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Centralità della carità nella vita di coppia e nella relazione coniugale

sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 13 gennaio 2007

Dopo l'intervento di carattere sociologico, che ha messo in luce i mutamenti intervenuti nell'ambito della coppia e della famiglia, dovuti alle profonde trasformazioni sociali e culturali di questi anni, a loro volta segnate dai nuovi modi di vivere i rapporti di coppia e di famiglia, si tratta ora di affrontare il tema dal punto di vista etico.
Non affronterò problemi concreti, ma svolgerò una riflessione sul tema della carità, applicato alla vita di coppia e di famiglia, con un taglio di ordine etico, esponendo criteri e orientamenti di fondo.
In un primo momento l'accento sarà posto su alcune linee fondamentali di un'etica della carità, perché solo cogliendo la centralità che la carità occupa nell'esperienza cristiana in generale si può parlare di etica della famiglia e della coppia, nell'ottica dell'esperienza dell'amore su cui questo tipo di rapporto si regge.
In un secondo momento, si applicherà la riflessione di fondo alla situazione odierna di coppia e di famiglia, offrendo orientamenti etici, valoriali, sul vivere la carità in questo ambito (problemi concreti saranno invece affrontati negli ultimi incontri di questo corso, tenendo presenti anche le nuove e sempre più diffuse situazioni, come quelle delle famiglie non istituzionalmente riconosciute).

1. Centralità della carità nell'esperienza cristiana: alcuni orientamenti di fondo

Il primato della carità, nell'ambito dell'etica, è emerso con insistenza nella riflessione sulla morale elaborata durante e dopo il concilio. Ma già prima, per superare la situazione di frammentarietà dovuta ad una casistica sempre più impersonale, una esasperata attenzione ai casi, alcuni autori, pionieri della riforma conciliare, avevano tentato di individuare un principio orientativo, come la categoria di alleanza, di conversione, di Regno di Dio. La morale presentataci dal Nuovo Testamento è proprio centrata sulla conversione, strettamente connessa al tema del Regno: "Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo". Tra i vari autori, Gérard Gilleman (Il primato della carità in teologia morale, 1952) e Fritz Tillmann, affermano che il principio unificatore di tutta la vita morale non può che essere la carità.
Questa riflessione, ripresa e approfondita, ha trovato un'espressione compiuta nel Vaticano II, in particolare nel decreto Optatam totius, dove si afferma che tutta la vita morale fa perno attorno al grande comandamento dell'amore.

Il comandamento dell'amore nella rivelazione del Nuovo Testamento

in continuità con l'Antico Testamento

Il tema della carità non appartiene solo al Nuovo Testamento, ma ricorre già nella tradizione ebraica.

amore di Dio

In Deuteronomio 6,5, nel contesto dell'alleanza sinaitica, troviamo la formula ripresa da Gesù per rispondere ai farisei che lo interpellavano circa il comandamento centrale: "Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente". Già nell'Antico Testamento questa formula aveva una rilevanza talmente grande da costituire il cuore dello Shema, il credo ebraico, la professione di fede che il buon israelita recitava al mattino e alla sera.

amore del prossimo

In Levitico 19,18 troviamo la formula: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". E' la seconda parte dell'unico grande comandamento così come ce lo ripropone direttamente Gesù nell'incontro/confronto con i farisei.

centralità del comandamento dell'amore

Nel periodo successivo all'esilio, la legge occupa nella coscienza di Israele un ruolo centrale. Ne nasce tutta una letteratura, una spiritualità della legge, che trova una significativa espressione nel salmo 119, ma che degenera poi nel fariseismo: la vita morale è frantumata in una serie infinita di norme e disposizioni, che fanno nascere nella coscienza di Israele, pochi decenni prima della venuta di Gesù Cristo, l'esigenza di ritrovare un principio unitario.
Il rabbi Hillel, uno dei rabbini più sapienti di Israele, quarant'anni prima della nascita di Gesù, dice che probabilmente il centro attorno a cui far ruotare tutta la legge è il comandamento dell'amore, nelle sue due facce: ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua anima e ama il prossimo tuo come te stesso.

la novità di Gesù

Il comandamento dell'amore a Dio e al prossimo è quindi già presente nell'Antico Testamento con una sua centralità. La novità di Gesù può essere rilevata in tre elementi costitutivi.

1. unione indissolubile di amore di Dio e del prossimo

Il primo aspetto di novità è l'unione indissolubile dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo: proprio perché indissolubilmente uniti i due comandamenti diventano un comandamento solo.
E' vero che in Matteo 22,34-40 la risposta di Gesù è formulata riproponendo il primo e il secondo comandamento, ma in realtà, in tutta l'opera e la predicazione di Gesù, è chiara l'unione indissolubile delle due facce dell'unico comandamento: "come fai ad amare il Dio che non vedi se non ami tuo fratello che vedi?" (1 Gv 4, 17). Inoltre Giovanni, sempre nella prima lettera, dice che possiamo amare i fratelli perché ci riconosciamo amati da Dio e ci amiamo. L'esperienza cristiana è anzitutto l'esperienza dell'essere amati da Dio per amarsi, accettarsi, prendere consapevolezza della propria dignità, e, a partire da questa consapevolezza, amare il prossimo. La dinamica è: essere amati per amarsi per amare.
L'unione dei due comandamenti mette a fuoco il rapporto stretto tra religione (amore verso Dio) ed etica (amore verso il fratello). L'essere amati da Dio ci costituisce debitori di amore: è perché sei in Dio nuova creatura che devi camminare in novità di vita. Questi due aspetti sono l'uno imprescindibile dall'altro: l'amore del fratello non può stare senza il riconoscimento dell'essere amati da Dio e questo riconoscimento si deve poi tradurre in un'apertura verso il fratello.

2. tutta la legge è ricondotta all'unico comandamento

Un secondo dato importante dell'interpretazione nuova del comandamento è la riconduzione di tutta la legge e i profeti a questo unico comandamento (Matteo 22, 34-40). L'opera di Gesù è un'opera unitaria, che si sforza di agire contro la dispersione avvenuta in Israele grazie alla enorme diffusione della casistica (la sola legge del Sabato conteneva settantasette prescrizioni...) e riconducendo la legge all'essenza, a ciò che è davvero importante, al comandamento nuovo, chiave di lettura di tutta la legge e i profeti. Se il centro è il precetto della carità, tutto il resto diventa secondario: i vari precetti della legge antica non vengono aboliti, ma vanno riletti nell'ottica del comandamento nuovo.

3. estensione universalistica: amare tutti, anche i nemici

Nell'ultima delle antitesi del discorso della montagna si afferma: "E' stato detto dagli antichi: amate i vostri amici e odiate i vostri nemici. Ma io vi dico..." (Mt 5, 43). Il popolo ebraico aveva vissuto vicissitudini molto difficili di rapporto con i popoli vicini, a motivo soprattutto della volontà di conservare la propria identità nazionale e religiosa. L'ebreo così aveva un rapporto privilegiato con i correligionari e connazionali e stentava ad avere rapporti positivi con l'esterno. Nonostante una maggiore apertura universalistica dell'ultima fase, dovuta alla diaspora e alla diffusione della civiltà ellenistica, lo spirito originario resta quello di considerare il nemico estraneo al precetto dell'amore.
Gesù rompe con la distinzione tra prossimo e nemico: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del vostro Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti" (Mt 5, 44-45).
Non si può più stabilire la distinzione tra prossimi e nemici, perché ogni uomo è prossimo: il comandamento dell'amore, nella prospettiva evangelica, ha una dimensione universalistica. E' la caduta della linea di demarcazione che ha segnato e segna tuttora per molti aspetti la nostra tradizione occidentale (si pensi alla ripresa del tema del rapporto amico-nemico nella riflessione politica, o nel modo di intendere i rapporti con altre tradizioni culturali). L'ottica evangelica si oppone a questa tradizione, con una motivazione profondamente religiosa: che Dio è padre di tutti. Quindi ogni uomo è prossimo: questa è la sostanza del comandamento nuovo, che ha dunque una valenza etica, quella di instaurare rapporti positivi e costruttivi con tutti, a prescindere dalla appartenenza ad una specifica cultura o nazione.

la natura dell'amore nella prospettiva cristiana

Alla luce di questi aspetti di novità introdotti da Gesù nella presentazione del comandamento nuovo dell'amore, in che cosa consiste amare nella prospettiva della rivelazione ebraico cristiana?

Dio è carità

La definizione presente in Giovanni: "Dio è carità", cioè Dio è amore, è l'ultima delle definizioni date nella rivelazione ebraico cristiana. La prima definizione si trova nel libro dell'Esodo, nell'episodio del roveto ardente, in cui Dio rivela a Mosé il proprio nome: "io sono colui che sarà" (Esodo 3, 14). Non si tratta di una definizione metafisica ("io sono colui che sono"), Dio non dice: io sono l'ente, l'essente. Probabilmente la traduzione più giusta è: "io sono colui che sta davanti, che ti guida, che ti libera, che orienta il tuo cammino".
Alla chiusura della rivelazione, nel Nuovo Testamento, Giovanni afferma che Dio è agape, amore, carità (1 Gv 4,8). Questa formula riassuntiva è resa possibile solo dal fatto che nel Nuovo Testamento Dio non si rivela nel segno della solitudine, ma nel segno della comunicazione.

alla luce del mistero trinitario

L'amore esiste solo dove c'è dialogo, comunione, comunicazione tra persone. Si può dire che Dio è amore solo perché lo si percepisce come un Dio che vive nella comunione delle persone, Padre Figlio e Spirito, in una comunione che è il frutto del reciproco donarsi. Il Padre, il Figlio e lo Spirito si costituiscono nel momento stesso in cui si danno reciprocamente. Non ci sono prima per poi donarsi, ma sono nell'atto stesso in cui si danno. Dio è fondamentalmente e costitutivamente relazione e dono. La carità allora, se vista nella luce del mistero trinitario, è relazione che si sviluppa nella logica del dono.

e alla luce della storia della salvezza

Questa definizione di Dio come carità nella luce del mistero trinitario può sembrare per molti aspetti astratta, ma trova molti aspetti significativi nella storia della salvezza, nella storia dei rapporti di Dio con l'umanità, in cui Dio si rivela come amore con alcuni tratti caratteristici.
Non possiamo comprendere cosa è la carità se non riferendoci alla fonte della carità stessa, che è Dio, al cui modo di amare dobbiamo ispirarci, dato che siamo chiamati ad amare come Dio ama, sia all'interno di se stesso nel rapporto Padre Figlio e Spirito, sia nella storia della salvezza, cioè manifestando nel corso della storia il suo amore per l'umanità.

gratuità

Una delle caratteristiche dell'amore di Dio è quella della gratuità assoluta. Dio non ama l'uomo perché è buono, semmai vuole che sia buono perché lo ama. Tanto è vero che ci ha amato quando eravamo ancora peccatori, come dice Paolo nella lettera ai Romani e come ribadisce l'ultima antitesi del discorso della montagna: "Se amate coloro che vi riamano quale ricompensa ne avrete? Fanno così anche i pagani". La gratuità è la caratteristica di un amore che provoca la risposta (l'essere amati ci costituisce in qualche modo debitori) ma che non è dato in vista della risposta. Dio infatti ci ha amato anche quando eravamo peccatori: dobbiamo amare i nemici, perché Dio ha amato noi quando eravamo nemici.

fedeltà radicale

Un altro tratto dell'amore di Dio, che siamo chiamati a vivere e che è già presente nella rivelazione veterotestamentaria, è la fedeltà radicale, che emerge dalla parabola dell'impossibile amore di Dio, quella del rapporto tra il profeta Osea e Gomer, la prostituta. Da una parte c'è la fedeltà del profeta, che rappresenta la fedeltà di Dio, che richiama incessantemente Gomer, dall'altra parte c'è l'infedeltà di Gomer, figura di Israele, che nonostante venga recuperata dalla pubblica piazza, continua a prostituirsi. E' la fedeltà contro l'infedeltà. Dio continua a rincorrere l'uomo anche laddove l'uomo tenta di sfuggirgli, non riconoscendo e respingendo il dono ricevuto. La fedeltà di Dio nei confronti dell'uomo è funzionale a che l'uomo cresca, che realizzi se stesso in profondità. E' una fedeltà nonostante tutto, senza attesa di una contropartita.

condivisione della condizione umana: essere con noi

In Cristo, rivelazione ultima e definitiva dell'amore di Dio, il senso e il contenuto della carità sono approfonditi con due ulteriori sottolineature.
La prima è la condivisione della condizione umana. L'incarnazione è il mistero di un Dio che si fa uomo, concretamente, e che assume non una qualsiasi umanità, ma quella del povero, del sofferente, dell'emarginato. Il Dio con noi, l'Emmanuele, è un Dio che condivide la condizione umana anche negli aspetti di precarietà, fino alla dimensione ultima della morte. E non la morte tranquilla, serena, ma la morte cruenta, di croce.

essere per noi

Il Dio con noi diventa il Dio per noi soprattutto nella croce, dove fa di se stesso, della propria vita, dono. Lo spogliamento, la kenosi, l'annichilimento non è fine a se stesso - sarebbe una forma di masochismo - ma è funzionale al dono totale di sé: non c'è amore più grande di colui che dà la vita, come dice Giovanni. Dio, in Cristo, non ha la carità, ma è carità. In Cristo la rivelazione del Dio amore è piena, proprio nel momento in cui fa dono di sé, della propria vita, in modo totale, sulla croce.

linee di un'etica della carità

Dalle riflessioni svolte si possono ricavare alcune linee per un'etica della carità.

la carità è "il" comandamento, "la" virtù, "il" valore

La carità è il contenuto fondamentale della legge nuova, non può essere messa sullo stesso piano degli altri comandamenti, degli altri valori, delle altre virtù.
Nella vita morale sono interpellato a partire dal valore fondamentale della carità, per poi incarnarlo in atti che si riferiscono a valori come la giustizia, la solidarietà, la verità e così via. Sono i valori contenuti nella legge, nell'insieme dei comandamenti, seppure rivisitati nell'ottica del discorso della montagna, delle beatitudini.
Se è vero che il comandamento ha bisogno dei comandamenti per essere mediato nelle situazioni concrete della vita quotidiana, è altrettanto vero che l'osservanza dei comandamenti, cioè l'atto di giustizia, di verità, di solidarietà, non significa automaticamente la carità.
E' importante distinguere nettamente la carità da tutti gli altri comandamenti, ponendola su di un piano diverso. Nella prima lettera ai Corinti, al capitolo 13, troviamo il famoso elogio della carità, in cui Paolo afferma che se anche dessi via tutti i miei beni in elemosina, ma non ho la carità, sono niente.
Perché la carità non è semplicemente un dare fosse pure tutto quello che si ha (che potrebbe essere motivato da secondi fini), ma è un dare quello che si è. La carità è autodonazione e sta oltre gli atti di giustizia e di verità. Parafrasando Paolo, se anche compissi tutte le azioni di giustizia e di verità possibili, ma non ho la carità, sono niente. La misurazione della vita morale non può avvenire in rapporto ai contenuti valoriali delle nostre azioni, ma all'atteggiamento di fondo da cui le nostre azioni muovono, in rapporto alla verifica della carità alla base delle diverse azioni.

la carità come opzione fondamentale

Ci sono due opzioni di fondo possibili nell'orientamento che si dà alla vita: quella autoreferenziale, egoistica, egocentrica, e quella altruista, della fuoriuscita da sé, di chi tende a perdere la propria vita. Amare è perdere se stessi e la propria vita nella certezza che in questo perdersi c'è un ritrovarsi a un livello altro: "chi perde la propria vita la troverà". In questo senso la carità è l'opzione fondamentale, l'atteggiamento di fondo, l'orientamento di vita. Le scelte particolari vanno riferite sempre a questa. Tra le mille difficoltà che caratterizzano la nostra vita, nell'impasto che noi siamo di pulsioni positive e negative, devo interrogarmi se l'orientamento di fondo è al dono o alla ricerca di me.

giudicati sull'amore

Nel cap. 25 di Matteo ci viene detto che nel giudizio finale saremo giudicati sulla base del criterio della carità: "Venite a me benedetti, perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero ignudo e mi avete vestito..." Manifestiamo la presenza della carità, l'amore di Dio che è presente dentro di noi grazie al dono dello Spirito, col comportamento concreto che teniamo verso i fratelli. L'ultimo giudizio, ce lo ricorda anche S. Giovanni della Croce, è sul grado di carità che siamo riusciti a vivere.

dono di sé a Dio e ai fratelli, indissolubilmente uniti

Gesù, come abbiamo visto, ha unificato strettamente la dimensione dell'amore di Dio con quella dell'amore del fratello, le ha rese non separabili. Nel principio unitario, da cui muove la carità, il riferimento a Dio e ai fratelli non è distinguibile. L'autodonazione di sé include, se è autentica, insieme Dio e il fratello.
La differenza c'è negli atti che compio nella vita quotidiana: quelli che si riferiscono di più a Dio, come gli atti di culto o di preghiera, e quelli che si riferiscono di più ai fratelli, tutti quegli atti di servizio ai fratelli sollecitati dalle situazioni in cui vivo.
Non sono però gli atti in sé a determinare la possibilità di salvezza, ma è l'esistenza dell'opzione di fondo, del progetto di vita come autodonazione radicale di sé, che contiene già Dio e il fratello, anche nel caso in cui Dio non l'ho mai conosciuto.

il cristianesimo anonimo

Proprio sulla base di questa visione è stata elaborata da alcuni teologi, come Rahner, la cosiddetta teoria del cristianesimo anonimo, che sostiene l'esistenza di tre categorie di persone di fronte al mistero di Dio e della salvezza.
Ci sono gli atei cristiani, che non hanno mai conosciuto Dio (perché non gli è stato mai presentato, o presentato male o perché lo hanno rifiutato...), ma che sono profondamente cristiani nel loro modo di vivere, perché di fronte alla muta invocazione del fratello rispondono positivamente: "Dove ti abbiamo conosciuto?" "Laddove avevo fame e mi avete dato da mangiare..."(Matteo 25). Mi avete conosciuto accogliendomi nel fratello bisognoso.
Poi ci sono i cristiani atei, che sono quelli che hanno conosciuto Dio, che magari vanno in chiesa tutti i giorni, ma sono atei nel profondo, perché tutte le loro scelte di vita quotidiana avvengono nel segno della difesa dei propri interessi, a prescindere dal bisogno dell'altro.
Infine ci sono i cristiani cristiani che sanno insieme riconoscere Dio esplicitamente e conoscerlo operando nella loro vita quotidiana secondo l'orientamento del dono di sé e non della ricerca di sé.
In realtà la vera conoscenza di Dio avviene non tanto nella esplicitazione, ma nel profondo, nel momento in cui io vivo la scelta di fondo dell'autodonazione di me, che va direttamente a Dio e al fratello.

una carità concreta

Un altro aspetto dell'etica della carità è la concretezza con cui la carità va vissuta. "Non amiamo a parole ma con le opere e nella verità" (Giovanni, prima lettera). La lettera di Giacomo poi sottolinea l'importanza delle opere come testimonianza dell'amore.
La vera messa a fuoco sulla carità l'abbiamo nella parabola del buon samaritano. Il cardinal Martini, in una sua lettera pastorale di alcuni anni fa intitolata "farsi prossimo" affermava che questa parabola è un pezzo di evangelo laico. E' infatti un laico, un esterno, un eretico, quello che capisce di più il contenuto vero della legge, senza smarrirsi nella precettistica e cogliendo così il vero bisogno. L'essere in atteggiamento di autodonazione vuol dire curvarsi sulla persona che ha bisogno, offrigli soccorso e prendersene cura.

2. vivere la carità nella vita di coppia e di famiglia

Riflettiamo ora su come rendere operante la carità come valore etico nell'ambito della vita di coppia.

coppie e famiglie fortemente differenziate

Come prima premessa occorre tener presente, come ha ben mostrato l'intervento di carattere sociologico di Carla Lunghi, l'esistenza di una varietà di situazioni sempre più diversificate e complesse, dovuta ai mutamenti culturali intervenuti, con da un lato l'acquisizione di nuovi valori, ma dall'altro anche un aumento di fragilità dei rapporti di coppia e di famiglia. Queste situazioni particolari non possono essere considerate dall'alto, sulla base soltanto di una riflessione di principio, ma devono essere analizzate dal di dentro, tenendo conto delle ragioni che le hanno provocate.

la carità come unico principio non negoziabile

La seconda premessa è che per il credente la carità è un principio assoluto, non negoziabile. La qualità della carità definisce la qualità della vita morale. La stessa vita è relativa: per la carità si può anche perdere la vita. Anzi, nella prospettiva cristiana c'è la sollecitazione ad andare in questa direzione.
Articolerò la riflessione in due momenti:
a. il significato della carità in rapporto alla vita di coppia e matrimoniale, cioè quali sono le modalità del vivere la carità nell'ambito di rapporti che sono caratterizzati da un'intensità, da una continuità, da una immediatezza ben specifiche.
b. quale etica della carità per la coppia, per la famiglia, cioè come vivere la carità nell'ambito di questo tipo di rapporti, riferendoci non solo alle situazioni canonizzate tradizionali, ma a tutte le situazioni di coppia e di famiglia della nostra società. Infatti il parametro ultimo di valutazione del comportamento non è dato dal fatto che si sia in una posizione istituzionalmente corretta, ma che si viva quel rapporto con un'intensità di carità.

a. significati della carità e suoi valori specifici in rapporto alla vita di coppia e di famiglia

Per parlare del significato della carità in rapporto alla vita di coppia e di famiglia, vorrei partire da due riflessioni di carattere teologico.

significati della carità: il matrimonio come vocazione

La prima tocca il tema della dimensione vocazionale del matrimonio, della vita a due come vocazione. Questo aspetto, più presente nella teologia protestante, è stato poco frequentato dalla teologia cattolica, dove invece si sono definite le vocazioni più in riferimento alla vita religiosa e al sacerdozio (che in realtà è un ministero) e dove si è molto insistito sul fatto che il matrimonio è sacramento, così che la teologia sacramentale ha assorbito tutta la dimensione vocazionale.
Nella tradizione protestante, invece, il matrimonio viene visto come una scelta non dei due, ma come un "essere scelti dei due" da parte di Dio, una chiamata dall'alto, dice il teologo Barth, per dare compimento a quel meraviglioso e faticoso progetto che è la vita a due, inserita nell'esperienza dell'amore di Dio.

estensione e profondità dell'amore

Con riferimento alla lettera di Paolo agli Efesini, secondo Barth si può rapportare l'amore infinito di Dio, che sorpassa ogni conoscenza, a due dimensioni fondamentali: la dimensione dell'estensione (l'amore verso tutti: Dio ama tutti incondizionatamente) e la dimensione della profondità (l'amore di ciascuno: Dio ama ciascuno nella sua unicità, nella sua irripetibilità). Barth dice che nella prospettiva delle due scelte vocazionali cristiane (vocazione al matrimonio e vocazione alla verginità), essendo l'uomo un essere limitato, emergono tendenzialmente o più l'una o più l'altra di queste due dimensioni. Nella prospettiva matrimoniale ciò che dell'amore di Dio soprattutto si vive è la dimensione dell'approfondimento. Ovviamente, le due vocazioni sono complementari: i coniugi, che vivono soprattutto l'approfondimento dell'amore di Dio in un rapporto a due, ricevono da coloro che invece hanno fatto l'altra scelta la sollecitazione a dilatare l'amore, e viceversa: vivere il matrimonio con la nostalgia della verginità, e la verginità con la nostalgia del matrimonio. Cioè con la consapevolezza, da una parte e dall'altra, del valore ma anche del limite della propria scelta. Che è una vocazione all'amore, da costruire passando attraverso tutti gli stadi dell'amore umano, ma dentro al contesto dell'amore divino.

significati della carità: il matrimonio come sacramento

La seconda riflessione teologica che farei come premessa riguarda invece la vita a due come sacramento, segno sensibile ed efficace dell'amore di Dio, che cioè rende evidente e operante la presenza dell'amore di Dio nella vita della coppia.
Nella teologia cattolica questa lettura del sacramento è avvenuta secondo due prospettive tra loro complementari: la prospettiva duale e quella trinitaria. Nella prima (lettera agli Efesini di Paolo) si fa riferimento al rapporto tra l'amore dell'uomo e della donna e l'amore di Cristo e della chiesa (non nel senso che l'uomo venga rapportato a Cristo e la donna alla chiesa, ma che tutt'e due i soggetti sono dalla parte della chiesa e tutt'e due sono tenuti ad amarsi come Cristo ama).
L'altra prospettiva, quella trinitaria, introduce, accanto alla dimensione della relazionalità di coppia (l'amore duale), la dimensione della fecondità (non solo in senso biologico). Cioè l'amore trinitario è l'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito: il Padre e il Figlio, amandosi, in qualche modo, si proiettano nello Spirito (tra l'altro il termine spirito, "ruah", nella tradizione ebraica è femminile). L'amore deve essere vissuto in una reciprocità feconda, che si apre, in forme e modalità diverse, attraverso le scelte di vita di ciascuno.

i valori specifici dell'amore di coppia

Questi elementi devono essere tradotti in una serie di valori specifici dell'amore di coppia. E questi valori in cui l'amore si incarna sono: l'oblatività, la comunicazione, la fedeltà e la fecondità.

l'oblatività come un donarsi continuamente rinnovato

L'amore coniugale è caratterizzato da una spinta al dono reciproco. Naturalmente, solo Dio è capace di donare in termini assoluti. Nell'esperienza umana, accanto al dono, c'è sempre anche la ricerca di sé, che va contenuta, ma non rinnegata. Il dono è una prospettiva, un cammino. La tensione al dono caratterizza la vita della relazione, nella consapevolezza che questo dono è sempre parziale, limitato e deve continuamente essere rinnovato.

la comunicazione come un dirsi reciproco in profondità

La comunicazione vera è quella che raggiunge il cuore dell'altro, è quella in cui si apre se stessi all'altro e si riceve l'altro nella sua apertura. Come per il dono, anche la comunicazione è un dirsi reciproco indefinito, che non ha limiti.

una fedeltà creativa

Ma i due aspetti più caratterizzanti il rapporto sono quello della fedeltà e quello della fecondità.
La fedeltà, prima ancora di essere fedeltà all'altro, è fedeltà a se stessi, al proprio progetto.
E inoltre, la vera fedeltà non è certamente una fedeltà ripetitiva: lo stare insieme semplicemente ripetendosi, senza mai rinnovarsi nel rapporto, conduce o alla rottura o a un rapporto insignificante. La vera fedeltà è creativa, è quella che rende capaci di riscegliersi ogni giorno come se fosse la prima volta a partire da una scelta che si è fatta una volta per tutte.
Già Tommaso d'Aquino si chiedeva se fosse possibile per l'uomo prendere delle decisioni irrevocabili, quelle che impegnano l'intera esistenza. E rispondeva negativamente. Perché anche una decisione presa per la vita avviene in un certo tempo e in un certo spazio, e l'uomo non padroneggia in quel momento tutti i tempi e gli spazi successivi in cui la vita si svolgerà. Allora la vera fedeltà, dice Tommaso, sta nella capacità di rinnovarsi, una volta fatta quella scelta, di fronte a situazioni che possono rimetterla in discussione, a tal punto da saper inglobare quelle situazioni dentro alla scelta e ridare ad essa una spinta sempre nuova.
La storia muta sempre il senso dei rapporti e costringe, nella misura in cui si vuole essere fedeli alla scelta fatta, a rinnovare il rapporto, a renderlo di nuovo vivo, a trovare nuove ragioni dello stare insieme, del convivere.

una fecondità come apertura dei due agli altri

L'altro elemento costitutivo dell'amore di coppia è quello della fecondità, la capacità di aprire il rapporto a due agli altri. La vera fecondità, prima di essere fecondità procreativa, è superamento del narcisismo a due. Il discorso di fecondità è un discorso di apertura, di tensione verso l'esterno, di inclusione del terzo. Dare la vita a un figlio, se vuole avere un significato non puramente biologico, ma di fecondità in senso forte, è sentire che il proprio amore è diventato talmente grande da potersi aprire a chiamare un altro a condividerlo.

valori aperti

Nella prospettiva di un cammino permanentemente aperto, questi valori in cui l'amore si incarna, non sono definibili né realizzabili una volta per tutte: non si può mai smettere di donarsi, né di comunicare né di realizzare la fedeltà creativa e la stessa fecondità in forme diverse, che comprendono, oltre la fecondità procreativa, tutte le forme di impegno e di servizio agli altri.

b. quale etica della carità per la coppia?

Allora, alla luce di questa riflessione, quale etica della carità emerge?

ideale della perfezione cristiana

Il primo dato è che un'etica che si costruisca a partire da questi presupposti, in riferimento alla varietà di situazioni di famiglie e di coppie che ci troviamo di fronte, non debba rinunciare alla proposta dell'ideale di perfezione cristiana. Il vangelo contiene un annuncio sull'amore estremamente forte, esigente e radicale, al quale non ci si può sottrarre e che non può essere stemperato, va annunciato nella sua radicalità. Il vangelo è paradossale per definizione, la sua essenza è il paradosso della Croce, è la sconfessione della potenza umana in tutte le sue manifestazioni. In realtà, dentro al paradosso evangelico c'è una possibilità di autocostruzione di sé molto alta, la più alta possibile. Il "chi perde la propria vita la troverà" non è facile da accettare. Ma questa paradossalità non significa rinnegare l'umano, ma coglierlo in possibilità di profonda autorealizzazione, anche se attraverso la "follia della croce". Se il paradigma è l'amore di Dio, quel paradigma è estremamente esigente e ci invita ad una fedeltà radicale, ad una gratuità assoluta. Pur essendo consapevoli che questa radicalità della gratuità non è mai totalmente vivibile, dobbiamo tendere ad andare in quella direzione.

accettazione del limite

Il secondo dato è che quanto detto deve andare di pari passo con l'esigenza di evitare le facili idealizzazioni, che portano poi molto spesso a penalizzare tutto ciò che non è in sintonia con ciò che è stato idealizzato. Le persone sono limitate, i rapporti spesso vivono di profonde ambivalenze, sono caratterizzati da forme di profonda precarietà, e vanno accettati per quello che sono anche in questi aspetti di limite.
Ma come si concilia l'annuncio radicale con questa accettazione dei limiti?
Io credo che si debba evitare da una parte l'assunzione di posizioni rinunciatarie. L'ideale va riproposto con forza, anche perché contiene una possibilità di realizzazione umana alta. D'altra parte, occorre evitare di presentare la perfezione come un principio assoluto, come un sistema normativo da applicare dall'alto, come fosse un presupposto imprescindibile, sul quale va costruita l'esistenza. Occorre presentare l'esperienza cristiana come un'esperienza tensionale, la tensione tra il valore e la situazione, tra il valore verso cui devo camminare e l'attenzione alla situazione in cui mi trovo, alla precarietà della mia esistenza, alla necessità di costruire i rapporti giorno dopo giorno passando anche attraverso imperfezioni.

un'etica situata

L'etica che va messa in campo per vivere questi rapporti è un'etica situata, cioè un'etica che non rinuncia ai valori, all'ideale di perfezione, ma nello stesso tempo sa situare quell'ideale in rapporto alla situazione concreta, sapendo che la possibilità di accesso all'ideale può avvenire soltanto per gradi.
Ricoeur dice che occorre stare attenti, nel proporre il discorso etico, ad evitare sia il rischio del dogmatismo (l'affermazione astratta di principi che vengono calati dall'alto nella realtà) che quello della procedura (una procedura normativa definita a partire dalla realtà, senza riferimento ai valori).

un'etica del possibile

L'etica che occorre mettere in atto nei rapporti di coppia potremmo definirla un'etica del possibile: il possibile è frutto di una mediazione dell'ideale nella realtà. Il bene di cui devo andare alla ricerca è non il bene assoluto, che certo sullo sfondo devo tenere in considerazione, ma il bene possibile in situazione, vagliando di volta in volta che cosa la situazione mi consente di fare.

l'esperienza cristiana come conversione continua

Questo modello etico esige come condizione di fondo un'attitudine di ciascuno (nella coppia un'attitudine dei due) ad una permanente conversione di sé. L'ideale di perfezione sta sempre davanti a noi: "Siate perfetti e misericordiosi come è perfetto e misericordioso il Padre vostro che è nei cieli". Nessuno mai potrà esserlo, ma il fatto di avere davanti questo ideale alto di perfezione, pur nella consapevolezza della distanza enorme tra l'ideale e ciò che siamo, ci stimola, non a colpevolizzarci ma a tendere, sia pur per gradi, a quell'ideale, in uno sforzo continuo di cambiamento, di trasformazione di noi stessi, di conversione.
Io credo che questa prospettiva per un verso consenta di non mortificare l'identità dell'etica cristiana, nella sua radicalità, per altro verso consenta tuttavia di operare tutte quelle mediazioni necessarie perché l'esperienza dell'amore cristiano, che è l'esperienza morale fondamentale, possa essere vissuta, per quel tanto che riusciamo a viverla, con la tensione permanente a superare ciò che già abbiamo raggiunto e andare verso traguardi sempre più alti.

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