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L'uomo della Bibbia (2)

sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio
Verbania Pallanza, 28 aprile 1972

2. L'uomo nella storia di Gesù

La storia di Israele non è una storia banale, una storia di un popolo tra i tanti, ma è una storia preziosa, unica, perché è una storia da cui emerge la parola di Dio. Quando diciamo che Dio parla, non debbiano immaginare che Dio, con un grosso megafono, faccia calare sulla terra la sua voce. La parola di Dio sta nella storia, sta negli avvenimenti, sta nella storia di Israele. Se noi vogliamo ascoltare la parola di Dio dobbiamo meditare la storia di Israele e coglierne il significato.
Ecco perché ci siamo interessati alla storia di Israele, alla storia umana come si manifesta nella storia di Israele, alla parola di Dio come risuona nella storia di Israele. Abbiamo visto che in questa storia l'uomo é compreso come la creatura nei confronti del creatore, e, nello stesso tempo, come il signore e il padrone di questo mondo e quindi chiamato a dominare le cose e non ha lasciarsi dominare da nessuno e da nessuna cosa. Abbiamo visto come l'uomo è responsabile del suo destino e del destino della storia e poi come l'uomo è famiglia, è popolo, è comunità, è umanità, è cosmo addirittura, e finalmente come l'uomo è un essere che può sperare nonostante tutto.
Ora vogliano cogliere la parola di Dio sull'uomo, come emerge, non più dalla storia di Israele, ma dalla storia di Cristo. Non è che a noi interessa tanto quel che Gesù ha detto. Non pensate che siano molto preziose le poche parole di Gesù, che ci hanno tramandato. Gesù non è un microfono di Dio: quel che è prezioso e rilevante è la storia di Gesù, è la vicenda di Gesù, è l'essere di Gesù, il fatto globale. Al limite Gesù poteva essere muto, e non avremmo perduto niente, invece avremmo perduto tutto se Gesù non ci fosse stato.
In altre parole, la parola di Dio definitiva, la parola di Dio ultima risuona nella storia di Gesù, negli avvenimenti di Gesù, nella vicenda di Gesù e noi meditando la vicenda di Gesù scopriamo la parola di Dio, la parola di Dio definitiva sulla storia, sull'uomo, su di noi.
A noi non interessa pertanto eccessivamente ( ha comunque un certo interesse) ciò che Gesù ha detto, ma ciò che Gesù è, ciò che Gesù ha fatto. Nell'essere di Gesù, nell'agire di Gesù si manifesta Dio, la parola di Dio, risuona l'ultima parola, al di là della quale non c'é più bisogno che Dio parli, perché ha detto tutto ed ha detto tutto perfettamente ed ha detto tutto su tutto ed ha detto tutto su tutti, in Cristo.

Gesù è "l'uomo"

L'affermazione da cui prendo le mosse è che Gesù è "l'uomo". Voi direte: sì, ma Gesù è figlio di Dio. Ma se voi dite che è figlio di Dio, vi metterei in gravi difficoltà se vi chiedessi cosa voglia dire.
Gesù è l'uomo e, quando dico che Gesù è l'uomo, ho detto tutto. Non è che debba aggiungere che Gesù è anche figlio di Dio.
Non ho detto Gesù è un uomo fra i tanti. Ciascuno di noi è un uomo, una singolarità, una individualità, ma Gesù non è riducibile ad essere "un" uomo. Gesù è "l'uomo". Questo lo dice Paolo per esempio in Romani 5, 12-21: "Gesù è il nuovo Adam" e Adam vuol dire uomo ; e ugualmente in 1Corinzi 15: "Gesù è l'Adam" (San Paolo non dice che Gesù è "un" Adamo, ma Gesù è l'Adam, l'Uomo); nella lettera agli Efesini Paolo dice che "Gesù è il nuovo uomo"; nella lettera ai Colossesi che "Gesù è l'uomo perfetto".
Cosa vuol dire che Gesù è "l'uomo"? Avevo terminato il primo incontro parlando dell'uomo come di colui che può realizzarsi nel domani, come di colui che non è richiudibile nel passato e nel presente, come di colui che può sperare. Con questo volevo dire che l'uomo, a differenza delle cose, non è un dato di fatto che si constata, che c'è o non c'è, ma che è una possibilità reale di essere, di verificarsi, di creare, di fare, di rinnovarsi.
Noi propriamente siamo quello che saremo, cioè il nostro vero essere non lo possediamo, ma il nostro vero essere sta davanti a noi, è nel futuro, nelle pieghe del domani e se noi camminiamo verso questo futuro abbiamo probabilità di incontrare veramente il nostro volto vero, genuino, autentico.
Hernst Block, filosofo marxista, nel suo volume "Ateismo nel cristianesimo" dice che nella tradizione cristiana e nella tradizione biblica in genere è un punto fondamentale la rivelazione del Dio nascosto (Deus absconditus), del Dio misterioso segreto che parla, che si disvela, che si tradisce, che si consegna, che si offre, che si dà, che si apre.
Pensiamo, ad esempio, al tema molto caro a Lutero del Dio nascosto, del Dio segreto che si rivela progressivamente nella storia. Si pensi al Dio che si manifesta a Mosè, al cespuglio in fiamme del Sinai: "Mosè, Mosè, io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco". Dio si manifesta, si disvela: "Io sono colui che sono, o meglio, io sarò colui che mi dimostrerò essere e quindi tu vai in Egitto e di là fai uscire il mio popolo". Ecco il Dio nascosto dei padri, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe che si disvela a Mosè.
Oppure il tema del Dio nascosto che si rivela nel Nuovo Testamento, nel capitolo terzo di Giovanni: "Dio nessuno l'ha visto mai, ma il Figlio suo ne ha parlato." Gesù ce ne ha parlato, Gesù ha tolto l'oscurità, la nube dal volto di Dio ed ha fatto scoprire agli uomini che il volto di Dio è il volto del Padre. Block dice che a questo tema del Dio nascosto, che si rivela nella storia, bisogna sostituire (Block si professa ateo) il tema dell' "homo absconditus", dell'uomo nascosto, dell'uomo nascosto nel futuro che deve rivelarsi. Notiamo che ciò che deve essere rivelato da parte dell'uomo non è qualcosa che c'è ma non si vede perché celato, ma è ciò che non c'è ancora. Il disvelamento non è un processo puramente conoscitivo, cioè una realtà che ci è nascosta, e basta aprire una porta per vederla. Quando si parla di rivelazione di Dio nella Bibbia (in genere) non è mai solo un processo conoscitivo, puramente gnoseologico, ma è un processo realizzativo.
Dio si è rivelato in Gesù Cristo, Dio si è verificato, si è creato, se così possiamo dire col nostro linguaggio imperfetto, mandando Gesù Cristo.
Block parla del disvelamento nella storia, nel tempo, del vero essere dell'uomo, del suo volto genuino.
Chi è questo "homo absconditus" che deve rivelarsi nella storia? Su questo punto per esempio la filosofia marxista, e Block è un filosofo marxista, potrebbe rispondere così: questo "homo absconditus" è una idealità. Se noi ci confrontiamo con la nostra esperienza ci accorgiamo, per esempio, di non riuscire a comunicare profondamente con gli altri. L'incomunicabilità non è solo una forma patologica, come abbiamo visto nei films di Antonioni, ma è una realtà di tutti i giorni, è una realtà che in una misura o nell'altra ci coinvolge, ci determina. Noi ci scopriamo come esseri che patiscono la difficoltà del comunicare profondamente con l'altro, e pertanto diciamo che il vero essere dell'uomo è un essere di piena comunicabilità. Ho così costruito un ideale.
L'uomo di oggi verifica una esperienza, per esempio, di sfruttamento e di oppressione nel lavoro, di ingiustizia, ed allora ritiene che l'homo absconditus che deve rivelarsi nella storia, che viene incontro a noi dal futuro, è l'uomo nella giustizia. L'uomo si costruisce un ideale attraverso le frustrazioni del presente: le frustrazioni provocate dall'ingiustizia, dalle guerre che dilaniano l'unica famiglia umana.
Che cos'è questo "homo absconditus" ideale? E' la proiezione nel futuro dei nostri desideri del presente repressi; proiezioni in avanti delle nostre esigenze che non trovano oggi risposta positiva. Allora l'uomo si costruisce un ideale, un fantasma futuro; il presente non lo soddisfa ed allora, si rifugia nel futuro, trasferisce nel futuro i sogni, i progetti, i desideri, le volontà frustrate dal presente. Si elabora così una ideologia: poiché il presente è piuttosto frustrante, tu, uomo, tendi in avanti, verso questo ideale, che diventa un'idea-forza, un'ideologia che copre tutto, che spinge in avanti e consola per la situazione presente.
A questo punto si presenta il vero problema, quello della effettiva realizzazione nel futuro dell'ideale. In altre parole, l'uomo è capace nella storia, nel tempo, di disvelare, nel senso di realizzare, quell'homo absconditus che si è costruito come ideale attraverso le frustrazioni del presente? E' una domanda a cui praticamente, io credo, il marxista non riesce a rispondere.
La risposta cristiana sull'homo absconditus non si pone sulla linea dell'ideologia o dell'ideale; è invece una risposta sulla linea della storia, dei fatti, degli avvenimenti, sia pure colti nella fede. Chi è questo homo absconditus la cui rivelazione noi tutti aspettiamo per noi, per gli altri, per il mondo, per l'umanità? Non è un ideale, non è un'idea, non è qualche cosa che proiettiamo in avanti sotto la spinta delle frustrazioni del presente; questo "homo absconditus" vero, il vero uomo è Gesù Cristo. E' una persona storica, non è un ideale, un'idea che proiettiamo nel futuro. Si chiama Gesù di Nazareth, è nato, grosso modo tra 1972 ed 1980 anni fa, in un paese della Palestina, di condizione povera, senza studi superiori, di classe sociale non elevata. Gesù è ciò che noi saremo. Il disvelamento del nostro vero essere, il cammino verso la costruzione del nostro vero volto umano è il cammino verso Gesù. Gesù rappresenta il nostro futuro e quindi il nostro vero essere. In che senso Gesù rappresenta il nostro vero essere? La risposta è sul piano della storia e non sul piano della ideologia, sul piano di una persona che ha camminato sulle nostre strade, di una persona che ha sperimentato le nostre grandi esperienze di nascita, di dolore, di gioia, di morte.
In che senso esatto è quell'homo absconditus che deve rivelarsi a noi sul piano della storia? In un duplice senso: innanzitutto Gesù è l'uomo che rappresenta ciò che noi saremo, il nostro vero essere, quello verso cui siamo chiamati innanzitutto sul piano della esemplarità, e poi sul piano della partecipazione.

1 - Gesù è l'uomo sul piano della esemplarità

Gesù Cristo è l'uomo che deve rivelarsi a noi nella storia sul piano della esemplarità.
Abbiamo un testo in Romani, 8, 29-30 "piacque a Dio nel suo amore di predestinare" (e questo predestinare non ha niente a che fare con la nostra predestinazione; ma vuol dire una volontà seria e politica di Dio, che non è la volontà dei politici, una volontà seria e politica di Dio di voler gli uomini come Cristo), "di predestinare (gli uomini) ad essere conformi all'immagine del figlio suo affinché egli fosse il primogenito di una moltitudine di fratelli". Dio vuole che tutti gli uomini abbiano a conformarsi personalmente, nella libertà, all'immagine, al prototipo del Figlio suo Gesù, affinché Gesù sia il primogenito, il fratello maggiore in mezzo a molti fratelli.
Gesù è il prototipo dell'umanità, è il tipo che noi siamo chiamati a realizzare, è l'immagine che noi siamo chiamati a ricopiare sul piano della esemplarità. (Il prototipo è una macchina modello sulla quale si costruiscono le altre). Gesù di Nazareth è l'uomo "riuscito"di Dio, e Dio nella storia agisce perché gli uomini riescano come Cristo. Abbiamo detto che gli uomini non sono, ma sono chiamati ad essere, sono delle possibilità di essere, sono in cammino ad essere, e Dio è la scaturigine di questo cammino per cui gli uomini diventano se stessi, sull'immagine, sullo schema, sul tipo di Cristo. Gesù è l'uomo riuscito di Dio nella storia e che chiama tutti gli uomini sulla strada della sua realizzazione.
Come Gesù si è realizzato come uomo vero e autentico lo sappiamo dai Vangeli, dal Nuovo Testamento. Tutte le testimonianze del Nuovo Testamento affermano che Gesù si è realizzato nella morte e nella risurrezione, il punto di arrivo di tutta una vita.
Si potrebbe dire che Gesù è nato per morire, o meglio Gesù è nato per morire e risorgere.
La morte di Gesù rappresenta una scelta, non una necessità. Cristo ha scelto di morire. La morte di Gesù non è il fatto banale, fortuito, tragico, drammatico; la morte di Gesù è la scelta lucida di una persona che ha dato un certo orientamento alla propria vita. Pensate alla bella immagine che usa Luca nel suo Vangelo, quando presenta la vicenda di Gesù come un grande cammino verso Gerusalemme, verso il monte del Golgota, monte della morte, ma anche della resurrezione.
In altre parole, per usare un'espressione di Bonhöffer, Gesù si è realizzato, si è verificato, è l'uomo riuscito nella storia in quanto "uomo per gli altri". Gesù è l'uomo per gli altri ed in questo essere per gli altri ha verificato l'autenticità vera dell'uomo, è riuscito come prototipo.
In Marco Gesù dice "il figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire", per servire e dare la sua vita in riscatto degli altri, in riscatto dell'egoismo degli altri. Ecco perché la morte di Gesù è importante, perché la morte di Gesù, ripeto, non è una fatalità, non è una tragedia, non è un dramma, non è un caso fortuito, non è un incidente, ma è una scelta lucida di esistenza di colui che è per gli altri, di colui che si pone per gli altri.
Gesù si è realizzato nella morte e nella resurrezione. Che cosa rappresenta la resurrezione per Gesù Cristo, per quest'uomo totalmente, esclusivamente per gli altri? Una esistenza umana, quella di Gesù, spesa totalmente per amore, per dedizione agli altri, come la sua, non poteva avere la parola "termine". Dio di fronte a questa vita riuscita di Gesù, a questa vicenda di realizzazione piena di Gesù, ha risposto con la resurrezione. E la resurrezione è il far continuare in modo potenziato questa vita per gli altri. E' un sigillo di approvazione di Dio su questa vita, l'unica vita che è stata spesa bene in senso pieno. Il sigillo di Dio non può essere puramente approvativo, constatativo di ció che Gesù ha realizzato. Dio, che agisce sempre nel senso della creazione, ha innalzato ad estrema perfezione, ad estrema pienezza, ad estrema maturità la vita di Gesù.
Gesù vive oggi, vive nel tempo come colui che è vissuto totalmente per gli altri. Gesù non è un'esistenza umana troncata dalla morte, ma è un'esistenza umana così piena di amore e di sacrificio per gli altri che Dio lo ha resuscitato. Dio ha resuscitato questa esistenza, l'ha fatta valere nella storia, l'ha resa viva e operante.
Gesù allora è il prototipo sul piano della esemplarità nel senso che tutti siamo chiamati ad essere i fratelli minori, secondo quel testo bellissimo di Paolo. Tutti noi siamo chiamati a rivestire (altra bellissima immagine di Paolo) l'immagine di Cristo; tutti noi siamo invitati (questo è il senso della vocazione umana, del destino umano e della storia umana) al nostro futuro che è esattamente questo cammino sulla strada di Cristo, di colui che è vissuto totalmente per gli altri e proprio perché è vissuto totalmente per gli altri Dio non ha permesso che la sua vicenda terminasse, ma ha voluto che rimanesse vivo nella storia, che la sua vita continuasse nella pienezza.

2 - Gesù Cristo è il prototipo sul piano della partecipazione

Quando ho detto che Gesù è il prototipo, che Gesù è l'homo absconditus, ciò che noi siamo chiamati ad essere, il nostro vero volto chiuso nelle pieghe del futuro e destinato a rivelarsi sul piano della esemplarità, ho detto la cosa meno importante.
Qualcuno potrebbe gradire come prototipo esemplare Gandhi o Martin Luther King o Che Guevara. Ma il Signore Gesù non è "un" prototipo come gli altri, ma è "il" prototipo.
O noi cogliamo questa esclusività, Gesù come "il" prototipo, come l'uomo od altrimenti non cogliamo quello che è veramente il mistero di Gesù Cristo. Gesù Cristo è "il" prototipo, l'homo absconditus, è il nostro vero essere non solo sul piano della esemplarità, ma soprattutto sul piano della partecipazione.
Se Gesù Cristo fosse solo il prototipo sul piano della esemplarità noi ci sentiremmo oberati dalla responsabilità di avere un modello esemplare impressionante e irraggiungibile. Potremmo addirittura essere ricacciati in una situazione di abbattimento. Come è possibile camminare sulla strada di Gesù Cristo? Sennonché Gesù Cristo non è solo l'uomo vero, l'uomo che noi siamo chiamati a realizzare, ma soprattutto Gesù è l'uomo vero in quanto è colui mediante il quale noi riusciamo a realizzare il nostro vero essere. E da questo punto di vista quello che vale è la resurrezione di Gesù.
La fede cristiana si è sempre specificata e qualificata come fede in Cristo risorto. Ora Cristo risorto vuole dire che la vita di Gesù è così singolare e unica sul piano dell'essere esclusivamente per gli altri che Dio l'ha accolta non permettendo che questa vita venisse travolta dalla fine, dalla morte. Però c'è un significato molto più importante per noi nella resurrezione in quanto Gesù Cristo risorto, l'uomo pienamente riuscito di Dio, è anche la sorgente che ci rende possibile di essere fratelli minori di questo fratello maggiore.
In altre parole, Gesù Cristo risorto è colui che è presente come energia traente della storia. Come colui non solo che io sono chiamato a verificare nella mia vita, ma come colui che costituisce per me la possibilità di essere come lui. Ossia, se Cristo è l'homo absconditus che deve rivelarsi nella storia, nel nostro cammino verso di lui, Gesù Cristo è veramente la forza, il viatico. Il viatico è il pane, il sostentamento che l'uomo si procura per un lungo viaggio. Cristo è il viatico per il nostro viaggio nella storia incontro a lui, ossia incontro al nostro vero essere, per realizzare il nostro vero volto di uomini secondo la chiamata di Dio, per essere a sua immagine.
A questo proposito nella 1 Corinzi 15, 45-46 si dice che Cristo è il nuovo uomo in quanto è lo "spirito che dà la vita". Quando noi sentiamo la parola "spirito", la intendiamo come qualcosa che non si vede e non si tocca in opposizione a qualche cosa che si vede e si tocca, per esempio la carne, le realtà sensibili. Quando invece gli Ebrei parlavano di spirito, non intendevano ciò che non si vede in opposizione a ciò che si vede, ciò che non è materiale in opposizione a ciò che è materiale, ma intendevano ciò che è forte in opposizione a ciò che è debole, ciò che è potente in opposizione a ciò che è fragile. E soprattutto intendevano la sfera di Dio in opposizione alla sfera della creatura, cioè la sfera della vita, la sfera dell'espansione dell'essere, la sfera di colui che è il principio di una pienezza di esistenza in opposizione alla sfera della mortalità, alla sfera della fragilità, alla sfera della debolezza.
Gesù Cristo nella resurrezione è diventato spirito vivificante, cioè la concentrazione della potenza creatrice sulla storia, l'energia che si irradia nella storia e che permette a noi di camminare verso gli altri, verso il nostro futuro, verso il nostro vero essere, verso il disvelamento dell'homo absconditus che noi aspettiamo. Ecco perché noi speriamo nonostante tutto, nonostante le nostre debolezze, le nostre fragilità, nonostante il nostro non essere spirito nel senso spiegato.
L'uomo totalmente per gli altri, morto per gli altri Dio lo ha resuscitato come principio traente, come forza di cammino in avanti, come il futuro che ci prende e progressivamente ci fa avvicinare verso di lui. In questo senso soprattutto Gesù è il prototipo dell'uomo, l'homo absconditus che deve rivelarsi nella storia, non solo come un modello, come un esemplare da ricopiare, da imitare, da seguire, ma come una forza traente, come uno spirito di creazione nuova, di resurrezione dal niente, dalla morte delle nostre possibilità, delle nostre energie, delle nostre risorse per camminare in avanti verso il disvelamento pieno del nostro volto genuino, del volto dell'immagine di Dio che è apparso pienamente una volta nella storia in Cristo e che la storia per disegno di Dio, per volontà politica di Dio è chiamata a verificare sul volto di ogni essere umano, sul volto dell'umanità, sul volto del mondo.
Lo spirito del risorto è la forza traente del cammino dell'uomo alla ricerca e alla creazione della sua vera identità, del suo vero volto che è apparso nella storia in unico caso esclusivo, in Gesù di Nazareth, l'uomo, non "un" uomo, l'uomo per cui ogni uomo può diventare uomo.

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