propose al papa di riunire tutti i vescovi. Così fecero un concilio a Nicea (325), in cui definirono che Dio era uno in tre persone. E che chi non accettava questo, era fuori dalla Chiesa: scomunicato!
Un altro concilio si fece per metter fine alle discussioni se Gesù Cristo fosse Dio o uomo. Si disse: vero Dio e vero uomo. Chi non ci sta, fuori dalla Chiesa: scomunicato!
Man mano che si presentavano dei problemi e nascevano delle discussioni, quindi, si faceva un concilio. Si chiamavano concili dogmatici, perché fatti per precisare dei dogmi. Ne contiamo venti, i primi sette, sono i più importanti, perché non si erano ancora verificate le separazioni con gli ortodossi e i protestanti. Mentre quelli del secondo millennio sono definiti, dalla Officina bolognese di Alberigo, concili generali, suscitando riserve in alcuni settori romani.
In un recente passato, per tenere a mente la serie dei concili, si usava la filastrocca: nicoeca-coconico-lalalala-lilivico-ferlatrevat!
e cioè: Nicea, Costantinopoli I, Efeso, Calcedonia; Costantinopoli II e III, Nicea II, Costantinopoli IV; Lateranense I, II, III, IV; Ferrara, Laterano V, Trento, Vaticano I.

il vaticano I e l'infallibilità pontificia

Il Concilio Vaticano I (1869-1870) aveva definito l'infallibilità del papa. Era il periodo della formazione dell'unità d'Italia, delle lotte allo stato pontificio... I vescovi piemontesi in maggioranza non erano favorevoli, non per motivi di fede, ma perché ritenevano che si trattasse soprattutto di una scelta politica. E in parte era vero, perché in Vaticano speravano che così le nazioni cattoliche d'Europa sarebbero accorse a difendere Roma. Nel luglio del 1870 i padri conciliari accantonarono le discussioni già avviate per affrontare subito il tema dell'infallibilità del papa. Il giorno della votazione 55 vescovi non andarono a votare, tra cui i piemontesi, compreso il vescovo di Ivrea Luigi Moreno, di cui mi sono un po' interessato (bisogna stare attenti ai vescovi di Ivrea che si chiamano Luigi!) e che accampò scuse di impegni urgentissimi. Si sparse poi la voce che il papa avrebbe fatto imprigionare i vescovi che non erano andati a votare!
Una volta stabilita l'infallibilità del papa, si sentì meno il bisogno di convocare un concilio: può benissimo provvedere il papa stesso.
Pare che Pio XI avesse pensato ad un concilio, ma solo pensato. Sembra che Pio XII avesse anche già cominciato a far studiare i temi da proporre, ma il Vaticano erano poco favorevole.
I governi in genere non amano i parlamenti, perché ci sono anche le opposizioni, con le quali occorre trovare un accordo scendendo a compromessi, ecc... Nella Chiesa il Vaticano è come il governo e il concilio il parlamento.
Il mio arcivescovo, il cardinal Lercaro, persona molto riservata, mi fece una confidenza su quello che gli disse una volta Pio XII, in un momento di affaticamento: "Avremmo voluto dar le dimissioni, ma i nostri collaboratori ci hanno dissuaso". Se il papa sta male, comanda la curia (Questo solo a quei tempi!)

Roncalli, una vita in preparazione del concilio

Tutta la vita di papa Giovanni, prima della sua elezione a pontefice, era stata una preparazione all'indizione del concilio.
Dopo essere stato segretario del vescovo di Bergamo Radini Tedeschi e poi a Roma presidente del consiglio centrale per l'Italia della Pontificia opera per la Propagazione della fede, organismo preposto alla raccolta di fondi per le missioni, nel 1925 viene nominato visitatore apostolico in Bulgaria e consacrato vescovo, entrando così in contatto con il mondo ortodosso e con le problematiche dell'ecumenismo. Nel 1934 viene inviato a Istambul come delegato apostolico per la Turchia e la Grecia, incontrando così il mondo non cristiano, quello islamico. Gli orizzonti si allargano.
Poi, nel 1944, De Gaulle, all'indomani della liberazione della Francia, fece allontanare il nunzio perché si era compromesso con Pétain, e voleva mandar via trentatré vescovi francesi compromessi con il regime di Vichy, pretendendo inoltre entro la fine di dicembre un nuovo nunzio. Secondo il Congresso di Vienna del 1815, il nunzio è il decano del corpo diplomatico, nelle nazioni cattoliche. In assenza del nunzio diventa decano il primo per anzianità. Il più anziano a Parigi era l'ambasciatore russo e De Gaulle non voleva che a fargli gli auguri fosse quell'ambasciatore. In questa situazione delicata Pio XII nominò Roncalli come nunzio a Parigi, al tempo una delle centrali più importanti e rinomate.
Incontrai Roncalli nel 1951, quando decisi di andare a Parigi per cercare di imparare un po' di lingua francese. Il mio cardinale di Bologna mi invitò ad andare a visitare il nunzio di Parigi, mons. Roncalli "che è un brav'uomo". Roncalli mi disse che aveva due hobby. Il primo erano i libri antichi. "I miei colleghi lo sanno e quando mi vogliono fare un regalo sanno cosa offrirmi. Questa è la prima edizione della Filotea di San Francesco di Sales". E poi si interessava delle visite pastorali di San Carlo Borromeo nella diocesi di Bergamo, dove portava il concilio di Trento. Si rendeva conto che il concilio era in grado di rinnovare la chiesa.
All'inizio del 1953 (di solito il nunzio di Parigi diventa cardinale e va a Roma a guidare una Congregazione), ormai più che settantenne, venne creato cardinale e mandato a Venezia.
Al Conclave del 1958 si era un po' arrabbiati con il defunto Pio XII perché aveva mandato Montini a Milano senza averlo fatto cardinale e quindi non papabile. Si pensò di eleggere papa un cardinale molto anziano, che consentisse di preparare in tempi sufficientemente brevi la nomina di un successore duraturo. Lo si riteneva un papa di transizione.

le transizioni di papa Giovanni: concilio e Pacem in terris

E lui fece due transizioni: il concilio e la Pacem in terris.
Sapendo che in Vaticano l'avrebbero dissuaso dal fare un concilio, Giovanni XXIII rivelò questa sua intenzione solo a due persone: al suo segretario Capovilla, e anche a Tardini, segretario di stato, ma in confessione, perché non potesse comunicarlo a nessuno.
Il 28 ottobre 1958 era diventato papa, e il 25 gennaio 1959, a San Paolo fuori le mura, annunciò che avrebbe convocato un concilio.
Era consapevole dell'importanza di un concilio per la vita della Chiesa, ma neanche lui sapeva che cosa il concilio avrebbe elaborato. Probabilmente pensava che, in due mesi, si sarebbero svolti i lavori conciliari.
Gli oltre settanta documenti preparatori, elaborati dalle numerose commissioni (io partecipai a quella sul seminario e l'educazione cattolica), furono accantonati per dare spazio a nuove proposizioni. Infatti i vescovi si erano accorti che quei documenti erano un po' il riassunto del passato! Non c'è bisogno di un concilio per riassumere il passato.

un concilio affidato ai vescovi

Papa Giovanni fece due gesti, all'inizio, che fecero capire ai vescovi che il concilio era nelle loro mani.
Quando fu il momento di eleggere i membri delle dieci commissioni (gruppi di lavoro) dell'assemblea conciliare, due cardinali, il tedesco Frings di Colonia e il francese Liénart di Lilla, chiesero di avere il tempo di avviare delle consultazioni e dei contatti tra i Padri perché le commissioni fossero rappresentative dell'Assemblea, impedendo la conferma, inevitabile, delle commissioni preparatorie. E il papa diede loro ragione e concesse loro tre giorni, al termine dei quali le commissioni vennero elette sulla base di liste predisposte dalle conferenze episcopali. Molti dei partecipanti alle commissioni preparatorie non vennero rieletti.
L'altro gesto riguardò il documento che sarebbe poi diventato la Dei Verbum, cioè la costituzione sulla parola di Dio. Il documento preparato dalla apposita commissione parlava di due fonti della Rivelazione, la Scrittura e la Tradizione (identificata praticamente con il magistero gerarchico). Era l'insegnamento usuale della teologia romana. Ricordo un simpatico professore dell'Università pontificia, che apriva alternativamente i due cassetti della cattedra chiamandoli uno la Scrittura e l'altro la Tradizione. In reazione alla riforma protestante, si attribuì maggior peso alla Tradizione e si guardò con sospetto e diffidenza l'uso della Bibbia, la cui lettura era riservata ai preti e ai vescovi. Alla gente bastava il catechismo.
Il documento preparatorio su "Le fonti della rivelazione" sottoposto all'approvazione dei Padri conciliari non ottenne la maggioranza dei consensi, ma solo poco più di un terzo. Poiché secondo le regole del Concilio solo una maggioranza superiore ai due terzi poteva cambiare le proposte ufficiali, l'Assemblea avrebbe dovuto discutere proprio quel documento che la maggioranza riprovava. Fu allora che il papa intervenne e d'autorità rimandò il documento alla commissione per un'ampia rielaborazione.
Questi furono i due gesti che fecero capire ai vescovi che il concilio era nelle loro mani.
Non si vuol dire comunque che, all'interno di un contesto di comunione, non ci sia qualcuno che abbia l'ultima parola.
Gli ortodossi, organizzati in chiese autocefale, dal 1920 vorrebbero fare un concilio, ma non riescono, perché rischiano di trovarsi in disaccordo, senza poi avere qualcuno che possa prendere la decisione finale.
Naturalmente, "ultima parola", non vuol dire "unica". Prima ci devono essere altre parole e un cammino comune di maturazione.
Al concilio, il papa ha firmato tutti i documenti. Agli amici di Lefebvre che dicono che il concilio non vale, gli si risponde dicendo che il papa ha apposto la sua firma. Non credono forse all'autorità del papa?
Certo, tanto Giovanni XXXIII come Paolo VI sono arrivati a firmare dei documenti che contenevano affermazioni a cui, forse, al principio, non pensavano. Non che fossero contrari, ma non ci pensavano. Ecco l'importanza del concilio, che permette una maturazione comune.

un concilio pastorale

L'altra grande intuizione di Papa Giovanni fu che il concilio non avesse un carattere dogmatico, ma pastorale.
Alcuni vescovi, come per esempio il cardinal Siri, dicevano che allora non era un vero concilio .
Il pedagogista americano Dewey diceva che per insegnare il latino ad un ragazzino devo conoscere sì il latino, ma anche il ragazzo, per sapere come presentarglielo, come lui riesca a capirlo, ecc.
E papa Giovanni si pone la stessa domanda: i dogmi li abbiamo definiti e chiariti, ma come li presentiamo alla gente di oggi? Ecco perché ci voleva un concilio pastorale.
Oggi c'è un certo timore a parlare del concilio, e c'è una discussione in corso sul suo valore. Per questo ho scritto un secondo libretto sul concilio (Non spegnere lo Spirito. Continuità e discontinuità del Concilio Vaticano II).

continuità dogmatica e discontinuità pastorale

C'è chi ha visto in questo Concilio un "evento", considerando che ha talmente innovato la mentalità della Chiesa cattolica da non poterla più considerare uguale a quella dei tempi anteriori. Fautore di questa posizione è l' "officina bolognese", cioè il Centro di documentazione fondato a Bologna da Dossetti e continuato da Alberigo e ora da Melloni. Le posizioni dell'Officina bolognese sono oggi fortemente criticate da chi ritiene che un "evento" indicherebbe una rottura con il passato, non ammissibile nel cammino della Chiesa.
Papa Ratzinger, che ha una sensibilità propria di un professore di dogmatica, è più portato a voler precisare le cose sul piano dogmatico. Ecco perché, in occasione degli auguri di Natale del 2005 alla curia romana, tenne un discorso in cui affermò che ci sono due ermeneutiche, due interpretazioni del concilio: una di continuità e una di discontinuità. Deplorò chi propugna la discontinuità, schierandosi apertamente per la continuità, perché la Provvidenza non può permettere situazioni che esigano rotture.
Nel mio libretto, che la Queriniana ha stampato in un mese e mezzo, sostengo che sul piano dogmatico ha ragione il papa. Il concilio non ha detto nessuna verità nuova, è in continuità. Ma questo non toglie che una diversa prospettiva pastorale possa portare a vedere le cose di sempre in modo talmente nuovo da costituire un "evento"! Si guardi ad esempio al cambiamento nel rapporto con la bibbia! Quindi: continuità dogmatica e discontinuità pastorale.

Mi soffermo soprattutto sulle quattro costituzioni del Vaticano II. I documenti del concilio sono stati in tutto sedici. Ci sono tre dichiarazioni, su punti particolari, di cui una molto importante, sulla libertà religiosa.
Nove sono i decreti, di carattere pratico e proprio per questo motivo più facilmente sentono il logorio del tempo.
Ma in tutti i venti concili, i documenti fondamentali sono le costituzioni. E il Concilio Vaticano II ha redatto 4 costituzioni: sulla parola di Dio, sulla liturgia, sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa nel mondo. Il loro titolo è formato dalle prime parole del testo latino: "Dei Verbum", "Sacrosanctum Concilium", "Lumen gentium", "Gaudium et spes".
Vorrei utilizzare gli ultimi minuti della prima parte per parlare delle prime due, proprio come segno della discontinuità pastorale. Nella seconda parte parlerò delle due rivoluzioni copernicane operate dal concilio.

la "Dei Verbum" e la rivalorizzazione della Parola di Dio

Per quanto riguarda la parola di Dio, c'è stata veramente una discontinuità pastorale. Prima del Concilio, infatti, la parola di Dio non si leggeva. Persino in seminario: sapevamo a memoria le traduzioni antiche, ma non leggevamo la bibbia. Avevamo i libri approvati dall'autorità ecclesiastica, che ci presentavano le Scritture.
Il cambiamento non è avvenuto per caso. Nei decenni precedenti il concilio persone e gruppi avevano approfondito e portato avanti delle idee sulla bibbia, sulla riforma liturgica, sull'ecumenismo, ecc., ma erano guardati con sospetto. Quando negli anni 20 il cardinal Mercier, arcivescovo di Malines, Bruxelles, cominciò ad incontrarsi con un anglicano, Lord Halifax, ricevette l'ordine di interrompere il dialogo.
Al di dentro dell'assemblea conciliare, invece, anche le minoranze potevano esprimere le loro opinioni e arricchire la riflessione comune.
Senza scandalizzare nessuno ritengo di poter dire che i primi convertiti del concilio siamo stati noi vescovi, perché siamo usciti con una maggioranza che all'inizio non c'era. E' l'opera dello Spirito Santo, è il valore dell'esperienza conciliare.
Padre Benedetto Calati, il generale dei Camaldolesi, diceva che il fondamento della pastoralità è proprio la Costituzione Dei Verbum. Prima del concilio, infatti, sembrava che essere cristiani consistesse nel sapere a memoria delle verità. Si facevano addirittura le gare di catechismo, dalle risposte semplici della seconda elementare, a quelle più difficili e complesse della quinta elementare. "Chi è Dio?" - "Dio è l'essere perfettissimo..." Pareva più importante dirlo che crederlo. Del resto anche ai tempi dell'inquisizione, c'era chi diceva di sì pur di non essere torturato.
Il concilio rivaluta la Parola con cui Dio, che è amore, si rivolge all'umanità, con cui Dio interpella ciascuno di noi. Di fronte alla chiusura di Adamo, Dio parla, prima alla comunità ebraica, poi a tutto il mondo. Se vogliamo ascoltare Dio, dobbiamo leggere la sua parola. Dio per comunicare si serve degli uomini, che si esprimono nella loro lingua e nella loro cultura, e occorre quindi sforzarsi di capire.
Dio affida la sua parola alla chiesa, proprio perché venga spiegata e portata nella vita di oggi.
Quando si dice "parola di Dio", non ci si riferisce tanto alla parola scritta, quanto a quella che Dio sta rivolgendo a noi attraverso quella scritta.
Fin dal principio, Dio ci interpella e ci chiama a vivere bene la nostra vita umana, per dar gloria a Lui nell'arco della nostra vita e per portare la pace sulla terra. Tutti abbiamo una vocazione, perché tutti siamo interpellati da Dio, ogni giorno.
E per capire quel che ci dice, dobbiamo leggere la parola di Dio. Non sempre arriveremo a comprenderla. Ma è consolante sapere che in questo abbiamo dei predecessori illustri. Persino Maria e Giuseppe non capirono quando Gesù dodicenne, nel tempio, disse loro che doveva occuparsi delle cose del Padre suo. Se non capirono loro!
L'importante allora non è pretendere di capire tutto e subito ma di continuare a restare in un atteggiamento di ascolto.
Quelli che sono giovani come me da tanto tempo, si ricordano che una volta si diceva che la messa "era buona" se si giungeva prima che il prete scoprisse il calice. Sembrava che la prima parte della messa, quando si legge e si spiega la parola di Dio, fosse fatta solo per evitare che i ritardatari perdessero messa! Invece, la seconda è "buona", perché c'è la prima! Ecco, dovremmo andare a messa chiedendoci: cosa mi dirà oggi il Signore? Cosa mi ha detto il Signore? Dovremmo sentirci costantemente in ascolto del Signore. Vi diranno tante cose belle della prima costituzione, ma ricordate che l'atteggiamento di fondo è questo sentirsi costantemente a tu per tu con Dio.

la Costituzione sulla liturgia (Sacrosanctum concilium)

La costituzione relativa alla liturgia (Sacrosanctum concilium) in realtà fu la prima ad essere approvata, in quanto il documento preparatorio sulla parola di Dio, come vi dicevo, doveva essere rifatto. Sembrava allora che la liturgia non fosse qualcosa di importante, che riguardasse solo problemi di forma. Chi la insegnava nelle diocesi era il cerimoniere vescovile. In seminario imparavamo come comportarci durante le funzioni religiose, come tenere e muovere le mani, quando stare seduti o in piedi, quando e come inchinarsi o genuflettere.
Prima di celebrare la mia prima messa, per un mese, ho studiato davanti allo specchio. E non per vanità! Ma perché quando ti voltavi per dire "Dominus vobiscum", dovevi aprire le braccia in modo che le mani stessero in corrispondenza delle spalle e non fuori o sopra... perché occorreva eseguire vari segni sul calice, eseguire vari tipi di inchini...
Quando iniziai a prender parte ai lavori del concilio, la Sacrosanctum Concilium era già stata discussa e stava per essere approvata. Si facevano diverse votazioni ogni giorno, prestando molta attenzione ad ogni singola frase. E succedeva quello che capita in un'ascensione in montagna. Non ci si può distrarre, occorre vedere bene dove mettere un piede, poi l'altro, quindi l'appoggio per la mano e così via. Solo alla fine ci si accorge e ci si meraviglia della bellezza della meta raggiunta, dell'importanza del cammino percorso.
La Sacrosanctum concilium, la costituzione sulla liturgia, venne quindi approvata alla fine della seconda sessione, il 4 dicembre del 1963, insieme al decreto Inter mirifica, sui mezzi di comunicazione sociale.
Aver approvato come primo documento la costituzione sulla liturgia, ha facilitato la soluzione di vari problemi, come quello del rapporto tra Tradizione e Parola di Dio, da non vedersi come due realtà distinte: è la Tradizione che ci presenta la Parola di Dio.
Ma consideriamo i cambiamenti relativi alla messa. Ai nostri tempi si diceva "assistere" alla messa, perché chi andava a messa, vedeva il prete sull'altare, di schiena, che diceva sottovoce, e spesso velocemente, preghiere in latino e ogni tanto si girava a dire "Dominus vobiscum". Le parole della consacrazione (hoc est corpus meum), quelle sì venivano dette in modo scandito e solenne, perché si riteneva che lì risiedesse tutta l'importanza della celebrazione e che solo con la proclamazione della formula scattasse la transustanziazione, la presenza reale di Cristo nell'Ostia, da adorare poi nei momenti successivi. E' chiaro che in questa visione protagonista unico era il prete.
La gente "assisteva", e, anzi, per pregare, diceva il rosario! Recitare il rosario può essere una preghiera bellissima, ma vuole anche dire che la messa non era una preghiera.

l'eucaristia: preghiera di Gesù e preghiera di tutti

Il Concilio ha rivelato nella Liturgia il momento più alto della vita della Chiesa e del cristiano. La messa è la preghiera di tutti.
Anzi, prima ancora di essere la preghiera del prete celebrante o del popolo che vi partecipa, l'Eucaristia è la preghiera di Gesù Cristo. Nella messa noi facciamo memoria della morte e resurrezione di Gesù, che è morto dicendo: "Padre, nelle tue mani consegno la mia vita" (Lc 23, 46) e "Padre, perdona loro" (Lc 23, 34). In questo modo ha espresso la pienezza dell'amore al Padre e la pienezza dell'amore agli altri. La preghiera prima di essere un'azione è allora una persona: Gesù Cristo è preghiera nell'ultimo momento della sua esistenza terrena e per l'eternità, così come lo è stato per tutta la vita. Gesù si rende presente perché noi possiamo non assistere, ma partecipare, unirci a lui, dando il valore della sua vita alla nostra vita, il valore della sua preghiera alla nostra preghiera.
Perché questo sia possibile dà a noi il suo Spirito, come dice il vangelo di Giovanni.
Nella traduzione corrente si dice per parlare della morte di Gesù: "Inclinato il capo, spirò" (Gv 19,30). Più fedelmente alla formulazione greca nella nuova traduzione si dice: "rese lo Spirito", che vuol dire sia "spirò" che "trasmise lo Spirito".
E quando gli aprirono il costato, Giovanni dice: "uscirono sangue ed acqua. Chi lo vide, ne dà testimonianza perché voi crediate". E da quel sangue e da quell'acqua, i padri dicono che è nata la chiesa: "Come dal costato di Adamo dormiente è nata la sposa Eva, così dal costato di Cristo dormiente sulla croce, nasce la sposa": la chiesa ha in quel sangue battesimo ed eucarestia .

"andate la messa è finita": vivere l'amore di Dio nella vita

Nella messa noi facciamo memoria di Gesù morto e risorto. Io ci tengo a dire che Gesù, nel momento in cui è morto, è anche risorto. E' stato in croce tre ore, ma è risorto per sempre. Così, ai mussulmani che ci dicono che adoriamo un cadavere, diciamo che noi adoriamo un risorto.
Certo, diciamo che è risorto tre giorni dopo, che dopo quaranta è salito al cielo, che dopo cinquanta ha mandato lo Spirito Santo.
Ma quando è apparso agli apostoli il giorno di Pasqua ha detto loro: "Ricevete lo Spirito!"
Il momento della sua morte è lo stesso momento in cui risorge e dona lo Spirito Santo.
Così, partecipare alla messa significa immergerci in Lui, che ci dà lo Spirito Santo, che ci permette di vivere la vita nell'amore di Dio e nell'amore degli altri.
Le parole finali della messa "Ite missa est" che letteralmente significano: "La messa è finita, andate in pace", non vogliono dire semplicemente che ce ne possiamo andarcene tranquilli. "Missa est" indica la missione: siete venuti a caricarvi dell'amore di Dio, e adesso la missione è di vivere l'amore di Dio nella vostra vita di tutti i giorni. Di viverla come un sì all'amore di Dio, che vi sta pensando e vi sta chiamando, e di viverla come un costante impegno di dedizione agli altri.
Questa è la cosa fondamentale. Si possono dire tante cose belle della costituzione Sacrosanctum concilium, ma ciò che è fondamentale è capire che la liturgia non è un rito esterno, ma è proprio Gesù Cristo che si rende presente nel suo atteggiamento eterno, che è stato l'atteggiamento di tutta la sua vita.
Per parlare della sua vita, noi abbiamo stabilito delle date, come quella del 25 dicembre per la sua nascita. Non è una data che abbiamo trovato all'anagrafe di Betlemme, ma abbiamo semplicemente "battezzato" una festa pagana, quella che a Roma si festeggiava dopo l'equinozio d'inverno, la festa del sole nascente, quando il giorno cominciava di nuovo ad allungarsi. E noi abbiamo detto che il sole nascente è Gesù Cristo.
E abbiamo stabilito come giorno per ricordare l'Annunciazione il 25 marzo (nove mesi prima del 25 dicembre). Nella lettera agli Ebrei che si legge in quel giorno, viene riferito a Gesù un passo del salmo 39: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerte, un corpo invece mi hai preparato... ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà". Tutta la vita di Gesù è stata vissuta in questo spirito. E Gesù si rende presente perché noi ravviviamo quella presenza, quella forza dello Spirito Santo, che è iniziata per noi nel battesimo. E che forse anche gli altri hanno. Ma di questo parleremo nella seconda parte.

la Gaudium et Spes: una chiesa al servizio dell'umanità

Comincerò col parlarvi non della terza, ma della quarta costituzione e delle due grandi rivoluzioni copernicane operate dal Concilio.
Sapete che Tolomeo diceva che la terra era al centro dell'universo e che il sole le girava attorno, mentre Copernico sostenne che era il sole al centro e che la terra gli girava attorno.

una prima rivoluzione copernicana: chiesa a servizio dell'umanità

Parlando della chiesa, la prima "rivoluzione copernicana" riguarda il rapporto chiesa-mondo. Una volta si diceva che la chiesa era al centro e che il mondo le girava intorno, mentre con il Concilio si dice che l'umanità è al centro e la chiesa è al servizio dell'umanità.
Un tempo si citava (qualche volta si cita ancora) una frase latina: "Extra ecclesiam nulla salus". Fuori dalla Chiesa non c'è salvezza. Una convinzione abbastanza diffusa .
Si pensi al documento firmato dal papa il 17 gennaio 2007, in cui si dice che il limbo non esiste. Dato che un tempo si diceva che senza battesimo non si poteva andare in paradiso, ci si poneva il problema dei bambini morti senza battesimo. Come si poteva dire che questi bambini andassero all'inferno? Si inventò allora il "limbo", un luogo dove c'erano tutte le felicità naturali, ma senza la visione di Dio.
Ora invece si afferma che il limbo non è accettabile sul piano della visione biblica. Il che vuol dire che si può andare in paradiso anche senza battesimo.

oltre il limbo: si nasce nel mondo di Gesù Cristo

Noi diciamo sempre che il mondo comincia con Adamo, ma San Paolo, nella lettera ai Colossesi, afferma che Gesù Cristo è il primogenito di ogni creatura, per Lui sono state create tutte le cose.
Allora, quando Dio ha creato il mondo, ha pensato a Gesù Cristo risorto. E' Lui il primogenito.
Io sono portato a dire che quando un essere umano viene al mondo, nasce nel mondo di Gesù Cristo. Dio vuole che si viva da esseri umani, quindi con consapevolezza e in libertà, e vuole pertanto che si vada in paradiso, certamente perché Lui ci dà la grazia, ma anche perché noi gli diciamo di sì. Ma prima di arrivare all'età di ragione, quando ancora non siamo in grado di rispondere di sì a Dio, noi siamo già nel mondo di Gesù Cristo.
Quando parliamo di peccato originale intendiamo dire che fin dall'origine gli esseri umani, quando arrivano all'età di coscienza, sono portati a vivere nell'egoismo e nell'orgoglio.
Ma Gesù Cristo ha preso l'umanità su di sé, nella sua morte ha rotto il guscio dell'egoismo e dell'orgoglio e con lo Spirito Santo ci dà la possibilità di aprirci, a Dio e agli altri.
In questa luce cambia anche la visione che si aveva del compito missionario: una volta si diceva che si doveva andare a portare la grazia di Dio a tutte quelle persone che non lo conoscevano, le quali, senza questo annuncio, sarebbero andate all'inferno!

dalla ragione dominatrice all'intelletto che apre agli altri e a Dio

Forse per la deformazione che mi deriva dall'aver a lungo insegnato filosofia, ritengo che ci siano due dimensioni nell'uso della nostra mente: una è quella che San Tommaso chiamava "ragione", e Kant chiamava "ragion pura", cioè quella che ci permette di guardare la realtà, di elaborarla, di dominarla. Questa dimensione porta l'essere umano a sentirsi il dominatore del creato, perché gli dà la possibilità di modificarlo per renderlo strumento del proprio benessere.
Ma la nostra mente non si limita a questa dimensione, come già fa trapelare il racconto genesiaco della creazione.
Quando Adamo fu creato e vide il mondo e gli animali che vi erano, egli "diede loro il nome". "Dare il nome" significa capire il loro significato, esercitare su di loro un dominio. Ma ad Adamo non bastava avere il dominio del creato, aveva bisogno di scoprire che cos'era. E il Signore creò Eva. E Adamo disse: questa è carne della mia carne, è osso delle mie ossa .
Anche la Bibbia fa intravvedere una dimensione della mente che non è quella del dominatore, ma quella del ricercatore, del saper cogliere il senso più profondo delle cose, del sentirsi partecipe di un mondo più grande. E' la dimensione presente nella percezione della bellezza, nell'esperienza dell'amore, nell'esclamazione di Adamo: "questa è carne della mia carne, è osso delle mie ossa".
E' quanto diceva Dostojewski, ripreso dal cardinal Martini: è la bellezza che salverà il mondo. Cioè è l'aprirsi ad una dimensione più elevata.
Con la ragione dominatrice ci costruiamo un Dio a nostra immagine e somiglianza, che utilizziamo strumentalmente per i nostri bisogni e interessi. Anche quando diciamo che Dio "deve" farci una grazia che gli chiediamo, come il fariseo del vangelo di domani (Lc 18,9-14), non ci poniamo come persone che credono in Gesù Cristo, ma come persone che credono in se stesse. Chi dice di non credere, perché "se Dio ci fosse non avrebbe permesso...", in realtà si è fatto un dio a propria immagine e somiglianza. E' una religione della ragione.
Piuttosto che fides et ratio, fede e ragione, sarebbe meglio parlare di fede e intelletto. L'intelletto (intus legere) è il leggere dentro, è cogliere il senso profondo delle cose, è aprirsi ai valori, a Dio e all'altro.
Ci si apre all'altro, ma non per servirsene. Kant diceva: l'altro mai come mezzo, ma sempre come un fine. Considerare l'altro come un mezzo, vuol dire strumentalizzarlo, magari fino alla disumanizzazione. Su questa china, si può arrivare fino ai lager, al dottor Mengele e ai suoi esperimenti su cavie umane.
Credere è uscire da sé per aprirsi a Dio e agli altri.
Nel cap. 3 del vangelo di Giovanni, il versetto 15 (Gesù che parla a Nicodemo) è stato tradotto: "Chi crede in Cristo, sarà salvo." Ma se leggiamo attentamente la versione greca, vediamo che il significato è: "Chi crede, in Cristo sarà salvo." Cioè sarà salvo chiunque crede, chiunque va a Dio come sa e come può.
Quando, per esempio, vedo i mussulmani in preghiera, mi dico che, se lo fanno con sincerità, loro vanno a Dio. Io credo che chi si apre così, si trova nel mondo di Gesù Cristo.

la "Pacem in terris" e l'apertura all'umanità

La costituzione Gaudium et spes ricevette un forte impulso nella sua stesura dall'enciclica Pacem in terris che Giovanni XXIII firmò l'11 aprile 1963. Fu suggerita al papa dal ruolo determinante che si era trovato a ricoprire nell'autunno del 1962, nel momento più caldo della tensione tra USA e URSS in occasione della crisi di Cuba, quando riuscì, col suo appello a evitare una guerra che le due superpotenze non volevano ma a cui non potevano sottrarsi (nessuna delle due riteneva di poter fare per prima un passo indietro). L'enciclica ebbe una risonanza mondiale, giunta inattesa e sorprendente anche per i vescovi, riuniti a Roma per il concilio.
Una delle grandi novità dell'enciclica era data dal fatto che per la prima volta un Papa scriveva una enciclica non su di un tema strettamente religioso, ma su un tema umano, come la pace, rivolgendosi così non solo ai cardinali, ai vescovi, ai preti, ai cattolici, ma "a tutti gli uomini di buona volontà". Da allora, tutte le encicliche sociali sono rivolte anche agli uomini di buona volontà.
Il che significa che la chiesa non è fatta solo per sé o per i suoi, ma che deve intervenire per aiutare tutti gli uomini ad essere migliori, senza imporre conversioni, ma invitando ad aprirsi meglio a Dio e agli altri.

la Chiesa è l'umanità che si apre agli altri e a Dio

La costituzione Gaudium et spes inizia con queste parole: "Le gioie e le speranze degli uomini sono le gioie e le speranze della chiesa, i lutti e le angosce degli uomini sono i lutti e le angosce della chiesa." Queste affermazioni potevano essere fatte, perché finalmente si riconosceva che la chiesa e il mondo non erano due realtà distinte e contrapposte. Ma che la chiesa è l'umanità in quanto cerca di aprirsi a Dio.

la dignità di ogni essere umano

In questa costituzione, dopo il riconoscimento del valore di ogni essere umano, si tratta della famiglia, della cultura, dell'economia, del valore della pace... Un gruppetto di vescovi un po' tradizionalisti, quando venne presentata la prima bozza, si oppose trovando il testo troppo poco religioso, troppo ottimista, umano, naturalista, ma la maggioranza mantenne il testo proposto, precisando alla fine di ogni settore del documento i motivi di fede per cui si erano fatte quelle affermazioni.
Il messaggio è rivolto a tutti. Trattandosi di un valore umano e di un invito rivolto a tutti gli uomini di buona volontà, nessuno si può sentire escluso, per il fatto di essere un non credente o appartenente ad altra religione.
La prima parte presenta, infatti, la qualità dell'essere umano, costituito di materia e di spirito, inserito nel mondo concreto della storia, con dimensioni individuali e dimensioni sociali. Questo vale per ogni essere umano, di qualunque cultura o religione. Tanto più deve riconoscere la dignità dell'essere umano il cristiano, il quale sa che Dio stesso ha voluto unirsi alla natura umana. Questo vale anche per i temi della seconda parte (la famiglia, la cultura, l'economia, la pace, la comunità internazionale), trattati a livello umano, quindi aperti a tutti, ma confermati poi per i cristiani da citazioni bibliche che ne qualificano lo spessore religioso.

la pace come riconoscimento della pari dignità di ogni essere umano

Che cos'è la pace? E' il frutto della verità. Non delle verità, a causa delle quali si fanno le guerre. Oggi alcuni gruppi mussulmani ritengono di possedere la verità e pertanto pensano che sia giusto uccidere chi non è mussulmano. Ma anche noi cristiani abbiamo a lungo pensato allo stesso modo, facendo crociate, torturando e bruciando eretici, streghe...
La pace viene dalla verità, cioè dal riconoscere la pari dignità di ogni essere umano. Sembra una cosa normale. Ma in pratica, soprattutto noi bianchi occidentali, riteniamo di valere più degli altri.
C'è ancora qualcuno, come il premio Nobel Watson, che arriva a dire oggi che i neri hanno meno intelligenza di noi. Ma pensate anche solo alla nostra reazione di fronte a certe notizie. I 3082 morti occidentali in Iraq ci sembrano un numero enorme, mentre le centinaia di migliaia di Iracheni morti (civili, bambini, donne...) per noi contano molto meno. Pensate a quale reazione ci sarebbe se morisse un italiano vicino a Lampedusa. Delle moltissime persone in cerca di speranza morte cercando di raggiungere le nostre coste, non sappiamo neppure il numero.
Se sono gli otto paesi più ricchi del mondo, il G8, a decidere leggi e modalità della distribuzione delle risorse, è molto probabile che metteranno in primo piano i loro interessi, a scapito di quelli dei più poveri.
Ed è dalle ingiustizie che nascono le guerre, le rivendicazioni, i terrorismi.

solidarietà come riconoscimento degli stessi diritti a tutti

Solidarietà non è "dare qualcosa". E' riconoscere agli altri gli stessi diritti che abbiamo noi, è riconoscere che siamo tutti esseri umani con uguali diritti.
Se noi utilizziamo la maggior parte delle risorse del mondo a nostro profitto, le togliamo agli altri. Così nel mondo ogni anno muoiono per fame tra i venti e i trenta milioni di esseri umani.
Solidarietà è riconoscere la destinazione universale dei beni. La proprietà serve, ma se va contro la destinazione universale, è ingiustizia.
Anche una sentenza di un tribunale italiano, qualche mese fa, ha riconosciuto che se una persona ruba per fame, il suo gesto non può essere punibile, perché il suo diritto alla vita è più forte del diritto di proprietà.
Soprattutto noi cristiani, dovremmo renderci conto di queste cose, della solidarietà, dell'uguaglianza, mentre ce ne dimentichiamo spesso.
Non è forse il vangelo che dice: "Avete udito che è stato detto 'ama il prossimo e odia il nemico', ma io vi dico 'amate anche i nemici.' "?
Non è forse il vangelo che dice che per entrare nel Regno dei cieli bisogna dar da mangiare a chi ha fame, dar da bere a chi ha sete, vestire gli ignudi, cioè dare il lavoro, alloggiare i pellegrini, cioè dare la casa?

Gesù e la sinistra di Dio

E a chi ha operato in questo modo, Gesù dice: "Venite alla destra del Padre mio".
Si dice "alla destra" di una persona, non per motivi di destra o sinistra politica, ma per una tradizione che deriva dal periodo in cui si usava la spada, che, essendo maneggiata con la mano destra, permetteva di colpire facilmente solo chi si trovava a sinistra. Quindi si metteva una persona a destra, per indicare il rapporto di fiducia e per darle onore e sicurezza.
Anche di Gesù che muore e risorge si dice che va "alla destra del Padre".
Per gli Ebrei la destra è segno di forza. Ritenevano che l'ebreo è destra, il pagano è sinistra, l'uomo è destra, la donna è sinistra, l'adulto è destra, il bambino è sinistra, il sano è destra, il malato è sinistra. Cosa ha fatto Gesù Cristo? Ha rivalutato il lontano, la donna, il bambino, l'ammalato: la sinistra di Dio.
Per entrare nel Regno di Dio, che è poi il mondo come Dio lo vuole, bisogna dar da mangiare a chi ha fame, ecc. Dice Gesù: "Ogni volta che l'avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l'avete fatto a me... se non l'avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, non l'avete fatto a me."
Noi cristiani dovremmo pensare a queste cose, e poi tradurle in un impegno concreto, riconoscendo agli altri gli stessi nostri diritti, di uguaglianza e di libertà.
La libertà deve essere riconosciuta anche sul piano religioso, perché a Dio si deve andare da esseri umani, cioè liberamente. Anche questo abbiamo sostenuto in Concilio.
Noi, popoli sviluppati e più forti, usiamo invece spesso la violenza. Crediamo di risolvere tutto con la violenza, di poter portare anche la democrazia con la violenza...
La costituzione, dopo avere genericamente condannato l'inumanità della guerra, giunge peraltro alla condanna specifica della guerra totale come immorale, come pure alla condanna della corsa al riarmo che sottrae risorse alla possibilità di far fronte alla fame e alle miserie del mondo. Quando afferma che la pace non è solo il tacere delle armi, non solo l'equilibrio del terrore, non solo il dominio del più forte, ma è frutto di giustizia e di amore, ricalca le riflessioni dell'enciclica giovannea.

continuità e discontinuità della Gaudium et Spes

Per le situazioni storiche in cui si è svolto il concilio e per il tempo ristretto di cui ha potuto godere l'elaborazione della Gaudium et spes, se pur è corretto parlare di continuità dottrinale con i grandi principi dell'insegnamento sociale della Chiesa, è innegabile una discontinuità pastorale nel modo di affrontare questi problemi che hanno avuto sviluppi significativi. Si pensi al tema della pace ripreso dall'enciclica di Paolo VI Populorum progressio scritta quarant'anni fa, nel '67 (il nuovo nome della pace è lo sviluppo dei popoli, in un mondo organizzato in modo che certi popoli si sviluppano a spese degli altri).
E vent'anni più tardi, nell'87, Giovanni Paolo II scrive la Sollicitudo rei socialis in cui dice che il nuovo nome della pace è la solidarietà, in un mondo di peccati strutturali.
Solidarietà è il nome attuale della carità. E dato che non si è cristiani senza la carità, oggi si deve dire che non si è cristiani se non si vive la solidarietà. Questo vale su tutti i piani, anche sul piano politico, anche nei rapporti fra le nazioni. Noi ci curiamo molto della morale individuale, sessuale, ecc., ma trascuriamo spesso l'ambito sociale. Si potrà dire che occorre operare con prudenza, con moderazione, ma ciò che è importante è che il nostro operare sia improntato alla solidarietà.

nonviolenza attiva: nuovo nome della pace

Ora, stiamo aspettando un'enciclica che ci dica che bisogna arrivare alla nonviolenza attiva. Perché la violenza non porta veramente alla pace. Invece la nonviolenza attiva è basata sul rispetto della libertà, ma della libertà di tutti, non solo della nostra. E libertà effettiva, non come quella della "libera volpe nel libero pollaio"...
L'invito evangelico a porgere l'altra guancia deve essere ben compreso. Qualcuno sosteneva che poteva valere per le singole persone, ma non per i rapporti a livello politico.
Ma se leggiamo bene il vangelo, vediamo che Gesù, percosso di fronte al sommo sacerdote, non si fa schiaffeggiare ulteriormente, ma dice: "Se ho sbagliato, dimmi dove ho sbagliato, ma se non ho sbagliato, perché mi percuoti?"
Offrire l'altra guancia significa non rispondere alla violenza con la violenza, in modo che anche l'altro smetta la violenza.
Anche a livello politico, bisogna trovare il modo di operare senza usare la violenza.
Il più famoso apostolo della nonviolenza è Gandhi, che diceva di averla imparata anche dal vangelo, ma di non essersi fatto cristiano vedendo quanto poco i cristiani mettono in pratica il vangelo.
Di nonviolenza attiva come unica via della pace ha parlato Giovanni Paolo II nel 2003, e Benedetto XVI ne ha parlato già più volte.
Gli uomini, un certo cammino sulla strada della nonviolenza, l'hanno fatto. Pensate che un tempo c'erano continue guerre, anche solo fra una città e l'altra.
E all'interno del cammino degli uomini verso la nonviolenza, i cristiani devono agire come un lievito.
Quando il Signore manda i suoi discepoli ad annunciare la lieta novella, non dice loro di cominciare col pregare e predicare, ma dice: mangiate quello che vi mettono davanti, curate gli ammalati. Cioè: vivete la vita della gente, mostrate la vostra amicizia per la gente, curate in spirito di servizio disinteressato, gratuito. Così la gente si chiederà perché non agite come gli altri per interesse, ma in modo disinteressato e scoprirà che è arrivato il Regno di Dio, il mondo come Dio lo vuole. Se poi decideranno di diventare cristiani, tanto meglio, ma intanto l'importante è questa apertura a Dio e agli altri.

la Lumen gentium: tutti siamo Chiesa

Passiamo alla costituzione Lumen gentium sulla chiesa e alla seconda rivoluzione copernicana. Una volta si diceva che la chiesa sono i preti. E qualche volta capita anche oggi di sentirlo dire!

tutti sacerdoti, profeti e re

Alcuni considerano la chiesa come una stazione di servizio, dove, invece della benzina o dell'olio, si va a chiedere un battesimo, una cresima, un matrimonio, una prima comunione... Cioè ritengono che il prete sia la chiesa e che noi andiamo a "prendere la grazia".
Ma non è così. Tutti siamo la chiesa. Tutti siamo chiamati a vivere in Cristo, come Cristo, che è venuto a rivelare al mondo come Dio vede la vita (profeta), a offrire il mondo (sacerdote) e a unire gli uomini tra loro (re o pastore). Anche noi, che tramite il Battesimo siamo inseriti nella famiglia di Dio, siamo chiamati a testimoniare con la parola e con la vita come Dio vuole che si viva nel mondo, santificando il mondo in cui viviamo, cercando di portare l'unità e la pace. Qui risiede la rivoluzione copernicana: la centralità, all'interno della Chiesa, non più della gerarchia ma del popolo di Dio al cui servizio è la gerarchia.

compito del magistero

Il compito del magistero della chiesa e della gerarchia non è quello di plasmare la gente a diventare "un esercito al cenno del papa", come si cantava, ma è quello di aiutare il cristiano ad essere un profeta autentico, garantendo la trasmissione della Parola di Dio, ad essere sacerdote, assicurando il contatto sacramentale con Cristo, ad essere operatore di pace e di solidarietà, unendolo agli altri nell'ascolto della Parola e nella celebrazione della Liturgia

vivere la comunione nella convivialità delle differenze

Se la chiesa è segno e sacramento della presenza di Cristo, non ne ha l'esclusiva, ma ha la funzione di lievito dentro il mondo. E in un mondo in cui prevale l'egoismo e la frantumazione il suo essere lievito si esprime soprattutto nel vivere la comunione.
Cosa si diceva dei primi cristiani, quando ancora non si sapeva cosa fosse la chiesa? Si diceva: "Guarda come si vogliono bene!" Questo dovremmo imparare. Solo vivendo uno spirito fraterno di accoglienza reciproca, di collaborazione, di autentica fraternità, solo vivendo la "convivialità delle differenze" i cristiani saranno portatori e costruttori di solidarietà e pace nel mondo.
Per esprimere l'avvicinamento della chiesa alla gente, avevo scritto un libro che avevo intitolato "Farsi uomo". Poi, un giorno, riflettendo, mi sono reso conto che "farsi uomo" significa farsi maschio adulto, mentre più della metà dell'umanità è fatta di donne. E questa diversità è fatta non per combattersi (anche se qualche volta capita) ma per stare bene insieme. E quando un uomo e una donna stanno bene insieme, amandosi, mettono al mondo un'altra differenza, il bambino
Essere diversi, significa avere delle cose che l'altro non ha. Crescere insieme, nonostante le differenze, e grazie alle differenze: questa dovrebbe essere la grande testimonianza che dà la chiesa. Certo, per imparare ad essere portatori di pace nel mondo, ognuno deve smussare un po' i suoi angoli...
Della chiesa vi diranno tante cose belle, ma credo che questa sia la fondamentale. Spesso è difficile anche per noi preti, che, occupandoci a tempo pieno di queste cose, siamo tentati di pensare che la chiesa siamo noi, rendendo difficile la comunione tra preti e laici.
Un mio prete, a cui avevo consigliato di provare a fare un consiglio pastorale, mi aveva risposto che sapeva sbagliare da solo e faceva più in fretta. Ma se anche papa Giovanni avesse pensato in questo modo, non avremmo avuto il concilio con tutto ciò che ne è seguito.
Anche il Sinodo dovrebbe essere un po' più aperto, come una specie di concilio. Quest'anno ci si è meravigliati perché papa Benedetto ha permesso che per un'ora, alla sera, ognuno potesse esprimersi liberamente. Ma dovrebbe sempre essere così.
Al concilio era normale, e per tempi ben più estesi. Anche se poi l'ultima parola spettava al papa.
Io credo che sia molto importante l'esperienza che i vescovi e i preti fanno attraverso i consigli presbiterali e pastorali. E' un'esperienza di comunione, è sentire che lo stare insieme è vivere la dimensione trinitaria di Dio, di tre persone distinte che fanno un Dio solo.
Questa è la grande testimonianza che il concilio ci dà: lo stare insieme, anche se costa sacrificio, anche se richiede pazienza. Più viviamo lo spirito di comunione a tutti i livelli, più questo essere chiesa ci aiuterà a non metterci contro il mondo.
Certo, il male esiste. E dobbiamo sempre ricordare l'invito di Gesù ad essere insieme prudenti come serpenti e semplici come colombe. Invece noi siamo o troppo semplici o troppo prudenti. Essere insieme prudenti e semplici vuol dire essere aperti al dialogo, alla collaborazione, riconoscendo ciò che c'è di buono, ma facendo sempre grande attenzione a che, dentro e intorno a noi, non si cada nella chiusura, nell'egoismo.

ciascuno si assuma la propria parte di responsabilità

Per terminare, ricordo i testi di alcune canzoni che un gruppo diffondeva negli anni 60, contro il razzismo, ponendo al centro la gente semplice. Una canzone invitava ad assumersi le proprie responsabilità e diceva: Quando affronti un problema e cerchi delle responsabilità, punti un dito contro l'altro (è colpa del vaticano, dei vescovi...), ma ricordati che tre dita sono puntate contro di te (e in Africa una donna aggiungeva: e un altro dito è puntato in alto!).
Il che equivale a dire che affrontando un problema, di fronte a Dio e alla nostra coscienza, ci dobbiamo chiedere: noi che cosa abbiamo fatto? La parola di Dio, la partecipazione alla liturgia, la vita della chiesa, ecc., sono state oggetto del nostro impegno? Ci siamo impegnati per realizzare le cose giuste nel mondo?
Ricordiamoci allora che anche quando pensiamo al concilio prima di puntare il dito contro gli altri dobbiamo riconoscere anche la nostra parte di responsabilità.

dibattito

Il valore della ricerca di un ampio consenso al concilio

In concilio c'era una maggioranza e una minoranza. Il vescovo Lefebvre aveva fondato il gruppo "Coetus internationalis", di 400-500 vescovi, composto da molti nordamericani, molti italiani, quasi tutti gli spagnoli e tutti i polacchi. Per ogni nuovo argomento convocavano un teologo molto tradizionalista che presentasse il punto di vista della tradizione, per poi votare in concilio.
E papa Paolo ne teneva conto, facendo soffrire noi della maggioranza. La cosa più sorprendente fu quella di chiederci di fare una quarantina di modifiche al documento sull'ecumenismo, dopo che questo documento era già stato stampato.
Per esempio noi avevamo scritto che "i fratelli separati, guidati dallo Spirito Santo, possono incontrare Cristo". Il testo corretto fu invece: "i fratelli separati, non senza la grazia del Signore, possono cercare Cristo". Schultz, il priore di Taizé, piangeva quella mattina! Ma con queste correzioni, anche i 500 votarono sì, dando così maggiore autorevolezza ai testi.
Le varie situazioni storiche vanno tenute presenti nel cammino di maturazione delle persone.
Padre Chenu racconta che nella commissione per il documento sulla chiesa c'era un vescovo che non voleva sentir parlare di "popolo di Dio": era l'arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla... In seguito l'ha accolto ed è diventato persino papa!

Una valutazione sui movimenti sorti dopo il Concilio

Dopo il Concilio, ci fu una spinta a prendere posizioni più coraggiose. Anche Turoldo e Balducci mi invitavano ad allungare il passo del rinnovamento, ma io dovevo tener conto della mia diocesi, non ero un "battitore libero". Anche un locomotore, se viaggia da solo, in pochi secondi può arrivare ad una velocità molto elevata, ma se ha dietro di sé una lunga serie di vagoni, deve adeguare la sua velocità alla situazione. Il vescovo amico francese Gaillot, per esempio, ad un certo punto non fu più accettato nella sua diocesi e ha lasciato. Adesso fa il libero battitore, il vescovo degli emarginati. Ma io non avevo quella vocazione, ho sempre cercato di far camminare tutti, anche se più faticosamente...
Così come dopo il Concilio di Trento sono nate molte congregazioni religiose (gesuiti, barnabiti, camilliani, ecc.), ognuna con le sue particolarità, dopo il Concilio Vaticano II, con lo stesso spirito di rinnovamento, sono nati i movimenti. Alcuni solo religiosi, altri religiosi e politici. Alcuni hanno trovato una risposta maggiore (erano forse quelli un po' più legati allo spirito della chiesa pre-conciliare), altri, con uno spirito più nuovo, di fermento, hanno incontrato maggiori difficoltà.
Eravamo a vent'anni dalla fine della guerra mondiale e si sentiva il bisogno di un rinnovamento. Ricordo che era il mondo laico a guardare con più speranza al concilio che non il mondo religioso, come un segno di cambiamento possibile (se cambia la chiesa cattolica, possiamo cambiare tutti!). Tanto è vero che arrivò il 68-69.
Ma la spinta al cambiamento fu così forte, che ci furono anche delle "esagerazioni", che vennero subito sfruttate da chi il Concilio lo aveva subìto, per bloccare e proibire tutto.
La chiesa è fatta di esseri umani, con tutti i loro limiti.
Le vicende della Chiesa italiana sono state segnate anche dallo spirito del "buon" cardinal Ruini. Nominato dall'alto e non dai vescovi, non era tenuto a rispondere a loro. Alle osservazioni dei vicepresidenti che lo invitavano a tener conto delle differenti posizioni all'interno della conferenza episcopale, rispondeva che diceva quel che voleva, che era lui a firmare i documenti e che sua era la responsabilità.
La situazione si sta forse muovendo, come appare da alcuni segnali (Bagnasco riceve "Noi siamo chiesa"; più respiro si avverte alle riunioni CEI - Bertone che invita Bagnasco a non interessarsi di politica, ma di ascoltare molto i vescovi).
In questo cammino ognuno deve cercare di fare quello che può, nel suo piccolo. I movimenti nascono tutti dal basso, da laici, non da preti e frati...
Ho sentito molto la mia funzione di vescovo come un cercare di far stare insieme la gente, anche se diversa. Credo che questo sia il cammino da percorrere, tenendo conto che ci sono i limiti dell'umanità.
Cito sempre una novella del Boccaccio, quella di Abram giudìo. A Parigi c'era un cristiano che voleva convertire un ebreo che si chiamava Abramo. Questi dopo molte insistenze accetta di convertirsi ma dopo essere stato a Roma. Il cristiano cerca di dissuaderlo, temendo gli effetti controproducenti dello spettacolo offerto da Roma. Abram va a Roma, e ritorna dopo tre mesi. Quando il cristiano vede da lontano Abram, scappa, e Abram gli corre dietro fino a raggiungerlo. "Sono stato a Roma, mi faccio cristiano". "Ti fai cristiano lo stesso?" "Sì, ho visto delle cose che ho detto: se la Chiesa vive ancora, vuol dire che è proprio divina!"

Chiesa "popolo di Dio" e donne prete

La difficoltà nel cammino ecclesiale è in parte condizionata dall'ecumenismo. Noi cattolici ci troviamo "a metà strada" tra i protestanti e gli ortodossi. Per i primi, soprattutto i calvinisti, come i valdesi delle nostre zone, il popolo di Dio è fondamentale. Non hanno neanche il sacerdozio, in quanto il pastore è soprattutto un garante della dottrina, e chi comanda è il consiglio pastorale. Una loro regola stabilisce che il pastore non può rimanere in carica nella comunità per più di sette anni, e in casi eccezionali quattordici.
Per gli ortodossi, invece, il clero ha un'importanza molto maggiore. Siccome noi ci sentiamo più vicini agli ortodossi e vorremmo arrivare all'unità con loro, sembra che ci sia maggiore preoccupazione per il clero che non per il popolo di Dio.
Per quanto riguarda l'argomento delle donne prete, pare che Giovanni Paolo II volesse definire la loro non ordinabilità ex cathedra, ma fu proprio Joseph Ratzinger a sconsigliarlo. Il papa si limitò quindi a dirlo con una certa forza, e, secondo la Ad tuendam fidem, se il papa nel magistero ordinario insiste su una posizione, equivale ad una definizione ex cathedra.
Scrissi un articolo, in cui sostenevo che queste affermazioni non c'erano nella teologia cattolica, che era strano che il papa le avesse fatte senza consultare i vescovi e che proprio nell'anno dello Spirito Santo si insistesse sulla dimensione giuridica.
Per evitare strumentalizzazioni e fraintendimenti, invece di pubblicarlo, l'ho mandato al papa, dicendo che le mie considerazioni erano svolte in spirito di comunione, ma che, se ritenuto opportuno, ero disponibile a lasciare il ministero vescovile anche prima della vicina scadenza...
Sempre sull'argomento delle donne prete, ho scritto (anche il cardinal Martini lo sostiene) che se il motivo per cui non si possono fare le donne prete è perché non c'erano nella chiesa primitiva, non c'è ragione perché non si facciano delle diaconesse, dato che erano presenti. Ma siccome gli ortodossi sono contrari, per via dell'ecumenismo non se ne parla. E intanto ci allontaniamo sempre più dai protestanti!
Sono le fatiche del cammino umano, che a volte ha bisogno di tempi lunghi di maturazione...
Anche sul piano sociale. Ricordo quando cominciammo con Pax Christi a parlare dell'obiezione di coscienza, sembrava una cosa impossibile da realizzare. Poi nel giro di alcuni anni venne fatta la legge. Adesso è la Caritas ad avere il maggior numero di obiettori di coscienza.
Si tratta di camminare non con spirito polemico, che provoca chiusura, ma con spirito di collaborazione, di sollecitazione, facendo ognuno la propria parte

un breve riassunto

Il primo concilio nella storia della Chiesa si è tenuto a Gerusalemme nel 50 per dirimere la questione se ai cristiani provenenti dal paganesimo dovesse essere imposta la circoncisione. Per comprendere il senso della questione dibattuta occorre ripensare al lungo cammino della rivelazione di Dio come amore, dal momento della creazione in cui fa l'uomo a propria immagina e somiglianza, all'elezione di un popolo per iniziare ad educare l'umanità all'apertura agli altri e a Dio con il comandamento dell'amore del prossimo, all'annuncio e alla testimonianza di Gesù sull'amore dei nemici, che mostra in modo pieno la dimensione universale dell'amore di Dio. Nel solco di questa prospettiva al concilio di Gerusalemme si afferma la dimensione universalistica dell'amore di Dio, rifiutando l'imposizione discriminatoria della circoncisione, come condizione per accedere alla salvezza: in Cristo Gesù non c'è né giudeo né greco.
Nel corso della storia della Chiesa, a partire da Nicea, si sono svolti una ventina di concili, che hanno avuto un carattere dogmatico, cioè con il fine di definire delle verità di fede (sino alla definizione dell'infallibilità pontificia con il Vaticano I).
Giovanni XXIII, consapevole dell'importanza di un concilio nella vita della Chiesa, eletto come papa di transizione, fece due grandi transizioni: il Concilio e la Pacem in terris. Superando resistenze curiali, affidò alla responsabilità dei vescovi il concilio orientandolo in una prospettiva più pastorale, meno preoccupata di definire verità e più attenta a annunciare e testimoniare la buona notizia agli uomini di oggi, mettendo pertanto al centro non le verità oggettive ma le persone, i destinatari dell'annuncio.
Se si può certamente parlare rispetto ai concili precedenti di una continuità sul piano dogmatico, si deve però sottolineare una forte discontinuità sul piano pastorale (riscoperta e centralità della parola di Dio, importanza di una liturgia partecipata, ruolo e corresponsabilità dei laici nella chiesa, chiesa non contro ma a servizio dell'umanità...).
Il concilio, nella costituzione Dei Verbum, rivaluta la Parola di Dio rimettendola al centro della vita della Chiesa. Mentre prima essere cristiani sembrava si identificasse con il sapere a memoria alcune verità, ora invece si attribuisce maggiore importanza alla parola con la quale Dio si rivolge all'umanità e interpella ciascuno di noi. Pertanto se vogliamo ascoltare Dio dobbiamo leggere la sua parola, con la fatica della interpretazione dato che si è espressa in una certa cultura.
La scarsa importanza attribuita alla Parola di Dio nel passato era resa evidente dal modo di intendere l'assolvimento del precetto festivo: era sufficiente assistere alla messa a partire dallo scoprimento del calice, dopo la letture bibliche e la predica.
La prima costituzione ad essere approvata dal concilio è stata quella sulla Liturgia (Sacrosanctum concilium) che ha spianato la strada all'elaborazione degli altri documenti, in particolare aiutando a risolvere il problema del rapporto tra Bibbia e Tradizione. La liturgia è intesa come il momento più alto della vita della chiesa e del cristiano. L'Eucaristia è la preghiera di tutti, non solo del prete (non si assiste ma si partecipa). La celebrazione eucarisitica non è un bella cerimonia o un rito esterno, ma è anzitutto la preghiera di Gesù, che si affida al Padre e che invoca il perdono, con una totale apertura a Dio e agli uomini. Gesù si rende presente donandoci lo Spirito, che ci abilita a vivere la nostra vita nell'amore di Dio e nell'amore degli altri.
Una grande rivoluzione copernicana operata dal concilio ha riguardato il rapporto chiesa-mondo. Una volta si diceva che la chiesa era al centro e che il mondo le girava intorno, mentre con la costituzione conciliare Gaudium et spes si afferma che l'umanità è al centro e che la chiesa è al servizio dell'umanità.
Il modo di vedere il mondo è cambiato. Oggi non si sostiene più che fuori della chiesa non c'è salvezza. Se ufficialmente viene dichiarata l'inesistenza del limbo ciò significa che anche chi non è battezzato può accedere alla salvezza. Chiunque nasce viene nel mondo di Gesù Cristo.
Un forte impulso a questa apertura all'umanità è venuto dall'enciclica di papa Giovanni Pacem in terris, che per la prima volta affrontava un tema non strettamente religioso rivolgendosi non solo ai cristiani ma a tutti gli uomini di buona volontà.
La costituzione conciliare fa venir meno la contrapposizione tra chiesa e umanità, affermando che le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi sono le gioie le speranze le tristezze e le angosce della chiesa. Si afferma il valore di ogni essere umano, si affrontano i temi della famiglia, della cultura, dell'economia, della pace, che si basa sul riconoscimento della pari dignità di ogni essere umano (pace come frutto della verità e della giustizia).
Il tema della pace sarà ripreso successivamente dalla Populorum progressio di Paolo VI (il nuovo nome della pace è lo sviluppo dei popoli), dalla Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (il nuovo nome della pace è solidarietà). Oggi attendiamo un'enciclica che dichiari che il nuovo nome della pace è la nonviolenza attiva.
Una seconda rivoluzione copernicana operata dal Concilio ha riguardato la concezione della chiesa al proprio interno. Una volta si diceva che la chiesa erano i preti. La costituzione Lumen gentium non mette più al centro la gerarchia e la chiesa come società perfetta ma la chiesa come mistero e come popolo di Dio. Tutti in quanto battezzati sono chiamati a vivere in Cristo e come Cristo, a essere profeti nell'annunciare e testimoniare con la vita come Dio vuole che si viva nel mondo, ad essere sacerdoti nell'offrire il culto della nostra vita e del mondo, ad essere re e pastori cercando di portare l'unità e la pace. Compito del magistero e della gerarchia è di aiutare e garantire a tutti di essere profeti, sacerdoti e re.
In un mondo in cui prevale la frantumazione e l'egoismo compito fondamentale della chiesa è quello di essere lievito vivendo la comunione nella convivialità delle differenze. Siamo lievito se gli altri vedendoci dicono non "guarda come sono bene organizzati"ma "guarda come si vogliono bene". In questo ciascuno deve assumersi la propria responsabilità

Il testo delle relazioni, tenute a Pallanza il giorno 27 ottobre 2007 da Luigi Bettazzi, non è stato revisionato dal relatore

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