Il cammino storico della morale
sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 8 novembre 1974
Introduzione sulla metodologia teologica del corso
Credo di dover giustificare, in modo preciso, il perché di queste due lezioni che costituiscono la premessa al corso "Sessualità". Penso che le ragioni possono essere sostanzialmente due. La prima che non si può affrontare una problematica così complessa, così articolata, così in evoluzione com'è la problematica sessuale, se non inserendola nel contesto più ampio dell'intera riflessione morale e della sua evoluzione. Il discorso sessuale è un aspetto dell'intera vita morale. E come tale va inserito per essere colto in tutta la sua ricchezza nel contesto dell'intera riflessione morale.
La seconda ragione che legittima questa introduzione generale sulla morale è che la metodologia che è stata adottata dagli organizzatori di questo corso è una metodologia rigorosamente teologica, ma proprio per questo va capita nel suo significato.
Il corso si divide in due momenti. Il primo momento è dedicato ad un'analisi antropologica della sessualità, cioè alla sessualità letta nella prospettiva delle scienze dell'uomo: la psicologia, l'antropologia culturale, la filosofia, la sociologia ci offrono il quadro del significato che la sessualità ha assunto nel nostro tempo. Il secondo momento del corso è dedicato più precisamente ad una riflessione di carattere teologico, cioè ad una riflessione che chiama in causa la Parola di Dio, chiama in causa la tradizione della Chiesa, in quanto Parola di Dio e tradizione della Chiesa ci offrono dei dati per intendere nella prospettiva cristiana il significato ultimo della sessualità.
Questa metodologia teologica, che è soggiaceste all'impostazione del corso, evidentemente è una metodologia "sui generis", che merita di essere presa in attenta considerazione.
Un tempo si pensava che fare il discorso teologico significasse semplicemente appellare alla rivelazione, senza partire da questo vissuto umano, analizzato attraverso le singole discipline o scienze che studiano direttamente la realtà. Ora, invece, si è passati da questa metodologia ad un'altra metodologia, e cioè ad una metodologia che parte dal vissuto umano, dalla realtà, e tenta di interpretare il significato ultimo di questa realtà alla luce della Parola di Dio. Ecco perché allora si giustifica il discorso sulla evoluzione della morale: perché questa metodologia non viene applicata soltanto all'ambito della sessualità, ma viene applicata globalmente a tutto l'ambito della ricerca morale.
Ecco, mi pare, le due ragioni, che rendono attuale questo discorso che io farò e che forse ad alcuni potrà sembrare un discorso astratto, un discorso teorico, e lo è: non può che essere teorico ma che ha una sua precisa collocazione nel contesto del corso, in quanto tende ad individuare la metodologia soggiaceste a tutta la riflessione che verrà presentata poi nelle relazioni successive.
Le mie riflessioni, di questa lezione e della prossima toccheranno sostanzialmente due problemi della grande problematica che si agita all'interno della riflessione morale. Nella prima lezione vorrei anzitutto fare una brevissima premessa sulla natura della teologia morale; successivamente fermate l'attenzione sull'evoluzione storica e dire poi quali sono gli orientamenti metodologici della teologia morale, oggi. Nella seconda lezione tenterò di individuare gli orientamenti, le direzioni del rinnovamento dell'intera riflessione morale. Il discorso della prima lezione è un discorso preliminare, a quello che esporrò nella seconda lezione sulle direzioni del rinnovamento della teologia morale. D'altra parte mi sembra che sia impossibile capire il perché, le ragioni profonde del cambiamento delle note morali, dei parametri di valore, delle strutture fondamentali della stessa vita morale se non si premettono queste riflessioni di ordine storico e di ordine metodologico.
Natura della teologia morale
Qual è il posto che occupa la riflessione morale all'interno del discorso cristiano? O, in altre parole, che cosa è la teologia morale?
Sappiamo che l'oggetto della teologia è la riflessione sul mistero cristiano, colto nella sua globalità; riflessione che finisce per essere una riflessione su Dio e sull'uomo, perché la rivelazione è la manifestazione che Dio fa di sé stesso all'uomo, all'interno della quale è contenuta un'autorivelazione dell'uomo a se stesso. La rivelazione è prima di tutto questo manifestarsi di Dio all'uomo, ma Dio, manifestandosi all'uomo, manifesta l'uomo a se stesso; nella sua natura più profonda, nei suoi valori fondamentali nella sua struttura permanente. E la teologia riflette allora, potremmo dire così, su questo rapporto fondamentale, dinamico, evolutivo, dialettico, che esiste tra Dio e l'uomo.
Dire questo significa evidentemente sbarazzarsi subito di una concezione della teologia come ideologia. Cioè significa superare una impostazione, in passato era abbastanza frequente, nel discorso teologico, che faceva della teologia un sistema di verità astratte.
La teologia non è un sistema di verità astratte, non è un'ideologia. La teologia è la storia della salvezza di Dio, una storia che si realizza progressivamente e che ha come partner, da una parte Dio e dall'altra parte l'uomo. Quando si dice storia della salvezza occorre intendere correttamente questi due sostantivi, che sono molto importanti perché con il termine "salvezza" si indica in qualche modo l'obiettivo di Dio: che cosa vuole Dio manifestandosi all'uomo? Vuole evidentemente salvare l'uomo, cioè liberarlo. Liberarlo non soltanto come individuo, ma liberarlo come comunità umana, liberarlo in tutte le dimensioni del suo essere. Questo è il fine di Dio, questo è l'obiettivo di Dio.
Quando si dice "storia" si indica più precisamente il modo con cui Dio intende liberare l'uomo, che è un modo storico: Dio non sottrae l'uomo dalla storia, non lo libera tirandolo fuori dalla vita, dalla esistenza che egli conduce nel mondo. Dio vuole liberare l'uomo nella storia e attraverso la storia, anche se sappiamo che l'esito finale di questa liberazione è metastorico, cioè trascende la storia, va al di là della storia.
Perché questo? Perché Dio è il creatore, il redentore della storia. Dio sta all'origine della storia umana, lui che ha dato inizio a questa
storia. Non solo, ma Dio è colui che ha fatto di questa storia il luogo della sua manifestazione, e perciò il luogo della salvezza. E' proprio per questo allora che Dio sceglie la storia come lo scenario all'interno del quale si opera la liberazione umana. Comprendiamo subito che allora questa scelta che Dio fa della storia come luogo della liberazione, ci rende edotti della evoluzione della salvezza. La salvezza cristiana non avviane in un istante e non avviene sempre allo stesso modo, ma avviene progressivamente, perché questa è una legge della storia. Se è vero che Dio vuole salvare l'uomo nella storia, evidentemente Dio deve adattarsi alla storia. La pedagogia di Dio, in tutta la storia della salvezza è una pedagogia dell'adattamento: Dio si adegua all'uomo che cresce, che matura progressivamente, all'uomo che autocomprende progressivamente se stesso, all'uomo che attraverso la cultura (la cultura non è per l'uomo un dato accidentale, è qualcosa di fondamentale, di sostanziale) attraverso la cultura scopre sempre nuove dimensioni di se stesso.
D'altra parte, la stessa storia della salvezza, così come ci è presentata nella rivelazione scritta, la Parola di Dio, presenta questi connotati di evoluzione, di cammino.
La Parola di Dio è l'itinerario di questo uomo che progressivamente, viene salvato. Tanto è vero, che noi troviamo una progressione in questa Parola di Dio, nel rivelarsi, nel manifestarsi stesso di Dio. Pensiamo a come il concetto di Dio si evolve all'interno della rivelazione a partire da un Dio antropomorfico della Genesi, da un Dio che scende a colloquiare con l'uomo, che assume sembianza umana, fino ad arrivare alla interiorizzazione che del concetto di Dio avviene, per esempio, nella letteratura profetica. Questa evoluzione del concetto di Dio, cioè di ciò che è di più fondamentale nella rivelazione, evidentemente avviene anche a livello morale. La rivelazione cristiana, sia vetero che neotestamentaria, presenta un cammino evolutivo dei parametri morali. A partire per esempio dalla legge del decalogo che è la legge dell'alleanza dell'antico testamento fino ai nuovi parametri morali del nuovo testamento che sono l'esigenza del Regno di Dio, manifestata da Cristo attraverso il discorso della
montagna, cioè le beatitudini. C'è tutto un cammino. Questo giustifica, mi pare, la evolutività del fatto cristiano, una evolutività che tocca il fatto cristiano nella sua globalità, tocca il concetto stesso di salvezza, che sta alla base del cristianesimo.
Il cristianesimo è la rivelazione di una salvezza globale per l'uomo che si fa nella storia e attraverso la storia. E quindi si fa accettando le leggi della storia, accettando questa dinamica, questo itinerario progressivo, questa evoluzione che caratterizza la storia. Ora, che cosa è la riflessione teologica? La riflessione teologica non è nient'altro che il tentativo di leggere e di interpretare l'esperienza di salvezza, sia pure senza mai esaurirla, perché l'esperienza della salvezza non è mai del tutto categorizzabile, di leggere e di interpretare questa esperienza di salvezza nel suo divenire storico, nella sua evoluzione. Il mistero cristiano, per la sua esistenzialità e per la sua storicità, che gli sono connaturali, deve essere continuamente riletto e reinterpretato per essere attualizzato. Il cristianesimo non è un fossile, da conservare in
un museo. Il cristianesimo è una vita, e la vita si evolve, la vita
cresce, la vita si sviluppa, a tutti i livelli, non soltanto a livello personale, ma anche a livello culturale, a livello dell'umanità e del mondo presi nel loro, insieme.
Ora, nel tentativo di leggere e interpretare questo mistero cristiano che si evolve, la teologia è andata specializzandosi, nel corso dei secoli, in diverse discipline. Discipline che sottolineano altrettanti modi di cogliere, sempre parzialmente, la realtà del mistero cristiano, in rapporto alle esigenze esistenziali dell'uomo, che potremmo riassumere fondamentalmente attorno a tre:
la esigenza contemplativa o anche l'esigenza speculativa, di approfondimento nella verità,
l'esigenza celebrativa di manifestazione di quello che si vive nel segno, nel gesto, nel linguaggio
e l'esigenza pratica, l'esigenza del vissuto.
Mi pare che, in fondo, queste tre esigenze, caratterizzano le tre discipline fondamentali della teologia. Se si volesse riassumere il discorso teologico si dovrebbe dire che il discorso teologico è fatto di
dogmatica, di liturgia e di morale.
La riflessione dogmatica riguarda il mistero cristiano visto nella dimensione della contemplazione. La ricerca dogmatica risponde fondamentalmente al bisogno speculativo dell'uomo, al bisogno dell'uomo di confrontarsi con la verità, anche attraverso la sua intelligenza.
La teologia liturgica ha come oggetto invece di riflessione il mistero cristiano nella sua celebrazione, e risponde all'esigenza dell'uomo di manifestare nel segno la verità contemplata, la verità cui fare appello. Finalmente la teologia morale ha come oggetto di riflessione il mistero cristiano vissuto. In altre parole si potrebbe dire la prassi cristiana. Vorrei far notare che questa differenziazione tra questi modi diversi di accostare lo stesso mistero cristiano, che è profondamente unitario, queste differenziazioni nel corso dei secoli hanno portato o all'esasperazione dell'una forma di teologia, o all'esasperazione dell'altra. Mentre quello che conta è cogliere questi tre momenti nella loro unità fondamentale e inscindibile, La vita cristiana è insieme contemplazione, celebrazione e prassi, Vivere il cristianesimo significa contemplare Dio, il mistero di Dio, significa celebrare questo mistero nel segno, significa soprattutto vivere secondo la logica di questo mistero. Ecco l'unità fondamentale della teologia, che oggi si tenta faticosamente di riscoprire, dopo secoli nei quali purtroppo questa unità è stata dimenticata. Sono avvenute delle lacerazioni, e ciascuna di queste tre grandi discipline teologiche ha tentato di marciare su binari paralleli, senza possibilità di incontro.
Oggi, mi sembra, che il punto di convergenza attorno al quale si va ricostruendo questa unità del mistero cristiano sia soprattutto la prassi, vale a dire il discorso morale.
E ciò per una serie di ragioni che mi pare opportuno, sia pure rapidamente richiamare.
Anzitutto l'orientamento fondamentale della nostra cultura verso la prassi. Noi viviamo nell'ambito di una cultura che è tendenzialmente orientata alla prassi. L'uomo contemporaneo tende ad autocomprendersi in rapporto a quello che fa, in rapporto alla capacità
che ha di esprimere se stesso nell'azione. Del resto, la lezione del marxismo in questo senso è stata una reazione provvidenziale. Il marxismo dice che la riflessione ha significato solamente nella misura in cui è riflessione sulla prassi. Non nel senso soltanto che la riflessione deve muovere dalla prassi, e cioè che devo riflettere a partire dalla prassi come luogo, ma anche nel senso che la riflessione deve orientare la prassi in senso rivoluzionario.
Ma prima ancora del marxismo è tutta la nostra cultura che è fondamentalmente una cultura centrata sulla prassi.
Quando faccio questa riflessione non significa che accetti acriticamente questo modo di fare cultura. Perché evidentemente ci sono anche dei limiti nel concentrare la riflessione nella riflessione sulla prassi. Però constato un fatto, e cioè che il punto di partenza oggi è soprattutto questo. Allora cercherò poi di recuperare eventuali altri valori che possono essere dimenticati nella misura in cui si assolutizza questo modo di interpretare la realtà. Ma non posso estraniarmi dal mio tempo, dal mio contesto socioculturale, se voglio fare una lettura autentica della realtà e del modo di pensare dell'uomo.
Questa attenzione alla prassi propria della cultura ha fatto sì che anche nel cristianesimo si mettesse a fuoco in modo più preciso il rapporto tra fede e vita. Credo che una delle più grosse eresie del passato era quella di avere separato in modo radicale la fede dalla vita; cioè la fede ridotta a certi momenti e a certe prestazioni, la fede che, in fondo si esprimeva attraverso certi atti di culto, oppure si esprimeva attraverso l'osservanza di certi precetti, mentre la vita correva su altri binari, come se Dio non esistesse. L'attenzione della cultura contemporanea alla prassi ha evidentemente sollecitato il cristianesimo a prendere coscienza che è fondamentale il recupero del rapporto tra fede e vita. Di qui l'attenzione anche all'interno del cristianesimo non più tanto all'ortodossia, al retto pensare, nella valutazione dell'essere cristiano, ma piuttosto, al retto agire, alla cosiddetta ortoprassi. C'è una tendenza di tutta la teologia contemporanea ad orientarsi nel senso dell'ortoprassi come criterio valutativo dell'essere cristiano. Evidentemente questa tendenza non si spiega se non all'interno di questo contesto culturale che è profondamente orientato alla prassi. Si capisce il perché allora, per esempio, della sottolineatura oggi dell'impegno del cristiano nel mondo, si capisce il perché dell'attenzione della Chiesa ai segni dei tempi, tanto per esemplificare, si capisce il perché di una reinterpretazione dello stesso discorso escatologico che un tempo veniva fatto nella prospettiva unicamente del futuro di Dio, e che oggi viene fatto nella prospettiva dell'attenzione al presente e insieme anche della proiezione del presente nel futuro. Ciò non vuol mica dire che questa attenzione alla prassi ci faccia dimenticare questo futuro di Dio, ma indubbiamente il discorso escatologico oggi viene fatto in termini diversi da come veniva fatto in passato. Ricordo, quando ero studente di teologia, che si dibatteva all'interno della teologia il problema della conciliazione tra escatologia e incarnazione e vi erano due correnti ideologiche, l'una considerata la corrente degli escatologisti e l'altra degli incarnazionisti, e se la facevano a pugni tra loro, proprio perché l'escatologia veniva interpretata come un qualcosa di assolutamente e soltanto futuro. Oggi invece, molto più serenamente, si compongono queste due dimensioni del fatto cristiano, la dimensione del cristianesimo come incarnazione, e la dimensione del cristianesimo come futuro di Dio, in una visione molto più seria e più profonda dell'escatologia intesa come attenzione al presente, anzitutto, perché il presente è il luogo entro il quale il Regno di Dio si va costruendo, e proiezione del presente nel futuro perché la pienezza del Regno di Dio deve ancora giungere e la attendiamo. La prassi cristiana allora, e cioè il vissuto cristiano diventa il luogo di rilettura e di reinterpretazione dell'intero mistero cristiano, nel senso che è soltanto a partire da questa prassi che è possibile risalire alla verità del mistero cristiano, ed esprimere questo mistero attraverso dei segni che siano davvero significativi, cioè che esprimano in tutta la loro ricchezza il modo di pensate e di vivere dell'uomo, di quell'uomo che vive in un contesto storico nel quale l'attenzione alla prassi è prevalente.
Capite allora in che senso la riflessione sulla prassi diventa il punto di
partenza per la ricomprensione della stessa verità cristiana e della liturgia cristiana. Un esempio può forse chiarire il discorso che sto facendo. Oggi voi sapete che si parla molto di teologia politica e di teologia della liberazione. In fondo queste teologie politiche o della liberazione, che sono teologie della prassi, non sono soltanto un tentativo di interpretare un aspetto della vita cristiana: come si ha una riflessione sulla cristologia, una riflessione sull'escatologia, una riflessione sulla chiesa, si pone anche una riflessione sull'impegno politico del cristiano. Non è così! La teologia politica e la teologia della liberazione sono un tentativo di reinterpretare globalmente tutto il messaggio cristiano. In termini tecnici si dicono: ermeneutiche della fede. Cioè interpretazioni globali della fede cristiana così com'è vissuta oggi. Tant'è vero che se voi leggete dei testi di teologia politica o di teologia della liberazione, vi trovate una precisa cristologia, vi trovate dentro una precisa ecclesiologia. Cioè l'ecclesiologia, la cristologia, l'escatologia vengono fatte sulla base di questo presupposto fondamentale che è la prassi cristiana, la quale costituisce il luogo entro il quale si elabora o si rielabora tutt'intero il discorso teologico. Si capisce allora in che senso l'attenzione alla prassi diventa veramente il punto di partenza per l'interpretazione cristiana.
L'evoluzione storica
Detto questo, sulla natura dell'evoluzione della teologia oggi, possiamo tentare di dire qual è stata l'evoluzione storica che ha prodotto questo fenomeno. Ho preferito presentare in partenza il fenomeno, per rendere più comprensibile la stessa evoluzione storica, Storicamente sappiamo che la riflessione morale, che occupava un ambito ben preciso della intera riflessione teologica, si è venuta sviluppando secondo un iter evolutivo, che io penso meriti di essere richiamato almeno nelle sue linee fondamentali. Anche perché l'analisi storica è molto importante.
Vorrei fare brevissimamente alcune premesse: perché facciamo questa analisi storica? perché in fondo l'analisi storica ci consente di
distinguere ciò che è permanente da ciò che è caduco, per esempio nell'ambito del messaggio cristiano. Noi siamo portati istintivamente un po, e forse la chiesa istituzionale in termini maggiori, ad assolutizzare, tutto quello che oggi si riferisce al messaggio cristiano, e ad assumerlo così dogmaticamente. In realtà la storia è maestra di vita, e molte cose che noi riteniamo degli assoluti, un tempo non erano degli assoluti e probabilmente in futuro non lo saranno più. La grande lezione della storia è in questa demitizzazione degli assoluti, in questa relativizzazione di molti discorsi che apparentemente possono sembrare irrinunciabili, come si dice.
Ancora, la storia ci aiuta a leggere i problemi del nostro tempo nella prospettiva di tutta una tradizione, che, sia pure sotto forme diverse e in contesti diversi, ha già affrontato. E ci aiuta infine a una fedeltà sostanziale alla tradizione ecclesiale. Sappiamo che il cristianesimo è memoria, memoria di un evento passato, e di un evento che è stato rivissuto, riletto, reinterpretato in situazioni storiche diverse? Se dunque il cristianesimo è memoria, se vogliamo essere cristiani dobbiamo collegarci con i valori fondamentali di questa tradizione,e l'analisi storica ci aiuta a fare questo collegamento. Naturalmente, collegamento non significa assunzione acritica delle tradizioni passate. ma significa continuità sostanziale, fedeltà con il dettame fondamentale della tradizione, non delle tradizioni. Fatta questa premessa sull'importanza di questa riflessione storica, dico subito che fermerò l'attenzione su tre momenti, in modo estremamente schematico, di evoluzione della riflessione morale.
Periodo patristico
Il primo momento è quello patristico. Come avveniva la riflessione morale nel periodo patristico? Credo sia molto importante tener conto del luogo all'interno del quale si elaborava questa riflessione. Noi diamo scarsa importanza, in genere, al luogo dove si elaborano le idee eppure invece il luogo è molto importante, è decisivo, per capire il senso di una catalizzazione. Qual era il luogo entro il quale si andava elaborando una riflessione sulla prassi cristiana, sul vissuto cristiano nella chiesa primitiva dei Padri? Era la liturgia.
Tant'è vero che se volete andare a ritrovare gli orientamenti morali dell'esistenza cristiana nei Padri, dovete leggere le loro omelie, che non sono niente altro che spiegazioni della Parola di Dio, incarnata nelle loro situazioni storiche, fatte all'interno della celebrazione eucaristica, o dovete leggere le cosiddette catechesi mistagogiche. Cosa sono le catechesi mistagogiche? Sono le catechesi preparatorie alla celebrazione dei sacramenti. Evidentemente, l'ambiente era liturgico, perché si preparavano dei catecumeni(allora c'era il catecumenato, in modo abbastanza diffuso, per tutti i sacramenti) alla celebrazione del sacramento. In questo contesto venivano svolte le riflessioni, e indicati gli orientamenti circa la vita morale. Ora capite subito che il contesto liturgico non può offrire una grande sistematicità, questo è indubbio; la riflessione dei Padri da un punto di vista morale è asistematica. Però si capisce anche che il contesto liturgico offre alla riflessione una estrema esistenzialità: l'ambiente liturgico è un ambiente molto vitale, è un ambiente nel quale si fa esperienza diretta, immediata del mistero di Cristo. La liturgia è il luogo dove si esperimenta nel modo più alto, se è autentica liturgia, il mistero di Cristo.
In questo periodo la riflessione morale è una riflessione caratterizzata da una profonda unità con quello che poi verrà definito come il dogma, cioè con la contemplazione della verità. I Padri non facevano distinzione tra verità da credere e comandamenti da praticare. C'è un'espressione molto bella della lettera a Diogneto, della fine del secolo secondo, che ci offre quasi una formula precisa per indicare questa mutua interdipendenza tra la verità da credere e il comandamento da praticare. Dice così: "Non vi è vita senza la scienza, né scienza sicura senza la vera vita". E continua: "Che la scienza si identifichi col tuo cuore, che il Verbo di verità ricevuto in te, divenga la tua vita". Si vede la vitalità dell'ambiente liturgico, la sua esistenzialità, che fa sì che la riflessione morale, e la riflessione sulla verità, la cosiddetta riflessione dogmatica, siano viste in una unità profonda.
Come veniva presentata la vita cristiana in questo contesto liturgico dai Padri con questa profonda aderenza alla verità da credere? Il principio fondamentale della vita cristiana era quello della imitazione di Cristo. Non si spendevano molte parole per dire che bisogna fare questo,o bisogna fare quello. Era presentato il Cristo vivo, attraverso i misteri liturgici. E questa imitazione di Cristo non era considerata soltanto come un ricalcare certi modelli di vita che Cristo aveva fatto suoi. Cioè non era una imitazione estrinseca, come io posso imitare per esempio Platone, o posso imitare Socrate, o posso imitare un personaggio della storia che ritengo mi abbia impartito degli insegnamenti che servono anche alla mia vita. L'imitazione di Cristo era, in senso più profondo, sequela di Cristo, cioè inserimento vitale nei misteri di Cristo. Il contesto liturgico favoriva questo. Cioè era un rivivere nella propria vita la vita di Cristo, partecipando al mistero dell'incarnazione, al mistero pasquale ecc., partendo dalla constatazione che la vita di Cristo mi è stata trasmessa, cioè, per dirla con Paolo, che per me vivere è Cristo, che la mia vita ormai è Cristo, che io sono profondamente inserito in Cristo, e che la liturgia e la vita sacramentale mi rende partecipe di questa vita, mi assimila la verità fondamentale all'essere di questi misteri. Ecco che allora la struttura della vita cristiana era una struttura di partecipazione-imitazione. Il grande indicativo di salvezza: sei in. Cristo, sei in Cristo diventato figlio di Dio, partecipi alla sua vita, ricalchi attraverso la liturgia i suoi misteri, diventava l'imperativo morale: imita Cristo!
Se in Cristo sei diventato l'uomo nuovo, allora tutta la vita morale è una costante imitazione di questa novità di vita che ti è stata partecipata. Paolo direbbe: siete azzimi? Diventate azzimi! Siete in Cristo partecipi della vita nuova dei figli di Dio? camminate in novità di vita.
La prospettiva dell'esistenza cristiana in questo periodo era quindi una prospettiva estremamente positiva, e non negativa, come quando in seguito si adotteranno i comandamenti come schema per presentare la vita morale.
Era una prospettiva positiva: il cristianesimo veniva presentato in tutta
la sua sublimità come un autentico ideale di perfezione. E' quello che dice anche il decreto conciliare "Optatam totius" a proposito della presentazione della teologia morale quando afferma che la teologia morale deve presentare la sublimità della esistenza cristiana: "celsitudo vitae christianae" . Nella chiesa primitiva, si presentava la vita morale in questa prospettiva positiva: la altezza, la sublimità, la celsitudo della vita cristiana. Tant'è vero che venivano addirittura esaltati certi stati di vita che a noi, oggi, sembrano paradossali, come il martirio, l'obiettivo più alto, verso il quale si doveva tendere come cristiani. Oppure la verginità, anche se evidentemente, questa esaltazione della verginità avveniva in un contesto socioculturale ben preciso influenzato dal platonismo, dal neoplatonismo, dal manicheismo. C'era così la tentazione di presentare la sublimità della verginità, in opposizione al matrimonio, così svalutato. È senz'altro un aspetto negativo della riflessione patristica, e che ci dice il limite di ogni riflessione teologica.
Ogni riflessione teologica, proprio perché si incarna esistenzialmente nel contesto del tempo, per fedeltà al mistero dell'incarnazione e alla logica della storia della salvezza, finisce con l'assumere inevitabilmente le categorie del proprio tempo. In questo tempo le categorie culturali e di linguaggio, erano quelle dell'ellenismo. E siccome nell'ellenismo si era andato sviluppando il filone platonico, attraverso il neoplatonismo, attraverso poi anche, il manicheismo, c'era questa tentazione di sopravvalutare la verginità e di sottovalutare il matrimonio e di contrapporre queste due vocazioni. Questa riflessione sul contesto ellenistico è molto importante perché ci dice come già i primi Padri della Chiesa hanno tentato un approccio con la cultura del loro tempo, e hanno dovuto mediare il messaggio cristiano nelle categorie e nel linguaggio di questa cultura. Il che vuol dire che non c'è un messaggio cristiano allo stato puro: il messaggio cristiano si storicizza, si incarna, e assume una veste culturale, con tutti i valori, ma con tutti i limiti che queste diverse vesti culturali portano con sé. Sono stati gli alessandrini i primi a tentare questa mediazione con l'ellenismo, attraverso la dottrina del "logos spermaticos" cioè del verbo diffuso, dicendo: in fondo le verità pagane sono verità che possono essere attribuite al Verbo di Dio, in quanto il Verbo di Dio non è presente soltanto nella coscienza di coloro a cui Dio si è rivelato ma è presente nel mondo, nella storia. Allora occorre comporre la verità cristiana con questa verità pagana, per riuscire a cogliere veramente il significato di questa presenza di Dio nel mondo e nella storia.
Periodo scolastico
Il secondo periodo è quello della "scolastica".
Anche qui mi rifaccio come punto di partenza al luogo in cui si elabora la riflessione. Se nella chiesa primitiva, il luogo privilegiato della riflessione morale era la liturgia, nella scolastica, come dice il termine stesso "scolastica", è la "scola", cioè la grande università medievale. Là avviene l'elaborazione della riflessione. Evidentemente, allora, la riflessione morale, come tutta la riflessione teologica del resto, acquisisce una elaborazione sistematica, si sistematizza. La scuola è fatta per sistematizzare. Non solo, ma acquisisce anche uno statuto scientifico. Tant'è vero che è proprio di questo tempo il grosso dibattito, all'interno delle scuole medievali, sulla teologia come scienza, cioè come sapere scientifico. E si elaborano i criteri metodologici della teologia, ecc. Questo fa sì che, evidentemente, la teologia diventi sempre più rigorosa,sempre più sistematica, mentre prima era meno sistematica, più vitale, più esistenziale, ma contemporaneamente fa sì anche che la teologia perda la sua dimensione misterica, il suo contatto vitale con il mistero di Cristo che viene attualizzato in modo più pregnante nella liturgia. Allora si capisce che la teologia morale di questo tempo non la si trova più nelle omelie o nelle catechesi, ma la si trova nelle "summae". Cominciano a costruirsi queste summae" di enorme mole, fra cui la più significativa è quella di Tommaso d'Aquino, che elaborano in termini estremamente sistematici e rigorosi dal punto di vista scientifico il messaggio cristiano. Però c'è anche un perdersi di certi elementi vitali. Certo c'è un rigore scientifico ineccepibile, ma viene meno tutta una dimensione esistenziale di cui era invece ricca la elaborazione teologica precedente.
Anche in questo periodo tuttavia, la elaborazione della ricerca morale avviene in termini di una morale positiva non negativa.
La struttura della esistenza morale cristiana viene presentata non nel senso di ciò che non si deve fare, ma nel senso di ciò che il cristiano è impegnato a fare, se vuole credere nella vita di Cristo; e lo schema più usato nell'ambito della riflessione morale in questo periodo è lo schema delle virtù. Tra l'altro S.Tommaso nella "summa" adotta questo schema. Presenta tutta la vita morale, nella cosiddetta "secunda secundae", la seconda parte della seconda parte della summa teologica, secondo lo schema delle virtù. Notate: prendendo, pari pari, la struttura dall'etica nicomachea di Aristotile. C'è da parte di S.Tommaso, ancora una volta, l'utilizzazione di categorie culturali del suo tempo: nel periodo in cui S.Tommaso è vissuto l'aristotelismo rappresentava il massimo di progresso. Sappiamo che Tommaso è stato, per questo suo tentativo ardito, tacciato di eresia e condannato dall'Università di Parigi, perché aveva osato mediare il discorso cristiano nelle categorie dell'aristotelismo, che erano le categorie culturali più ardite, più avanzate del suo tempo.
E poiché aveva mediato il discorso cristiano nelle categorie dell'aristotelismo, aveva utilizzato la struttura dell'etica nicomachea per descrivere l'esistenza morale e cristiana.
Periodo moderno
Il terzo periodo è l'epoca moderna, a partire, grosso modo, dal secolo XIV, cioè dai tempi del nominalismo e dalla decadenza della grande scolastica. In questa epoca moderna, qual è il luogo della riflessione morale? Non è più la liturgia, non è più la "scola", ma è il confessionale.
Quali sono le cause di questa svolta, la riflessione morale che viene non più elaborata nella liturgia, non più nella "scola" ma nel
confessionale? E' l'introdursi ormai in modo radicale della penitenza privata, come unica forma di penitenza. Anticamente, nel periodo della Chiesa primitiva, si celebrava la penitenza pubblica, poi si è introdotta la penitenza privata, quella che "grosso modo" fino a pochi anni fa, fino a poco tempo fa, si amministrava anche da noi, con la confessione dettagliata dei peccati. Allora la riflessione morale si riduce a essere elaborata in funzione di questo servizio che il sacerdote doveva fare di ascoltare i peccati del penitente e di distribuire, a seconda dei peccati, le corrispettive penitenze. Allora non serve più un'elaborazione positiva della vita morale cristiana: è sufficiente un'elaborazione negativa, basta sapere quali sono i peccati, ed ecco che allora nasce la cosiddetta casistica.
La casistica che è perdurata fino ai nostri giorni. Quando studiavo in seminario teologia morale studiavo su un libro che forse pochi conosceranno, di Genicot, nel quale la teologia morale veniva presentata pressappoco così. C'era una tesi: non ammazzare; poi si diceva: il non ammazzare comprende l'omicidio, il suicidio, ecc. ecc. Si facevano lunghissime elencazioni di tutte le possibilità di peccato che c'erano attorno a quel comandamento.
Non imparavo niente di cosa era in positivo la vita cristiana, ma imparavo in compenso tutti i peccati, Se poi, si andava a prendere la parte riguardante l'etica cosiddetta sessuale-, veramente si imparavano tutti i peccati di questo mondo, comprese le varie bestialità e cose di questo genere. Tant'è vero che uno di questi autori che hanno elaborato la teologia morale, secondo questa prospettiva negativa, uno dei più famosi autori della casistica, il Sanchez, ha avuto l'onore di trovarsi pubblicato, proprio in questo nostro tempo, per le edizioni di Sugar, in una collezione di libri pornografici, la parte riguardante la sessualità nella teologia morale.
La teologia morale era divenuta una casistica negativa senz'anima. Evidentemente lo schema secondo il quale veniva presentata non era più lo schema delle virtù, né era lo schema dei sacramenti, come avveniva invece nella chiesa primitiva, ma era lo schema dei comandamenti, che ci danno una presentazione in negativo della vita
cristiana: non ammazzare, non rubare, non dire falsa testimonianza e così via.
Questa casistica poi è andata proliferando a dismisura grazie anche al nominalismo, che creava una mentalità così di continuo ripensamento e di continua riflessione non tanto su concetti autentici, quanto piuttosto, come dicevano i nominalisti, su espressioni puramente verbali, i cosiddetti "flatus vocis". La logica nominalistica è entrata anche in questo campo e ha alimentato a dismisura la casistica, che trovava la sua espressione nella utilizzazione del diritto. In quanto il diritto è quanto di meglio vi possa essere per fare della casistica. E' chiaro che a questo punto la teologia morale allora si distacca radicalmente dalla riflessione sul mistero cristiano. La morale diventa una disciplina teologica a sé stante, negativa, minimalista, una vera e propria patologia della vita, fatta di cataloghi ,di usi più che di orientamenti verso la virtù. Le conseguenze negative sono sia per la teologia morale sia per la teologia dogmatica. Perché la teologia dogmatica astrae sempre di più, diventa sempre più disincarnata. Tant'è vero che è proprio di questo tempo una teologia dogmatica che giunge a riflettere persino sul sesso degli angeli. E dall'altra parte la teologia morale, disancorata totalmente dalle dimensioni positive del mistero cristiano, finisce per essere una casistica che rende facile tutto. Al punto che si arriva ad un certo punto della storia della teologia morale al cosiddetto fenomeno del lassismo. C'è poi la reazione giansenista nei confronti di questo lassismo che era giunto a rendere lecito anche l'illecito.
Molte cose che prima, anche a buon senso, si potevano ritenere illecite venivano considerate lecite per questa analisi molto sottile che si faceva delle motivazioni, per giustificare un determinato comportamento.
Orientamenti dell'odierna teologia morale
Questa evoluzione storica ci consente allora di cogliere la svolta che oggi stiamo vivendo all'interno della riflessione morale, svolta
caratterizzata da un mutamento profondo di prospettiva, e di metodo. Gli elementi del passato, quelle tre fasi che ho segnalato non vengono emarginati o dimenticati, ma vengono inseriti in un contesto nuovo e più ampio, assumendone le dimensioni positive.
Tant'è vero che la svolta della teologia morale, come prospettiva, è un tentativo di sintesi della dimensione misterica, che la teologia morale aveva all'inizio cioè del contatto vitale col mistero di Cristo. Ed è un tentativo di recupero anche dell'aspetto scientifico: la riflessione medievale ha avuto il grande merito di sottolineare l'esigenza di una certa rigorosa scientificità del discorso morale. Questa dimensione scientifica oggi deve essere recuperata. E' un recupero, se si vuole, anche dell'aspetto positivo della casistica; ma non una casistica fatta più in termini negativi o giuridici, ma di una casistica fatta di un'attenzione globale alle situazioni umane, e perciò di una casistica che utilizza non più il diritto, ma che utilizza le scienze dell'uomo: che utilizza per esempio la psicologia, la sociologia, l'antropologia culturale, la filosofia per calare il discorso morale nel contesto del vissuto in cui l'uomo è inserito, di quel vissuto che è interpretato da queste scienze. Quali sono gli orientamenti della riflessione morale oggi, o almeno quali sono le più grosse novità, a livello di ridefinizione della teologia morale, a livello di luogo in cui la teologia morale deve essere elaborata e a livello di metodologia?
Ridefinizione della teologia morale
Anzitutto assistiamo ad una ridefinizione della teologia morale, cioè al tentativo di intendere la teologia morale come riflessione sull'esperienza della salvezza e della fede. Oggi quando si parla di teologia in generale e di teologia morale in particolare, si intende con questo termine la riflessione sull'esperienza della salvezza. La teologia è riflessione su una esperienza vissuta. Questa esperienza vissuta è l'esperienza della salvezza. In altre parole, ci si avvede sempre più che il presupposto da cui si deve partire per fare teologia è l'esperienza della fede. La quale esperienza della fede è dono di Dio. Allora si capisce che la teologia acquisisce una dimensione carismatica. La teologia è dono, prima ancora di essere riflessione umana. Per cui non basta per fare teologia possedere un bagaglio di cognizioni scientifiche, magari accuratissimo. Per fare teologia bisogna essere dei credenti, cioè degli uomini che fanno l'esperienza della salvezza e soprattutto l'esperienza della fede. Evidentemente questo ricupero dell'aspetto carismatico della teologia non esclude l'elemento scientifico che deve essere in qualche modo contemperato con l'elemento carismatico. La riflessione teologica è insieme dono di Dio e apporto costruttivo dello uomo nella rielaborazione del significato del dono di Dio. Di qui l'importanza allora dell'utilizzazione delle scienze dell'uomo, di tutte le categorie culturali, del linguaggio, ecc. ecc. Potremmo anche dire così per sintetizzare questo concetto di teologia come riflessione che matura da una esperienza della fede, o della salvezza. Quando dico salvezza dico qualcosa di più ampio della fede perché, in fondo, io credo che fa teologia anche uno che è fuori da una fede esplicita come si diceva un tempo, fa teologia anche uno che cerca la verità al di fuori della Chiesa, ma anche al di fuori di una fede come noi almeno la concepiamo nella sua esplicitazione piena. Potremmo dire che la teologia è sapienza.
Già i Padri avevano usato questo termine molto significativo, un termine che dice più di scienza, e che quindi sta ad indicare quell'aspetto esperienziale vitale, che caratterizza quella che definivo la dimensione carismatica della teologia. La sapienza include la scienza, ma la sapienza va oltre la scienza. La teologia è questa sapienza, questo vivere riflettendo sul mistero di Dio.
Quindi recupero di queste due dimensioni che poi sono la dimensione misterica da una parte, e la dimensione scientifica della teologia così come c'erano presentate dalla scolastica, in una ridefinizione della teologia come riflessione sulla esperienza della salvezza e della fede.
Restituzione della teologia morale alla comunità
Il luogo in cui si elabora la teologia deve diventare (purtroppo non lo è ancora, la teologia è ancora fatta a tavolino, ed è fatta proprio per questo per addetti ai lavori) la comunità cristiana, la comunità cristiana intesa come il popolo di Dio cioè come l'insieme di coloro che credono in Cristo, che accolgono attraverso la partecipazione ai sacramenti la partecipazione alla vita di Cristo e tendono verso un'unica speranza, la speranza di Dio.
Evidentemente questo concetto di teologia suppone un concetto nuovo di Chiesa. In una Chiesa che si definiva come Chiesa docente e discente, una concezione della teologia di questo tipo non era possibile. Soltanto in una chiesa che si definisce come popolo di Dio, all'interno del quale tutti i membri sono anzitutto eguali, dico anzitutto eguali per dignità, all'interno del quale i singoli membri costituiscono tutti una unità, è chiaro che la teologia deve essere l'elaborazione di tutti.
L'affermazione che il Vaticano II ha fatto della fondamentale unità e uguaglianza di tutti i membri del popolo di Dio sta alla base di questa rielaborazione del concetto di teologia e soprattutto del luogo in cui si fa teologia. Il che non esclude che la comunità cristiana sia una comunità in cui l'unità non è uniforme. L'unità della chiesa non è unità uniforme, è un'unità pluralistica, articolata, differenziata, perché, se uno è lo spirito, se una è la fede se una è la speranza, se uno è l'amore come frutto dello Spirito, diversi sono i carismi e anche le funzioni dei singoli membri della chiesa.
Se noi riprendiamo col discorso teologico, allora qui nascono, a questo proposito, due problemi. Il primo, il problema del posto che occupa, allora, colui che si definisce come il teologo, all'interno della comunità e il posto che occupa il magistero.
Abbiamo detto che la comunità è anzitutto il luogo dell'elaborazione del discorso teologico, ma all'interno della comunità c'è posto anche per colui che ha, per la sua competenza, per le specializzazioni che può aver avuto, ha la possibilità di fare la razionalizzazione del messaggio cristiano. E c'è posto anche per il magistero in quanto è autenticatone di questa crescita della comunità cristiana. E' chiaro che questa autenticazione della crescita nella verità della comunità cristiana, sia il teologo che il magistero lo possono fare solo nella misura in cui sono vitalmente inseriti della comunità. Cioè nella misura in cui il teologo, prima di essere teologo, è un credente che vive l'esperienza della fede nella comunità e allora dà il suo contributo di uomo che fa razionalizzare questa esperienza; o nella misura in cui il magistero, prima di giocare il suo ruolo, vive l'esperienza della fede all'interno della comunità e allora può dare il suo contributo di autenticazione della fede della comunità.
Dobbiamo ricordare che il teologo, prima di essere teologo, è un credente, ed è molto più rilevante per lui essere credente che essere teologo, che il papa, prima di essere papa, è un credente: "con voi sono un credente diceva Agostino, il vescovo di Ippona, per voi sono un vescovo". Allora l'esercizio sia del Compito del teologo, sia del compito magisteriale saranno tanto più seri, più autentici, quanto più queste persone vivranno dal di dentro l'esperienza della fede, della comunità, e presteranno il loro servizio che corrisponde per il teologo ad un carisma e per il magistero oltre che ad un carisma anche ad un ministero preciso che gli è affidato dalla chiesa.
Credo che una delle ragioni della crisi in cui oggi versano sia la teologia sia il magistero, sia proprio questa separazione dalla comunità. C'è una teologia che procede per conto proprio a tavolino, nel chiuso di certi orti per iniziati, e c'è un magistero che tranquillamente procede per conto proprio, dettando degli orientamenti dottrinali che non vengono recepiti perché non rispondono ad autentiche esigenze della comunità. Se quegli uomini del magistero vivessero dentro la comunità probabilmente sarebbero anche in grado poi di fare una riflessione seria su queste esigenze e ai offrire degli orientamenti e di autenticare la crescita della fede della comunità e di autenticare la riflessione teologica. C'è uno scollamento oggi tra magistero, teologia e popolo di Dio, scollamento che fa sì che i vescovi siano sempre meno ascoltati, ed è logico che sia così, e che i teologi procedano per la loro strada, ed è logico che sia così nella misura in cui non si calano nelle esigenze della comunità perché non basta la sensibilità culturale.
E' necessario prima vivere dal di dentro l'esperienza degli uomini. Poi la sensibilità culturale è anche importante ma è un elemento successivo. Credo di aver chiarito il senso di questa restituzione della teologia al popolo di Dio.
Rinnovamento dello statuto metodologico
Terza linea di rinnovamento del discorso teologico e soprattutto della teologia morale è il rinnovamento dello statuto metodologico. Il problema che emerge a questo punto è come elaborare la riflessione morale, che è riflessione teologica sulla prassi cristiana.
In altre parole come far si che la Parola di Dio diventi criterio di giudizio, metro di valutazione della realtà, in questo "qui ed ora in Dio", che è la nostra storia.
Un tempo si riteneva che tutto fosse molto facile, perché si riteneva che tutto potesse avvenire in questo modo molto semplice che vi descrivo: anzitutto si considerava la Parola di Dio un sistema di verità ben preciso, o un sistema di valori, ben chiaro, che potevano benissimo essere applicati a tutte le situazioni storiche. Il metodo era perciò rigorosamente deduttivo. Io ho la verità cristiana, ho l'insieme delle verità cristiane, l'insieme dei valori cristiani, e desumo da questa specie di cesto, quello che mi serve per affrontare una certa situazione e ho la ricettina che risponde al problema. Ma una più attenta riflessione sulla parola di Dio, e soprattutto sul modo dell'uomo di accostarsi alla Parola di Dio ha messo in evidenza due cose molto importanti: primo, ha messo in evidenza che la Parola di Dio scritta, quella della Bibbia, e anche la esplicitazione, la chiarificazione di questa Parola di Dio che è avvenuta nella tradizione della chiesa, e anche gli stessi insegnamenti del magistero (quando dico Parola di Dio dico tutto questo; dico anzitutto la Parola scritta di Dio nella
rivelazione, ma dico anche tutta l' evoluzione che questa parola ha avuto nell'interpretazione, nella tradizione ecclesiale), questa Parola di Dio scritta è anch'essa contenuta dentro un involucro storico, fatto di categorie culturali, fatto di un linguaggio che appartiene ad un certo tempo, e che non era così facile sceverare quello che di permanente c'era dentro quella Parola di Dio e quello che invece era semplicemente l'involucro, e distinguere il nucleo dall'involucro. Perché l'involucro non è qualcosa di accidentale, l'involucro è qualcosa di sostanziale. Cioè la Parola dì Dio la trovo soltanto inserita in quell'involucro che sono le categorie culturali del tempo, che è il linguaggio del tempo: fa un tutt'uno con le categorie culturali e con il linguaggio, E' vero che dentro c'è una verità che va oltre, ma come io posso accedere a questa verità che va oltre, se questa verità si è calata dentro, in modo essenziale, strutturale, in quelle categorie, in quel linguaggio?
Allora è nata la grossa obbiezione: se non esiste la Parola di Dio allo stato puro, come fare ad accostarsi a questa Parola di Dio? Ecco la prima ragione della difficoltà ad operare secondo il metodo deduttivo di cui prima parlavo.
La seconda ragione è che si è capito che anche l'uomo allo stato puro non esiste. Non solo non esiste la Parola di Dio allo stato puro, ma non esiste neppure l'uomo allo stato puro. L'uomo "animale razionale" è un'astrazione. Esiste invece l'uomo che vive in un determinato contesto storico e che, a partire da questo contesto storico, accosta la Parola di Dio; Cioè esiste l'uomo che ha come si dice una precomprensione socioculturale che gli viene dall'essere inserito nel suo tempo. Come il rapporto tra Parola e linguaggio, non è un rapporto accidentale, come il linguaggio non è un involucro esterno, così il rapporto tra cultura e natura umana è un rapporto essenziale. Cioè l'uomo è essenzialmente un essere storico, e quindi la cultura è parte essenziale ed integrante del suo essere e del suo vivere. Allora è chiaro che è diverso il modo di accostare la Parola di Dio da parte dell'uomo, per esempio, di trecento anni fa, dal modo di accostare la Parola di Dio da parte dell'uomo del 1974. Perché l'uomo del 1974 quando accosta la Parola di Dio porta dentro tutta la sua precomprensione. In che cosa consiste questa precomprensione?
Consiste, anzitutto nelle conoscenze scientifiche che ha della Parola di Dio. L'esegesi biblica, per esempio, ha fatto dei progressi. Oggi sappiamo che non si può accostare il Libro della Sapienza, come si affronta la Genesi, perché sono libri che appartengono a due generi letterari diversi. Secondo: non solo c'è questa precomprensione scientifica diversa,ma c'è una precomprensione socioculturale diversa. Cioè io accosto la Parola di Dio a partire dai problemi del mio tempo, da un modo di pensare e di vivere che è proprio del mio tempo, che è diverso dal modo di pensare e di vivere dell'uomo di trecento anni fa, per rimanere nell'esempio. Non solo, ma anche io, personalmente accosto la Parola di Dio a partire dalla mia irrepetibilità personale. Ci sono quindi livelli di precomprensione diversa: il livello scientifico, il livello socioculturale, in quanto io sono un uomo storico che vive dentro a questa cultura, il livello personale, in quanto io sono questo uomo, e non altro, e ho dei miei problemi. Allora l'uomo interpella la Parola di Dio, pone delle domande alla Parola di Dio a partire dal suo contesto. Si capisce che allora non accosta la Parola di Dio allo stesso modo l'uomo del 1974 e l'uomo del 1874. Non è più possibile operare in senso deduttivo, dire di avere la Parola di Dio allo stato puro, per "tirarla giù" per questa situazione in cui vive e tutto è fatto. E' possibile operare soltanto in modo circolare. Ecco la metodologia teologica che, spiega molto bene il discorso dei momenti diversi di tutto il corso. Io parto, come uomo del mio tempo dalla mia precomprensione scientifica, culturale, personale e accosto la Parola di Dio interpellandola. A sua volta questa Parola di Dio interpellata, risponde a me, in rapporto ai problemi che le pongo. Questo comporta da parte mia un modo diverso di leggere la Parola di Dio e un modo diverso di interpretare la stessa Parola di Dio, a seconda delle diverse epoche in cui questo avviene. Il che vuol dire quello che anche il Concilio ha affermato in modo molto chiaro nella "Dei Verbum", e, cioè che i cristiani progrediscono nella conoscenza della verità della Parola di Dio, che c'è un cammino nella conoscenza della Parola.
Proviamo ora ad esemplificare, che cosa significa dire che si parte dal contesto socioculturale per accostare la Parola di Dio? Significa dire che si parte dal vissuto umano. E questo vissuto umano è un vissuto sociale e culturale. Dove il termine sociale indica il modo di rapportarsi degli uomini all'interno di un determinato ambiente, modo di rapportarsi, che poi, si esprime attraverso le istituzioni, la famiglia, la società... C'è un modo di pensare la famiglia, di vivere la vita familiare, che è tipico del mio tempo ed è diverso dal modo di vivere la vita familiare di cento anni fa. C'è quindi questo vissuto umano, che si esprime anche attraverso le istituzioni fondamentali, che sono la famiglia, la vita sociale, la vita politica,.. che è diverso.
Non solo, ma c'è anche un vissuto culturale diverso, dove il culturale sta ad indicare la interpretazione di questo vissuto umano, fatto alla luce di certe categorie, o sta ad indicare la legittimazione del vissuto umano, per cui c'è tutta una normativa che viene fuori dal fatto che l'esperienza del vissuto umano è di un certo tipo. Come si fa l'analisi di questo contesto socioculturale? Evidentemente usando le scienze dell'uomo. Usando le scienze dell'uomo, cioè la sociologia, la psicologia, l'antropologia, la filosofia che diventano perciò strumento indispensabile per la rilettura e la reinterpretazione della Parola di Dio. Ecco perché il corso sulla sessualità parte da un'analisi del vissuto umano. Perché non è possibile capire che cosa Dio mi dice riguardo alla sessualità, se prima non analizzo come la sessualità è vissuta in questo contesto, e non tento di utilizzare le scienze dell'uomo per interpretare questo contesto, se questo vissuto umano non lo analizzo a livello sociale e cioè non lo colgo così com'è, se non lo interpreto nei suoi significati, nelle sue dinamiche, utilizzando le diverse scienze dell'uomo, che mi aiutano a cogliere questi significati e queste dinamiche. Soltanto quando avrò fatto tutto questo lavoro potrò poi interpellare la Parola di Dio. E allora la Parola di Dio diventerà criterio di giudizio di questo vissuto umano, che, come ogni vissuto umano, è sempre ambiguo, è sempre ambivalente, contiene valori e disvalori. In ultima analisi quindi il giudizio sarà della Parola di Dio, ma la Parola di Dio riletta a partire dalla mia situazione storica. Si capisce perché allora è fondamentale nel primo momento della riflessione sulla sessualità, analizzare questa sessualità stessa sotto il profilo psicologico, antropologico, culturale, ecc. Soltanto così è possibile poi interpellare autenticamente la Parola di Dio. Si noti che questo vuol dire che il vissuto umano concreto, analizzato mediante l'utilizzazione delle scienze umane, non è qualcosa di puramente accidentale ed accessorio entro il quale poi io pongo la Parola di Dio che deduco dall'alto. ma che in questo vissuto umano è qualcosa di fondamentale per capire oggi, in questo "qui ed ora" della salvezza, quello che Dio mi chiede, quello che Dio vuole da me. La garanzia, che tutto questo avvenga nella continuità fondamentale dei valori che la Parola di Dio annuncia, di quei valori che stanno oltre, ma che sono sempre dentro a quella realtà storica, la garanzia che tutto questo avvenga in fedeltà e in continuità, pur nella discontinuità interpretativa, mi viene dallo Spirito che anima la Chiesa: devo credere allo Spirito, quando uso questa metodologia circolare. Ma certo questa metodologia è più conforme alla fede. La metodologia deduttiva passata che, in fondo, finiva per fare della Parola di Dio un'ideologia o una dottrina, era una metodologia non conforme alla fede. Questa metodologia risponde molto di più alla logica della fede, di una fede che si radica nello Spirito che guida la Chiesa, che guida l'intera comunità cristiana, nel fare questa costante rilettura e reinterpretazione della Parola di Dio.
Evidentemente da tutto questo ne deriva, e così concludo, una teologia dinamica, evolutiva, cioè una teologia che è insieme fedele a Dio e fedele all'uomo. Una teologia che cammina, che inevitabilmente si evolve, come si evolve il contesto socioculturale, cioè come si evolve l'ambiente umano entro il quale si fa questa costante rilettura e reinterpretazione della Parola.