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sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 22 novembre 1974

Premesse

la morale cristiana cambia?

La riflessione che tenterò di proporre alla vostra attenzione è la prosecuzione del discorso già avviato in occasione del primo incontro di questo corso teologico. Ora l'interrogativo fondamenta­le attorno al quale si è imperniata la nostra precedente ricerca è il seguente: cambia la morale cristiana? E' un interrogativo senza dubbio inquietante, direi un interrogativo che non può non suscita­re un senso di perplessità o di disorientamento, come in molti casi avviene, e persino un senso di angoscia. Si tratta, mi pare, di chia­rire il senso e l'ambito di questa domanda, che, dopo quello che è stato detto, potrebbe essere riproposta in questi termini: perché cambia la morale cristiana? Quali sono le cause, le ragioni, i moti­vi del cambiamento della morale cristiana, e soprattutto: come cam­bia la morale cristiana? In altre parole, quali sono le direzioni, gli orientamenti di questo cambiamento della teologia morale?
Mi pare di avere, nella lezione precedente fermato sufficientemente l'attenzione sulla prima parte della domanda. Ci eravamo chiesti perché cambia la morale cristiana, e abbiamo tentato una risposta anzitutto di carattere storico, dimostrando in concreto, attraverso l'evoluzione che la riflessione morale ha subito, come è avvenuto questo cambiamento, e al termine di tale riflessione avevamo poi ten­tato di evidenziare la metodologia del cambiamento cioè di evidenzia­re come questo cambiamento è avvenuto e deve avvenire attraverso un discorso che forse può essere sembrato difficile, ma che a me pare fondamentale per capire la stessa struttura del discorso sulla ses­sualità. Eravamo arrivati a questa conclusione: la morale non può che cambiare, che evolversi dinamicamente, perché da una parte ab­biamo una Parola di Dio che è profondamente inserita nella storia, cioè una Parola di Dio non è allo stato puro, bensì calata dentro ad una storia di salvezza, e quindi illuminante i momenti, le tappe, di questo,itinerario nella storia. Dall'altra parte abbiamo un uomo che vive profondamente radicato dentro alla storia, un uomo per il quale la storia non è un dato accidentale, accessorio, sopraggiunto, bensì la storia è parte del suo stesso essere, della sua struttura fondamentale. Dicevamo, concludendo la riflessione della volta scor­sa, che, come da una parte non esiste la Parola di Dio allo stato puro, così dall'altra parte non esiste l'uomo allo stato puro: esiste una Parola di Dio incarnata in una storia, che viene riletta, ricompresa, riattualizzata nella storia, esiste un uomo, che vive in un contesto socioculturale preciso e che a partire da questo con­testo interpella di volta in volta la Parola di Dio. Mi sembra che la riflessione precedente abbia sufficientemente illuminato il per­ché del cambiamento della riflessione morale, di una riflessione che è attenta insieme alla Parola di Dio, che è essenzialmente storica, e all'uomo che vive l'esperienza della storia, fino in fondo, calato dentro a questa storia.

in che direzione cambia?

Rimane dunque aperta la seconda parte della domanda: come cambia la morale cristiana? Quali sono le direzioni, gli orientamenti del mutamento della morale? Ora, per rispondere a questo interroga­tivo in modo fedele alla metodologia che precedentemente suggerivo, dobbiamo anzitutto partire da un'analisi di quello che definivo il vissuto umano.
In altre parole dobbiamo chiederci quali sono i lineamenti, le strut­ture fondamentali dell'odierno contesto socioculturale; o in modo ancora più radicale, qual è la comprensione che l'uomo ha oggi di se stesso, il suo modo di pensarsi, il suo modo di essere, il suo modo di vivere dentro a questo mondo e a questa cultura. Questa analisi del vissuto umano e della comprensione dell'uomo ci consente infatti di capire come l'uomo interpella oggi la Parola di Dio; cioè quali domande pone a questa Parola e quali risposte soprattutto si attende da essa. In definitiva ci consente di capire il sen­so della riattualizzazione della Parola di Dio per noi che viviamo in questo tempo e in questa cultura. Purtroppo questo discorso del­l'analisi del vissuto umano è stato spesso in passato dimenticato: si pensava di poter calare dall'alto la Parola di Dio, si pensava che questa Parola potesse immediatamente interpretare le situazioni più diverse, senza bisogno di una mediazione culturale. Ora, un'ana­lisi del vissuto umano diventa oggi più che mai necessaria, anche se, per essere fatta seriamente, esigerebbe un lavoro interdiscipli­nare, cioè la collaborazione di più persone, in grado di mettere a fuoco diversi aspetti della realtà umana e della realtà del mondo, e per ciò stesso di fare, attraverso questa analisi dei diversi a­spetti della realtà in cui viviamo, una sintesi che focalizzi le dimensioni fondamentali, la struttura portante della nostra cultura e della nostra civiltà. Questo discorso interdisciplinare, non lo posso fare e non lo voglio fare, perché mi pare che il mio compito in rapporto al corso, anche in vista del discorso che vi verrà of­ferto nelle lezioni successive, sia semplicemente quello di evidenziare alcuni orientamenti fondamentali della cultura, o più precisa­mente alcuni orientamenti dell'attuale autocomprensione umana, indicando l'influenza che questi orientamenti esercitano sulla riformulazione del messaggio morale cristiano. Da questo potranno emergere le linee, le prospettive del cambiamento della teologia morale e per ciò stesso anche delle chiavi di interpretazione del discorso sulla sessualità che verrà sviluppato.
Questa premessa costituisce un punto di collegamento tra la rifles­sione della precedente lezione e l'attuale, ci fa capire il taglio sotto il quale vogliamo insieme leggere questo problema della morale che cambia e ci consente a questo punto di entrare nel vivo del­la riflessione, una riflessione che tenderà semplicemente a sottolineare, in termini molto generali, però indicativi, alcune direzio­ni del cambiamento della riflessione morale.

Lo specifico della morale cristiana

processo di secolarizzazione

Un primo e fondamentale elemento che caratterizza la nostra cultura e che la contrassegna profondamente è il processo di secolarizzazione del mondo e dell'uomo.
In passato, nel contesto di una cultura sacrale, il mondo e l'uomo venivano concepiti in un rapporto di immediata dipendenza da Dio. Non ci si sapeva spiegare il perché, la ragione di certi fenomeni, e allora era facile risalire a Dio, ricorrere a lui, attribuire a lui tutto ciò che l'uomo non si spiegava da solo: la natura, la storia, la politica, la cultura, gli stessi valori morali, venivano fatti discendere in modo diretto ed immediato da Dio. Questo mo­do di interpretare la realtà, che abbiamo definito modo sacrale, è stato messo profondamente in crisi da un processo storico che, come dirò poi, è venuto sviluppandosi, progressivamente, e che tuttavia ha avuto come conseguenza quello di mettere l'uomo di fronte a questa realtà: il mondo si spiega da solo, la vita dell'uomo non ha bisogno, per essere interpretata nei suoi significati immediati, di ricorrere costantemente a Dio. Si è scoperto che la realtà ha delle sue leggi intrinseche, leggi che il progresso scientifico e l'applicazione di questo progresso scientifico, (penso alla tecnologia) ci hanno permesso, sia pure in modo sempre parziale, di esplorare. Per usare una espressione che è cara a Bonhoeffer, questo processo di secolarizzazione ha insegnato all'uomo che deve cavarsela da solo nel mondo, che non deve ricorrere a Dio per interpretare fenomeni che è in grado da solo di interpretare e di giustificare. Cioè ha fatto si che venisse meno una immagine di Dio come colui che si fa garante della spiegazione immediata delle cose. Bonhoeffer dice che è venuto meno il concetto del Dio tappabuchi, cioè di un Dio che e­ra chiamato in causa, veniva fatto intervenire per mettere a nudo la debolezza dell'uomo, e che quindi veniva introdotto nella storia ogni qual volta l'uomo non era in grado di dare da solo spiegazione di certi fenomeni che rimanevano per lui misteriosi. Si può dire in altre parole che la secolarizzazione ha costituito la restituzione all'uomo e al mondo della loro autonomia originaria.

tappe del processo di secolarizzazione

Senza dubbio, questo processo, come già ricordavo, non è avvenuto in un istante, si è sviluppato progressivamente, attraverso un succedersi di tappe tormentate, difficili, addirittura, sotto certi aspetti, drammatiche. Drammatiche, perché, quanto più l'uomo prende­va coscienza, nei diversi tempi della sua attività, dell'autonomia rispetto al divino, tanto più la Chiesa era tentata di sconfessare que­sta presa di coscienza dell'uomo. In fondo, i fenomeni del laicismo, del naturalismo che si sono sviluppati soprattutto nell'ambito del mondo culturale, a partire dal mondo della scienza fino al mondo della politica, della cultura in generale, sono la conseguen­za di questa conflittualità, che si è sviluppata direi in modo addi­rittura crescente: da una parte un uomo che si rendeva consapevole di essere in fondo il protagonista della storia, dall'altra parte una chiesa che interveniva in modo sempre più deciso; per annunciare un messaggio, che non rappresentava l'interpretazione autentica delle esigenze dell'uomo, ma che era tutto proteso alla dife­sa di certe prerogative di certi valori, di certe istanze che erano le prerogative, le istanze, i valori della chiesa.
Sarebbe lungo illustrare il processo storico della progres­siva secolarizzazione della realtà, che segue delle tappe successive abbastanza chiaramente definite. Oggi, chi studia la storia, può individuare queste tappe di secolarizzazione del mondo.
Forse la prima tappa è stata quella della secolarizzazione del politico: l'am­bito della politica è stato sottratto alla chiesa, a quella chiesa che riteneva che il potere politico non era niente altro che il suo braccio secolare, a quella chiesa che aveva dato una interpretazione teocratica del potere politico. Il potere politico afferma la propria autonomia dalla chiesa. Si può dire che si autocostruisce una sua logica interna, sue proprie leggi, e la politica diventa sem­plicemente politica.

autonomia morale

Successivamente, il momento delle scoperte scientifiche fa sì che anche la natura rivendichi la sua autonomia. Le scienze cominciano a spiegare i processi che si realizzano nella na­tura. Non c'è più bisogno di far ricorso a Dio per spiegarsi certi fenomeni che hanno delle loro leggi intrinseche.
In seguito la stes­sa cultura. E' stato soprattutto forse l'illuminismo settecentesco, il secolo della ragione e in qualche modo anche il romanticismo te­desco del secolo scorso, soprattutto in alcune sue manifestazioni più salienti, che ha restituito autonomia ai valori culturali.
Non voglio fermarmi su questo processo di secolarizzazione del quale del resto tutti ci rendiamo conto, anche se ancora oggi questo processo stenta a penetrare nelle coscienze. Perché permane tutta una concezione sacrale della vita, della storia, che finisce per impedire a questo processo di esplodere in modo radicale. Tornando al nostro discorso, in que­sto processo di secolarizzazione della realtà umana viene ad esse­re coinvolta anche la morale, cioè i valori morali, che un tempo ve­nivano attribuiti direttamente al cristianesimo e che il cristianesimo storicamente ha anche contribuito a diffondere, a promuovere, a sviluppare, vengono oggi più semplicemente riconosciuti come valori umani, valori che possono essere vissuti come tali da tutti gli uomini. Non c'è bisogno di essere cristiani per vivere la giustizia, o per vivere la verità, o per vivere il rispetto della vita, l'amore umano, in tutte le sue forme. Questi valori sono considerati oggi va­lori dell'uomo, per cui non si scomoda più il cristianesimo per giustificarne la loro presenza nella storia, e tanto meno si scomoda il cristianesimo per indicare come questi valori possano essere vis­suti. Da questo processo di secolarizzazione che restituisce i valo­ri umani all'uomo, deriva una conseguenza molto importante per la riflessione morale, e cioè la morale è costretta veramente, ad interrogarsi sulla sua specificità: se è vero che i valori umani non dipendono direttamente dal cristianesimo, ma sono valori per se stes­si,anche se il cristianesimo ha potenziato la loro diffusione, al­lora ci si chiede: esiste ancora uno specifico della morale cristia­na? C'è ancora qualcosa ohe contraddistingue la morale cristiana dalla morale umana? Oppure il problema morale è semplicemente un problema umano? Cioè la morale rimane un fatto umano, da valutare secondo certe logiche e utilizzando certi strumenti che l'uomo ha a disposizione.

specificità della morale cristiana

Oggi questa ricerca dello specifico della morale cristiana è una delle questioni più dibattute all'interno della riflessione teo­logica. Esistono al riguardo una serie di tentativi di risposta, che tuttavia possono essere ricondotti ad una unica formulazione, quella della distinzione tra il contenuto degli atti morali, e l'intenzionalità dell'agire morale. E' una distinzione che mi sembra estremamente importante. Perché oggi si tende a dire che ciò che qualifica, specifica, contraddistingue l'agire morale del cristiano, non è tanto il contenuto dell'agire, non sono tanto gli atti che il cristiano fa, quanto piuttosto il modo con cui questi atti vengono fatti. In fondo il cristiano è chiamato a porre gli stessi atti che pone ogni uomo di buona volontà, ogni uomo serio. Se è vero che i valori della giustizia, della verità, del valore della vita ecc. sono semplicemente dei valori umani, cioè sono dei valori che ogni uomo è in grado di scoprire dentro a se stesso, purché maturi una autentica promozione di se stesso, cioè purché sia autenticamente uomo, allora non si può dire che questi atti appartengono alla morale cristiana, ma c'è senza dubbio un apporto all'agire morale di qualche cosa che va al di là della morale, ed è qui che è rintracciabile la specificità della morale cri­stiana. Cioè l'agire morale del cristiano è in rapporto stretto con il mistero di Cristo, mistero che può essere accettato esclusivamente nella fede, mistero che dà a tutta l'esistenza cristiana un dinamismo, una possibilità di sviluppo, ed anche una orientazione, una finalità che è diversa da una finalità puramente umana: nel senso che il cristiano vive tutta la sua esistenza nel mondo, sollecitato da questa forza dello spirito che è dentro di lui, che gli viene dalla presenza del Cristo, e contemporaneamente nel senso che il cristiano da al suo agire morale non una finalità puramente immanente, ma una finalità, potremmo dire così, trascenden­te. Per il cristiani agire secondo quei valori umani diventa e­dificare il Regno di Dio. Allora il cristiano non deve fare altre cose, non deve agire diversamente da come agiscono gli altri uomini, ma deve piuttosto fare le stesse cose, agire nella logica degli stes­si valori, ma in modo diverso, con una orientazione diversa, con un senso profondamente diverso. Ciò che contraddistingue l'agire del cristiano, ripeto, non è ciò che il cristiano fa, ma è piuttosto come e perché lo fa.
Si può anche concludere questa prima riflessione sul processo di secolarizzazione dicendo che la morale cristiana è una pura e semplice morale umana, è un vivere da uomini, da uomini autentici, dando a questo vivere da uomini un orientamento, quello che ci porta alla edificazione del Regno di Dio nel mondo.
Questo discorso è molto im­portante soprattutto per le conseguenze che porta con se, perché ci fa toccare con mano che il cristianesimo non è in primo luogo una morale o non ha una morale ma il cristianesimo è in primo luogo una fede, il cristianesimo è questo rapporto singolare, questo rapporto straordinario, questo rapporto misterioso con il Dio della salvezza.

il primato della fede, senza ricette risolutive

Dire che i cristianesimo è una fede ha delle grosse implicanze, perché significa, per esempio, affermare la possibilità, anzi la necessità che il cristiano dialoghi con tutti gli uomini di buona volontà, alla pari, senza avere delle ricette risolutive dei problemi umani, che il cristiano cioè si metta costantemente a confronto e, soprattutto nella prassi, viva l'esperienza degli altri uomini, insieme agli altri uomini, e che quindi, perché non ha delle ri­cette risolutive particolari dei problemi, si immerga profondamen­te nel mondo, per cogliere le logiche della realtà, e si sforzi di realizzare all'interno di queste logiche i valori autentici della promozione umana.
Purtroppo tutta una presentazione del cristianesimo, che ha accentrato l'attenzione prevalentemente su dei contenuti cristiani di ordine morale, e che è arrivata persino alle deformazioni del moralismo, ha dimenticato questa verità fondamentale, il primato cioè della fede nel cristianesimo e il fatto che la novità cristia­na stia soprattutto in questo annuncio misterioso di un regno che si fa per opera di Dio, e di un regno che per farsi esige dall'al­tra parte la collaborazione dell'uomo, di un uomo che è restituito a se stesso nei suoi valori e che in base ai suoi valori deve offri­re la collaborazione all'edificazione del regno di Dio. Ecco un pri­mo elemento ed ecco le conseguenze sul discorso morale, di questo primo elemento della cultura, il processo di secolarizzazione.

storicità e morale

l'uomo come essere storico

Un secondo elemento che caratterizza la cultura del nostro tempo è costituito dalla presa di coscienza dell'importanza determinante della situazione storica nella definizione dell'uomo,della sua auto-comprensione come si dice. I termini ormai ricorrono e credo siano sufficientemente chiari: quando dico auto-comprensione dico maturazione della propria conoscenza, crescita della pro­pria conoscenza.
L'uomo è essenzialmente un essere storico, il che significa allora che la cultura e la società in cui vive non sono qualcosa di accessorio, ma sono un elemento essenziale per capire il suo es­sere e il suo agire. Non è possibile definire l'essere dell'uomo e l'agire dell'uomo conseguentemente al di fuori di un contesto culturale, al di fuori della storia. Soltanto immettendomi dentro al­la storia e facendo riferimento ad un preciso contesto socio-cultu­rale posso definire l'essere dell'uomo.

processo di demitizzazione

Le scienze del nostro tempo hanno spietatamente demitizzato l'auto-comprensione tradizionale dell'uomo, come centro, come coronamento, come vertice della creazione. C'è stato tutto un lunghissimo proces­so che ha portato a questa consapevolezza: l'uomo in fondo, non soltanto non conosce la collocazione che egli ha nell'universo, ma neppure conosce la collocazione che ha nei rapporti con gli altri, e, al limite, non conosce neppure se stesso. Sarebbe interessante seguire storicamente questo processo che ha condotto a questa demi­tízzazione.
Fermo l'attenzione su alcune tappe perché mi sembrano significative: Keplero e Galileo ci hanno rivelato che la terra e l'uomo non sono il centro dell'universo; a noi questa sembra una cosa lapalissiana, perché viviamo a distanza di secoli dal momento in cui questa rivelazione ci è stata fatta, attraverso a una lettura scientifica della realtà. Tuttavia, in quel momento, quelle parole hanno dovuto suonare agli orecchi degli uomini come parole sconvolgenti.
L'uomo che si era sempre pensato il centro dell'universo ha scoperto di non esserlo più, e così si è ritrovato, per dirla con una espres­sione che era cara a Pascal, improvvisamente "isolato in un angolo disperso dell'universo".
In seguito, la teoria dell'evoluzione, dal darwinismo in poi, ha messo in evidenza come i confini tra l'uomo e l'animale sono piuttosto sfumati, come non è facile segnare la linea di demarcazione tra il mondo animale e il mondo umano. Anche questo è stato evidentemente un fatto scioccante, traumatizzante. L'uomo che si era sempre pensato come il dominatore dell'universo, l'uomo che pensava di essere stato posto dall'ini­zio al centro della realtà, e di avere sotto di sé le altre cose, di avere sotto di sé soprattutto il mondo ani­male e il mondo vegetale, improvvisamente s'accorge che i confini tra questi mondi non sono più così chiaramente delimitabili, ma anzi, esistono delle confluenze, esistono dei rapporti molto profondi, sot­terranei, esiste, al limite, una continuità.
Procedendo in questo processo storico di demitizzazione della concezione tradizionale dell'uomo, arriviamo al freudismo e al marxismo. Da una parte Freud, e quando dico Freud evidentemente includo tutto il discorso della psicologia, dall'altra parte Marx per dire tutto il progresso della sociologia, della interpretazione dei conflitti sociali. Da una parte Freud, dall'altra parte Marx, pongono l'accento su diversi condizionamenti, sia psicologici, sia sociologi, alla libertà. dell'uomo.
Freud e Marx hanno operato due grandi rivoluzioni: il primo, la ri­voluzione della coscienza, dandocene una interpretazione, il secondo la rivoluzione della società, dandoci una interpretazione dei con­flitti sociali. Ebbene, questi due rivoluzionari in fondo, se vengono visti nella prospettiva dell'analisi che hanno fatto dell'uomo e dei risultati a cui sono approdati attraverso questa analisi sono senza dubbio da considerare come personaggi che hanno ingenerato un forte sospetto sulla possibilità dell'uomo di autorealizzarsi e soprattutto su una concezione, come dirò, illuministica della natura umana. Non a caso tutte le scienze psicologiche, e sociologiche sono definite oggi come le scienze del sospetto, proprio perché hanno contribuito a mettere in crisi una visione dell'uomo, come si diceva nella scolastica, come essere vivente ragionavele, una visione che per tanto tempo era stata data per sicura.

dall'in sé alla condizione umana

Questo processo di demitizzazione di una certa concezione dell'uomo come di una natura che viene conservata lungo tutti i tempi della storia e che conserva i suoi lineamenti in qualsiasi contesto cultu­rale, fa sì che si passi da una definizione dell'in sè umano, uomo animale ragionevole, ad una riflessione sulla condizione umana. In fondo il grande risultato di tutto questo processo storico che ho cer­cato sia pure sommariamente di descrivere è questo: ci si accorge che non si può più dare una definizione dell'uomo a partire da un "in sè" ma che se si vuole definire l'uomo nella sua realtà, nel suo essere concreto, è necessario partire dalla condizione umana.
Questa condizione umana ci presenta allora un uomo come realtà incompiuta, per un essere aperto al mondo, un essere la cui natura non è un dato originario, ma piuttosto è qualcosa che si fa, che matura progressivamente nella storia, che ha una relazione essen­ziale con l'ambiente, e quando dico ambiente evidentemente non inten­do soltanto l'ambiente fisico geografico, o storico, ma anche l'am­biente culturale. Siamo di fronte ad una nuova auto-comprensione del­l'uomo. Dalla visione dell'uomo interpretato come un "in sè", che posso definire una volta per tutte, e che soltanto accidentalmente subisce delle va­riazioni nel corso della storia, cioè che viene toccato soltanto tangenzialmente dalla cultura, dalla storia, a una ridefinizione del­l'uomo non più come "in sè", ma come condizione umana in cui la sto­ria, la cultura, l'ambiente entrano come elementi determinanti per­ la definizione della sua natura.

una morale storica

Allora questa auto-comprensione nuova dell'uomo mette in crisi una morale di tipo essenzialistico, una morale di tipo deduttivo: se io posso definire l'uomo come "in sé", evidentemente posso dalla definizione di uomo come "in sè", dedurre, ipso facto, immediatamente, i comportamenti umani. Ma se questa definizione dell'uomo come in sè non è più possibile realizzarla, perché l'uomo si fa essenzialmente nella storia della cultura, è chiaro allora che non posso più operare in senso rigidamente deduttivo nel definire i parametri del comportamento umano. Per questo allora si è passati progressivamente da una morale di tipo essenzialistico e deduttivo ad una morale esistenzialistica e storica.
Sfortunatamente, ma purtroppo le cose sono andate così (e sembra ri­petersi questo processo anche per altri problemi, per altri aspetti della riflessione cristiana) sfortunatamente, questa attenzione alla situazione storica, è stata molto più presente nell'ambito della cultura laica che non della cultura cristiana. Cioè il cristianesimo, forse perché si era sclerotizzato dentro a certi schemi, si era scle­rotizzato dentro a certe prospettive, è stato meno sensibile, meno capace di percepire la svolta radicale che le scienze umane impone­vano all'interpretazione dell'auto-comprensione umana. Per cui è nata al di fuori del cristianesimo la cosiddetta etica della situazione. Etica della situazione che deduce direttamente i parametri dell'agi­re morale dall'analisi pura e semplice della storia.
L'etica della situazione (evidentemente il discorso è qui molto sem­plificato, né posso fare diversamente), ha contribuito notevolmente a far ripensare al cristianesimo il proprio modo di impostare la ri­flessione morale. Perché ci si è chiesti se certe intuizioni che l'etica della situazione andava elaborando, non corrispondevano di fat­to ad una interpretazione precisa dell'etica, anche all'interno del cristianesimo.
Se ricordate quello che dicevo nella lezione precedente, cioè che il cristianesimo è storia di salvezza, si vede allora una profonda consonanza tra questo modo storico di interpretare l'essere e l'agi­re dell'uomo e il modo con cui viene interpretato questo essere e questo agire all'interno per esempio della rivelazione biblica, dove, come già vi ricordavo, non abbiamo mai dei parametri fissi, defini­tivi, della condotta umana, ma dove abbiamo un farsi della condotta umana, un divenire dinamico della condotta umana.

etica della situazione

L'etica della situazione ha provocato il cristianesimo lo ha provocato nel senso di farlo riflettere su questa connotazione fondamentale che gli apparteneva fin dall'inizio, la connotazione stori­ca, quindi dinamica. Provocando il cristianesimo ha messo in crisi quella presentazione essenzialistica della morale, che più che essere dedotta dalla Parola di Dio, era dedotta da certi schemi cultura­li, che, alcune scuole, soprattutto medievali, avevano adottato, tra l'altro, facendo un'opera in fondo di adattamento al loro tempo, e che erano stati portati avanti poi in termini assolutamente acritici anche dopo che quell'adattamento non aveva più senso.
Questo ricupero della dimensione storica pone un grosso pro­blema: come è possibile salvaguardare la continuità del messaggio mo­rale cristiano, che è un messaggio di sua natura trascendente il tempo, e quindi proprio per questo valido per ogni tempo, e dall'altra parte l'esigenza di adattamento del messaggio cristiano alle diverse situazioni storiche che nei diversi tempi mutano?
Mi pare che è proprio questo il problema che crea anche una certa differenziazione tra il modo con cui si pone di fronte alla condotta umana l'etica della situazione e il modo con cui si pone il cristianesimo. L'etica della situazione era nata per reazione nei confronti di una morale deduttiva, di una morale essenzialistica, che non era tra l'altro soltanto la morale cristiana. Si pensi al deduttivismo morale nel kantismo. In fondo l'etica della situazione reagi­sce anche ad un deduttivismo culturale. Per Kant, la morale si spiega a partire da questo imperativo categorico, che è un dato origi­nario assoluto, che è qualcosa di presente all'interno dell'essenza stessa dell'uomo, e di normante tutto l'agire umano. La morale cristiana, che da una parte assume i valori dell'etica del­la situazione, ma dall'altra parte contesta l'etica della situazione. L'etica della situazione infatti pensa di poter dedurre i contenuti dell'agire morale da un'analisi della si­tuazione storica. In altre parole riteneva che fosse la situazione storica a creare i valori morali. Il cristianesimo invece attribuisce alla Parola di Dio il valore di criterio di giudizio di tutte le situazioni storiche, e quindi, se da una parte assume dalla situazione storica, relativa e mutevole, interpretazio­ni sempre nuove dell'uomo e del mondo, dall'altra parte è in grado di valutare criticamente queste diverse e nuove interpretazioni dell'uomo e del mondo attraverso la Parola di Dio, che è una Parola immutabile, che è una Parola sempre identica a sé stessa, che è una Parola che, proprio perché trascende il tempo, è in grado di fare un giudizio sul tempo. In questo senso possiamo dire che allora la storicità, come elemento nuovo introdotto nell'ambito della rifles­sione morale, provoca un cambiamento radicale della morale, facendo sì che la morale essenzialistica e deduttiva diventi morale esisten­ziale, morale, che interpreta continuamente i bisogni dell'uomo nel mondo, nel contesto socioculturale in cui vive, alla luce dell'immutabile Parola di Dio, che costituisce il parametro decisivo per l'interpretazione dell'essere e dell'agire dell'uomo.
Per applicare questo discorso, per farlo forse diventare meno
astratto, vorrei per esempio ricordare come, il contributo che ci viene dalle scienze nella interpretazione della sessualità, ci aiuti a rileggere il significato della sessualità, anche nel contesto della Parola di Dio.
Oggi, è impossibile, se si vuole fare una valutazione del comporta­mento sessuale, prescindere da quello che, per esempio, ci dice la psicologia del profondo, circa l'evoluzione della sessualità, o da quello che ci dice tutta l'analisi sociologica, strutturalista di Reich, di Marcuse, circa il rapporto tra sessualità e cultura, circa il rapporto tra sessualità e società: questi nessi fondamentali della sessualità con la cultura e con la società costituiscono evidentemente un elemento fondamentale per la lettura e l'interpre­tazione della sessualità oggi. Tuttavia dobbiamo anche ricordarci che questa analisi culturale, questa analisi psicologica, questa analisi sociologica della sessualità, non può essere fine a se stessa, se ne vogliamo fare una valutazione etica cristiana. Perché tutto quello che le scienze umane ci forniscono, circa l'interpretazione dei significati della sessualità, va poi posto di fronte o dinnanzi alla Parola di Dio, la quale fa giudizio di queste interpretazioni, e ci dà i criteri definitivi di valutazione del comportamento sessuale. Criteri che saranno senza dubbio diversi dai criteri che, per esempio, si usavano quando ancora queste discipline che interpretano il vis­suto umano, non erano utilizzate, ma che contemporaneamente non saranno semplicemente adesione acritica ad una lettura sociologica o psi­cologica della sessualità, ma qualche cosa di diverso, di più profon­do, di più rispondente alle autentiche esigenze dell'uomo che vive la realtà sessuale come una realtà che gli appartiene, che fa parte di se stesso.

dimensione politica

da una morale individualistica ad una morale sociale

Infine un ultimo passaggio, condizionato anche questo da una svolta culturale. Il passaggio cioè da una morale individualistica ad una morale sociale.
Anche questo passaggio è determinato da una svolta culturale, nel senso, che uno degli elementi fondamentali che caratterizzano la nostra cultura contemporanea, cioè il modo di pensare e di agire dell'uomo del nostro tempo, è il processo di politicizzazione della realtà.
Anche qui sarebbe interessante fare un'analisi di questo processo nel­le sue cause. Mi limito a dare qualche indicazione.
I1 processo di politicizzazione della realtà in cui viviamo viene normalmente fatto risalire al fenomeno della industrializzazione. Cioè è l'industrializzazione, con l'organizzazione del lavoro e la di­visione del lavoro, e il moltiplicarsi di tutta una serie complessa di istituzioni, di funzioni, di ruoli, che ha fatto della nostra so­cietà articolata, una società profondamente unificata per cui da una parte possiamo dire che l'uomo è stato messo in grado da questo processo di soddisfare molti suoi bisogni. Si direbbe che gli spazi della libertà umana, gli spazi della realizzazione di sé, sono venuti ampliandosi, o amplificandosi, e tuttavia anche qui abbiamo sempre un'ambivalenza, tutti questi processi, sono, di loro natura, sempre ambivalenti), e l'uomo sperimenta oggi in modo tragico la sua reale impotenza. Mi ha colpito in questi giorni la lettura di una frase pubblicata in un libretto, dal titolo "Mistero uomo" di un teologo tedesco, Kasper, e la frase era la seguente: l'uomo si è oggi accorto che il mondo ominizzato non è un mondo più umano. Traducendo, in termini più semplici, l'uomo si è accorto che tutta una serie di processi di affrancamento di sé da certe forme di schiavitù, che sembravano legate alla non conoscenza di leggi naturali, di leggi storiche o di leggi sociali, non ha per ciò stesso prodotto l'eliminazione della schiavitù. Anzi, quanto più l'uomo penetra, attraverso le sue conoscenze, nella realtà della natura, dell'ambiente che lo circonda, quanto più riesce attraverso il processo tecnologico a dominare certe forze e ad asservirle a se stesso, tanto più emergono nuove forme di schiavitù e di dipendenza. Soprattutto emergono a livello di organizzazione del mondo nuovi processi di alienazione al punto che la persona umana sembra, nel mondo industrializzato contemporaneo, spesso scomparire dietro al ruolo, dietro alle funzioni che sono imposte da tutto un insieme complesso di ingranaggi anonimi della nostra società, che finiscono per assorbire le potenzialità umane.

dilatazione della coscienza politica

La presa di coscienza di questo complesso processo, che per un verso è un processo anche di liberazione, perché l'uomo ha soddisfatto certi bisogni, e per un altro verso è un processo di nuova schiavizzazione, la presa di coscienza di questo processo alimenta fortemente la coscienza politica, nel senso che l'interdipendenza di struttura e struttura, di popolo e popolo, di continente e continente è ormai, diventato un dato di fatto. L'unificazione del mondo, a tutti i livel­li, non soltanto a livello di caduta di barriere fisiche o geografiche, ma a livello di caduta di barriere culturali supponiamo, ha pro­dotto una profonda unificazione del mondo, per cui ciò che oggi avvie­ne in un settore o in un paese o in un continente finisce coll'avere inevitabilmente delle ripercussioni immediate su altri settori, su altri paesi, su altri continenti, al punto che non è più possibile fare un discorso politico autarchico o che non è più possibile agire all'interno di una struttura senza coinvolgere inevitabilmente le altre strutture. In fondo questa è la grande verità, che ci è stata buttata in faccia, in modo forse un po' sbarazzino e duro dalla contestazio­ne studentesca del 1968, quando gli studenti ci hanno ricordato che non era possibile fare il discorso sulla scuola e all'interno della scuola senza coinvolgere perciò stesso il discorso sulla società a causa della interconnessione stretta che esiste tra scuola e società. Un certo tipo di scuola è inevitabilmente funzionale a un certo tipo di siste­ma. E quindi è evidente che il discorso va portato più a monte, sul sistema, se si vuole operare anche all'interno di quella particolare struttura. Non dico che sempre e soltanto si debba partire univocamente dalla società per andare verso delle strutture più ristrette, più limitate; il processo è molto complesso e può essere fatto nelle due direzioni. Ma è certo che se anche è fatto nella direzione di una struttura particolare non può prescindere, questo processo, dall'in­serimento in una visione più globale.
Pensiamo alla crisi italiana, che stiamo vivendo in questi gior­ni. È vero che questa crisi può essere il prodotto di tutta una se­rie di scelte politiche sbagliate, fatte all'interno del nostro paese, però se la analizziamo in una prospettiva più ampia la crisi italiana è legata anche alle multinazionali, a tutto un insieme di realtà e di strutture economiche sociali, politiche che si riflettono con il lo­ro peso determinante nella conduzione della politica economica della nazione.
Questa interconnessione che esiste tra struttura e struttura, tra na­zione e nazione, tra popolo e popolo, tra continente e continente fa sì che si dilati la coscienza politica, nel senso che la politica viene oggi intesa non più come un settore a parte, accanto alla eco­nomia, alla vita familiare, alla vita sociale. Un tempo si parlava in questi termini, e si riteneva la politica, la vita politica come un settore a par­te, accanto a tanti altri. Oggi la politica è davvero ciò che è sotteso a tutti gli ambiti della convivenza umana, una dimensione fondamentale di interpretazione di tutta la realtà.
Questo dilatarsi della coscienza politica è anche un approfondirsi della stessa coscienza. Perché quanto più io prendo coscienza che se voglio operare in senso concreto sulla realtà, devo tener con­to di questi meccanismi, così ampi e così complessi, tanto più si approfondisce in me la consapevolezza che queste strut­ture, queste scelte economiche, queste scelte sociali che avvengono a diversi livelli non sono il risultato di un fato, di qualche cosa di deterministico ma sono invece il risultato di scelte precise, e allora cresce il senso della mia responsabilità e cresce l'esigenza della partecipazione alla direzione della cosa pubblica, e cioè della partecipazione alla vita sociale e politica per progettare un uomo nuovo in un mondo nuovo. Questo; discorso di politicizzazione della realtà, non può non porre dei seri pro­blemi alla morale. Fa sì che la morale da una visione o da una conce­zione prevalentemente individualistica, assuma sempre più una visione, una concezione sociale e politica.
Vorrei per un momento fermare l'attenzione sul significato di questa assunzione della dimensione sociale e politica. Dire assunzio­ne della dimensione politica, non significa semplicemente affermare, come qualche volta qualcuno ha pensato, un ampliamento di orizzonte: c'è la morale familiare, c'è la morale sessuale, c'è la morale del lavoro, c'è la morale economica, c'è anche la morale politica. Non è questo il senso del discorso. Cioè non è un mettere accanto ai proble­mi individuali o di gruppo i problemi politici. Dire assunzione della dimensione politica significa più profondamente, che occorre dare a tutto il discorso morale un taglio politico. Occorre ricomprendere tutta la problematica morale in questa chiave politica e secondo que­sta prospettiva. Dicevo già che la grande lezione della teologia po­litica è stata quella di avere in fondo fatto prendere coscienza all'uomo che il cristianesimo andava radicalmente, reinterpretato secondo questa chiave. Cioè che la teologia politica non è come la teolo­gia del lavoro, nel passato una teologia settoriale ma un modo globale, radicale, di reinterpretare tutto il discorso cristiano.
In termini tecnici si dice che è un'ermeneutica, una reinterpretazione. Tant'è vero che le teologie politiche sono teologie che includono una cristologia, una sacramentaria, una concezione della chiesa nuova, di­versa. La teologia morale oggi deve reinterpretare se stessa secondo questo taglio politico.
Il che vuol dire che anche la morale fondamentale, per esempio, deve essere fatta, non in una prospettiva individualistica; la definizione della legge morale, la definizione del peccato, la definizione, che so io, della coscienza, va vista in questa prospettiva politica. Non si tratta di aggiungere dei problemi politici nuovi. Si tratta di dare una reinterpretazione diversa di tutto il discorso mo­rale. Tanto per intenderci, per esempio, questo è uno dei temi più in­teressanti e anche più vivaci sui quali il dibattito morale oggi è acceso, su come reinterpretare il concetto di peccato.

la dimensione sociale del peccato

Un tempo del peccato si aveva una concezione privatistica. Il peccato è visto come la rottura di un rapporto personale tra me e Dio. Se ho rotto con Dio me la vedo io con Dio, eventualmente recuperando il rapporto con alcune azioni che mi mettono in grado di ottenere la restituzione dell'ami­cizia con Dio.
Poi è emersa, in modo sfumato, una visione non più soltanto religiosa, ma anche sociale del peccato. Allora si è cominciato a dire: guarda che pecchi anche quando rompi un rapporto con il tuo fratello. Ma il peccato sociale veniva letto in chiave prevalentemente interpersonale, in un rapporto io-tu. Oggi invece si dice che occorra fare una lettura politicizzata del peccato. Che cosa vuol dire lettura politicizzata? Vuol dire che il peccato non è soltanto un fatto privatistico di rottura della mia relazione con Dio o di rot­tura della mia relazione con questo fratello, ma che il peccato assu­me delle dimensioni strutturali, Peccato è il mantenere in piedi attraverso il mio concorso personale delle strutture ingiuste oppure addirittu­ra l'alimentare queste strutture ingiuste, o se non altro, l'omette­re di intervenire nei confronti di strutture ingiuste (pec­cato di omissione, un vero e proprio peccato). Queste strutture ingiuste pesano in modo determinante sulla condotta degli uomini. Ecco perché allora ci si può e ci si deve accu­sare oggi dei propri peccati di omissione nei confronti dello stato di sottosviluppo di certi popoli, o dei propri peccati di omissione nei confronti del non intervento relativamente a certe guerre, per esempio, che si combattono anche lontano da noi. Perché qui c'è un vero e proprio peccato, c'è un peccato che ci coinvolge tutti, è un pec­cato che in fondo è il prodotto in ultima analisi anche delle nostre scelte egoistiche, che hanno o potenziato il sistema o per lo meno non consentito al sistema di venir meno nelle sue premesse.

componente personalistica e componente politica

Dicevo prima che la teologia morale ha riscoperto grazie all'influs­so del personalismo il criterio dell'intenzionalità come criterio pri­mario di valutazione dell'agire morale. Tuttavia vorrei far presente, a questo punto, anche perché non sembri il discorso che sto facendo contrastante con quello che facevo poc'anzi, che proprio in questa riscoperta della dimensione personale dell'intenzionalità nella va­lutazione dell'agire morale ci può essere un rischio. Il rischio è che questo criterio porti all'individualismo. Allora si tratta di contemperare il criterio dell'intenzionalità, che è un criterio fondamentale della morale (non si può rinunciare a quello che il personalismo ci ha detto e ci ha offerto), con quello dell'efficacia storica del­l'agire tenendo conto delle due grandi componenti culturali del no­stro tempo, la componente personalista ché ha avuto una sua espressione molto grande, molto positiva, attraverso la fenomenologia, l'esi­stenzialismo, ecc. ecc. e che ha marchiato la nostra cultura, e la componente politica, quella componente politica che ha trovato nel mar­xismo la sua espressione più alta o per lo meno più stimolante.
Oggi mi sembra che il problema della morale sia proprio quello della ricerca di equilibrio tra queste due esigenze. E' un grande compito storico, questo, un grande compito che comporta un'attenzione tutta particolare alla situazione del mondo in cui viviamo, comporta soprat­tutto un'attenzione alla ricerca di equilibri nuovi. La valutazione dell'agire morale non può essere fatta in chiave puramente individua­listica e d'altra parte la valutazione dell'agire morale non può av­venire in una chiave puramente sociale, legata al condizionamento so­ciale. Si tratta di operare nel senso della mediazione, perché sol­tanto in questo modo la morale cristiana può proporsi oggi come propo­sta di liberazione, proposta di liberazione globale di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Ecco la dimensione personale e la dimensione sociale. Una proposta di liberazione che allora ci aiuta a superare i due grandi mali del nostro tempo, che sono da una parte l'individualismo, dall'altra parte la massificazione. Noi viviamo in una società, nella quale le due tentazioni, che sono poi un'unica ten­tazione, tendono in modo palese o mascherato a rendersi costantemente presenti. Soltanto una proposta di liberazione articolata, cioè sol­tanto una proposta di liberazione che tiene conto da una parte del valore della persona, dall'altra parte di questo essenziale, struttu­rale inserimento della persona in una società così articolata e com­plessa come la nostra, può aiutarci a dare una chiave di lettura del significato dell'agire umano. Ed è per questo che allora questa dimen­sione politica diventa fondamentale, e che il passaggio da una morale individualistica ad una morale che affronta la dimensione politica, è sempre più un passaggio necessario.
Anche qui una brevissima esemplificazione. Ritornando al discor­so dell'etica sessuale. Affronterete il discorso della sessualità. Ebbene, oggi c'è tutta una attenzione, a me sembra, profondamente motivata, nell'affrontare il discorso sulla sessualità, alla dimensione cosiddetta politica della sessualità. Un'attenzione che è propria di questo nostro tempo. Nel passato, quando si analizzava la problemati­ca sessuale, la si analizzava o sulla base di parametri oggettivi, stereotipati, oppure, quando si andava più in profondità, sulla base an­che di un'attenzione alla coscienza della persona. La dimensione poli­tica era del tutto elusa.
Oggi ci si accorge invece che una serie di deformazioni, di condizio­namenti che agiscono sul piano della persona, finiscono per rifletter­si poi nell'ambito della società in una serie di frustrazioni e di condizionamenti sociali. Allora l'analisi della sessualità viene fat­ta anche nella prospettiva cosiddetta sociale e politica, al punto che si afferma che la liberazione dell'uomo, e quindi la liberazione sociale, passa attraverso la liberazione sessuale. E che comunque la liberazione sessuale non si opera se non nella prospettiva della li­berazione sociale o politica.
Questo dice quanto sia oggi importante scoprire questo nesso tra l'intenzionalità della persona e l'efficacia storica dell'agire, che è il grande problema, mi sembra, oggi della riflessione morale, una riflessione che ha superato la meccanizzazione, la cosificazione del­la morale passata attraverso il ricupero del valore della persona e quindi dell'intenzionalità, ma una riflessione che se non vuole rica­dere in una forma nuova di individualismo deve ritrovare il rapporto con la realtà sociopolitica.

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