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sintesi delle relazioni di Pietro Prini e Giannino Piana
Verbania Pallanza, 8 aprile 2000

Giannino Piana
Pietro Prini, belgiratese, ha insegnato per lungo tempo filosofia teoretica presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Attualmente è a riposo, anche per raggiunti limiti di età.
Ho incontrato il prof. Prini anzitutto attraverso le sue pubblicazioni. In una lettura molto giovanile - facevo il primo anno di teologia - avevo scoperto un libretto pubblicato dalla Studium sull'esistenzialismo, che mi aveva molto interessato perché metteva a fuoco in maniera limpida e lucida le linee portanti di questa corrente di pensiero, una corrente complessa che va dalle arditezze del pensiero heideggeriano alla contorsione del pensiero di altri esistenzialisti, come Sartre.
Il taglio del libro era quello di una riflessione sull'esistenzialismo cristiano che aiutasse a leggere questa corrente di pensiero, che Prini ha esplorato soprattutto facendo riferimento nei suoi studi, forse fin dall'origine - credo che fosse la sua stessa tesi di laurea - al pensiero di Gabriel Marcel, uno dei grandi esistenzialisti cristiani francesi. Successivamente ho avuto altri motivi di incontro, sempre attraverso le pubblicazioni, in particolare quelle riferite più direttamente a Marcel e al suo pensiero.
C'è stato poi alcuni anni fa, ormai parecchi anni fa, un incontro più diretto, che ha costituito l'inizio di una collaborazione con l'editrice S.E.I. di Torino, per la quale abbiamo insieme curato la pubblicazione di venti volumi di una collana intitolata "Morale". La collana era gestita a mezzadria tra me e Prini, cioè tra un teologo e un filosofo, tra un filosofo che si occupa largamente della problematica etica ed io che mi sono occupato un po' sul crinale tra filosofia e teologia della stessa problematica. Anch'io ho insegnato a lungo, nel seminario di Novara, etica filosofica e non solo teologia morale.

"lo scisma sommerso"

Le cose fin qui dette volevano illustrare il senso della personalità che abbiamo qui davanti e che oggi ci aiuterà a riflettere su un tema fondamentale all'interno del corso che stiamo sviluppando, e che va ormai verso la fine, sul desiderio, cioè sul rapporto tra sessualità e desiderio.
Al di là di questo la riflessione di oggi è soprattutto motivata dall'uscita, ormai da un anno circa, del libro di Prini intitolato "Lo scisma sommerso", libro uscito in una prima edizione quasi clandestina, il cui editore, insieme alla moglie, è qui tra noi e che ringraziamo perché per primo ha avuto il coraggio di pubblicare questa opera, che ha avuto poi un lancio, un successo, in quanto ha subito suscitato una serie di reazioni sulla stampa, a partire da un articolo sulla pagina culturale de "La Stampa" di Torino di Gianni Vattimo e poi con un succedersi di altri interventi, che hanno teso a focalizzare i nodi problematici di questo testo interessante, sul quale vorrei fermare un momento l'attenzione, prima di provocare Prini con alcune domande.

Le critiche

All'uscita di questo libro si sono avanzate delle critiche, a volte anche feroci. Alcuni hanno addirittura accusato il libro di Prini - l'articolo che lo accusa è pubblicato all'interno della seconda edizione del libro, quella di Garzanti, che riporta alla fine una serie di interventi che hanno contribuito a fare conoscere il libro e soprattutto che hanno teso a sottolineare in positivo o in negativo il significato del libro - di eresia, come Gianni Baget-Bozzo. E' un libro che invece non solo non è eretico, ma che nasce dalla passione di un credente, che ha un profondo rispetto per la chiesa, anche del suo aspetto più propriamente istituzionale, e che proprio per questo sente l'esigenza di esercitare il suo senso critico nei confronti dell'istituzione ecclesiale non tanto per muovere accuse, quanto piuttosto per sollecitare la chiesa ad uscire da certi steccati e confrontarsi davvero con il pensiero moderno, con la scienza, e confrontarsi anche con le sue origini, cioè con i testi originari, che spesso vengono invece riproposti in una lettura che non tiene conto dei risultati dell'esegesi ufficiale, che anche nel mondo cattolico, dopo essere stata preceduta dal mondo protestante, si è fatta strada.
Si tratta di un libro di un credente, di un libro che denuncia una grande passione per la fede e per il futuro della fede. Si tratta di un libro che merita attenzione non solo per le problematiche concrete che affronta nella parte finale, ma soprattutto per l'impianto.
Vorrei contestualizzare il libro per poi arrivare al tema.
Un'altra critica, molto più cortese, mossa a Prini, in questo caso da Enzo Bianchi, ma poi anche da Antiseri su "Avvenire", sostiene che questo libro indulge ad una lettura sociologica del cristianesimo, cioè assume una serie di dati che dicono e denunciano la situazione di difficoltà in cui si trova il cristianesimo o meglio il cattolicesimo oggi di fronte a problematiche nuove e emergenti che la scienza pone sempre più in risalto e che esigerebbero anche risposte diverse nel presentare il contenuto del messaggio cristiano, con una audience sempre più ridotta non solo nell'ambito degli esperti, degli specialisti, degli scienziati, degli uomini di cultura o dei teologi, ma nell'ambito della gente comune. E' vero che il punto di partenza di Prini è anche in riferimento a queste indagini sociologiche, che denunciano, per esempio, che su alcune tematiche relative alla sessualità le posizioni ufficiali della chiesa godono spesso di una adesione molto relativa. La maggior parte non tanto degli uomini che vivono all'esterno dell'istituzione, ma degli stessi credenti, dei praticanti, passa sopra con facilità alle posizioni ufficiali relative alla sessualità, come la contraccezione, l'omosessualità o la masturbazione.

Il consenso dei fedeli come criterio di verità

Questo dato sociologico diventa nella riflessione di Prini il punto di partenza per una riflessione molto più profonda di carattere squisitamente teologico e direi ecclesiologico. D'altra parte sappiamo bene come nella chiesa il consenso dei fedeli è sempre stato un criterio di verità. Non si può dimenticare che la verità cristiana viene sì definita ultimativamente anche dagli interventi magisteriali, ma il consenso dei fedeli è un criterio di verità e questo tanto più quanto più noi assumiamo come nostra la definizione di chiesa che ci è venuta dal Vaticano II che ha posto in luce come la chiesa non è anzitutto la gerarchia, ma il popolo di Dio, un popolo di Dio in cui parla lo Spirito, un popolo di Dio che, attraverso un cammino di riflessione che viene facendo e soprattutto attraverso un cammino di testimonianza concreta che dà della fede, è interprete autentico del messaggio. Certo, sotto il magistero. Certo riceve autenticazione nel processo che conduce anche attraverso il magistero, ma non si può prescindere dall'importanza che assume il popolo di Dio, il consenso dei fedeli. L'argomentazione non è solo sociologica, ma ecclesiologica, teologica.
D'altra parte, su un altro versante, quello della struttura dell'impianto del libro, si va ben oltre il punto di partenza, che rappresenta la sollecitazione esistenziale, potremmo dire, per affrontare i problemi, per rimettere in discussione attraverso argomentazioni che sono squisitamente filosofico-teologiche, anzi più teologiche che filosofiche - è un libro più di teologia che di filosofia - il modo con cui la chiesa è arrivata a certe posizioni che Prini dice che sono inattuali, sono desuete, non rispondono più alle esigenze interpretative del contesto culturale contemporaneo, non rispondono più alle esigenze interpretative che delle stesse riflessioni sulla verità cristiana ci provengono direttamente anche dai testi biblici e dalla tradizione patristica. Il riferimento è molto preciso a questi testi e a queste fonti.
In questo tentativo di argomentare Prini mette in evidenza quei passaggi attraverso i quali si è arrivati a posizioni rigidamente proibizioniste in alcuni settori della vita morale - notate in alcuni, perché il discorso dell'etica pubblica è del tutto diverso. Nell'etica privata, soprattutto quando il campo è il sesto comandamento, la sessualità, la rigidità si manifesta in modo molto accentuato per una serie di ragioni che sono prima ancora teologiche che etiche, quali la visione del peccato di origine, una sorta di lettura dell'umanità come massa damnatorum, per dirla con Agostino, quindi come incapace di bene, quali la paura dell'inferno, ritenuta necessaria di fronte alla situazione dell'uomo incapace di salvarsi se non facendo appello rigidamente a certe norme, quali ancora tutta la dottrina del satanismo, della giustizia retributiva, che ha in qualche modo impoverito lo stesso concetto di redenzione (la redenzione ridotta a pagare il prezzo anziché vista come gesto di amore gratuito, di autodonazione che Dio fa di sé in Gesù Cristo).
Questo castello teologico si traduce poi in una serie di normative, restrittive soprattutto in alcuni campi - quello della sessualità in particolare - con l'elaborazione di una morale dei precetti del tutto negativa in cui non si dice mai cosa si deve fare e ciò verso cui si deve tendere, ma che cosa non si deve fare, penalizzando per molti aspetti le espressioni della vita personale e soprattutto della vita relazionale, e che si lega a presupposti di carattere giuridico-legalistico per un verso e per altro verso fortemente naturalistico. Si pensi al concetto di legge naturale così come viene proposto in maniera fissista nell'ambito di una certa manualistica morale a sostegno di posizioni rigidamente difensive del passato, non però del passato originario, ma di una tradizione come quella patristica che si è contaminata da questo punto di vista con le interpolazioni del pensiero della cultura del tempo. Lo sforzo del tutto giustificato di riattualizzazione del messaggio, lo sforzo di inculturazione, per molti versi ha dato anche l'esito negativo di assumere della cultura del tempo aspetti deteriori, non riproponendo autenticamente il messaggio.
Questa morale poi pone la sua attenzione in maniera quasi esclusiva sulla vita privata, dove tutto è rigidamente controllato da regole e non su quella pubblica dove tutto diventa possibile.
Apro una parentesi per dire che mi è sembrato interessante per alcuni aspetti l'ultimo intervento di mons. Antonelli a commento del comitato permanente della CEI quando, ricordando gli elementi di valutazione dei candidati che si presentano alle prossime elezioni, mette in primo piano la moralità pubblica e non quella privata come criterio di giudizio, dove per moralità pubblica si intende la capacità di gestire correttamente l'amministrazione pubblica, la capacità di far fronte correttamente ai problemi, la serietà con cui si affrontano le questioni, anche dal punto di vista della professionalità, perché anche la politica esige professionalità.
Aspetti fondamentali del messaggio cristiano, sembra dire Prini in conclusione, non soltanto sono contrari alle scienze moderne, come quelle psicologiche e sociologiche, ma soprattutto sono in conflitto con l'autentico messaggio originario, che andrebbe ricuperato nella sua autenticità. Alludo al messaggio biblico, e soprattutto poi per noi cristiani al messaggio evangelico. Il messaggio biblico ed evangelico esige di essere letto correttamente, come del resto fa ampiamente l'esegesi moderna, nell'attenzione ai generi letterari, nella capacità di interpretazione simbolica di alcuni eventi, come per il discorso del peccato di origine, nella capacità ancora di proporre il vangelo nella sua prospettiva positiva, liberante, non condizionante, come stimolo per provocare una liberazione umana integrale, da tutti i punti di vista, compresi quelli che toccheremo oggi.

bioetica e sessualità

In questo contesto si inseriscono gli ultimi due capitoli, quello della bioetica e quello della sessualità. Mi pare interessante rilevare, per quanto riguarda la bioetica, le contraddizioni a cui porta la posizione ufficiale del magistero, soprattutto nel nostro contesto italiano, dove siamo di fronte paradossalmente, forse l'unico stato d'Europa, ad un vuoto legislativo dato che su alcuni problemi della bioetica non si è ancora legiferato, come conseguenza di un irrigidimento delle posizioni all'interno del mondo cattolico che provoca poi un altrettanto forte irrigidimento sul fronte laico, con incapacità di cogliere lo spessore reale dei problemi, il senso vero delle cose, e di andare a elaborare delle normative che siano in grado per un verso di offrire in modo liberante delle prospettive di crescita e per altro verso di contenere i limiti di certe operazioni che possono davvero diventare rischiose. Penso ad esempio a certe forme di manipolazione della vita.
A motivo del vuoto legislativo, paradossalmente, in Italia si può fare tutto, come ci confermano le cronache quotidiane. E' la conseguenza del muro contro muro, della dialettica negativa tra un clericalismo che continua a rimanere su alcune posizioni soprattutto enunciando principi astratti e mai entrando nel merito delle questioni reali e per altro verso un laicismo altrettanto esasperato, rozzo, molto spesso positivista, che non ha alcuna attenzione ai valori, che non ha alcuna attenzione al senso, alle questioni di fondo che vanno invece messe sul tappeto quando si affrontano problematiche così grosse e complesse, con esiti così forti e drammatici, come quelle che riguardano il campo della bioetica.
Sul versante della sessualità, proprio per le ragioni dette prima, proprio per il fatto cioè che siamo di fronte oggi ad una situazione di chiusura, di preclusione molto radicale su alcuni temi, cui si accompagna un comportamento assolutamente libero, non solo degli esterni alla chiesa, ma anche dei credenti e dei praticanti, si contribuisce a creare uno sdoppiamento di coscienza che finisce per essere improduttivo, anche perché da una parte si riaffermano costantemente i principi di sempre che non vengono assolutamente rispettati, mentre dall'altra parte si usa sul piano pastorale la misericordia. A motivo di questo dualismo uno non capisce più che cosa vale la pena di seguire, se davvero quelle cose che vengono dette con quella rigidità siano tali da dover essere perseguite nel senso con cui vengono proposte, oppure se tutto sommato si tratta di mettere tutto un po' in discussione. Bene o male alla fine i preti, cioè le persone che all'interno della chiesa lavorano pastoralmente, hanno un atteggiamento più comprensivo: "quello che dice la chiesa è l'ideale di perfezione, ma poi ciascuno si comporta come vuole e come può". Il risultato è che non si riesce così neppure a far riflettere su questi problemi e sulle questioni importanti che sono in gioco, che stanno dietro a problemi che non vanno certamente trattati in modo casuistico rigido e pedestre, ma che meriterebbero invece di essere trattati in maniera molto più seria, facendo vedere tutte le controindicazioni che ci possono essere in certi comportamenti di uso sbracato della sessualità, all'insegna di una mitizzazione selvaggia, quale quella che molto spesso si verifica ai nostri giorni nella cultura permissivo-consumistica dominante, quindi con scarsa incidenza di fatto sulle cose che contano.
Allora in questo contesto si inserisce la nostra riflessione di oggi, che riconduce evidentemente alla tematica del libro, e la riconduce al tema del nostro corso, quello del desiderio. La riconduce cercando soprattutto di riflettere su quel binomio "desiderio - sessualità", che è un binomio fondamentale, presente in tutte le pagine del libro. Tutto il discorso fatto sulla scienza, soprattutto sulle scienze psicologiche, che è interno al libro, e che per altro è stato maggiormente approfondito in un altro libro di Prini, che abbiamo stampato in collaborazione, "Il corpo che siamo", ha come problema centrale il binomio, la correlazione: la sessualità è per definizione il luogo del desiderio, del desiderio in tutte le sue forme, in tutte le sue espressioni, del desiderio nella ricchezza delle sue manifestazioni.
Vorrei porre allora a Prini alcune domande con la quali avviamo la riflessione.

Le ragioni del libro

Giannino Piana
Come è nata in lui l'idea di redigere questo libro. E' strano che un filosofo all'età di ottantacinque anni, età rispettabilissima, con una militanza all'interno del mondo cattolico, considerato un filosofo cristiano per definizione, nel nostro paese uno dei più importanti filosofi cristiani, come mai ha sentito l'esigenza, su questo versante della sua esistenza, dopo una lunga riflessione su temi esistenziali, di affrontare con parresia, con coraggio, con il coraggio evangelico, un tema così grosso e così scottante del divario che esiste tra ciò che il magistero dice su alcuni temi e ciò che la coscienza dei fedeli recepisce. Recepisce non solo nel senso che i fedeli non sanno adeguarsi nella prassi, ma nel senso che non capiscono neanche le motivazioni. E' questo il fatto preoccupante. Perché che la prassi si distanzi dall'ideale, dalla proposta, è abbastanza scontato. Siamo tutti peccatori. Ma il problema più grosso è quando addirittura le motivazioni portanti non sfiorano neppure la coscienza dei fedeli perché vengono ritenute non plausibili. Che cosa ha spinto il prof. Prini ad affrontare questa tematica scottante, con coraggio, con quella vivacità con cui in questo libro, che per taluni aspetti potrebbe anche apparire come una sorta di pamphlet non accusatorio, ma che mette sul tappeto i problemi con chiarezza senza mezze misure.

Prini
Non potevo desiderare di meglio: avere una presentazione come provocazione, come istigazione a sottolineare, a sviluppare, a chiarire... sono stato fortunato. Del resto la qualità, la solidità, la finezza, direi il pascaliano esprit de finesse con cui il prof. Piana affronta questi problemi è senza dubbio visibile, toccabile, al primo ascolto.
Lasciatemi ricordare anzitutto la cara memoria di don Giacomini, a cui la vostra associazione si richiama e che è stato mio amico tanti anni fa, nella mia adolescenza. Abbiamo trascorso delle ore simpatiche, anche per il suo carattere gioviale.
Lasciatemi anche ringraziare il signor Michele Riccione, grafico di primissimo ordine, che è qui e che è stato l'editore generoso, direi senza tanto discorrere, della prima edizione, talmente graficamente bella, che qualche amico straniero mi ha detto che come modello ed eleganza di edizione la preferiva a quella successiva.
Allora, quale la ragione di questa mia decisione di scrivere il libro "Lo scisma sommerso" al punto di arrivo, ad 85 anni, proprio io che sono quasi sempre stato in prima linea nella difesa del mondo e del pensiero cattolico?
L'anno scorso ho ricevuto un premio, la medaglia d'oro per la cultura cattolica, a Bassano del Grappa, assieme al cardinale Ratzinger e al cardinal Martini. Nell'intervista ebbi la preoccupazione di dire subito: "Badate però che la mia cultura cattolica è la cultura non del catechismo, ma è una cultura cattolica che vuole essere critica". Avevo fatto una specie di proposito allora, accolto così bene da quell'iniziativa con tanto calore, perché non ci fosse un equivoco, perché si sapesse che la cultura cattolica secondo il mio parere è meritevole del nome di cultura, è meritevole della sua dignità di fronte al mondo della cultura, così altamente rappresentato in tante forme, è meritevole di questo quando è veramente cultura critica, quando elimina quella specie di schizofrenia tra ciò che è proclamato e ciò che è realmente creduto, facendo "come se" (als ob, dicono i tedeschi), facendo come se si accettassero tutti i principi, tutte le massime, tutte le motivazioni che vengono abitualmente proposte nelle prediche domenicali. Ricordavo giorni fa ad un amico francescano, che si interessa della formazione dei giovani francescani, quello che osservò a Parigi Claudel uscendo da una messa domenicale insieme ad un altro personaggio famoso dopo aver sentito il sermone: "E pensare che il destino del cristianesimo è stato affidato alla predicazione!".
Bisogna che noi tutti ricordiamo la nostra responsabilità, di tutti e a tutti i livelli, di coloro che si dicono credenti, la responsabilità enorme che abbiamo di rendere il messaggio cristiano il più accettabile non per propaganda, non per facile spiegazione, ma per renderlo la risposta continua a quella domanda continua che è la fede.
A Torino ho tenuto due conferenze su questi temi in questi ultimi due mesi. La prima conferenza aveva come sottotitolo la frase di Sant'Agostino "quoniam fides si non cogitetur nulla est" (la fede, se non è pensata, è nulla). La fede se non diventa sostanza del nostro pensiero è nulla. Frase molto significativa.
Un'altra fase di Agostino dice: credo Domine, sed tu adauge incredulitatem meam, (ti credo Signore, ma tu aiuta la mia incredulità). La fede non è una fede filistea, non è la certezza filistea di quelli che dicono: "Noi possediamo la verità". La fede è una certezza in continua provocazione, è una certezza che ci interpella continuamente su quella domanda che costituisce la sostanza della nostra esistenza di uomini. Noi siamo uomini perché siamo cercatori, siamo continuamente degli interrogativi nei nostri stessi riguardi, perché la nostra vita, il nostro essere è tale che tra tutti i viventi della terra siamo gli unici che possono dire di no al proprio essere. Pensate a quale potenza di provocazione c'è per la motivazione del nostro essere. Siamo gli unici che possono dire di no al nostro essere e quindi siamo sempre in questione con il nostro essere, con il senso della nostra vita, con la motivazione, la ragion d'essere della nostra vita. E' quello che trovano tutti coloro che leggono i pensieri di Pascal, il quale certe volte propone in piccolo bozzetto la drammaticità di questo. Quando Pascal dice: io vengo da un'oscurità infinita che mi precede, non so da dove vengo e non so, da un punto di vista puramente umano, dove andrò a finire. Cioè sono compreso tra due oscurità. Che cosa significa questo intervallo di interrogazione?
Ho avvertito in sostanza la necessità ad un certo punto di fare i conti definitivi con me stesso, con la mia fede, perché la mia fede non fosse ripetitiva, non avesse più nulla o quasi nulla di semplicemente ripetitivo, ma avesse invece il senso della convinzione profonda. Ciascuno di noi dovrebbe arrivare a questa decisione, come la decisione di Cartesio quando si è proposto il dubbio. Cartesio dice che ciascuno uomo dovrebbe, se non fosse troppo pericoloso, ad un certo momento della sua vita, porre in questione tutto quello che è proponibile, arrivare cioè a costruire veramente il proprio pensiero, la propria motivazione profonda, che ci viene dall'incontro fortunato che ciascuno di noi ha avuto con il messaggio della fede. E' stata una ragione di questo tipo.
Le osservazioni fatte da Piana sulla storicità del messaggio cristiano sono molto importanti.
La particolarità del messaggio cristiano è che è apparso nella storia. Kierkegaard diceva l'eterno nella storia. Come è possibile che l'eterno si affacci nella storia? Ecco, il messaggio cristiano si appoggia a qualcosa che è stato comunicato, rivelato a noi nella storia. Da questo sorgono problemi impegnativi. La storia non si conclude, non si esaurisce, non si interpreta solo nel momento in cui si vive. La storia è un continuo riflettere sopra il senso di quello che è avvenuto.
La cultura moderna e contemporanea ha gettato nuova luce sulla storia delle origini dell'uomo. Già Vico, nella Scienza Nuova, parlava del bestione originario, da cui siamo nati tutti, delle origini vicine al mondo animale, delle origini che tutta la scienza moderna ha riconosciuto e ha messo come oggetto del proprio problema, là dove è nata l'umanità. Come si è fatto, come è sorto sulla terra l'uomo? Come è venuto al mondo questo essere così anomalo, così asimmetrico nei confronti degli altri, asimmetrico perché libero? Che origini ha avuto l'uomo?
In una lettera, che io ho citato nel libro, del giovane Teilhard de Chardin, del 1922, si scriveva: se io confronto i due racconti della genesi sulla creazione del mondo e dell'uomo con quello che mi dice la scienza geologica, antropologica, vedo che c'è una impossibilità di coincidenza. Se io tento di far coincidere, simultaneamente e da parte della stessa persona, il racconto della scienza e il racconto biblico, preso in modo letterale, mi accorgo che stridono, che non concordano, che c'è un abisso di differenza tra i risultati della ricerca scientifica e la descrizione dell'uomo fatto da Dio e che sorge in una regione come l'Eden, dove manca la morte. Si pensi ad un mondo di animali, dove c'è l'uomo che riconosce la sua compagna tratta da una costola, del suo stesso corpo e la riconosce come propria carne, la riconosce nella infinità di reciprocità, di rapporto, in cui manca la morte. L'Eden non è uno spazio che la scienza possa ritrovare nella sua ricerca.
La storia del peccato originale non è rintracciabile dalle nostre scienze storiche.
Allora occorrerà rifare la interpretazione, occorrerà arrivare a cambiare l'interpretazione.
Da un lato dobbiamo essere fedeli al kerygma, al messaggio rivelato, giustamente credendo che i libri della bibbia sono la voce della rivelazione e d'altro canto, questo lo osservava già Galileo, poiché non ci possono essere due verità contraddittorie, bisogna sforzarsi di trovare, con mille prove, quella verità che possiamo raggiungere mentre l'altra verità deve essere interpretata in base a quelle prove, in modo tale che non sia contraddittoria a quelle prove.
Galilei pregava mons. Cremonini di guardare nel suo cannocchiale le macchie della luna e le macchie del sole. Mons. Cremonini si rifiutava, dicendo di credere che il sole è il sole che può fermarsi perché nella bibbia Giosuè ha detto: "Fermati, o sole".
Ad insistere su questa lettura erano anche i riformatori che erano i più vincolati al testo letterale della Scrittura.
L'altro giorno parlando a Torino su "la fede nell'epoca della scienza" ho osato cominciare così: "Dobbiamo renderci conto che l'inizio della vera riforma della chiesa, nel senso della renovatio in capite et in membris, non parte né da Lutero e neppure dal concilio di Trento, ma dall'origine della scienza moderna, perché l'origine della scienza moderna ci ha offerto degli strumenti conoscitivi, dei metodi di conoscenza che ci aiutano e che aiutano la chiesa a defabulare il contenuto della fede, a sfogliare il contenuto della fede da tutto ciò che è, parola cara a Bergson, fabulatorio, cioè immaginario". La scienza non deve essere vista in contrasto con la fede. La scienza, quando è vera scienza, è al servizio della fede perché è al servizio dell'umanità, perché offre alla fede, alla chiesa, al credente gli strumenti tali che consentono al credente di non rimanere nello stato infantile, un infans che non sa bene quello che pensa, come avvengano le cose nel mondo, ma di essere maturo nel suo pensiero. Purtroppo, non so se per l'autorità della chiesa o per l'autorità della Compagnia di Gesù, quando Teilhard de Chardin ha manifestato queste idee è stato subito esonerato dalla cattedra che aveva all'Institut Catholique di Parigi e inviato in Cina.
Quando Teilhard de Chardin è morto in un paesino negli Stati Uniti si celebrava in Europa un grande congresso di scienziati, in cui si illustravano i reperti archeologi delle prime apparizioni dell'uomo, tributando così in qualche misura omaggio a Teilhard de Chardin. Teilhard de Chardin è invece morto in perfetta dimenticanza. Il suo biografo dice addirittura che gli hanno fatto un funerale di terza classe, molto modesto.
Io ho trovato ancora questo tipo di mentalità non disposta a fare i conti con la mentalità scientifica in qualche corso che ho fatto in anni passati in Argentina. Certi istituti che si dichiaravano scientifici erano ancora su posizioni di chiusura e pareva uno scandalo parlare di evoluzionismo. In realtà era semplicemente un modo di spogliare la concezione che abbiamo dell'uomo dall'affabulazione, dall'immaginario, interpretando il dato biblico in modo simbolico e non con significato fattuale, di cronaca.
Questa è la ragione del mio libro, anche perché leggendo studi di sociologia della religione mi sono accorto di un equivoco evidente e grave. Mi sono accorto dell'equivoco in cui cadevano parecchi sociologi laici che interpretavano il divario tra il modo di pensare, di valutare, di credere dei fedeli e il modo ufficiale di pensare della gerarchia ecclesiastica, delle formule che venivano predicate, comunicate, come un progressivo allontanamento dei credenti dalla fede. Invece non è vero. Io non credo che significhi questo in generale. Lo scisma sommerso non è un allontanamento dalla fede, ma è semplicemente l'espressione più esigente e più profonda di interiorizzazione della fede, di una esigenza più profonda di credere che la fede sia qualcosa di molto più serio di quanto non appaia nella sua cristallizzazione in alcune formule ripetute senza essere pensate.
In fondo questi riconoscono che il peccato non è solo una violazione di una norma, ma è, come diceva Kierkegaard, una posizione, un affronto di fronte a Dio. Il peccato mortale è la ribellione a Dio, è mettersi nell'atteggiamento del rifiuto di Dio. Il capire questo significa prendere le distanze da quella forma di esasperazione del tema del peccato come violazione, che è diventato, secondo il teologo Pohier, la categoria centrale del cattolicesimo occidentale. Mi sono servito per approfondire questo discorso di un testo di un amico con cui avevo fatto qualche tavola rotonda a Parigi, Delumeau, che ha dedicato un grosso volume "le peché et la peur"1, il peccato e la paura, al significato che ha avuto l'istituzione obbligatoria del sacramento della confessione nel 1215 nel concilio Laterano IV, che ha dato origine ad una proliferazione di testi incredibili di elenchi dei peccati, dei peccati-violazione. E' nata così una vera e propria esasperazione del concetto di peccato-violazione che ha fatto perdere di vista poi il vero peccato, cioè la violazione della carità, la violazione di quell'amore di Dio che è il fondamento dell'amore del prossimo e della giustizia e quindi di tutti i doveri che si hanno verso i fratelli. Il tutto ha favorito una specie di deviazione della coscienza attraverso il terrorismo spirituale, suffragato dalla proposta della fabulazione dell'al di là con l'inferno e con il purgatorio.
Quando qualcuno osservava che non poteva essere eternamente e pienamente felice nel paradiso un'anima la quale pensa e sa che le persone a cui è stata legata nella vita sono all'inferno, la risposta, forse di San Tommaso secondo il Delumeau, era: "anzi, la visione dell'abisso dell'inferno, dei tormenti delle anime è lo spettacolo più bello del cielo, molto più bello dello spettacolo del cielo stellato, perché è lo spettacolo del trionfo della giustizia di Dio". Ditemi voi se noi possiamo mantenerci in questo orizzonte. E' una concezione presente nella pastorale cristiana, in qualche modo ufficiale.
Sono posizioni che falsificano veramente. Il messaggio cristiano, quando ha a che fare con contenuti fattuali (quando si parla della storicità di Cristo, di testi scritturali) deve essere interpretato con criteri di controllabilità, di verificabilità, perché ciò che è fattuale è suscettibile di essere controllato storicamente, scientificamente, mentre ciò che presenta il mistero del nostro rapporto con Dio, il mistero della nostra origine metafisica, della nostra origine profonda, del nostro destino, tutto ciò che coinvolge qualcosa di non verificabile, di non controllabile fattualmente deve essere interpretato simbolicamente, con un linguaggio in cui si raggiunge veramente l'universale (Vico), perché è un linguaggio mitico, rivelatorio, ma nello stesso tempo tale da non poter essere verificato.
Il mio libro su Gabriel Marcel, di cui ha fatto cenno il prof. Piana, era intitolato: Gabriel Marcel e la metodologia dell'inverificabile. Qui siamo nell'inverificabile. Ma è una metodologia, non, come vorrebbe dire il mio discepolo Antiseri, che deve essere creduto e basta. E' fideismo, è uno dei pericoli più gravi, perché se io dico che la fede deve essere accettata come fede e basta, deve essere accettata per "volontà di credere", come James aveva intitolato il suo famoso libro, se si tratta di volontà di credere non è più una verità ma un arbitrio. Se tu credi questo, allora permetti che io creda quest'altro, che è magari l'opposto di quello che tu credi. Questo è rendere la fede soggetto di arbitrio, soggetto di contrasto puramente volontario.
Sono questioni che bisogna affrontare una volta nella vita.

Le reazioni

Giannino Piana
Una seconda domanda invece riguarda le reazioni al libro. Quali sono state le reazioni a questo libro e come in fondo è possibile rispondere a certe forme di reazione, alludo soprattutto a quelle negative? Mi piacerebbe che si dicesse anche qualcosa delle reazioni che si sono sviluppate nel mondo laico con risonanze significative in persone che per altro si ritengono forse potenzialmente credenti e che si sono allontanate dalla chiesa proprio a causa di alcune sue posizioni. Che tipo di provocazione ha avuto anche da costoro, che tipo di consenso? che possibilità ci sono di rivedere posizioni di fede in persone che hanno vissuto il travaglio della distanza della chiesa da problematiche da esse magari vissute in chiave esistenziale in modo molto forte, molto pungente?

Pietro Prini
Baget Bozzo sostiene che poiché sono un cattolico che ha una certa onorabilità nel mondo cattolico non sono stato condannato, nonostante il libro sia eretico, veramente eretico. E ha insistito un'altra volta, in un altro articolo.
Gli ho risposto un po' malamente, un po' ad hominem: Baget Bozzo forse non ha tutti i titoli per condannare di eresia, ricordando quando una volta, in una festa dell'Unità, parlava con tanto entusiasmo di Marx... Era meglio che parlasse dei Padri della Chiesa.
Debbo dire che qualche reazione più attendibile c'è stata, come quella del monaco padre Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, che ha presentato il libro con me in un Collegio Universitario di Pavia. Mi diceva: "Sono persuaso che se la chiesa non provvede a questa riforma, che è veramente urgente, c'è il rischio che tra due generazioni non vengano più giovani in chiesa, perché l'età della scienza crea non solo degli scienziati. L'età della scienza crea un modo di pensare scientifico che è anche il modo di pensare dell'uomo della strada. Anche l'uomo della strada non può pensare più ormai certe cose".
Per esempio anche nel campo della coscienza giuridica, noi non possiamo pensare oggi di essere incolpati per eredità della colpa dei nostri progenitori. Dice sant'Agostino che abbiamo ereditato non solo la pena, ma anche la colpa. Possiamo sinceramente accettare una cosa di questo genere? Allora dobbiamo pensare ad una interpretazione simbolica che sarà difficile, ma tale da imporsi alla nostra responsabilità per vedere qual è il vero senso del peccato, di quello che si dice il peccato originale. La concezione giuridico-penale del peccato deforma completamente il concetto di redenzione, la scristianizza, riducendola sul piano giuridico alla pena che compensa la colpa, alla pena che ripara la colpa. Del resto ricordo di avere letto con grande piacere un'antica vita di Gesù di Vito Fornari, dove si diceva che l'incarnazione è la continuazione, la perfezione della creazione. La creazione è un abbozzo dell'incarnazione. E l'incarnazione sarebbe il perfezionamento. Era la tesi di Scoto. Pensate come cambiano profondamente le cose. Nei limiti delle nostre possibilità contribuiamo a richiedere questo cambiamento. Del resto un amico francescano ha scritto all'editore Alberti, che gli aveva inviato il mio libro, che ci sono i temi, esagerando naturalmente, su cui dovrà discutere il terzo concilio Vaticano.
Io me lo auguro, ma credo che si debba continuare quella preziosa opera di trasformazione che è incominciata con il concilio Vaticano II perché si arrivi a questo cristianesimo, a questa esperienza della fede autentica nell'epoca della scienza. Non è l'epoca della scienza che riduce la fede, ma nell'epoca della scienza la fede si spoglia di quello che non è più pensabile, non è più vivibile dalla persona umana oggi.
Ho detto di due reazioni. Ho risposto ad Enzo Bianchi dicendo in fondo qual è il più importante problema che deve avere la gerarchia ecclesiastica nei confronti dei fedeli. Non solo di ascoltarli
per una ragione teologica profonda, per la presenza dello Spirito Santo nella chiesa. Poiché la fede non è solo un insieme di dogmi proclamati da un'autorità, da una forma di potere, ma la fede è quella che è effettivamente trasmessa e vissuta dai fedeli, dalla comunità dei credenti, è il kerygma così come è sentito, vissuto, proclamato e continuato dalla comunità dei credenti, la gerarchia ecclesiastica ha il compito di tener conto delle profonde trasformazioni del modo di pensare che, specialmente le nuove generazioni, respirano nell'aria dell'epoca della scienza.

Desiderio e sessualità

Giannino Piana
Infine il tema centrale per il nostro corso e cioè quale rapporto tra desiderio e sessualità, così come emerge dal libro magari confrontandosi col discorso fatto ne " Il corpo che siamo". Quali sono le linee di fondo su cui si struttura questa tematica del rapporto tra desiderio e sessualità e quali sono le linee di prospettiva su cui camminare nell'approccio a un problema complesso che merita di essere dirozzato in questi nostri incontri, che per altro sono anche momenti forti di riflessione, e soprattutto per chi è abituato da tempo a parteciparvi e sono molti. C'è uno zoccolo duro che è sempre presente e che è allenato a questo tipo di riflessione e che quindi è in grado di interagire.

Pietro Prini
Ho dedicato all'argomento un capitolo del libro dal titolo abbastanza significativo: dalla condanna del piacere all'etica della sessualità. L'altro ieri mi hanno fatto un'intervista alla televisione del VCO e ho detto anche in quell'occasione che ero d'accordo con un importante filosofo tedesco, Max Scheler, il quale riteneva, e mi ha fatto una certa impressione, auspicabile che un grande psicoanalista della storia illustrasse le ragioni della condanna del piacere, che non è esclusiva del cristianesimo o del cattolicesimo, ma che si trova anche nel buddhismo, in certe forme dell'islam. Effettivamente è difficile rendere ragione della feroce condanna etica del piacere. Nel libro ho citato un testo dello Pseudo-Gregorio Magno che dice: "Il piacere non può esistere senza peccato". Chissà perché questo senso di fobia antiedonica, di fobia contro il piacere?
Approfondendo alcune tesi dell'antropologia contemporanea sono partito dal concetto della scoperta del corpo, del corpo inteso dal di dentro, quello che Scheler chiamava il corpo psichico. Nella lingua tedesca c'è una distinzione tra la parola Körper che indica il corpo che ha sottomano il chirurgo sulla tavola operatoria (è il corpo su cui lavorare, il corpo visibile, toccabile) e la parola Leib che vuol dire il corpo dentro la nostra pelle, così come noi lo sentiamo dentro la nostra pelle, il corpo psichico. Da questa distinzione deriva una riforma del concetto di coscienza come uno spettacolo interno. Uno dei grandi autori che hanno fatto leva su questa distinzione è stato Husserl, il fondatore della fenomenologia, che ha esposto con molta chiarezza la concezione del corpo non solo come percezione interna, ma come percezione di sé, come sensus sui, come senso di sé, che è precisamente la nostra corporeità, per cui non c'è coscienza senza corporeità.
Si pensi alla conseguenze che ha questo concetto della intrinsecità della coscienza della corporeità psichica, per esempio alla impossibilità di pensare alla immortalità dell'anima nella maniera platonica. C'è un libro di un teologo molto conosciuto, Immortalità dell'anima o resurrezione dei morti1, in cui si afferma che l'immortalità sarebbe un concetto greco, platonico, orfico, pagano veramente, non ebraico. Questo teologo contrappone le ultime ore di Cristo prima della morte sul monte degli Ulivi e gli ultimi momenti di Socrate nel carcere dove aspetta l'esecuzione, che lui stesso si darà, della pena di morte a cui è stato condannato ingiustamente dai suoi concittadini. Da una parte c'è la serenità di Socrate, la serenità con cui Socrate tranquillamente discute dell'immortalità dell'anima, propone argomenti, risponde a obiezioni, come se per lui la morte sia il passaggio dell'anima alla sua vera patria, concetto fondamentale per tutto il platonismo, secondo il quale l'anima sarebbe caduta nel corpo, per una colpa, e lì imprigionata. Il corpo è insieme sema e soma, l'imprigionamento o la tomba dell'anima. E' chiaro che di fronte alla morte Socrate è tranquillo: "in fin dei conti vado nella mia vera patria".
Dall'altra c'è la terribile descrizione dell'agonia di Cristo nei sinottici e nell'epistola agli Ebrei, dove si dice addirittura che grida, che è angosciato di fronte alla morte, e non angosciato per la paura dei tormenti che gli infliggeranno, ma angosciato per la morte, perché la morte è la vera tragedia della vita, è una forma irreparabile della caduta dell'uomo.
Ho raccolto l'indicazione di questo teologo, commentando il Cantico delle creature di San Francesco, dove nelle ultime terzine si dice "Laudato si mi Signore per sora nostra morte temporale" . Nella leggenda minor del suo primo biografo si dice che San Francesco, ormai sicuro di morire - gli era stato predetto che gli restavano pochi giorni da vivere - fu isolato sul campanile dal vescovo di Assisi. Per impedire che il corpo venisse rubato - c'era la paura che altre comunità di devoti di Francesco portassero via il corpo - furono messe delle scorte che lo vigilassero. San Francesco dice: "Poveri ragazzi, siete qui a farmi da custodia. Chissà come vi annoierete. Cantiamo un po' insieme o cantate voi le vostre canzoni giovanili". E li fa cantare. Frate Elia, successore di San Francesco, gli dice: "Frate Francesco, la popolazione di Assisi è scandalizzata. Di fronte al grande mistero della morte, questa gente canta, è allegra!"
Io sono partito dalla contrapposizione tra immortalità e risurrezione. Cristo credeva davvero nella morte. La morte era davvero la fine di qualcosa di irrecuperabile, cioè del dono immenso della vita. E come mai San Francesco, l'alter Christus, tiene invece un atteggiamento di questo genere? Lo tiene perché la morte di Cristo ha portato la resurrezione. Cristo è il primo dei risorti e la sua resurrezione è stata la rivelazione, la vera rivelazione dell'al di là.
Per mio conto - non ho l'autorevolezza di un teologo - la vera pena dell'inferno è la non resurrezione. L'immenso miracolo della risurrezione... Penso sempre come figura del peccatore ai grandi malfattori della politica, pensate Hitler o Stalin, come esempio abbastanza toccante. Francamente mi dispiacerebbe di risorgere insieme a questi personaggi.
Il vero senso dell'al di là è la resurrezione. Nell'età della scienza non possiamo pensare al distacco dell'anima dal corpo. Noi conosciamo gli artifici di Dante, tutti i giochi meravigliosi della sua fantasia per rappresentare le anime senza corpo. Lo stesso San Tommaso propone una sua teoria di riferimento al corpo, ma è sempre di riferimento. La resurrezione come compimento...
L'antropologia scientifica, moderna, è pienamente d'accordo nel ritenere che senza il corpo non possiamo pensare, non possiamo parlare, non possiamo fare niente.
Tutta la linguistica moderna dice che se noi non parliamo, se non diamo corpo alle nostre idee noi non pensiamo. Tutto avviene in una unità indissociabile di anima e corpo, in questo corpo psichico.

Il desiderio come scelta di essere

Il desiderio - è la teoria che propongo ne "Il corpo che siamo" - il desiderio è ciò per cui noi possiamo dire che "siamo" il nostro corpo. Per un certo verso è vero che possiamo dire che ciascuno di noi è il suo corpo, cioè è la sua fisionomia, è il suo modo di ricordare, il suo modo di amare, di agire, il suo stile. Ecco perché ho dato il titolo Il corpo che siamo. Noi siamo il nostro corpo.
Possiamo anche dire, e questa sarà la nostra asimmetria, che abbiamo il nostro corpo, perché ci può essere tolto, ma prima di tutto noi siamo il nostro corpo.
Cosa vuol dire essere il nostro corpo? Vuol dire che nel riflettere su di noi, noi ci troviamo come una forza energetica, una forza vitale, una forza di piacere vitale. Questo significa essere il nostro corpo. Noi siamo questa forza energetica. Siamo solo noi uomini, tra tutti i viventi sulla terra, che possiamo dire di no a questa forza, a questo nostro essere, possiamo suicidarci. Terribile mistero metafisico.
Proprio la possibilità di dire di no al proprio essere vuol dire che se diciamo di sì, se continuiamo a vivere, abbiamo scelto di vivere. Questa forza energetica ed edonica, questa energia piacevole, quello stesso piacere che noi abbiamo nello stesso esercizio della nostra corporeità facendo un'escursione in montagna, facendo dello sport, facendo una buona colazione, questa energia ha questo di proprio, che è anche opzionale, tale da essere insieme una scelta. Proprio questa caratteristica è ciò che Freud non è mai riuscito a comprendere quando ha confuso la forza vitale, l'energia per cui possiamo dire che siamo il nostro corpo, con la libido. La libido è la forza energetica che è comune a tutti gli animali. Non è comune invece la opzionalità, la scelta. Si tratta cioè di una energia vitale che si sceglie, che può scegliere di essere essa stessa.
In filosofia ci sono alcune correnti, anche classiche, e che apparentemente sarebbero lontanissime dal cristianesimo, come le correnti degli stoici o degli epicurei, per le quali il piacere vitale diventa un motivo etico profondo. Epicuro non era come dice Orazio Epicuri de grege porcus, ma era anche un grande moralista. La sua proposta morale consisteva nella atarassia, cioè nella tranquillità, nell'arrivare a quella tranquillità profonda, così coincidente con la nostra persona da essere indifferente a tutte le vicende che ci possono capitare nella vita. La apatia degli stoici è la non passionalità, per cui lo stoico è quello che riesce a conservare l'equilibrio.
Noi abbiamo un potente esempio cristiano, quello di san Francesco: l'ideale di madonna povertà. La madonna povertà era intesa da san Francesco come la pura celebrazione del nostro essere senza alcun avere, cioè senza alcun rapporto col possesso delle cose, delle idee, delle ricchezze, del potere politico. San Francesco dice nella famosa pagina dei Fioretti: dove credi che stia la perfetta letizia? La perfetta letizia non consiste nel conquistare tutto il mondo, nel fatto che il re d'Inghilterra o il re di Francia si faccia francescano, o che i nostri seguaci si diffondano dappertutto, diffusi su tutta la terra. La perfetta letizia è soltanto quando arrivando ad un nostro convento una notte di gelo, di nebbia, bussiamo alla porta e il guardiano ci dice di non conoscerci e ci manda via, insistiamo e veniamo insolentiti, insistiamo ancora e siamo oltraggiati e buttati nella neve. Lì è la perfetta letizia, cioè il non avere niente.
Non avere niente, il senso della povertà, è il possedere soltanto il proprio essere nella sua distinzione fondamentale dall'avere, il proprio essere nella sua caratterizzazione per cui è diverso da qualunque cosa possiamo possedere.
In Giappone, anni fa, ho incontrato il rettore dell'Università di Kioto, che sapendo che ero italiano mi ha voluto salutare così: "Io sono grato alla sua patria (essendo passati pochi anni dal fascismo avevo qualche sospetto sul senso di quelle parole), non sono mai stato in Italia. Dall'Italia è venuto il maestro che ha cambiato la mia vita. Quando ero giovane ero molto disorientato e ne combinavo di tutti i colori. Mi è capitato di leggere nella biblioteca di mio padre una vita di san Francesco e la mia vita è cambiata, e quando ho bisogno di qualcosa ritorno lì". Ecco cosa è il senso della povertà.
Quando dico il corpo psichico, il senso più profondo della nostra corporeità, di questa corporeità interiore lo potete qualificare come la povertà francescana, come l'atarassia degli epicurei, o l'apatia degli stoici.
Il desiderio è l'esperienza ontologica, l'esperienza dell'essere in cui questa energia, questa vitalità è connessa intrinsecamente con la nostra scelta, con la scelta di essere. Un libretto che scrissi sul senso del messaggio francescano lo intitolai "La scelta di essere".
Ecco che cosa è il desiderio a differenza della libido freudiana, che è la volontà del piacere, della fruizione, della consumazione dei beni sessuali. L'abbandono alla sessualità è la perdita del senso dell'essere.
Il desiderio in quanto tale è il riferimento alla sostanzialità della nostra energia vitale, è la scelta che noi facciamo tutti i momenti quando siamo chiamati a prendere delle decisioni importanti. E' questo il vero senso della carità, del sacrificare tutto. Il fenomeno del volontariato di oggi, che è uno dei fenomeni più entusiasmanti, può essere visto come l'espressione di questa aderenza o volontà di essere, di chi sacrifica tutto perché ha scelto l'essere anziché l'avere. Questo è il senso del desiderio.

La sessualità come reciprocità del desiderio

Una volta ammesso che il desiderio ha questa origine metafisica, la sessualità - è ciò che dice l'antropologia più seria - deve essere vista sotto l'aspetto della comunicazione, del linguaggio. Il rapporto sessuale è anzitutto linguaggio, linguaggio che diventa linguaggio d'amore quando è linguaggio tra due esseri, cioè tra due personalità. Non linguaggio feticistico per questa o quella parte, per questo o quel modo di fruizione dell'altro. Il rapporto sessuale è nell'ambito della categoria del desiderio, ma nel desiderio raggiunge la forma centrale della reciprocità. E' desiderare l'altro che mi desideri, cioè è la reciprocità del desiderio, che significa l'incontro, significa l'io - tu, l'interpersonalità profonda.
Certo se pensiamo al bailamme della sessualità ostentato dai mezzi di comunicazione cinematografica, televisiva, pornografica, se pensiamo allo sfruttamento della sessualità ci troviamo di fronte ad una delle forme più tragiche di decadimento di una cultura, di una civiltà. Di fatti il disordine sessuale accompagna quasi sempre le grandi fasi di decadenza, per esempio dell'impero romano.
Si pensi a quello che è realmente, metafisicamente il desiderio e si pensi a quel complesso di vincoli, di istituzionalizzazioni a cui è sottoposta la sessualità. Si pensi alla frase di San Paolo della prima Corinzi - un conto è non accettare sant'Agostino e un conto criticare San Paolo - : "ai celibi e alle vedove dico che sarebbe bene per essi continuare a essere soli come lo sono io, se però non possono dominare i loro istinti contraggano matrimonio. E' meglio sposarsi che bruciare dal desiderio". Io sono scandalizzato. San Paolo era vincolato in questo testo dagli esseni, da tutto l'antisessualismo del tempo, e dall'idea della prossimità della fine del mondo. Saranno gli esegeti a dover spiegare. E' successo che una posizione di questo genere ha concesso la legittimazione del piacere della sessualità solo in funzione prima della procreazione, del matrimonio come procreazione, poi anche per il mutuum adiutorium, il vicendevole aiuto, ma sempre circoscritto all'istituzione del matrimonio.
Se confrontate questa istituzionalizzazione della sessualità in funzione del matrimonio o della procreazione dei figli, scopo primario, o del mutuo aiuto dei coniugi, con certe posizioni espresse ad esempio nel Dizionario Teologico Interdisciplinare alla voce "Morale Speciale" da Spallacci, in cui si dice che se la chiesa accetta il metodo naturale di Ogino-Knaus significa che la chiesa stessa riconosce che la sessualità non si esaurisce nell'hortus conclusus del matrimonio, è evidente una profonda differenza.
Certo la proibizione della contraccezione, e la sottostante idea fissista di natura, sono delle idee strane che sono entrate in maniera quasi incomprensibile dal punto di vista antropologico culturale. La proibizione della contraccezione non è facilmente comprensibile dal mondo laico, e si fonda su un'idea di natura fissistica, che è intangibile, per cui non può esserci che un metodo... L'antropologia ha scoperto che la specie umana è una delle poche specie per cui la sessualità non è legata al periodo estrale della donna, come per la gran parte delle specie animali.
Le ricerche dei sessuologi del Novecento hanno scoperto che la sessualità esiste sin dai giorni o dai mesi neonatali nel bambino e nella bambina. A differenza delle altre specie animali nella specie umana la sessualità è universale e coestensiva con l'età dell'uomo e della donna e non ha periodi specifici.
C'è poi un'altra dimensione della sessualità su cui è nata una terribile deformazione dell'educazione istituzionale cattolica, soprattutto nei collegi tenuti dai religiosi o dalle religiose. Fino a pochi decenni fa il grande problema morale dell'educazione dei giovani in età puberale era la masturbazione e la sua condanna. Ora tutta la medicina di oggi, la psicologia, la psichiatria sono d'accordo nel riconoscere che la masturbazione non ha nulla di condannabile ed anzi sono stato testimone del primo riconoscimento di questo anche nel campo teologico. Il famoso teologo morale padre Häring è stato forse uno dei primi a dire in una memoria di una decina di pagine, che io lessi, di non insistere sulla condanna di una forma di manifestazione sessuale che è giusto credere come manifestazione dello sviluppo del passaggio alla maturità, passaggio di conoscenza del proprio corpo psichico, condizione per cui ci possa essere la interpersonalità, cioè l'incontro con l'altro tu, con l'altro in quanto è l'altro. Nella sessualità l'incontro con l'altro è desiderare l'altro che mi desideri, cioè è la reciprocità del desiderio.
P. Häring diceva ai suoi colleghi religiosi di concedere ai giovani di fare la comunione senza confessarsi. La risposta dell'autorità ecclesiastica a questa posizione, così mi disse un confratello che viveva nella stessa casa di P. Häring: "va bene, ma mantenga questa tesi in questa forma di memoria di dieci pagine", che sia conosciuta solo in questo piccolo ambito, che cioè non sia diffusa in un libro.
La chiesa fa di queste cose, come quando si permise finalmente la stampa dell'opera omnia di Teilhard de Chardin in francese, opera omnia presieduta ad honorem da Maria José, nostra ex-regina. Venne proibita la traduzione italiana. Gli italiani, si vede, sono un po' più stupidi.
Per chi è vissuto nei collegi cattolici, religiosi, sa cosa voleva dire questa condanna assoluta della masturbazione, che poi finiva col deprimere i veri temi dell'educazione cristiana, cioè la carità, la lealtà, il senso della giustizia.

Riassunto

Giannino Piana
All'uscita del libro "Lo scisma sommerso" si sono avanzate critiche, alcune durissime, come quelle di eresia (Baget Bozzo). Ora il libro non solo non è eretico ma è l'espressione della passione di un credente che vuole sollecitare la sua chiesa ad uscire da certi steccati per confrontarsi col pensiero moderno e anche con le origini condensate nei testi scritturistici, letti ancora a volte senza tener conto del lavoro e del progresso dell'esegesi.
Un'altra critica (Antiseri e Bianchi) accusa il libro di indulgere ad una lettura sociologica del cristianesimo, dato che fa riferimento ad indagini che mostrano il crescente divario tra posizioni del magistero cattolico e il modo di pensare di molti credenti, anche praticanti.
Ma a partire da questo dato sociologico Prini svolge una riflessione squisitamente ecclesiologica. Il consenso dei fedeli è sempre stato un criterio di verità, colto maggiormente da quando la chiesa si è autocompresa non anzitutto come gerarchia ma come popolo di Dio in cui parla lo Spirito e che quindi è interprete autentico del messaggio. Del resto il libro di Prini rimette in discussione il modo in cui la chiesa è giunta a certe posizioni non più in grado di interagire con la cultura di oggi e talvolta non fedeli ad una interpretazione autentica del messaggio biblico.
Le ragioni per cui si è giunti a posizioni rigidamente proibizioniste in alcuni settori della vita morale sono di tipo teologico, come una certa concezione del peccato originale, come la visione dell'umanità come massa dannata, come la paura dell'inferno, come un certo satanismo o l'idea di giustizia retributiva che ha impoverito il concetto di redenzione (il pagamento di un prezzo). Questo impianto teologico si traduce in una serie di norme fortemente restrittive soprattutto nel campo della sessualità, con una elaborazione di una morale dei precetti del tutto negativa, con un carattere giuridico legalistico e naturalistico (concetto fissista di natura).
Quindi aspetti non secondari del messaggio cristiano sono oggi presentati in contrasto con le scienze moderne e anche con l'autentico messaggio originario, spesso male interpretato.
Le posizioni di rigida chiusura da parte del magistero su alcune questioni di etica sessuale sono di fatto unite ad un atteggiamento molto libero da parte di molti credenti e di praticanti, col conseguente rischio di uno sdoppiamento di coscienza, alimentato da principi affermati ma non compresi e rispettati e da una larga misericordia sul piano pastorale con il risultato di creare incertezza su ciò che vale davvero seguire, non aiutando a riflettere sulle questioni importanti che sono in gioco e a contrastare efficacemente comportamenti all'insegna di un uso sbracato della sessualità.

Le ragioni del libro

1)Che cosa ha spinto il prof. Prini, alla rispettabile età di 85 anni, esponente di rielievo del mondo cattolico, a scrivere con coraggio questo libro sul tema scottante del divario crescente tra magistero e modo di pensare e di vivere dei fedeli praticanti?

Prini
Nel ricevere lo scorso la medaglia d'oro per la cultura cattolica ho sentito subito l'esigenza di precisare che per me la cultura cattolica è degna del nome cultura se è cultura critica, oltre la schizofrenia tra ciò che è proclamato e ciò che è creduto.
Tutti noi dobbiamo sentirci responsabili di render il messaggio cristiano più accettabile non per propaganda ma per renderlo la risposta continua a quella domanda continua che è la fede.
La fede è nulla se non diventa sostanza del nostro pensiero (quoniam fides si non cogitetur nulla est). E la fede non è una certezza filistea di quelli che dicono di avere la verità, ma è una certezza in continua provocazione... Siamo uomini perché siamo cercatori, siamo degli interroganti...
Ho avvertito ad un certo punto la necessità di fare i conti definitivi con me stesso, con la mia fede, perché non fosse ripetitiva, ma espressione di una profonda convinzione.
Il messaggio cristiano è apparso nella storia, è l'eterno nella storia (Kierkegaard). Da questo sorgono molti problemi. La storia è un continuo riflettere sopra il senso di quanto è avvenuto. La cultura moderna ha gettato nuova luce sulla storia delle origini dell'uomo. Tra i racconti biblici della creazione, se presi in senso letterale, e il discorso scientifico non c'è possibilità di conciliazione. Occorrerà interpretare in modo nuovo i testi biblici, in modo simbolico. La vera riforma di Lutero non nasce né con Lutero, né con il concilio di Trento, ma con la nascita della scienza moderna, che ci ha offerto gli elementi per defabulare (togliere tutto ciò che c'è di immaginario) il contenuto della fede.
Contrariamente a quanto pensano alcuni sociologi, il divario crescente tra credenti e magistero non indica allontanamento dalla fede, ma desiderio di interiorizzazione della fede.
Comprendere ad esempio il peccato come atteggiamento di fondo di rifiuto di Dio significa prendere le distanze dalla nozione di peccato come violazione di una norma, nozione che è diventata una categoria centrale del cattolicesimo, a partire soprattutto dall'istituzione dell'obbligatorietà del sacramento della confessione. Il peccato come violazione di norme ha prodotto un terrorismo spirituale con l'insistenza delle immagini dell'inferno e del paradiso.

le reazioni

2) Quali reazioni sia negative che positive ha provocato il libro?

Prini
Della critica di Baget-Bozzo non voglio parlare (da che pulpito!)
Enzo Bianchi mi ha detto che è necessaria una profonda riforma, dato che il pensiero scientifico ha influenzato il modo di pensare di tutti.
Per la coscienza giuridica contemporanea è inaccettabile che noi ereditiamo non solo la pena ma anche la colpa dei nostri progenitori.

desiderio e sessualità

3)Quale rapporto tra desiderio e sessualità

Prini
Max Scheler riteneva auspicabile che un grande psicoanalista della storia spiegasse il motivo della condanna del piacere da parte di molte religioni
Lo pseudo Gregorio Magno sosteneva che il piacere non può esistere senza peccato.
L'antropologia contemporanea (Scheler, Husserl) ha dato molto rilievo alla corporeità come corpo psichico, come senso di sé. Non c'è coscienza senza corporeità.
Questa concezione rende difficile pensare ad una immortalità dell'anima senza il corpo (alla Platone). Nella concezione ebraica si parla delle risurrezione dei morti.
Socrate discorre serenamente prima di darsi la morte: per lui la morte è il passaggio dell'anima alla vera patria. Cristo invece agonizza ed è angosciato. Per lui la morte è qualcosa di irreparabile...
Francesco potrà essere sereno prima di morire perché Cristo è il primo dei risorti.
La vera pena dell'inferno è la non risurrezione.
Nell'età della scienza non possiamo pensare al distacco dell'anima dal corpo: senza il corpo non possiamo parlare, pensare...
Il desiderio è ciò per cui possiamo dire che noi siamo il nostro corpo, siamo una forza energetica, vitale. E solo noi uomini possiamo dire no a questa forza energetica... Ciò significa che se continuiamo a vivere è perché scegliamo di vivere. Questa energia piacevole è anche una scelta (è ciò che Freud non ha capito: la sua libido è una forza comune a tutti gli animali. Non tiene conto del carattere di opzionalità).
In filosofia ci sono correnti di pensiero per le quali il piacere vitale è un motivo etico profondo, come l'atarassia degli epicurei (la tranquillità profonda), o l'apatia degli stoici. E' l'ideale francescano di Madonna povertà, del possedere solo il proprio essere, distinti da qualunque cosa possiamo possedere.
Il desiderio è la scelta di essere.
La sessualità è essenzialmente linguaggio, comunicazione. Il rapporto sessuale nel desiderio raggiunge la forma della reciprocità. E' desiderare l'altro che mi desideri, è la reciprocità del desiderio.
Per noi è difficilmente accettabile la concezione paolina del "meglio sposarsi che bruciare dal desiderio". Ma una concezione di questo genere ha fatto sì che venisse legittimato il piacere della sessualità solo all'interno del matrimonio e in funzione procreativa e secondariamente come vicendevole aiuto...
La proibizione della contraccezione si fonda su un'idea fissista di natura ed è scarsamente comprensibile dal mondo laico. La sessualità umana è universale e coestensiva all'età dell'uomo e della donna.
Vi è stata poi una terribile deformazione dell'educazione istituzionale cattolica con la condanna senza attenuanti della masturbazione in età puberale. La psicologia, la psichiatria, la medicina di oggi sono concordi nel ritenere la masturbazione come una forma di conoscenza del proprio corpo che costituisce un passaggio verso il rapporto interpersonale. Lo stesso padre Haering, come io stesso ho potuto verificare, sosteneva queste idee, anche se gli era vietato esporle nei libri.

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