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Il sacramento della riconciliazione

sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 15-16 gennaio 1983

1 - La crisi del sacramento

È facile constatare la profonda crisi del sacramento della penitenza. Non si tratta soltanto di un diminuita partecipazione, ma piuttosto di una perdita di significato del sacramento nelle coscienze. La crisi è soprattutto qualitativa, per la perdita dei valori soggiacenti.
Non meravigli la crisi: il sacramento della penitenza è sempre entrato in crisi ad ogni trapasso di cultura e ha subito profonde trasformazioni.

Perdita di significato delle categorie antropologiche e teologiche

La crisi del sacramento della penitenza è legata alla perdita di significato sia antropologico che teologico di determinate categorie sulle quali il sacramento si impianta, come la categoria di peccato, di conversione, di penitenza, di riconciliazione e di perdono.
Inoltre la crisi è correlata alla perdita di significato della struttura celebrativa del sacramento, nella prassi preconciliare, ma anche nella prassi inaugurata nel periodo postconciliare cioè nella prassi inaugurata dalla promulgazione del nuovo rito della penitenza. La prassi celebrativa nel suo impianto non riesce ancora a cogliere la ricchezza degli elementi perché il segno sia davvero parlante.
La perdita di significato di tali categorie va attribuita tanto al contesto socioculturale quanto al contesto ecclesiale nella loro interazione.

Categoria di peccato
La categoria di peccato a livello esistenziale è diventata desueta. È venuta meno la percezione di significato di peccato nella coscienza media. Il venir meno è dovuto al passaggio da una cultura sacralizzata ad una cultura secolarizzata che non ha più il sacro come orizzonte ultimo dei significati dell'esistenza.
La crisi del senso di peccato non è solo negativa, è ambivalente. Si pensi alla concezione prevalentemente legalistica di peccato nel passato (rottura con una serie di leggi), indipendentemente dalle condizioni soggettive; oppure alla concezione di peccato come rottura di un ordine normativo imposto dall'alto.
La crisi del senso del peccato a questo riguardo è stata salutare in quanto ha determinato il venir meno di una visione legalistico-autoritaria e quindi estrinseca, che ostacolava la percezione del peccato come una rottura del rapporto personale uomo-Dio.
Certo la crisi della categoria di peccato, come oggi viene percepita e vissuta, nasconde profonde ambiguità. La crisi del peccato è dovuta anche alla presa di coscienza dei limiti della propria libertà e quindi della propria responsabilità. Le scienze umane ci hanno maggiormente reso consapevoli dei condizionamenti che limitano la nostra libertà. Mentre il peccato è il prodotto delle mie scelte, il male mi si impone. E mentre il senso del peccato è aperto alla speranza, il senso del male produce una rassegnazione passiva o un'angoscia nevrotica di disperazione. Nella coscienza contemporanea quanto più decresce il senso del peccato tanto più aumenta il senso di colpa, di contenuto psicologico e non teologale.
Allora per ricuperare il senso corretto del peccato bisogna affrontare il problema della libertà e responsabilità nell'agire dell'uomo.
Peccato e libertà sono due grandezze direttamente proporzionali. Senza libertà non c'è peccato. Ma se le scienze umane ci hanno aiutato a prender coscienza dei condizionamenti questi ultimi non vanno assolutizzati, pena l'essere oggetto di forme nevrotiche, di sentimento di colpevolezza.
La crisi del senso del peccato è poi dovuta al venire meno dell'orizzonte religioso come orizzonte di interpretazione della vita. Se c'è un rapporto stretto tra peccato e libertà, c'è un rapporto altrettanto stretto tra peccato e senso di Dio (senso di Dio autentico, non magico). Paradossalmente un mondo senza Dio è un mondo senza peccato. Le azioni negative non scompaiono, ma la coscienza del peccato è una coscienza relazionale che si ha stando innanzi a Dio. Stiamo parlando del peccato inteso in senso biblico, e quindi in rapporto a Dio. Il peccato può essere percepito solo in un orizzonte religioso. Allora senso di Dio e senso del peccato sono grandezze direttamente proporzionali.
L'assenza del senso religioso conduce a forme sempre più estese di collettivizzazione della colpa, attribuendo il negativo al malessere strutturale, alla situazione sociale, all'ambiente nel quale si è chiamati a vivere e che influisce sulle scelte umane. Ma ciò che toglie responsabilità soggettiva contribuisce a ingenerare fatalismo, rassegnazione passiva, insicurezza patologica.

Categoria di riconciliazione
La maggiore consapevolezza del valore della conflittualità comporta la crisi quasi automatica della categoria della riconciliazione. Per troppo tempo la riconciliazione è stata presentata come il facile e superficiale passare sopra alla conflittualità. Nel mondo cristiano si è fatto finta che i conflitti non esistessero, o si è evitato di affrontarli, rendendo così più acute le tensioni esistenti, oppure si è allontanato colui che produceva conflitto, sia nella comunità ecclesiale che civile.
Anche oggi, a livello di prassi ecclesiale, la riconciliazione è presentata in questo modo, nonostante che a livello dottrinale si sia elaborato il discorso della comunione ecclesiale come unità nella diversità. Se non c'è diversità la Chiesa non esprime più nulla, se non uniformità.
La Chiesa cresce in tanto in quanto sì riconoscono i diritti di tutti: dialettica tra funzioni, carismi, ecc. L'unità nella comunione è unità nella diversità ed è fattore di crescita. Mancando questa riconciliazione al di dentro del tessuto della prassi ecclesiale conseguentemente anche il sacramento perde significato.

Categoria del perdono
Nella nostra società è viva l'istanza di ricupero della categoria del perdono; per-dono, per-gratuità. Ci si rende conto che nonostante gli sforzi di elaborazione dalla conflittualità che devono essere portati avanti fino in fondo in nome della giustizia a tutti i livelli, ci sono situazioni nelle quali non è facile superare lo stallo della contrapposizione se non attraverso dei gesti di gratuità, in modo da introdurre un principio nuovo, il principio dell'amore. Come la riconciliazione sta alla logica della giustizia così il perdono sta al1a logica dell'amore, che Cristo introduce e che supera la stretta giustizia dopo averla assunta.
Si dovrà prestare attenzione allo pseudoperdono, che rende complici con chi ha commesso il male. II perdono riconosce il peccato ed esclude la vendetta. La logica nuova del "ma io vi dico" sollecita 1'altro, attraverso un atto di amore gratuito, a prender coscienza della sua situazione e a cambiar rotta... Il perdono è più esigente della stretta giustizia perché atto di amore gratuito e, come tale, comporta una risposta di amore altrettanto gratuita,
Gesti di perdono sono scarsi nella prassi ecclesiale. Si pensi al tema della violenza e del terrorismo in Italia. Quale è stata la identità-diversità dei cristiani ispirata al vangelo? Si è avuto soltanto qualche eccezione. Sembra che non sia scomparso un sottile spirito di vendetta... Alcuni gesti sono stati profondamente significativi, come quelli delle famiglie Bachelet e Taliercio, gesti che non dovrebbero meravigliare come eccezioni,ma che dovrebbero essere normali.
Senza la prassi del perdono il gesto perde significato.

Difficoltà determinate dall'attuale simbolismo liturgico-rituale

La crisi della penitenza è da attribuire anche all'impianto celebrativo del sacramento.
Ecci alcuni aspetti carenti:

Poca sottolineatura nella celebrazione dell'atteggiamento personale di conversione
Normalmente i1 sacramento è ridotto a un gesto magico, che non consente un cambiamento interiore. Non si percorre un cammino di conversione ma si pongono dei gesti che rassicurino di fronte a un Dio vindice. L'aver attribuito valore al gesto in sé ha privato di significato l'aspetto di conversione soggettiva. Così pure il prevalere dell'aspetto giudiziario ha svalutato l'aspetto personale di conversione. O ancora, l'eccessiva importanza data al gesto dell'assoluzione, slegata da un cammino di conversione, conferisce al gesto un carattere magico. Con l'assoluzione, il peccato è cancellato e la persona è a posto.
Oggi è ancor poco presente l'aspetto dalla conversione personale, perché la celebrazione della penitenza manca di "dimensione storica". Nella Chiesa primitiva la celebrazione della penitenza occupava un'estensione di tempo che consentiva di fare "quel cammino di conversione". Oggi invece tutto avviene in un istante. Nella Chiesa primitiva lo spazio più breve era di quaranta giorni, durante i quali si compiva anche un cammino di mutazione di vita con preghiere, opere caritative, ecc. Ristretto lo spazio si ha l'impressione di estrema magicità.
Il legame troppo rigido con l'eucaristia ha sminuito l'atteggiamento personale della conversione. Da molti il sacramento della penitenza è percepito come una forca caudina, una strada obbligata per l'accesso alla comunione. E non è percepita la penitenza come luogo e modo di vivere il mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore. Cioè non è vissuto come sacramento a se stante.

Eccessiva sottolineatura degli aspetti psicologici-umani rispetto a quelli cultuali-sacramentali
Il sacramento della penitenza è percepito in termini di liberazione dal senso di colpa. Non si distingue tra senso di colpa e senso del peccato. Peccato è ciò che appartiene all'ordine del cosciente, mentre la colpa all'orizzonte del subcosciente.
C'è la percezione che il sacramento abbia un valore liberatorio sul piano psicologico, come liberazione automatica, soprattutto nella celebrazione personale. Prevalgono fattori egocentrici e legalistici: orgoglio personale, ansietà, senso di colpa... che nulla hanno a che vedere con il senso del peccato. Sono motivazioni incentrate sull'uomo e non su Dio. Il sacramento non è così visto come un luogo celebrativo del perdono e della misericordia di Dio. Sfugge la dimensione cultuale del sacramento, come rendimento di grazie alla misericordia di Dio, da celebrare nella gioia. Celebrare Dio che mi perdona sempre costituisce il cuore della riscoperta della celebrazione della penitenza comunitaria.

difficoltà nell'evidenziare il senso comunitario, sociale del peccato e della riconciliazione
È vero che la prassi della penitenza comunitaria si diffonde, ma anche all'interno di questa prassi anziché creare spazi di comunità, per cui senso del peccato e della conversione devono essere giocati nella dimensione ecclesiale, si rischia di essere tanti singoli, ciascuno chiuso nella propria esperienza e non in una esperienza comune, come avveniva nella chiesa primitiva. Insomma si potrebbe dire: non basta fare una penitenza comunitaria se non c'è una comunità cristiana alle spalle.
Bisogna perciò essere in comunicazione con la comunità cristiana celebrante (anche se ad essa non si partecipa abitualmente). C'è un respiro che mi fa percepire il senso sociale del peccato e della riconciliazione, l'impoverimento da me procurato a tutto il Corpo di Cristo. Se manca questo clima anche l'impianto celebrativo con i migliori formulari rischia di essere carente rispetto alla percezione del significato profondo dell'aspetto comunitario del sacramento sia per quanto riguarda il peccato sia per quanto riguarda la riconciliazione.

2 - Il cammino storico del sacramento

Il sacramento della penitenza ha subito variazioni lungo i secoli sia a livello di contenuto che di prassi celebrativa, risentendo fortemente l'influenza delle diverse epoche storiche. In breve alcune tappe significative, sottolineando strutture e aspetto celebrativo del sacramento.

La penitenza pubblica nella chiesa primitiva
Durante i primi sei secoli si afferma la forma della penitenza pubblica. Due sono gli aspetti caratterizzanti: la penitenza o itinerario di conversione e la riconciliazione ecclesiale, in cui tutta la comunità partecipa alla penitenza.
È detta "pubblica" non per la denuncia pubblica dei propri peccati, ma perché era pubblico l'itinerario penitenziale.
Fin dall'inizio (Pastore di Erma, II secolo) si è convinti che oltre al battesimo vi è un'altra tavola di salvezza, quella della penitenza, riconciliazione e pace con la Chiesa. L'espiazione del proprio peccato dopo il battesimo avviene in due tappe: l'excomunicatio (scomunica): la celebrazione penitenziale inizia con la scomunica cioè con l'allontanamento dalla comunità ecclesiale (esclusione dalla comunione eucaristica, dal momento più alto della comunione ecclesiale), e la reconciliatio, (riconciliazione).
La Chiesa prende prima le distanze dal peccatore, per poi riammetterlo nella pienezza del rapporto eucaristico. La scomunica aveva valore sacramentale, non giuridico, come. avverrà in seguito. Il peccatore che manifesta il proprio peccato alla comunità cristiana deve innanzitutto mettersi nella condizione di fuoriuscita dalla comunità per rendersi consapevole del danno recato. alla comunità e così compiere un cammino verso una compiuta comunione ecclesiale, soprattutto nel segno eucaristico.
Nell'epoca patristica si precisa che "la seconda tavola di salvezza " può essere celebrata una sola volta nella propria esistenza (già con il Pastore di Erma) in analogia con il battesimo. Questo rigore è favorito dalla forte tensione escatologica dei primi tempi.
Si faceva penitenza pubblica non di tutti i peccati, ma di quelli pubblici, che turbavano l'ordine sociale o ecclesiale. Per altri peccati esistevano altre forme di penitenza.
Tertulliano (II-III secolo) introduce il concetto di colpa irremissibile; esistono cioè peccati che non possono essere sottoposti alla penitenza pubblica ecclesiale; nemmeno la Chiesa li può rimettere. La Chiesa ha un potere limitato, e ci si affida alla misericordia di Dio.
Lo svolgimento dell'itinerario penitenziale avviene in tre grandi tempi.

a - Ingresso solenne nella penitenza attraverso un atto pubblico: tutti coloro che spontaneamente si sottoponevano alla penitenza pubblica della Chiesa venivano scomunicati. Il penitente scomunicato non poteva partecipare alla comunione eucaristica, mentre doveva partecipare alla liturgia della parola, in un luogo riservato della chiesa, in ginocchio. Entrava a far parte dell'ordine dei penitenti, e si sottoponeva a varie privazioni (dalla cenere sul capo al taglio dei capelli a zero, ecc). Tale penitenza poteva prolungarsi anche per tutta la vita, secondo il tipo di peccato. Il rito era presieduto dal vescovo. L'itinerario penitenziale avveniva durante tutta la quaresima, forte tempo penitenziale e sacramentale. La riconciliazione aveva luogo il giovedì santo, con la partecipazione alla Cena del Signore.
b - Periodo dell'espiazione, dalla quaresima all'intera vita. Il vescovo decideva della durata dell'espiazione e gli obblighi di diversa natura (digiuni, sepoltura dei defunti, proibizione del servizio militare, e obblighi più gravosi come cilici, ecc.).
Nel IV-V secolo si consiglia molta cautela nell'uso del sacramento per il suo riflesso penitenziale. Alcuni sinodi vieteranno ai giovani la disciplina penitenziale e altre volte la si permetterà solo a chi era ammalato senza speranza di guarigione (S. Agostino dirà di non essersi mai sottoposto alla disciplina penitenziale).
Del resto in quel tempo entrare nell'ordine sacerdotale o in convento era ritenuto una nuova "tavola di salvezza", un nuovo battesimo, una rigenerazione (di qui il cambiamento di nome dei religiosi). Venivano così rimessi tutti i peccati senza la penitenza pubblica.
c - Rito di riconciliazione, rito solenne presieduto dal vescovo, caratterizzato dall'imposizione delle mani e dall'assistenza orante della comunità.
Durante la quaresima, al mercoledì e venerdì, i fedeli erano richiamati alla preghiera con e per i penitenti (stazioni penitenziali).
Poiché l'itinerario penitenziale si svolgeva dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo, si parlava di una quaresima sacramentale.

Penitenza privata o tariffata nella chiesa medievale.
Dal VII-VIII secolo si diffonde la penitenza privata o tariffata.
La penitenza è detta privata perché non è più l'itinerario pubblico a determinare lo svolgersi del segno, ma la denuncia privata dei propri peccati. Non è più il vescovo, ma il ministro ordinato ad accogliere chi vuol fare la denuncia dei propri peccati. La penitenza è chiamata anche tariffata: è compito del presbitero non solo accogliere la denuncia dei peccati, ma soprattutto assegnare le tariffe penitenziali in rapporto alla qualità e quantità dei peccati. Ci sono tariffe per ogni tipo di peccato: preghiere, azioni di carità, digiuni, ecc.
La forma, ora privata, non è più celebrazione, ma amministrazione del sacramento della penitenza, mescolanza di usanze monastiche e di formule giuridiche dei popoli germanici. Nei monasteri anglosassoni i monaci, a fine settimana, denunciavano all'abate le proprie colpe. Inoltre, nel diritto germanico era in uso la composizione legale: commutazione di una pena con altri gesti, come offerta in danaro o altro.
La penitenza diventa segno privato e segno caratterizzato da un processo commutativo. Nascono i libri penitenziali con elenchi di peccati, tariffe relative e commutazioni: prontuari insomma ad uso dei confessori.
A questo punto la penitenza diventa un fatto al quale si può accedere molte volte in vita, quando ci si sente in stato di peccato. L'assoluzione del penitente avviene quando questi adempie le tariffe penitenziali. Il meccanismo penitenziale rimane totalmente segreto. In seguito il perdono sarà dato immediatamente, perché acquisterà sempre più importanza la confessione del peccato a scapito dell'itinerario penitenziale. Di fatto il sacramento della penitenza verso il XI secolo si chiamerà sacramento della confessione. Fino al XII secolo rimangono nella prassi le due forme penitenziali, quella della chiesa primitiva, pubblica, e quella privata.
Si fa strada la convinzione che si debba tariffare anche il peccato non oggettivamente grave.
L'elemento nuovo è la confessione sempre più dettagliata (casuistica): occorre sapere bene quante volte e come il penitente ha peccato, per somministrare una tariffa penitenziale adeguata. Quel che era secondario nella disciplina primitiva ora diventa principale.
L'elemento confessione diventa sempre più importante quanto più si svuota l'elemento penitenziale con la tariffa e poi con il sistema delle commutazioni penitenziali. Con questo sistema dure penitenze sono commutate in offerte per la celebrazione di messe o in tariffe pecuniarie. Addirittura si ammette la commutazione di una penitenza per interposta persona, possibile evidentemente da parte di uomini ricchi che possano assoldare sudditi o servi, ecc. Evidentemente questo processo conduce alla svalutazione del cammino di conversione. L'accusa delle colpe diventa così l'elemento essenziale: l'assoluzione avviene subito dopo l'accusa, mentre la penitenza si può posporre... In sostanza, fino al Vaticano II la penitenza è diventata confessione.
sviluppo della teologia della penitenza dal concilio tridentino al Vaticano II
Il concilio di Trento assume il modello della penitenza privata come unico modello.
Il fatto è spiegabile nel contesto storico di polemica con la riforma luterana, dove quest'ultima affermava che non si poteva acquisire la salvezza mediante compravendita di indulgenze o di commutazioni penitenziali. In seguito l'atteggiamento luterano si radicalizzò con la negazione del valore sacramentale della penitenza, anche se poi nelle chiese protestanti si fece strada la necessità di un qualche segno di penitenza e di riconciliazione.
Il concilio tridentino reagisce imponendo come modello unico ed esclusivo la penitenza privata e tariffata, depurata da alcuni elementi deteriori. Si stabiliscono norme precise alla amministrazione della confessione (importanza della confessione dei peccati nella loro integrità materiale, numero, specie, ecc.).
Il rapporto tra penitenza ed eucaristia, impostato dal concilio di Trento in modo equilibrato (l'eucaristia è definita sacramento di riconciliazione e di perdono dei peccati), viene sbilanciato e esasperato nel periodo postridentino, imponendo la necessità della penitenza per accostarsi alla comunione, soprattutto quando si è in stato di peccato grave.
La penitenza non è più riservata ai peccati gravi ma si estende ai peccati leggeri. La penitenza diventa una pratica di devozione. Nel periodo post tridentino si introduce anche l'uso del confessionale.
Nel modello postridentino si sottolinea particolarmente l'aspetto giudiziale e il giudice deve indagare, chiedere, giudicare, comminare la sentenza, con raccomandazioni e inviti alla penitenza, dove quest'ultima diviene sempre meno determinante rispetto alla forma primitiva.

Nuove prospettive del Vaticano II
Al Vaticano II si fa strada una rielaborazione del sacramento con una celebrazione articolata. Si rendono possibili antiche forme di celebrazione, in vista del ricupero di valori che devono riemergere per ridare significato al sacramento.
Gli elementi venuti meno e da ricuperare sono la dimensione comunitaria, la dimensione cultuale-celebrativa, la dimensione di storicità del processo penitenziale, la dimensione di penitenza come itinerario interiore di conversione.
Tre sono le categorie fondamentali per un itinerario sacramentale autentico:
1) l'elemento conversione, legato all'aspetto personale di mutamento;
2) l'elemento riconciliazione, che ricupera la dimensione ecclesiale;
3) l'elemento perdono di Dio, che ricupera la dimensione cultuale. Sono tre dimensioni da ricuperare nella loro reciprocità.
Come ricuperare il legame con il passato (non come tradizione ripetitiva, ma come memoria creativa), nell'attenzione al presente visto in prospettiva futura?

3 - Per una teologia e una pastorale della riconciliazione

Dalla correlazione delle tre dimensioni (personale, comunitaria-ecclesiale e cultuale) o delle tre categorie (conversione, riconciliazione, perdono) è possibile ricavare una ristrutturazione del sacramento con un serio fondamento teologico capace sul piano celebrativo di esprimere più compiutamente sia i bisogni dell'uomo che le istanze della rivelazione.

ricupero del cammino personale di conversione
Uno dei rischi ancora presenti nell'attuale celebrazione del sacramento è quello di una sua meccanizzazione e riduzione a rito magico, a una "pratica" attuata per mettersi al sicuro di fronte a Dio (ricerca di una propria rassicurazione e non ricerca di Dio).
È necessario ricuperare il momento interiore, collegando la dimensione del perdono di Dio con quella del cammino di conversione. Il perdono di Dio accolto in un cuore disposto e disponibile apre al cammino della penitenza, caratteristica del sacramento (vedi i segni nella penitenza dei primi secoli).
L'estensione nel tempo della pratica penitenziale, propria della chiesa primitiva, significava un cammino da percorrere. Nella teologia medioevale gli atti del penitente (esame di coscienza, dolore per il peccato, proposito...) erano parte integrante e necessaria del sacramento della penitenza e non solo condizioni previe. Per S.Tommaso sono due i celebranti determinanti del sacramento. Il prete che media la riconciliazione ecclesiale e il perdono di Dio e il penitente con i suoi atti. La penitenza non è riducibile alla sola confessione dei peccati. È un cammino.
Che significa rivalutazione della dimensione "personale" del sacramento o dell'aspetto di conversione? Il peccato è una grandezza religiosa prima che una grandezza etica o giuridica; è rottura con "qualcuno" e non con "qualcosa". In questo senso innanzitutto ha una valenza religiosa. Perciò la conversione è ritorno a "qualcuno". Nel profetismo la conversione è un rivolgere le spalle agli idoli morti per far ritorno al Dio della vita e della storia. È un cambiare rotta, un rimettersi in comunione con Dio. È il "perdere" la propria vita e "ritrovarla" in senso evangelico.
Giovanni non usa il termine conversione, ma riconduce il senso della vita cristiana alla fede e il peccato alla non fede. Il peccato è non riconoscimento del rapporto con Dio. Allora peccato è tenebre, menzogna.
Certo, la conversione deve diventare conseguentemente un fatto morale, un cambiamento dello stile di vita, dei modelli di comportamento. La conversione, nel Nuovo Testamento, è sempre collegata alla sequela di Gesù o alla logica nuova del regno di Dio. Nel discorso della montagna si hanno in positivo i parametri morali dell'uomo nuovo ("beati i poveri..." ecc.) e in negativo la contrapposizione tra la logica mondana e la logica di Dio, tra la logica del "fu detto agli antichi..." e la logica del "ma io vi dico..." (Mt 5,43-44). La morale cristiana è quella del "ma io vi dico", dei nuovi orientamenti, davvero normativi, come ideali di perfezione. È un mettersi in cammino continuamente: "Siate perfetti come il Padre..." (Mt 5,48). La vita del cristiano è una continua trasformazione per una più completa donazione al Padre e ai fratelli, un vivere radicalmente l'amore.
Ora questa trasformazione, questo cammino non possono avvenire nel tormento, nella colpevolizzazione, ma solo nella gioia, in una profonda serenità. Convertirsi vuol dire far ritorno alla "Casa del Padre", vuol dire incontro con qualcuno di estremamente importante per la propria vita: tutto ciò è ragione di vivissima gioia. Se la conversione significasse soltanto ritorno a una fedeltà di ordine morale o a un ordine normativo non susciterebbe gioia. La conversione è ritrovare "qualcuno".
Occorre evitare perciò sia l'atteggiamento di colpevolizzazione di fronte all'ideale di perfezione, proprio di chi non tiene conto della precarietà della situazione umana, sia l'opposto atteggiamento di rinuncia a un ideale di perfezione perché troppo difficile.
Vivere la conversione invece significa tener desto l'ideale di perfezione davanti a sé per prendere coscienza della povertà propria e insieme vivere il distacco dall'ideale di perfezione non in termini di colpevolizzazione, ma in termini di attenzione continua alla misericordia di Dio, che perdona e aiuta ad andare innanzi.
Come coltivare pastoralmente questi aspetti della conversione?
Un cammino autentico di conversione richiede il superamento dell'autogiustificazione farisaica. L'autogiustificazione suscita sensi di disperazione, in caso di fallimento, o di appagamento presuntuoso se si chiede a Dio di darci quel che si è meritato. Si supera la disperazione o la presunzione dell'autogiustificazione con il riconoscimento del proprio limite umano, della propria incapacità... Bisogna verificare la propria condotta non tanto sulla base di una precettistica diffusa, quanto sulla fedeltà ad orientamenti di fondo della nostra esistenza. Si tratta di verificare i nostri atteggiamenti morali alla luce dei valori della povertà e della carità, come donazione a Dio e ai fratelli, senso ultimo della vita morale.
Il ricupero del cammino personale di conversione comporta allora mutamenti anche sul piano della celebrazione. Il tener conto dei tempi della conversione, che si opera nel corso di lunghi periodi, comporta una rivalutazione dei tempi, come quello del tempo quaresimale come tempo sacramentale.

Attualizzazione della dimensione comunitaria ed ecclesiale
Il momento della riconciliazione è tipicamente ecclesiale, maggiormente messo in evidenza dalla forma comunitaria della celebrazione (seconda e terza forma).
Soprattutto i testi del Nuovo Testamento mettono a fuoco la dimensione ecclesiale del sacramento.
Mt 18,18 (16,19): promessa di "legare e sciogliere" e Gv 20,25 "ritenere e rimettere". Se letti nel contesto rabbinico, questi testi non esprimono tanto il potere di assolvere, ma esprimono piuttosto due momenti della prassi penitenziale che la chiesa primitiva aveva ben compreso. Momento del legare come excomunicatio e momento dello sciogliere come reconciliatio. Nella 1 e 2 Corinzi l'incestuoso viene tenuto nella comunità perché espii (1 Cor 5,2.13) per poi reintegrarlo nella comunità (2 Cor 2,5-10) perché ha fatto penitenza. Due processi nello stesso ordine: legare e rimettere. Non c'è potere di non assolvere, di mantenere in uno stato di lontananza da Dio una persona... semmai vi sarà un potere di aiutare il penitente a compiere un cammino per la piena riconciliazione. Importante è quanto sottolinea la teologia contemporanea cioè il nesso, nella frase, tra cielo e terra: "tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in cielo" (Mt 18,18), cioè la chiesa come luogo di mediazione del perdono del Padre (che è ciò a cui il sacramento si riferisce).Se il Cristo è il segno efficace della presenza dell'amore di Dio nella storia umana, è vero che la presenza di Cristo continua nella storia, nella venuta del suo regno, attraverso la mediazione della chiesa, che dovrebbe essere segno e sacramento di Cristo nella storia umana. I sacramenti sono allora pensati al di dentro di questa mediazione della chiesa. E i sacramenti si articolano secondo le diverse situazioni umane, dalla nascita alla morte. A tutto questo partecipano anche le realtà cosmiche e quanto prodotto dagli uomini, come il pane, il vino, ecc. Ora una comunità cristiana che non fa della sua esperienza storica il luogo della riconciliazione, all'interno di se stessa nei confronti del mondo, non rende trasparente la mediazione, non diventa percepibile, vanifica il segno.
Allora che significa vivere la prassi della riconciliazione all'interno della comunità cristiana per poi poterla celebrare? Significa per esempio accettare la conflittualità all'interno della comunità, accettare la diversità, concepire la comunione non come appiattimento, ma come unità dei diversi; saper vivere al di dentro dei conflitti e sforzarsi di elaborarli, nella ricerca di sintesi sempre nuove. Se questo non è il senso della prassi ecclesiale, il segno celebrativo viene vanificato. Allora non si comprenderà il perché della mediazione ecclesiale.
Significa ancora concepire l'unità non come un dato, ma come una unità dinamica, come un orizzonte aperto, un traguardo dinanzi all'uomo; come una unità mai totalmente raggiungibile nella sua perfezione, verso la quale siamo in cammino costantemente, riconoscendo le nostre divisioni, i nostri conflitti, le nostre difficoltà e sperando (speranza escatologica) in quel Dio che ci ha fatto dono della sua unità e ce ne farà dono totalmente quando la chiesa si identificherà con il regno di Dio.
Allora la prassi di riconciliazione deve essere messa in atto a tutti i livelli, perciò anche a livello di celebrazione.
In una comunità solo apparente la celebrazione rimane in sostanza una celebrazione privata. È pertanto fondamentale l'edificazione di un'autentica comunità cristiana, che coinvolgerà nella celebrazione anche il mondo, anche la storia.
È importante l'invenzione continua e creativa di forme celebrative capaci di interpretare il senso dei peccati che si compiono in quella comunità e il tipo di riconciliazione che alla comunità deve essere proposta. Creatività e libertà come essenziali a questo sacramento per esprimere un riconoscimento comunitario del peccato e per trovare strade comunitarie e sociali per un superamento dello stato di peccato e perciò di riconciliazione.
Il rito nuovo presenta proposte interessanti, ma non giunge sino alle conseguenze della assoluzione comunitaria, con una denuncia di peccato davanti all'intera comunità in forme creative, prendendo coscienza della propria situazione e del bisogno di cambiamento.

rinnovamento dell'aspetto cultuale della celebrazione
Il ricupero dell'aspetto cultuale della celebrazione della penitenza è da porre in relazione con la categoria antropologica e teologica di perdono.
La penitenza è anche il sacramento dell'esperienza del perdono e della misericordia di Dio.
Nella liturgia orientale è molto presente tale aspetto, mentre lo è molto meno nel rito invalso nella chiesa cattolica dopo il concilio di Trento, cioè nella confessione precisa dei peccati.
Occorre rimarcare che l'aspetto più importante è quello del perdono di Dio. In ultima analisi è lui che ci perdona, sia pure nel nostro cammino di conversione e di mediazione ecclesiale. Il suo è un intervento salvifico e liberante.
Ricuperare l'aspetto del perdono significa rendersi capaci di celebrare, perché celebrare vuol dire rendere grazie a Dio, riconoscere che solo da lui viene la salvezza. Accogliere il perdono, per-dono.
Mentre nei primi secoli il modo di celebrare la penitenza (gesti, espressioni, durata, presenze) manifestava più chiaramente l'accoglienza del dono gratuito, del perdono di Dio, oggi questo aspetto celebrativo è meno presente, anche nella sua forma comunitaria. Si mette maggiormente in evidenza la mediazione ecclesiale e il significato di riconciliazione.
Celebrare il perdono di Dio è abbandonarsi in modo totale a Dio, rifiutando così di costruire una vita senza o contro di lui.
Bisognerà allora riconoscere il bisogno del perdono nei diversi ambienti nei quali si vive per poterne sentire l'esigenza e celebrarlo attraverso il segno sacramentale. Se la Chiesa non fa proprio questo atteggiamento nella prassi quotidiana e vive secondo il diritto, secondo la stretta giustizia, se non vive la logica dell'amore del nemico e del porgere l'altra guancia, allora l'atteggiamento del perdono non emerge nel momento celebrativo. Non si può celebrare quello che non si vive.
Alcuni fattori da rivalutare per dare significato al momento celebrativo della penitenza:

  • ricordare la dimensione della conversione permanente. Il sacramento non si consuma nel segno, ma continua nella conversione dell'uomo.
  • porre l'accento nella celebrazione sul fatto che in quel momento è in atto un'azione e un intervento di Dio nei riguardi del penitente. Dio agisce in quel momento con la logica dell'amore, della giustizia misericordiosa... "Ha amato molto, molto le viene perdonato..." (Lc 7,47). La giustizia di Dio è una giustizia dell'amore. Dimensione verticale del sacramento insieme a quella orizzontale cioè ecclesiale e personale. L'impianto celebrativo deve far toccare con mano questi diversi contenuti del sacramento
  • rapporto tra celebrazione e vita. Il sacramento deve diventare trasparenza della vita, come rendimento di grazie a Dio che perdona, atto di culto che glorifica la misericordia di Dio nella gioia. Ma questo presuppone un'esperienza del perdono e una prassi ecclesiale.
  • La penitenza si celebra nel segno della Pasqua del Signore, segno di morte e di resurrezione. È il giudizio liberante di Dio, diverso da giudizio degli uomini, un giudizio di amore, nella vita nuova nel mistero pasquale.
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