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Il problema di Dio nella cultura contemporanea

sintesi della relazione di Armido Rizzi
Verbania Pallanza, 6-7 novembre 1982

Quattro figure di crisi dell'immagine di dio

L'immagine di Dio nella cultura contemporanea passa attraverso quattro tipi di crisi, di morte di Dio.

l'ateismo semantico: il discorso su Dio è sprovvisto di senso

L'ateismo è negazione, morte dell'affermazione di Dio. Qui non si nega solo Dio, ma il nome stesso di Dio; lo stesso linguaggio religioso è ritenuto sprovvisto di significato. Solo le affermazioni verificabili, vere o false, sono provviste di significato (la parete è bianca...).
Dire che Dio esiste significa fare un'affermazione né vera né falsa, ma sprovvista di significato perché inverificabile.
L'ateismo semantico è radicale: abbraccia le stesse premesse di qualsiasi discorso su Dio. E' la posizione assunta dal neopositivismo logico, che ritiene che in ogni ambito del sapere e del conoscere occorre adottare i criteri e i metodi propri della scienza: accettare per vero solo ciò che è verificabile, controllabile, sperimentabile, osservabile. Tutto ciò che non è verificabile non è né falso né vero, è semplicemente privo di senso.
Tutte le affermazioni religiose, etiche, estetiche, metafisiche sono affermazioni insensate. Non dicono nulla sull'oggetto, ma solo esprimono stati d'animo del soggetto. Famosa è la parabola di Flew, sul giardiniere invisibile, la cui esistenza è affermata per spiegare l'esistenza di una zolla di splendidi fiori. Ma quel giardiniere è talmente invisibile da essere ritenuto irreale.
Wittgenstein, ispiratore del neopositivismo, in una successiva fase affermerà che il senso delle nostre affermazioni non è riconducibile alla loro verificabilità empirica. Non sempre facciamo affermazioni che descrivono qualcosa che esiste. Quando dico: "ci vediamo domani alle tre", non affermo qualcosa che esiste, ma che mi impegno a far esistere (è il linguaggio performativo). Ci sono diversi giochi linguistici, ognuno dei quali va compreso al proprio interno. La verificabilità riguarda un certo tipo di linguaggio.
Allora anche il linguaggio religioso ha le sue leggi, le sue regole e la verità o il senso di questo linguaggio è coglibile solo ponendosi all'interno.
Il linguaggio religioso, secondo Ramsey ("Il linguaggio religioso", Il Mulino) esprime la situazione di chi coglie la parola fondante della realtà, il suo senso profondo, parola che interpella ad una risposta. Il linguaggio religioso va compreso all'interno di questa esperienza religiosa.
Per esempio dire che Dio "è la causa prima", non ha senso sul piano del discorso scientifico. Se invece lo si colloca all'interno dell'esperienza religiosa, dell'esperienza del senso profondo della realtà che interpella, allora se ne coglie la sensatezza.
Occorre parlare di Dio al di là del linguaggio modellato sul mondo delle cose (il mondo della oggettività scientifica). Anche molti teologi, soprattutto del mondo protestante, ritengono profondamente irreligioso parlare di Dio in maniera oggettivistica, così come si parla delle cose (Bultmann). Dio non è una conquista, ma si manifesta.
Nei credenti è diffusa una certa sfiducia nei procedimenti dimostrativi con cui si presumeva di argomentare su Dio. La fede appartiene ad un altro ambito di conoscenza (non però della pura decisione). Il momento della decisione che fa parte della fede: è risposta ad un appello che mi viene dalla realtà che mi si è manifestata. La conoscenza di fede non è di tipo argomentativo, dimostrativo.

l'ateismo delle filosofie del sospetto: l'esperienza religiosa è pura illusione

L'esperienza religiosa (non più il discorso su Dio, le dimostrazioni), vista dall'esterno, si mostra come illusione. Tu credi di cogliere nell'esperienza religiosa Dio, il senso profondo della realtà. Di fatto sei tu che crei, che produci quella realtà in cui vuoi credere. Dio è un prodotto dell'uomo, dei suoi bisogni, delle sue paure, delle sue aspirazioni, dei suoi desideri. Dio non è quella presenza che ti viene incontro e che tu accogli, ma è una secrezione, un prodotto della tua coscienza.
Per Marx è l'uomo che produce la religione a partire da una società disumana, alienata, rovesciata. Questa società disumana e rovesciata produce la coscienza rovesciata dell'uomo, la religione. La religione diventa una giustificazione del mondo ingiusto. Ma è anche il gemito della creatura oppressa, è manifestazione di una umanità sofferente. Solo che è una produzione illusoria e consolatoria di un mondo dell'al di là che possa soddisfare quei desideri di giustizia e di libertà che in questo mondo non sono soddisfatti. Così la religione diventa un tranquillante, un narcotico, l'oppio del popolo: distoglie dal mondo terreno e dalla sua trasformazione per cercare consolazioni nell'al di là. La religione perciò è la produzione di un mondo futuro nell'al di là che corrisponde ai miei desideri. Ma poiché l'alienazione religiosa dipende da precise condizioni sociali ed economiche, il rovesciamento delle stesse comporterà la fine della religione. Per fare la critica del cielo dobbiamo fare la critica della terra.
Anche per Freud la religione è una proiezione dell'uomo, delle sue strutture psicologiche; è un'illusione, è appagamento dei desideri più antichi, più forti, più pressanti dell'umanità. Sono i desideri di un'umanità immatura rimasta allo stadio infantile.
Innanzitutto il desiderio di sentirsi protetto contro i pericoli della vita, contro i pericoli che la minacciano dall'esterno e dall'interno, contro i pericoli della natura (l'uomo si sente in balia di forze che non riesce a controllare e desidera che qualcuno regga e governi la natura), contro i pericoli della società (le società per sussistere hanno bisogno di norme, di una disciplina degli istinti, che pochi osserverebbero se fossero viste solo come frutto di una convenzione umana. Ecco la necessità di un Dio garante e sostegno della struttura sociale).
Poi il desiderio di immortalità, di una vita ultraterrena.
La religione è così un prodotto dei desideri più forti dell'uomo, è una illusione di uomini rimasti allo stadio infantile, che non sanno reggere la cruda verità di un mondo vuoto di senso.

la morte del Dio del monoteismo

"Dio è morto" è il grido di Nietzsche. E' morto il Dio del monoteismo, il Dio della tradizione ebraico-cristiana, che è nato distruggendo la visione del mondo propria del politeismo greco. Per Nietzsche il monoteismo e i suoi pseudovalori sono nati reprimendo i veri valori del politeismo.
Tutto lo sforzo del pensiero occidentale è stato quello di ricondurre ad un principio unico le manifestazioni contraddittorie e cangianti della realtà, o ad un principio positivo (al bene, a Dio) o a un principio negativo (l'ultima parola della realtà è il non senso, il fallimento).
Per il politeismo invece c'è il bene e c'è il male, come espressioni irriducibili della natura. Il reale non è riducibile a uno, ma è molteplice di natura sua. La realtà è in queste apparenze contraddittorie, dello splendore del fiore e del pesce grosso che mangia il pesce piccolo. Il cristianesimo ha ucciso l'irriducibile policromia della realtà. Oggi c'è la richiesta di un ritorno al politeismo della natura, della società, dei valori, delle forme di sapere. Non c'è un solo modello di uomo a cui conformarci (non c'è una imitatio Christi), ma ognuno deve essere se stesso, anche in modo contraddittorio l'uno dall'altro.

Dio come legittimazione della logica di dominio, dell'ordine esistente

Secondo Heidegger tutti i sistemi della tradizione teologica e filosofica cristiana sono animati dalla logica di dominio, dell'uomo soggetto dominatore, di cui anche Dio è l'oggetto, l'oggetto superiore. Ma a proposito della logica di dominio si prende qui in considerazione la visione marxista della religione, secondo la quale Dio è il fondamento di una logica di dominio, cioè è il perno, l'asse attorno a cui ruota un mondo ben ordinato, gerarchizzato, in cui ciascuno ha un posto preciso e una precisa funzione da svolgere, e che non può mutare. La logica di dominio ha quindi come contraltare la logica della passività, dell'accettazione dell'ordine esistente, della sottomissione. ("Il cristianesimo predica la necessità di una classe dominante e di una classe oppressa e per quest'ultima ha solo il pio desiderio che la prima possa essere caritatevole..." "Il cristianesimo pone in cielo la compensazione di tutte le infamie e giustifica perciò la continuazione delle infamie sulla terra..." K. Marx).

oltre la crisi

Si passeranno in rassegna le quattro figure di crisi, formulando osservazioni personali.

ritrovare Dio oltre l'ateismo semantico

Occorre ritrovare Dio al di là del linguaggio di cui giustamente si è appropriata la scienza, la quale si attiene all'osservazione e all'organizzazione del discorso sulle cose, sugli oggetti esterni e sull'uomo considerato come dato.

a. ci sono diverse forme di conoscenza

L'ambito della conoscenza umana non si identifica con il sapere di tipo scientifico e razionalistico (osservazione di fatti, verifica, connessione, dimostrazione), con il conoscere da "spettatori neutrali". Ci sono diversi modi di conoscere. Oggi si è passati da una visione razionalistica (Dio è dimostrabile) ad una posizione irrazionalistica (la fede è un salto nel buio). Ma la conoscenza di tipo scientifico razionalistico occupa solo una parte, ristretta, del conoscere.
la conoscenza interpersonale
Delle persone che ci vivono accanto minima è la conoscenza che noi abbiamo in quanto spettatori neutrali, che osservano dall'esterno. Ci fidiamo (o non ci fidiamo) di una certa persona, non certo in base ad una conoscenza tipo "spettatore esterno", ma ad una conoscenza che matura all'interno di un rapporto che coinvolge profondamente i soggetti interessati. Quando due persone si vogliono bene la loro fiducia reciproca non si fonda sull'osservazione esterna di dati da controllare da parte di spettatori neutrali, ma su di un rapporto quotidiano che matura lentamente, all'interno del quale ogni minimo gesto, un sorriso, una carezza, un bacio, una parola diventa significativo e rivelativo. Si tratta di una conoscenza diversa, che coinvolge profondamente il soggetto, che comporta il mettersi sulla stessa lunghezza d'onda. E', cioè, un'esperienza. Tutte le nostre conoscene sono esperienza, ma non tutte le nostre conoscenze sono esperimenti. L'abbaglio del positivismo logico è di confondere esperienza con esperimento.
la conoscenza dei valori
E' possibile dimostrare rigorosamente, utilizzando lo strumento della conoscenza scientifica, perché non devo ammazzare, perché devo rispettare e difendere la libertà, perché non devo diffamare gli altri? Il valore della vita umana non è un dato osservabile, verificabile (anzi il dato constatabile mi parla dell'assoluta precarietà della vita umana). Non è un dato, ma è un'istanza, che si coglie pertanto non come un dato osservabile dall'esterno, ma come frutto dell'esperienza, come acquisizione culturale.
Mentre la conoscenza che osserva, connette e argomenta è neutrale - è indipendente da condizioni soggettive - la conoscenza dei valori dipende dalla situazione di colui che vede, dalla sua storia, dalla sua educazione. E' l'esperienza del valore stesso che mi mostra quel valore come valore: ha in se stesso la propria motivazione.
Occorre imparare a distinguere tra verità e verificabilità: vero non è solo ciò che è verificabile. Tanto più una verità è profonda tanto meno è verificabile.
Lo stesso cammino della scienza si basa su dimensioni non riconducibili al sapere scientifico e razionalistico, come la fiducia reciproca tra scienziati, come il ruolo della fantasia e della immaginazione creatrice nelle scoperte scientifiche.
Si può concludere dicendo che la nostra conoscenza in buona parte non è assistere ad uno spettacolo, ma vivere un'avventura. (La nostra conoscenza è sempre soggettiva - non soggettivistica - in quanto la verità si disvela sempre ad un soggetto).

b. la conoscenza di fede

Se i valori non sono conoscibili da puri spettatori, tanto meno è conoscibile come dato osservabile, verificabile e dimostrabile colui che, all'interno dell'esperienza religiosa, si presenta come il fondamento della realtà e dei valori.
Noi non possiamo metterci di fronte al mondo e osservare Dio. Nel passato si riteneva che se la ragione si poneva in modo imparziale di fronte al mondo non poteva non cogliere l'esistenza di Dio. Il mondo era il palcoscenico in cui Dio si manifestava e si faceva riconoscere all'uomo (le vie di Tommaso).
Mentre allo sguardo dell'uomo medievale il mondo appariva come buono, bello, ordinato (il male non intaccava questa immagine) e in questo modo era facile risalire ad un principio buono e ordinatore, oggi al nostro sguardo il mondo si presenta come un insieme di elementi buoni e non buoni (è il mondo del progresso e il mondo di Auschwitz). Nel mondo c'è tanto di verità e di bontà da alludere alla presenza di Dio e c'è tanto di disordine e di caos da velarne la presenza. Non possiamo deciderci per un senso o per l'altro restando semplicemente a guardare. Sul piano della conoscenza del puro spettatore, sul piano dell'approccio scientifico alla realtà, che osserva e misura le cose buone e non buone, non è possibile scegliere sul senso o sul non senso della realtà.
L'esperienza di fede è la percezione del senso profondo della realtà, della vita. E questo senso della realtà si disvela solo a chi è disposto ad accoglierlo e a viverlo. E' un senso che mi interpella, che richiede una mia risposta, di impostare la mia vita in un certo modo.
Affermare che Dio è infinitamente buono, significa dire che il senso profondo della realtà è il bene, non come dato di fatto osservabile, ma come istanza che mi interpella perché sia realizzato. L'espressione "Dio è buono" ha senso solo all'interno di questa esperienza religiosa, esperienza religiosa che ha in se stessa il proprio criterio di verità.

ritrovare Dio oltre le filosofie del sospetto

Occorre ritrovare Dio oltre le filosofie del sospetto. Guardata dall'esterno, l'esperienza religiosa, nella sua pretesa di cogliere il senso, si mostra come illusione, come prodotto del desiderio e del bisogno. Ma il posto per conoscere non è fuori ma dentro.
L'istanza critica delle filosofie del sospetto non può essere assunta integralmente, pena la distruzione integrale dell'esperienza religiosa (non è possibile per un credente essere integralmente marxista o freudiano). Può essere assunta come istanza limitata al di dentro dell'esperienza di fede per aiutarci a capire quello che in noi è fede (accettazione di un dono di luce che mi interpella e che esige risposta) o non fede (pura proiezione dei nostri bisogni e desideri). Siamo sempre insieme credenti e non credenti. La fede è in cammino: non è mai pienamente se stessa, ma è insieme fede e non fede. E' necessario allora prendere gli strumenti della ragione critica per cogliere le dimensioni proiettive non solo nella nostra esperienza personale di fede, ma anche nelle figure oggettive, nelle istituzioni religiose.

ritrovare Dio oltre il politeismo

Il credente non può accettare integralmente il politeismo, cioè la pluralità irriducibile dei principi della realtà. Per il cristiano resta irrinunciabile l'unicità della fonte di senso della realtà, il "non c'è altro Dio al di fuori di me". Ma la istanza critica del politeismo può aiutare a cogliere la differenza tra l'unicità di Dio e la pluralità dei luoghi in cui si manifesta. La manifestazione di Dio e del senso c'è anche in tutto il popolo di Dio, c'è anche nelle confessioni non cattoliche, c'è anche al di fuori del cristianesimo, c'è anche al di fuori delle esperienze specificamente religiose.

ritrovare Dio oltre la logica di dominio

L'immagine di Dio legato al dominio poggiava sulla idea di Dio come creatore e signore, che giustifica l'autorità, le istituzioni, i signori di questo mondo
Il Dio della bibbia signore e creatore non è il Dio fondamento della realtà così come è, ma come dovrebbe essere. Il Dio cristiano non ha una funzione di dominio, ma di liberazione (Dio si manifesta nella liberazione dell'uomo).
E' possibile quindi parlare di trascendenza di Dio sull'uomo non in funzione di dominio, ma di liberazione.
Il Dio che pone un sigillo su Caino, l'uccisore del fratello, non come maledizione, ma come protezione, fa balenare l'immagine della trascendenza di Dio come fondamento della dignità di qualunque uomo, anche del più sprovvisto di dignità. E' il Dio degli oppressi.
Nella parabola del giudizio finale in Matteo, Gesù giudica in base al comportamento tenuto nei confronti del povero. La presenza di Gesù nel povero non toglie a Gesù la sua trascendenza, ma è proprio la sua trascendenza nascosta nel povero il criterio in base al quale giudica.
In Caino la trascendenza di Dio blocca la mano che vuol colpire il senza dignità, in Gesù la trascendenza di Dio invita a tendere la mano al senza dignità. Dio nel povero è la negazione radicale del dominio.
E' necessario ritrovare Dio al di là della logica del dominio, ritrovandolo non tanto nel discorso su di lui - dato che il discorso ha sempre una componente di dominio, è discorso su, che delimita l'oggetto - quanto nell'esperienza religiosa collocata nell'esperienza etica, l'esperienza cioè della fraternità tra gli uomini. Il Dio della bibbia si manifesta dentro l'incontro tra gli uomini, lì dove due sono riuniti nel suo nome. Lì dove una persona va incontro all'altra nel suo bisogno e l'altra persona che accetta e a sua volta si fa incontro, lì Dio si fa vedere, trasforma quel pezzetto di mondo in mondo suo. E' questo il contesto di un possibile discorso autenticamente religioso al di fuori di ogni logica di dominio.
C'è una sequenza in un filmato televisivo che mostra un ragazzo che descrive ad una ragazza cieca, durante una gita, quello che vede. Al termine la saluta dicendo: "non mi ero mai accorto quanto sono belle queste colline prima di descriverle a te". La ragazza mettendosi a ridere risponde: "che strano scoprire il mondo attraverso gli occhi di un cieco".
"Scoprire il mondo" vuol dire che non lo si è ancora scoperto, che i vedenti non vedono.
"attraverso gli occhi del cieco" significa che il vedente si mette dal punto di vista del cieco, assume quel qualcosa che è nel cieco e non nel vedente e cioè la tensione alla scoperta del mondo, il desiderio di vederlo.
Mettiamo la passione di vedere, che il cieco ha e che il vedente non ha più, negli occhi del vedente e abbiamo la scoperta del mondo: vedere il mondo come lo vedrebbe il cieco se in quel momento riacquistasse la vista.
Ma non basta. Occorre che la scoperta sia comunicata. Il ragazzo descrive alla ragazza quelle colline che sta scoprendo attraverso i suoi occhi, gliele dona e gliele ridona perché vengono da lei.
Il mondo vive nella forma del dono reciproco.
La creazione del mondo non si compie semplicemente da parte di Dio nel mettere lì le cose. Queste diventano creazione in senso biblico, diventano buone, quando Dio le consegna all'uomo per la sua vita e quando l'uomo le accoglie secondo la stessa intenzione che hanno nel cuore di Dio, cioè l'intenzione di dono. Ogni volta che due persone si donano nella parola, nel gesto, nella carezza, nel sorriso,nella condivisione del pane, nell'azione sindacale e politica, lì Dio si rivela, lì accade l'evento della creazione.

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