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La penitenza nella parola di Dio (1)

sintesi della relazione di Carlo Ghidelli
Verbania Pallanza, 13 gennaio 1971

Peccato, conversione e misericordia di Dio nella bibbia

Non potendo citare e commentare tutti i testi che direttamente o indirettamente si riferiscono al nostro tema, per il tempo che abbiamo a disposizione, scegliamo alcuni termini-chiave attorno al concetto di penitenza e ne vediamo l'uso e il senso nei vari libri della Sacra Scrittura.
Per cominciare si può notare come si parli oggi molto spesso di una crisi della confessione. Il fatto che si facciano poche confessioni e invece molte più comunioni è indice di un livello morale più basso? Si può dire che diminuendo le confessioni sia anche diminuito l'atteggiamento penitenziale nei cristiani?
È indubbio che una delle ragioni di questa crisi è una falsa concezione della penitenza; dobbiamo allora recuperare il senso della penitenza per ridare un senso alla stessa confessione, che non può trovare la sua ragione che nella penitenza, che costituisce l'anima, il centro, la sostanza di ciò che è confessione.
Concentrando la nostra attenzione sui termini biblici che si riferiscono all'atteggiamento di penitenza ne troviamo tre particolarmente significativi: peccato, conversione e misericordia di Dio. L'esame di questi termini ci fa cogliere e comprendere le componenti essenziali della dottrina biblica e ci rivela l'atteggiamento di fondo che coinvolge Dio e l'uomo nella penitenza, perché la penitenza non è un atto che vede in gioco solo l'uomo, ma l'uomo nel suo rapporto con Dio; e se non capisco che parte svolge Dio in questo atto, non potrò vedere tutto il significato della penitenza per l'uomo peccatore. Per questo è indispensabile parlare anche della misericordia di Dio.

Peccato

Antico Testamento

Per quanto riguarda l'Antico Testamento ci soffermeremo soprattutto su di un salmo molto noto, il Salmo 51: "Pietà di me o Dio per la tua misericordia e per la tua grande clemenza cancella la mia iniquità, lavami dalla mia colpa e purificami dal mio peccato, poiché riconosco le mie iniquità e il mio peccato mi è sempre dinnanzi".
Ci sono tre termini nella lingua ebraica per descrivere il peccato, ed ognuno ha la sua caratteristica:
pésha = ribellione, atto di infedeltà, di rottura, di trasgressione;
hawon = colpa, e non solo come atto di peccato, ma soprattutto come situazione del peccatore, ed è questa situazione che rende l'uomo ostile a Dio, è una situazione esistenziale in cui si trova;
hattà = azione mancata, sbagliare il bersaglio per un errore di mira, venir meno, sbagliare direzione. Il peccato si manifesta come una delusione, sia per l'uomo che sperava di raggiungere chissà che cosa peccando e invece rimane deluso, sia per Dio che pensava di realizzare qualcosa attraverso l'uomo e rimane deluso: basta qui ricordare il lamento sulla "vigna di Dio" in Isaia 5,1-7.
Davide, come si racconta in 2Sam 11-12, parla subito dopo il grande peccato, e confessa la propria colpa. Descrivendo in modo vario il suo peccato si riferisce a Dio e non a sé, e si augura che l'intervento di Dio operi qualcosa di stupendo, di miracoloso: il perdono del peccato. Egli si augura che Dio intervenga a
cancellare (mahàq) = cancellare da un foglio: è presente l'idea del libro, su cui tutto è scritto e da cui bisogna cancellare ciò che è male;
lavare (qabash)= usato in forma forte. Indica il togliere le macchie da un vestito. Si ritiene che solo Dio possa cancellare certe macchie;
purificare (ét hahar) = purificazione dalla lebbra, quindi anche il peccato è una lebbra che insozza e imputridisce.
Nel racconto di 2 Samuele vi sono due espressioni forti da notare. Innanzitutto Nathan che dice a Davide: "Tu hai disprezzato la parola del Signore, per questo sei caduto nel peccato".
E poi Davide che dice: "Ho peccato contro il Signore". Ecco la dimensione teologica del peccato, che non è un atto destinato a nascere e morire in me, ma che minaccia Dio e la comunità.

Nuovo Testamento

1) I Sinottici

Nei Sinottici e negli Atti il peccato sta a designare un atto peccaminoso in generale. Formule ricorrenti sono: rimettere i peccati, confessare i peccati. Basta citare le parole di Gesù alla peccatrice: "Le sono rimessi i peccati perché molto ha amato".
I termini per designare il peccato sono
- amartia = atto peccaminoso in generale
- oféilema = debito: usato nella versione di Matteo del Pater: "rimetti a noi i nostri debiti". Luca 11,4 usa invece il termine amartia: "rimetti a noi i nostri peccati".
- anomia = illegalità, iniquità: designa uno stato generale di ostilità a Dio, una situazione di vita; non è solo un qualcosa di esterno. Citiamo Mt. 7,23 (dove cita il salmo 6): "Allontanatevi da me voi che avete operato l'iniquità". Questa iniquità qualifica quelli che l'hanno commessa. Mt.13,41 e poi 24,12.
Nel Nuovo Testamento si dice che il peccato è "nel cuore dell'uomo", cioè nel suo profondo, nell'uomo come essere libero, dialogante con Dio. Non è mai dall'esterno che viene il male ma dal cuore dell'uomo. Quindi un perdono dei peccati che non comporti un cambiamento, una conversione, è illusorio, perché il peccato rimarrebbe nel cuore dell'uomo. Non basta per essere perdonati una confessione dei peccati, ma occorre convertirsi. "Convertitevi e credete al Vangelo", altrimenti invano si avvicinerebbe a voi il Regno di Dio.
- Schiavitù a satana: nei vangeli il peccato non è ancora personificato, ma si ha qualcosa di quasi equivalente. Quando si dice che Cristo è venuto a liberarci dai peccati lo si fa vedere in lotta con satana, per es. in molti miracoli Mc.1,23-27; 5,1-17; 7,25-30; 9,17-23 (e passi paralleli) l'attività di Gesù è presentata come una lotta per strappare al demonio il suo predominio. Così quando guarisce vince satana e guarendo anticipa l'efficacia della resurrezione. Luca quando ci presenta Gesù tentato dal diavolo dice che il demonio si è allontanato per un certo tempo (Lc.4,13 e Lc 22,53) e ritornerà:"Io ero con voi tutti i giorni e non mi avete mai preso: ma ora è il vostro momento e il momento della potenza delle tenebre (= demonio)".

2) Giovanni e Paolo
In Giovanni e Paolo il peccato viene personificato. Così dice Paolo:" Abita in me una forza troppo più potente di me, per cui faccio ciò che non vorrei e non faccio ciò che vorrei". Paolo ha fatto personalmente questa esperienza e noi tutti come lui. Il peccato è qualcosa di drammatico, di contraddittorio, di misterioso. Il peccato fa il suo ingresso nel mondo col primo peccato e poi domina. Per questi teologi peccato è quasi sinonimo di Satana. Ma allora non vi è più speranza? Basta citare il racconto del cieco nato (Gv.9,1-41): i Farisei chiedono chi ha peccato, lui o i suoi genitori. Gesù risponde: "nessuno, ma tutto ciò è avvenuto perché si manifestasse la potenza di Dio" (Gv.9,4); poteva rispondere: ambedue; ma ciò non gli interessava. Allora è vera anche l'altra affermazione paolina: "Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la Grazia".

3) Altri termini nel Nuovo Testamento
Nel N.T. ci sono ancora altri termini che si possono brevemente riassumere, tutti con l'alfa privativa:
amartìa = peccato come mancanza, venir meno al fine per cui Dio ci ha creati;
adichìa = ingiustizia: comportarsi in modo ingiusto con Dio;
anomia = illegalità: contro la legge nuova, legge intesa come Vangelo, Parola di Dio;
apistìa = infedeltà: contrario alla fede, fiducia verso Dio;
àgnoia = ignoranza, insipienza: contro la sapienza cristiana;
apòleia = perdizione: (contrario di soteria=salvezza).
Tutto ciò deve creare in noi un "senso del peccato", un'idea di peccato quale Dio ci illustra nella bibbia, in tutta. la sua drammaticità.
Dobbiamo porci nella nostra situazione di peccatori consapevoli ed essere sempre in ascolto della Parola di Dio che ci purifica e ci salva.

Conversione
I profeti hanno predicato la conversione, l'ha predicata Gesù, e la predica tuttora la Chiesa, ognuno con sfumature diverse a seconda dei termini usati in ebraico, in greco e in latino. Questi termini indicano tre atteggiamenti che devono sempre esserci per potersi convertire:
shub (in ebraico): i profeti dicono sempre "tornate indietro; cambiate rotta, ritornate a Jahwéh";
metanoia (greco): Gesù riprende lo stesso messaggio: "Il tempo è compiuto, convertitevi e credete al Vangelo". Vuol dire cambiare mentalità, aprirsi al Vangelo che ci dà un nuovo modo di vedere e di sentire, ci spinge ad una radicale revisione che deve darci una panoramica nuova delle nostre relazioni con Dio. Paolo quando usa questo termine mette insieme i due poli: convertitevi "da"... "per" (in greco "apò" designa il distacco, ed "eis" designa l'orientamento, la meta), convertitevi dagli idoli per, verso Dio. Padre Dupont fa notare che "convertitevi" significa aderire ad una norma comunitaria di vita, non significa solo lasciare qualcosa e proiettarsi verso Dio, ma proiettarsi verso un Dio incarnato; non posso aderire a Dio senza aderire ai fratelli. La Parola di Dio che mi raggiunge nella comunità esige una risposa corale
poenitemini (latino): al "fate penitenza e convertitevi" questo termine aggiunge l'idea del"rincrescimento" che già nel Vangelo è presente, per esempio: quando Luca presenta la peccatrice mentre piange addolorata i suoi peccati, o quando descrive l'angoscia del figliol prodigo. Padre Dupont osserva ancora come nel Nuovo Testamento la conversione si realizzi in tre gradi:
l) prendere coscienza del peccato e quindi distaccarsi; entrare dentro di sé, operare un esame di coscienza e vedere fino a che punto si è minacciata la comunità e Dio;
2) aderire a Cristo nel suo mistero pasquale; convertirsi vuol dire riaccettare l'essenza della predicazione apostolica, cioè che Cristo è morto e risorto;
3) camminare col Cristo: chi non cammina con Lui e con i suoi fratelli di oggi non può dire di convertirsi.
Quindi convertirsi non vuol dire solo cambiare una certa idea, non vuol dire solo fare un atto contrario al peccato, ma vuol dire cambiare testa, accettare una logica nuova, accettare che la forza di Dio si manifesti nella debolezza (primi capitoli della 1Cor), avere il coraggio di guardare in faccia il Signore e riprendere le nostre responsabilità.

Misericordia
Nel salmo 51 da cui Siamo partiti vi sono tre termini per designare la misericordia di Dio:
hanàn = misericordia. Indica il gesto di chi abbassa lo sguardo verso un suddito, gesto gratuito, fatto per benignità; Dio gratuitamente mi guarda con occhio di benevolenza;
rahàn = clemenza. Evoca il senso materno. Il plurale di questo termine esprime la tenerezza dell'amore materno;
hesed = fedeltà misericordiosa, condotta caratteristica di persone strette da un legame. Misericordia non per compassione, ma per fedeltà alle promesse, all'alleanza incondizionata che Dio ha stretto con gli uomini.
Nella misericordia di Dio entrano quindi fedeltà e onnipotenza: per la sua onnipotenza può rimetterci i peccati e per la sua fedeltà non potrà mai esaurire la sua capacità di perdono.

sintesi
In definitiva possiamo definire la penitenza come contrapposizione al peccato, che abbiano già descritto:

Il peccato secondo la Bibbia è:

  • - disattenzione a Dio, voltare la faccia nei suoi confronti;
  • - disaffezione;
  • - disorientamento, sbagliare la mira;
  • - il peccato ha una dimensione verticale ed una orizzontale, teologica (rottura con l'alleanza con Dio) e cristologica, perché rifiuto di Cristo e della sua Parola
  • - il peccato è opera dell'uomo che si rifiuta al dialogo con Dio, che è infedele a Dio; opera di Satana contro l'uomo.

La penitenza allora è:

  • - rinnovata attenzione a Dio, attenzione in senso forte, cioè tendere verso, nel senso etimologico;
  • - una nuova affezione a Dio;
  • - nuovo orientamento verso Dio;
  • -lo stesso vale per la penitenza che ha una dimensione verticale dagli idoli a Dio, e una orizzontale per i fratelli (carità) e nella Chiesa, per ricuperare nella Chiesa il proprio posto e la propria missione;
  • - opera di Dio, grazia e dono nei confronti dell'uomo; opera di Dio contro Satana.

Paolo distingue quello che è lo stato di peccato, il peccato di fondo (amartìa), dalle cadute (pareptomata) e dal singolo atto di trasgressione (parabasis). Giovanni distingue amartìa da anomìa, nel senso appunto di peccato basilare e di cadute derivanti da esso.

Il peccato di fondo è:

  • - sconfessare il Dio dell'Alleanza;
  • - tentativo di separazione, di divorzio;
  • - idolatria, anzi un'autoidolatria un voler essere al centro di tutto;
  • - allontanarsi dalla casa paterna per sfiducia verso Dio e i fratelli;
  • - mettersi contro e al posto di Dio e di Cristo;
  • - autolesionisno nell'illusione di potersi salvare da soli;
  • - tentativo dell'uomo di creare qualcosa di nuovo da contrapporre a Dio;

la penitenza è:

  • - accettare di riprendere il dialogo;
  • - volontà di ricongiungersi;
  • - ritorno all'adorazione;
  • - ritorno alla casa paterna e agli affetti familiari;
  • - ristabilire il giusto rapporto;
  • - riconoscimento che la salvezza viene da Dio;
  • - riconoscere che solo Dio può ricreare in noi il bene; Sal mo 51 :"Ricrea in me un cuore puro". Il verbo "bara'" (creare) è lo stesso usato in Gen.1,1 per indicare la creazione di tutte le cose; in Is.43,1-15 per designare la creazione di un nuovo popolo all'uscita dall'Egitto; in Ger 31,22 per la creazione dei cieli nuovi e della terra nuova,

Quindi Dio deve intervenire con la sua onnipotenza creatrice per rinnovare il cuore dell'uomo.

Conclusione
Abbiano visto i due protagonisti dell'atto penitenziale, Dio e l'uomo, visti uno di fronte all'altro. Quando cerco di capire che cos'è il peccato per Dio riesco a comprendere cosa deve essere la mia penitenza. Il peccato è il tentativo di rompere i ponti con Dio, di rifiutare il dialogo. Quindi con la penitenza devo riprendere i contatti con Dio ed intavolare di nuovo un dialogo con lui. Devo passare dalla delusione alla speranza. La vita cristiana è continua tensione tra peccato e penitenza, che è il dono che Dio ci offre di poter innestarci di nuovo nel primitivo stato di unione con Dio e che noi dobbiamo accettare.

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