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Teologia della penitenza (2)

sintesi della relazione di Eliseo Ruffini
Verbania Pallanza, 5 febbraio 1971

Dimensione comunitaria della penitenza

Proseguendo la nostra riflessione consideriamo ora la penitenza-sacramento.
Parlare di un sacramento non significa parlare di un gesto impersonale, automatico, attraverso il quale noi attingiamo la salvezza come da un distributore. Ogni sacramento, quindi anche la penitenza, è un incontro, un incontro di persone, un incontro di persone non casuale, ma voluto, creato, dove le persone che si incontrano intendono realizzare il loro incontro in maniera personale e profonda.
Nel sacramento Dio si incontra con noi per rinnovarci, per ricrearci, per ristabilire, fin dove noi la accettiamo, la innocenza battesimale. Il gesto di Dio nella penitenza è in continuità con il gesto battesimale, è, secondo un'espressione dei Padri, una seconda tavola di salvezza, in sintonia e in continuità con la prima.
È interessante vedere le relazioni che legano il Battesimo alla Penitenza: per poter vivere autenticamente il nostro battesimo bisogna viverlo nella "fede" e nella "penitenza"; questo dice già il rapporto tra i due sacramenti.
Dobbiamo inoltre descrivere la natura della risposta dell'uomo all'azione di Dio, fare alcune riflessioni sulla penitenza-virtù, che incontrandosi con l'azione di Dio diventa un autentico sacramento, cioè un fatto di salvezza, dove Dio concede il suo perdono e la sua intimità all'uomo.

I) Natura della risposta dell'uomo a Dio: penitenza-virtù

La penitenza è virtù cristiana per diversi motivi. Non è il caso di notare qui ciò che dice la Scrittura a questo riguardo. Piuttosto interessa la riflessione della comunità cristiana sui dati biblici, riflessione che ha colto un triplice orientamento nei riguardi della penitenza-virtù

A) Il penitente riflette sul suo passato
Anzitutto il penitente è un cristiano che ha presente il suo passato, che medita e riflette sul suo passato, e riflettendo su di esso ne prova dolore e dispiacere. Tutti abbiamo imparato che per ben confessarsi è necessario il dolore dei peccati. Tutti sappiano inoltre che questo dolore non ha niente a che fare con un sentimento o una sofferenza psicologica, ma è una valutazione oggettiva di ciò che è vero è giusto e di ciò che non è vero e non è giusto in una considerazione di fede.
Il cristiano si valuta e si soppesa alla luce della fede per costatare fino a che punto si è realizzato, fino a che punto è autentico.
Quando in questa valutazione, fatta confrontandomi col Cristo, che è il metro col quale dobbiamo misurarci, scopro qualcosa che nella mia vita non coincide col giudizio di Cristo, allora detesto e rifiuto le mie infedeltà. Se ritengo valido solo ciò che è conforme alla misurazione del Cristo devo rifiutare tutto ciò che non si adegua ad essa.
E lo devo rifiutare anche per un'altra ragione: il peccato nostro diventa un fatto comunitario e ciò si verifica non solo perché impedisce di fare il bene nostro e degli altri, ma anche perché impedisce di valutare ciò che è bene e ciò che è male, perché distorce la prospettiva e falsa tutti i rapporti con gli altri e con le cose.
Anche il dolore dei peccati non è mai autentico in una considerazione puramente soggettiva e autocentrata; pensare al proprio passato come non vero e non giusto per sé è troppo parziale; si deve vedere ciò che ha nociuto alla realizzazione autentica di tutti gli altri e di tutta la realtà.
Nella Sacra Scrittura è posta questa frase in bocca all'empio "Ho fatto il peccato e cosa mi è capitato di male?". Capita anche per noi che in una valutazione soggettiva della nostra esistenza passata non possa essere colta come vuota, incompleta; vi sono tante persone che, a torto, personalmente credono di essere a posto, di non aver nulla di cui rimproverarsi. Vedono il male come un qualcosa di cui è difficile pentirsi, ed al cui ricordo è spesso unito un sentimento di piacere, di soddisfazione.
E questo avviene perché la valutazione è fatta in termini egoistici, dove non si vede cosa c'è di veramente falso e inautentico in un fatto, non prendendo in considerazione le ripercussioni che quel tipo di vita può aver avuto sugli altri.
Quindi anche il dolore è un fatto comunitario, perché quella visione di fede per cui io giudico come peccato, come male il mio passato, è la visione della comunità cristiana; è impossibile che lo stile di vita di un solo cristiano possa essere così autentico da poter ammettere un giudizio esattissimo della non validità di una certa condotta; solo guardando lo stile di vita di tutta una comunità posso avere i termini di confronto e di giudizio autentici.
Diventiamo veramente consapevoli del male, e quindi veramente giusti nella valutazione di quel nostro pensiero e di quel nostro atteggiamento là dove noi lo cogliamo nella sue ripercussioni, nel suo contesto, là dove noi caliamo la nostra realtà personale in un ambiente e vediamo questo ambiente come frutto anche del nostro atteggiamento.

B) Il penitente è aperto al presente
La penitenza del cristiano non è di colui che solo riflette con pentimento sul passato e vorrebbe che non ci fosse mai stato; ma è di colui che è aperto sul presente più che sul passato.
La penitenza-virtù spinge anche all'accusa dei peccati, un bisogno di accusare se stessi, mettendosi a confronto non solo con il giudizio di Dio, ma col giudizio della comunità alla quale si appartiene, e alla quale non ho permesso di essere quello che sarebbe potuta essere.
L'accusa quindi non è un gesto masochistico di autolesionismo, ma un atto di lealtà, col quale riconosciamo davanti alla comunità, da noi danneggiata almeno nel senso che non si è potuta manifestare santa come Dio la vuole, di averle impedito di essere quella che sarebbe dovuta essere, e ci impegniamo a riparare.
Il giudizio che Dio formula sul penitente è connesso con questo confronto. Là dove uno non si confronta con la comunità e crede di potersi regolare da solo con Dio, è un isolato che non ha capito che il Signore arriva a lui per mezzo della comunità, e Dio non può arrivare se la comunità nei suoi membri lo impedisce col peccato.
Quindi la penitenza è apertura sul presente come confronto nei riguardi della comunità alla quale si appartiene.
Allora accusandoci davanti ad un uomo: non lo facciano perché lui personalmente ci giudichi; egli deve solo garantire lo stile della comunità presentandolo al penitente, perché il penitente confrontandosi con quello stile possa lui stesso giudicarsi e accusarsi.

C) Il penitente è teso verso il futuro
La penitenza-virtù ha anche un'apertura verso il futuro.
Il cristiano e la comunità sono in cammino; sono un popolo in tensione, non solo come superamento del male ma anche come tensione verso una perfezione, che non potrà mai essere raggiunta su questa terra, ma che deve ora essere preparata.
Il cristiano è penitente anche con la volontà di ricostruzione, cioè con la soddisfazione. Spesso la soddisfazione è stata intesa come espiazione delle pene meritate per i peccati. Poiché col peccato rompiamo l'amicizia con Dio, e questa è una colpa che merita una pena, Dio perdona la colpa ma vuole che noi paghiamo le pene con la soddisfazione. Questa idea deve assolutamente essere abbandonata per due motivi:
1) - perché crea un'immagine di Dio non biblica, in quanto Dio sarebbe giusto di una giustizia solo umana, in quanto esige che il debito verso di lui sia pagato fino all'ultimo centesimo; sarebbe una giustizia che vuole far soffrire colui che chiede il perdono;
2) - la nostra soddisfazione in questo contesto diventa un fatto puramente personale e non comunitario.
Allora qual è il vero concetto di soddisfazione?
Noi offendiamo Dio perché rifiutiamo la sua amicizia e la sua alleanza nelle creature, cioè impediamo a Dio di manifestarsi per quello che è nel mondo: buono, misericordioso, provvidente.
Allora la soddisfazione è un impegno con Dio per realizzare un mondo dove Dio possa manifestarsi per quello che è. Col peccato si impedisce che il mondo diventi capolavoro di Dio; con la soddisfazione si deve far sì che il mondo torni ad essere gloria di Dio. La soddisfazione non è una pena che si deve espiare perché altrimenti Dio non resta soddisfatto, ma è qualcosa che noi dobbiamo fare perché il mondo possa essere quel dono prezioso attraverso cui Dio manifesta il suo amore. Ecco perché quella soddisfazione che noi abbiano ridotto ad un fatto simbolico e quasi ridicolo deve diventare molto più concreta, e deve essere esattamente l'opposto di ciò che è stato il peccato; allora la soddisfazione diventerà ciò che deve essere: un fatto molto educativo per l'uomo, che viene riportato alla situazione da cui è caduto, e costruttivo per tutto il mondo e per tutta la realtà.
Un cristiano quindi è veramente penitente quando nel suo essere e nel suo operare è rivolto sul passato, è radicato nel presente ed è proiettato nel futuro.

II) Azione di Dio nei confronti dell'uomo : la penitenza-sacramento
La penitenza-virtù non è ancora sacramento; con essa l'uomo si appresta a rispondere a Dio, che in quel gesto promette a lui il pieno perdono. La penitenza è un mezzo col quale l'uomo nella comunità ha la possibilità di incontrare Dio attraverso la persona dei suoi fratelli. Qui cogliamo la dimensione comunitaria del sacramento della penitenza.
Purtroppo l'abbiamo ridotto ad un fatto personale, non solo perché abbiamo concepito il peccato come un fatto personale, ma perché la stessa celebrazione del sacramento è diventata un fatto personale, anche nella sua realtà esterna: isolamento, silenzio, chiusura.
La penitenza è invece un fatto comunitario: la comunità cristiana l'ha sempre ritenuta tale. La storia della penitenza verrà trattata in seguito; qui basta notare che l'atteggiamento penitenziale non era mai lasciato al singolo: la comunità si sentiva solidale, e la stessa scomunica era una medicina, perché con l'esclusione il peccatore si potesse confrontare dal di fuori con gli altri di, cui non faceva più parte, come escluso poteva vedere meglio ciò che aveva perso e desiderare ciò che non era più.
È necessario che anche nel rito la penitenza diventi veramente comunitaria: qualcosa c'è già, come per esempio l'atto penitenziale comunitario che precede là celebrazione eucaristica.
La grande difficoltà all'introduzione della celebrazione comunitaria della penitenza è la necessità di accusare le nostre colpe davanti ad un ministro. Questa difficoltà è facilmente superabile se non riduciamo la penitenza al gesto troppe volte meccanico dello snocciolamento dei peccati davanti al confessore; proprio questo ha dato un sapore magico e quindi diseducativo al gesto penitenziale.

Troppi cristiani ritengono che per avere il perdono dei peccati basti dirli al confessore; non è così che avviene l'incontro penitenziale tra Dio e l'uomo; esso si verifica là dove c'è la vera penitenza, che comporta sì un'accusa, che però è un giudizio, un confronto, e non solo un elenco di colpe.
Certo per chi ha fede e consapevolezza cristiana la celebrazione comunitaria sarà più impegnativa della cosiddetta confessione privata, perché in quel contesto potrà veramente valutare la gravità del suo peccato e l'impegno della soddisfazione, che dovrà assumersi, anche se avrà attorno delle persone che con lui si pentono e con lui collaborano alla ricostruzione.
Potrà rimanere anche l'accusa, come necessità personale di confronto, ad una persona che deve dare un indirizzo preciso a scopo educativo, ma la Chiesa ha dato a questa attività un nome preciso: è la direzione spirituale; allora l'accusa sarà utile come metodo educativo, per ottenere soluzioni precise, ma la penitenza-sacramento non consisterà più nell'accusa; il sacramento dovrà consistere nell'incontro con Dio che vuole ricreare il cristiano pentito nella sua valutazione della vita passata, della situazione presente e del futuro.

Conclusione
Il discorso si è aperto parlando della crisi, e si è detto che una delle ragioni più profonde è la perdita della dimensione comunitaria del peccato. Ora possiamo aggiungere come ragione altrettanto profonda la perdita della dimensione comunitaria della penitenza.
Finché noi vivremo individualmente l'incontro penitenziale con Dio difficilmente ci convertiremo.
Forse qualcuno riflettendo su quanto si è detto scoprirà di non aver mai fatto penitenza, o di averla fatta solo superficialmente; spesso in alcuni penitenti la preoccupazione più grande è il cambiare l'ordine di elencazione dei peccati da accusarsi; è chiaro che in essi non vi è mai stata penitenza, anche se hanno creduto di aver ricevuto il sacramento.
Prendendo coscienza di questo fatto forse ci accorgeremo che non sarà necessario accostarsi spesso al sacramento ma sarà necessario convincerci che accostarci al sacramento non vuol dire fare un qualcosa di automatico, ma qualcosa con cui ci si deve trasformare, e la penitenza deve già essere in maturazione in noi, altrimenti il sacramento diventa un rito esterno che non tocca l'uomo nella sua vita.

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