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Temi sapienziali nella Bibbia ebraica

sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio
Verbania Pallanza, 16 novembre 1996

La corrente e la letteratura sapienziale presente nella bibbia ebraica non riguarda solo uno o più momenti particolari della storia di Israele, come nel caso della profezia, ma accompagna tutta questa storia. Si ritrova infatti non solo nei testi cosiddetti sapienziali, ma è diffusa ovunque (es. la storia di Giuseppe nella Genesi, alcuni salmi, ecc.).

la corrente sapienziale all'interno della bibbia ebraica

Mentre il profeta è l'uomo della parola, l'apocalittico l'uomo della visione e il narratore storico l'uomo della interpretazione teologica, il sapiente è "il riflessivo", è colui che è capace di individuare quali vie percorrere per raggiungere una esistenza "ben riuscita", risultati positivi.
Mentre il profeta, l'apocalittico e il teologo della storia si collocano dalla parte della rivelazione divina, hanno come destinatari il popolo di Israele e pongono l'attenzione sulle grandi svolte di Israele, il sapiente fa leva sulla ragione e sulla esperienza umana, ha come destinatario ogni uomo, ogni soggetto e pone l'attenzione sull'esistenza a questo mondo di ciascun individuo, sul suo nascere, vivere e morire.

il concetto di sapienza

La sapienza è anzitutto una conoscenza di come vanno le case al mondo, ed è una conoscenza pratica, è l'arte di pilotare la propria esistenza nel mare burrascoso del mondo per giungere alla vita ben riuscita.
Vi è poi una sapienza popolare e una sapienza colta, presente nelle corti e nelle scuole.
È rintracciabile una sapienza ottimistica ed una pessimistica che si pone come critica della prima.
La sapienza, a differenza della profezia, non è peculiare di Israele, ma ha una dimensione internazionale. La si ritrova in Edom, in Egitto, in Mesopotamia.

la sapienza ottimistica dei Proverbi

La sapienza del libro dei Proverbi è la sapienza secolare, più laica rispetto a quella del Siracide.
Il sapiente osserva come vanno le cose a questo mondo, invita a prenderne atto e a regolarsi di conseguenza.
L'appello a farsi sapiente è fatto da chi scrive, altre volte è attribuito ad un sapiente, come ad esempio a Salomone, il re sapiente per eccellenza, oppure alla sapienza personificata. Nella letteratura sapienziale non ci si imbatte in comandi. Il sapiente consiglia, esorta, sollecita, sprona, vuole persuadere non comandare.
La motivazione al vivere secondo sapienza è essenzialmente di tipo utilitaristico: c'è un rapporto di causa ed effetto tra sapienza e riuscita nella vita, successo, ricchezza, onore, ecc. È una visione ottimistica, che si fonda sull'idea di un Dio retributore che premia, in questa vita, il giusto, e punisce l'empio, lo stolto.
Si esaltano i valori dell'amicizia, della laboriosità, della morigeratezza nel bere, del non lasciarsi sedurre dalla adultera o dalla donna straniera.
Il confronto con l'ottimismo sapienziale dei Proverbi non può che essere dialettico, teso a raccogliere valori e limiti di una visione a volte troppo utilitaristica, privatistica, che confonde la sapienza con l'astuzia, con lo spirito levantino. La nostra cultura è diversa, accentua altri valori ed ha altri limiti.

critica del Qoelet alla sapienza ottimistica

Secondo il Qoelet, tutto è inconsistente, tutto è vuoto, anche la sapienza. Certamente è preferibile l'essere sapienti rispetto all'essere stolti, ma tutto alla fine è parificato dall'essere destinati alla morte: sapiente e stolto, uomo e bestia.
Il destino di morte che tutti e tutto accomuna non fonda una visione nichilista. All'uomo spetta il compito di accontentarsi di cogliere quel bene limitato che la vita quotidiana offre (il mangiare, il bere, il godere dei beni...).

critica di Giobbe alla retribuzione qui e ora

Giobbe, innocente, ha quel destino che l'ortodossia del tempo, rappresentata dagli amici, riteneva proprio del malvagio.
Contesta la risposta della sapienza tradizionale che ricercava nel suo comportamento insipiente e malvagio la causa delle disgrazie. Reagisce duramente agli amici, che fanno calcoli con i loro dogmi e non con la realtà che li smentisce. Se la prende con Dio, che chiama in causa in quanto garante del dogma della retribuzione in questa vita.
Dio chiude la bocca a Giobbe facendo leva sulla propria strapotenza. La domanda di Giobbe non ha risposta. Rimane il perché.
Il perché rinvia alla domanda su quale Dio. Il Dio retributore e onnipotente che domina tutto? E allora come conciliarlo con le tragedie umane, con Auschwitz? Oppure il Dio del Gesù crocifisso, il Dio di Alexamenos che adora il crocifisso dalla testa d'asino, il Dio della debolezza, dell'impotenza e della dissennatezza della croce?
Il crocifisso, massimo segno di stupidità e stoltezza per gli uomini è sapienza per Dio, come dice Paolo.

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