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In ascolto delle diversità: l'Islam

Dalla paura all'ascolto dell'altro

sintesi delle relazioni di Khaled Fouad Allam e Giannino Piana
Verbania Pallanza, 16 marzo 2002

ostacoli e condizioni per l'ascolto tra culture e religioni diverse
(Giannino Piana)

Ascoltare non è semplicemente sentire, implica l'andare più in profondità, sia in se stessi (interiorizzazione) che nel messaggio inviatoci. La capacità di ascolto è ancora più necessaria quando si tratta di mondi diversi, come l'islam. Occorre saper superare diversi ostacoli.
Innanzitutto il pregiudizio etnocentrico, che caratterizza la nostra cultura occidentale. Si ha la presunzione che solo la nostra sia la vera cultura, mentre le altre sono culture inferiori.
È un pregiudizio che ha una lunga storia, a partire dalla presunzione del mondo greco romano di portare la civilizzazione ai popoli barbari. La presunzione persiste anche successivamente, dopo che il cristianesimo è diventata la religione ufficiale dell'occidente, per esempio nella conquisa delle americhe, con cristianizzazione forzata.
Con la svolta illuminista ci sarà un primo superamento dell'etnocentrismo, con l'affermazione della parità di diritti tra tutti gli uomini. Però anche l'illuminismo, ponendo come condizione all'avere i diritti la capacità di ragionare (ragione illuministica), ritiene inferiori quei popoli ancora legati a miti e a superstizioni.
Solo con lo strutturalismo e l'antropologia culturale ci sarà una vera svolta, con l'affermazione che le culture non sono confrontabili, che ogni cultura va considerata all'interno di se stessa.
In realtà continua a persistere l'atteggiamento etnocentrico basato sulla convinzione diffusa - anche se spesso non consapevole - della superiorità data dalla evoluzione scientifico-tecnologica e quindi dell'americanismo. Il grado di civiltà è correlato al livello di sviluppo scientifico-tecnologico.
Altro pregiudizio che impedisce anche alle religioni di ascoltarsi è l'identificazione della verità con la nostra verità. Si ha - pregiudizio molto presente nel cattolicesimo - un concetto possessivo della verità. Si ritiene di possedere tutta la verità, invece di ritenere che se ne possiede solo una parte o, ancor meglio, che si è posseduti dalla verità, che è sempre qualcosa di più grande, mai pienamente riconducibile alle mie categorie mentali.
Inoltre permane - soprattutto nel mondo cattolico - una concezione statica e preconfezionata della verità, come qualcosa che è data all'inizio in modo pieno e che non può più crescere. Non è percepita la verità come qualcosa che necessità di una continua reinterpretazione e riespressione col mutare dei contesti storici e culturali.
Condizione di un autentico ascolto è allora l'abbandono dell'etnocentrismo, con il riconoscimento che ogni cultura ha un proprio valore, ma, contro lo strutturalismo, sempre relativo. Tutte le culture rinviano ad una stessa radice umana e pertanto possono relazionarsi ed entrare in dialogo. Le differenze tra le culture non sono assolute.
Inoltre un'altra condizione di un autentico ascolto è un concetto dinamico e aperto di verità. La verità è sempre parziale (il mistero di Dio non è mai esauribile) ed è sempre interpretata e colta in una certa prospettiva.
L'ecumenismo non è il convergere tutti in una chiesa o in una religione, ma un convergere tutti verso una verità più grande che sta davanti.

in ascolto dell'islam
(Khaled Fouad Allam)

La questione dell'ascolto non è una questione neutra, ma dura, difficile. Ascoltare significa sollevare silenzi, turbare memorie, intravedere nuovi soggetti, rifondare la propria identità.
Il paradigma dell'uomo e dell'ordine del mondo con la caduta del muro di Berlino cambia: dalla questione sociale (dominante per tutto il Novecento) si passa alla questione delle culture, questione che emerge in occasione di ogni conflitto. Non più la questione delle classi ma la questione dell'appartenenza e dell'identità. Le identità formulano nuove istanze, rivendicano nuovi diritti di cittadinanza. C'è l'esigenza di un nuovo ordine politico.
Si assiste alla etnicizzazione dei rapporti sociali (questione della tutela delle minoranze culturali linguistiche, conflitto dei Balcani, conflitto tra indiani e musulmani, tra Hutu e Tutsi nella zona dei grandi laghi). Sono questioni etniche in quanto è in gioco l'appartenenza linguistica culturale e religiosa.
Nel mondo musulmano poi il discorso religioso entra nella sfera politica. Non è solo un problema di rapporti tra islam e cristianesimo (tra religioni), ma di come il mondo musulmano si definisce rispetto ad altri mondi e si rapporta con loro.
A causa dell'immigrazione (per il 70 per cento musulmana) la questione musulmana riguarda direttamente l'opinione pubblica e ha a che fare con la politica (questione della sicurezza in Europa, anche come sicurezza culturale - discorso delle moschee).
Il contenzioso storico tra islam e occidente cristiano si rifà alla logica di due universalismi che si scontrano e che occultano le memorie. L'occidente ha dimenticato che l'islam ha partecipato alla koiné mediterranea.
La sconfitta patita a Lepanto dai musulmani sul controllo del Mediterraneo è stata vissuta in modo traumatico, come successivamente la guerra dei sei giorni (1967) nei confronti di Israele, sconfitta chiamata da studiosi arabi "disastro". Sono due tappe essenziali del rapporto tra islam e occidente.
Dopo la battaglia di Lepanto fino all'invasione napoleonica dell'Egitto nel 1798, l'islam è ripiegato su se stesso, perdendo ogni capacità innovativa.
Il rapporto con l'occidente nell'ottocento e agli inizi del novecento è di sconcerto, proprio di chi, debole, non è in grado di opporsi alla colonizzazione o occidentalizzazione. I processi di modernizzazione, sul modello occidentale, o avvengono troppo presto o troppo tardi.
Il mondo musulmano ha interiorizzato la consapevolezza del proprio ritardo e della propria marginalità e si ribella alla fine dell'ottocento e all'inizio del novecento all'impero Ottomano in nome di ideali nazionalistici.
L'occidente in questo periodo esercita un grande fascino: si traduce molto, nasce la letteratura arabo islamica moderna. C'è un clima di rinnovamento, che però coinvolge solo delle élites urbane e non la maggioranza rurale. Di qui il rigetto.
Il rigetto si pone in modo antitetico alla modernità. La malattia diagnosticata è l'occidentalite, il rapporto patologico con l'occidente.
Innanzitutto si ricerca una nuova identità attraverso la via terzomondista. Successivamente ci sarà la tappa della rivoluzione iraniana. Molti autori sostengono, utilizzando categorie religiose, che occorre combattere l'occidente per ritornare alla società pura degli inizi.
Il mondo intellettuale musulmano ritiene, negli anni quaranta e cinquanta, che la nascita di stati-nazione sarà in grado di colmare il ritardo del mondo musulmano.
Ma mentre in occidente l'idea di nazione è erede di processi che comportano la divisione tra pubblico e privato del quale fa parte la religione (in occidente la nazione è un luogo di aggregazione in nome dell'uguaglianza di cittadini che sono tutti liberi), nel mondo musulmano l'idea di nazione si trova orfana di legittimazione. Il corpo giuridico dell'islam è rimasto immutato dal dodicesimo secolo. Ecco perché la nazione nell'islam è legata in partenza al discorso religioso come fonte di legittimità. In tutte le costituzioni (tranne la Turchia) si afferma che l'islam è religione di stato. L'iconografia simbolica è basata sull'islam.
Ma proprio il fatto che la religione è fonte di legittimazione della nazione, la religione si secolarizza, diventa un elemento come gli altri (nascono i ministeri per gli affari religiosi).
Si rivendica in tutti i paesi musulmani la shari'a, da estendersi in tutti i campi, su esempio della rivoluzione khomeinista.
Lo stato nei paesi musulmani è portatore di modernità, ma non di tipo democratico. Spesso le élites provengono dalle Accademie militari.
La contestazione poi nei paesi musulmani, non potendosi esprimere nelle vie della politica (impossibilità dei partiti, tranne quello al potere) si esprime nei campus universitari e nelle moschee.
Poiché la nazione non è riuscita a fornire un'identità, i giovani la trovano nell'islam: ecco perché le moschee sono i luoghi dove la contestazione si aggrega.
L'alfabetizzazione poi della società rende accessibili i testi sacri senza più bisogno di mediatori, contestati: rivendicazione del diritto al controllo diretto della religiosità.
La contestazione percorre due strade. Una è la rivendicazione dello stato islamico (lotta politica), con l'introduzione della legge islamica. L'altra è la reislamizzazione dal basso (no alla promiscuità a scuola tra ragazzi e ragazze...).
Lo stato reagisce cercando di dare qualche contentino ai movimenti.
Infine la presenza dell'islam della diaspora muta ulteriormente la situazione. L'islam è presente in Occidente, non è uguale dappertutto, e si modifica. L'immigrato, ad esempio, non è più costretto dal contesto sociale ad essere musulmano, ma lo è per scelta: è costretto a ridefinire la propria identità.
Per mettersi in ascolto dell'islam occorre ridare spazio alla dimensione culturale dell'islam alla ricerca e nella costruzione di valori comuni.

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