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Aspetto storico della penitenza (1)

sintesi della relazione di Mario Perotti
Verbania Pallanza, 12 febbraio 1971

La remissione dei peccati nella storia della chiesa

Si tratta di fare una indagine con metodo storico, con la consapevolezza di condizionamenti e di precomprensioni che possiamo avere, per verificare se c'è sempre stata nella chiesa la coscienza della possibilità della remissione dei peccati commessi dopo il Battesimo e come si è manifestata, cioè come la comunità cristiana individuava i peccati e che atteggiamento assumeva nei confronti dei peccatori.
Non si vuole affatto dimostrare che quanto oggi si vive e insegna nella chiesa è sempre stato vissuto ed insegnato nelle stesse forme attuali; non vi è alcun intento apologetico, per questo saranno evitate le categorie teologiche posteriori al periodo che prenderemo in esame.

Dal I al VI secolo: la penitenza canonica

Preparazione storica: antecedenti e fondazione
Ogni discorso storico va collocato nel suo contesto socio-economico culturale, rilevandone condizionamenti e interferenze. Analizzando le componenti della visione del mondo propria del nostro periodo, vedendone le origini e gli sviluppi, potremo effettuare un utile confronto con la situazione attuale e rilevarne gli aspetti di continuità e di cambiamento ed il loro valore per noi. Nessuno oggi inizia uno studio storico sulla chiesa antica senza evidenziare gli aspetti, gli atteggiamenti e le tradizioni giudaiche, che hanno costituito gli antecedenti e il contesto di sviluppo delle prime comunità cristiane.

a) Antico Testamento: Il popolo dell'alleanza
Nell'antico testamento l'alleanza è un dono gratuito di Dio al suo popolo; la risposta di fede costituisce il popolo come insieme di individui, che hanno un atteggiamento di fondo di apertura a Dio. Questo atteggiamento di fondo si esprime anche attraverso norme e leggi che si è impegnati ad osservare.
È possibile a riguardo di queste norme e leggi anche un rifiuto, con alcune azioni che rendono l'individuo colpevole, contro il popolo e contro Dio. Queste azioni sono chiamate peccati.
Nel libro dei Numeri (15, 22-31) si fa una distinzione tra i peccati.
Ci sono peccati commessi per superbia, per ribellione, che infrangono l'alleanza con Dio e staccano dal popolo; i colpevoli non hanno più diritto di essere nel popolo, e vengono così condannati a morte per lapidazione. È un modo per difendere l'ordine all'interno della comunità del popolo, ordine codificato sotto la guida di Mosè e dei profeti. Se il popolo condanna il peccatore, lo fa solo per tenere lontano da sé il peccato; si prescinde dal giudizio di Dio, che, nel caso di pentimento, diventa giudizio di perdono del peccatore.
Ci sono poi peccati commessi per ignoranza, debolezza. I peccati minori possono essere perdonati attraverso il rito di espiazione, un sacrificio che cancella la malizia degli stessi.
E nel giorno del grande perdono (Kippur) significativa è la liturgia in cui tutto il popolo, guidato dal grande sacerdote, fa la confessione generale sui tre animali che saranno poi immolati per ottenere da Dio il perdono: il toro per i sacerdoti e i due capri per il popolo. La liturgia di questi riti esteriori sembra tratta dai riti funebri: si piange, ci si straccia le vesti, ci si dispera come per la morte di un amico; sono gesti che esprimono il grande rimpianto per la perdita dell'alleanza con Dio.
I profeti insistevano più sulla conversione (shûb) del cuore piuttosto che sui riti, che nei tempi postesilici tenderanno ad essere solo dei riti esterni, perfetti dal punto di vista rituale, ma che non incideranno più sulla vita e sulla condotta del popolo.
La sinagoga ai tempi di Gesù condannava ancora a morte il peccatore (vedi l'adultera presentata a Gesù, ecc.); insieme però s'instaurava una nuova prassi, quella dell'espulsione dalla sinagoga, prassi iniziata qualche decennio prima di Cristo e che si perfezionerà poi nel II secolo d.C.. L'espulsione-scomunica può essere perpetua in caso di apostasia, o temporanea per i delitti minori; il peccatore scomunicato fa penitenza davanti a tutta la sinagoga, che prega per lui, fino a quando, dopo il tempo stabilito, il peccatore viene reintegrato nella comunità. Si vede allora da quanto detto come è tutto il popolo che si sente responsabile della propria identità, e il popolo celebra le misericordie di Dio nella liturgia; si da grande importanza all'atto pubblico del giorno del perdono, che vale più di qualsiasi atto del singolo.
Questa prassi della scomunica e la distinzione tra peccati di malizia e peccati di debolezza saranno accettate nella chiesa primitiva.

b) Nuovo testamento: La novità di Cristo
Gesù, nel cui sangue versato si pone la nuova alleanza, invita alla fede ed alla conversione; domina tutte le potenze malefiche, che secondo la cosmologia e l'antropologia cristiana primitiva, sono nell'aria e tiranneggiano l'uomo, facendo ribellare la carne contro lo spirito. I cristiani designano il Cristo come "Kurios" = "Signore" perché credono che lui tutto domina, comprese le potenze demoniache che rovinano l'uomo.
L'entrata nel nuovo regno portato dal Cristo richiede il cambiare mente, cambiare cioè indirizzo di vita. Nel rinnovamento radicale di comportamento, espresso e attuato nel Battesimo, viene pronunciato il giudizio di salvezza di Dio che va vissuto per tutta la vita.

la penitenza nella comunità del I secolo
Ci sono peccati che escludono dal Regno, come il servizio agli idoli, la bestemmia, l'apostasia, la menzogna, l'adulterio, le fornicazioni, l'omicidio, i peccati contro la carità, alcuni dei quali equiparati all'omicidio. (Vangeli, lettere paoline, lettere di Giovanni, e Apocalisse).
Sembra che la distinzione tra peccato "ad mortem" e peccato "non ad mortem" di cui parla la prima lettera di Giovanni (5, 16-17) e quella agli Ebrei (2, 14) si rifaccia all'Antico Testamento; i primi erano i peccati che nell'Antico Testamento comportavano la pena di morte, mentre gli altri sono peccati di debolezza che non comportavano la morte.
Secondo Paolo è la chiesa che può indicare quali sono i peccati che escludono dal Regno.
Come agisce la chiesa nei confronti di coloro che sono caduti nella colpa dopo aver ricevuto il Battesimo?
Dobbiamo seguire Paolo. Se nella 2 Tess 3,6-15 aveva affermato che bisogna tenersi lontani dai fratelli peccatori e oziosi, nella 1 Cor 1-13 prescrive alla comunità di scomunicare un cristiano che convive con la matrigna: Paolo lo abbandona a Satana, e così vuole che faccia la comunità. L'espressione "abbandono a Satana per la distruzione della carne" secondo l'antropologia paolina indica la speranza della salvezza per quel peccatore; fuori della comunità imperversa Satana, e Paolo lo abbandona a lui perché possa fare un'esperienza della propria incapacità di salvarsi che lo riconduca nella comunità.
Anche nella 2 Cor 2, 5- 11 e 1 Tim 5,20 si accenna alla scomunica ecclesiale.
Ad Antiochia dove Paolo ha esercitato il suo ministero, verrà messo per iscritto il vangelo di Matteo. In Mt, 18, 15-18 viene indicato il modo di comportarsi della chiesa nella conversione fraterna, e si annuncia che "tutto ciò che sarà legato sulla terra sarà legato anche in cielo e tutto ciò che sarà sciolto..." che secondo recenti interpretazioni significa che la chiesa può scomunicare, abbandonare a Satana (Vorgrimler) e poi sciogliere dà questi vincoli con le potenze malefiche. Anche, Gv. 20,21-23 i verbi "rimettere, ritenere" devono essere interpretati in questo senso.
Se raccogliamo ora tra i testi del Nuovo Testamento, i passi che riguardano le modalità della remissione dei peccati dopo il Battesimo, notiamo che essa avviene attraverso:
il pentimento, cambiamento di vita Cfr, (il caso di Simon Mago);
la scomunica per i casi più gravi : si vuole, da una parte, salvare la comunità, e dall'altra si tende a far prendere coscienza al peccatore della sua situazione;
la riconciliazione fraterna, Giec. 5,16;
la preghiera, specialmente col "Padre nostro";
l'eucarestia, che è memoriale della Redenzione e rende presente l'unico sacrificio di Cristo, in cui il suo corpo e il suo sangue sono dati per la remissione dei peccati.
Quindi la comunità non solo annuncia il perdono, ma agisce e prega per ottenere il perdono da Dio.

La penitenza nei secoli II - III
Il quadro sociologo della chiesa in questo periodo rivela come il cristianesimo è più diffuso.
Il battesimo viene dato agli adulti, e quindi vi sono tutte le condizioni perché la vita cristiana sia vissuta sul serio: si riceve il battesimo dopo una vera conversione. Queste comunità si sentono sempre più differenziate dalle sinagoghe ebraiche; ci sono in esse degli atteggiamenti pluralistici con fervore d'iniziative, senso della provvisorietà, con attesa della parusia. È un tempo in cui il martire è considerato il vero testimone di Cristo, e la chiesa è considerata come comunione fra tutti i fedeli, i presbiteri e i vescovi. Il peccato purtroppo non manca anche in questa chiesa.
Le due vie illustrate dalla "Didaché" (220) e dallo "Pseudo-Barnaba" contengono significativi elenchi di peccati. Vi sono ribellioni, opposizioni, eresie. Però è possibile la conversione attraverso la rottura col peccato, con la preghiera, il digiuno e sopratutto l'elemosina. La seconda lettera di Clemente (190-200) sottolinea l'eccellenza dall'elemosina che è ottima per la penitenza dei peccati.
Si parla anche di confessione pubblica e generica col termine "exomologesi", che significa riconoscersi pubblicamente peccatori per poi porsi nelle condizioni richieste dalla conversione, che equivale far penitenza, esprimendo la lode a Dio più con i fatti e col cuore che con la bocca.
Vi è un aspetto ecclesiale della penitenza. È la chiesa che presenta i mezzi per convertirsi. La comunità ha un compito specifico nell'aver cura dei peccatori (Clemente).
Accanto alla preghiera reciproca e alla correzione fraterna (didache) c'è anche la scomunica, che viene applicata caso per caso, non ancora in modo giuridico (secondo Clemente: "rompe la relazione fino a che il fratello non avrà fatto penitenza"). Prima della eucarestia domenicale c'è la confessione dei peccati (didaché).
Un posto speciale occupa il "Pastore di Erma" (140-155), perché quest' opera dedicata alla penitenza dopo il battesimo ha influenzato molto i secoli successivi: è una specie di grande esame di coscienza della chiesa romana, in tutte le categorie che la compongono, a riguardo di una serie di peccati: ipocrisie, attaccamento alle ricchezze, apostasia, adulterio, oppressioni, tradimenti ecc. Per la remissione di questi peccati è possibile la penitenza, che però si può ricevere una sola volta. Se un cristiano, dopo la penitenza per uno di questi peccati "ad mortem", ricade nello stesso o in un altro peccato non può più ricorrere alla penitenza della chiesa, ma si deve affidare alla misericordia di Dio.
La non iterabilità è di ordine psicologico e morale, non dogmatico: non ci si può infatti pentire della colpa davanti a Dio, senza che questo dolore non porti con sé una intima irrevocabilità e unicità (così Rahner commenta il testo di Erma). Sembra che vi sia anche un'esclusione dalla comunità, ma il testo è di difficile interpretazione per le frequenti allegorie ed immagini. Comunque è presente l'aspetto ecclesiale: la penitenza viene annunciata nelle assemblee cristiane, ed è predicata e data dalla chiesa.
Dopo Erma sorgono delle correnti rigoriste, che invocano più severità nella vita dei cristiani. Il montanismo, ad esempio, afferma come la chiesa abbia il potere di perdonare i peccati gravi, ma non deve usarlo per non dare incentivo al male.
Interessanti sono due personalità del III° secolo: Tertulliano, prima cattolico e poi montanista, e Cipriano.
Il Tertulliano (160-220) cattolico nel "De poenitentia" afferma che tutti i peccati possono essere rimessi se il peccatore si converte; in seguito, diventato montanista nel "De pudicitia" non accetta la riammissione nella chiesa degli adulti colpevoli di certi peccati gravi. È il primo che ci da una traccia della procedura penitenziale della chiesa antica. Questa procedura penitenziale inizia con una confessione orale del proprio peccato, e continua poi in una confessione vissuta, consistente in opere di umiltà e di mortificazione, che indicano un cambiamento di vita e aprono alla misericordia di Dio. I penitenti devono vestirsi di sacco, cospargersi di cenere, chiedere il soccorso dei presbiteri e dei martiri. È una forma che umilia, ed è un atto che va ambientato nelle categorie di cristiani di questo tempo; ceto borghese di ricchi, e la cui maggiore penitenza è l'umiliarsi e il rinunciare alle comodità. Il tutto termina con la riconciliazione nella chiesa davanti a tutta la comunità; tutta la comunità è a conoscenza e partecipa al recupero dei peccatori. Anche per Tertulliano questa penitenza si può ricevere una sola volta in vita.
Per Tertulliano sono da ritenere come gravi i peccati contro Dio e contro il suo tempio, che è il corpo umano, (e li ricava dal V.T., da Atti 15 e dalle lettere di Paolo). I peccati contro i fratelli invece sono leggeri.
Cipriano (+258) ammette la riconciliazione per i lapsi che sono gli apostati della persecuzione di Decio. Interessante l'intervento dei martiri, cioé di coloro che hanno testimoniato con fermezza il loro cristianesimo davanti ai persecutori; essi possono presentare istanza scritta perché un altro peccatore possa essere riammesso nella chiesa.
È avvertita in modo significato la dimensione ecclesiale del peccato e della penitenza; la chiesa non tollera il peccato, e per alcuni peccati non tollera neppure il peccatore al proprio interno, pur sentendosi responsabile di esso e adoperandosi per il suo recupero. Ai nostri giorni si è attenuata la preoccupazione per la situazione di peccato degli altri; la chiesa nel II - III secolo si sente comunità, anche il vescovo partecipa alle sue traversie; tutti si sentono veramente corresponsabili. E il peccatore fa la sua confessione attraverso la sottomissione volontaria alla dura penitenza che precede la riconciliazione. Tutti i cristiani erano solidali col peccatore, non lo disprezzavano, e si sentivano con lui veramente peccatori, anche se non avevano commesso nessuno dei peccati gravi, e avevano sempre un atteggiamento umile; perché consapevoli che la loro debolezza li poteva portare facilmente al peccato.

Secoli IV - VI
Giungiamo al punto culminante, all'apogeo di quella forma di penitenza detta canonica. La comunità cristiana aumenta sempre più, specialmente dopo Costantino e dopo l'ingresso dei popoli barbari a partire dal V secolo.
Agostino (354-430) ci presenta tre tipi di penitenza:
penitenza del catecumenato, in preparazione al Battesimo;
penitenza per i peccati quotidiani;
penitenza per le colpe gravi.
Quest'ultima si sviluppa come penitenza canonica cioè come prassi penitenziale regolata da canoni di alcuni concili, come quelli di Ancira (314), Neocesarea (314-325), Nicea (325) Antiochia 341. Contribuiscono allo sviluppo anche lettere di vescovi e decretali di papi. Tutto questo materiale sarà raccolto, compendiato e ritenuto normativo.
Dopo il Battesimo ci sono peccati gravi che non possono essere rimessi solo con la penitenza canonica. La distinzione tra peccati gravi e non gravi varia da vescovo a vescovo e non corrispondono sempre alle nostre categorie.
Per Agostino ad esempio i peccati si distinguono secondo le disposizioni soggettive; quando sono peccati di malizia sono gravi, naturalmente se riguardano materie gravi, sono invece veniali se fatti solo per debolezza.
Per Paciano di Barcellona (310-391)solo l'apostasia, l'adulterio e l'omicidio sono passibili della penitenza canonica.
Ambrogio (337-397) insiste pure sui peccati sociali, specialmente lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi e dei potenti.
Chi aveva commesso tali peccati veniva escluso dalla comunità e doveva cambiare vita attraverso la penitenza canonica. L'itinerario penitenziale inizia con l'accettazione della penitenza; non sempre c'è confessione della colpa, la quale spesso essa era pubblica e quindi già conosciuta; poi si aveva l'imposizione delle mani da parte del vescovo che impartiva la benedizione di Dio, e il peccatore veniva così aggregato ai "penitenti"; tutto questo avveniva al cospetto della comunità. I penitenti, che dovevano portare vestiti speciali, avevano da osservare obblighi pesanti, come astenersi dalla carne, dalle cariche pubbliche, dal commercio, dai doveri coniugali, dallo sposarsi. Gli obblighi da osservare si distinguono in:
Generali: condurre vita mortificata con digiuni ed elemosine; particolarmente sentita era l'astinenza dalle carni.
Rituali: partecipazione ai riti speciali liturgici tenuti nella quaresima. Preghiera in ginocchio nelle assemblee festive, sepoltura dei defunti ecc.
Interdetti: proibizione di prestare il servizio militare, di esercitare cariche pubbliche ed il commercio, proibizione dei doveri coniugali e, se non sposati, di adire a nozze.
Gli interdetti dovevano essere osservati non solo durante il tempo della penitenza canonica, ma per tutta la vita.
In questo periodo si arrivò a distinguere diversi gradi di penitenti. I "flentes'' che stanno alle porte della chiesa, in cenere e cilicio, invocando le preghiere della comunità; gli "audientes" che stanno all'ingresso della chiesa e possono ascoltare la parola di Dio; poi i "substrati" coloro che potevano assistere alla messa ma in ginocchio; ed infine i "consistenses" coloro che potevano anche partecipare alle messa come tutti gli altri fedeli, in piedi ma senza accostarsi all'Eucarestia.
La penitenza aveva una durata variabile; per un omicidio venti anni, e così per l'apostasia. Talvolta la penitenza durava tutta la vita.
Infine la riconciliazione, l'assoluzione della penitenza. Alla fine del periodo penitenziale, il cristiano peccatore pentito era riconciliato mediante un rito liturgico pubblico: il Vescovo imponeva le mani e la comunità seguiva con la preghiera. Il rito manifestava che la chiesa riconciliava il peccatore perché riconosceva di nuovo in lui lo Spirito di Cristo, che è lo spirito della chiesa. La partecipazione all'eucarestia sanciva il ritorno pieno del peccatore.
Questa penitenza è unica e impegnativa; deve significare veramente la ferrea volontà di rompere con il peccato. È anche un dono al peccatore da parte della chiesa come comunità, che dà la "penitenza", l'accompagna con la sua preghiera e poi lo riconcilia nella persona del vescovo.
Gli atti del penitente manifestano l'agire di Dio, e la chiesa sigilla questo agire di Dio, dichiarandone pubblicamente il perdono.
Chi ricadeva nel peccato grave non poteva più usufruire della penitenza canonica; era abbandonato a Dio, che senz'altro perdonava a colui che si apriva alla sua misericordia.
Il peccatore che si faceva monaco o converso, non doveva accostarsi a questa penitenza, e questo perché il suo gesto significava la sua radicale conversione attraverso un cambiamento di vita così impegnativo.
Per i peccati meno gravi vi erano altri mezzi per ottenere il perdono: la preghiera liturgica e personale, l'ascolto della parola di Dio e sopratutto la riconciliazione fraterna, come ad es. il bacio della pace, che oggi ha perso molto del suo significato.

Conclusione
A poco a poco questa penitenza canonica entrò in crisi per vari motivi. Gli interdetti soprattutto, che duravano tutta la vita anche dopo la riconciliazione, rendevano troppo impegnativo il sottoporsi ad essa. Poi la cristianità aumenta in modo vertiginoso senza che si abbia piena coscienza degli impegni da osservare.
Quindi sì cominciò sconsigliare la penitenza canonica ai giovani o alle persone sposate, senza almeno il consenso dell'altra parte.
I vescovi continuano a predicare la penitenza, però affermano che Dio può perdonare anche se non ci si sottopone all'"ordo poenitentium". Si deve far rivivere l'acqua Battesimale attraverso un cambiamento di vita che distolga l'animo dal peccato: chi pecca d'avarizia si impegni a fare elemosina, e chi ha commesso adulterio si mantenga fedele alla propria moglie.
D'altronde non si poteva considerare la chiesa come comunità separata, eletta, che usava della penitenza canonica per escludere il peccato e nello stesso tempo lasciava entrare in massa i popoli dagli usi e costumi completamente diversi, e, che non sono preparati a vivere un cristianesimo così impegnativo.
Di qui la contraddizione tra le norme canoniche e la reale vita dei cristiani. È un metodo pastorale contraddittorio il continuare a predicare un cristianesimo impegnato e non preparare coloro che vi entrano.
In questa difficoltà pastorale si introdurrà un nuovo modo di celebrare la penitenza: sarà la penitenza tariffata.
Da tutto quello che abbiamo detto si può concludere che la chiesa ha sempre predicato la remissione dei peccati dopo il Battesimo, che si attua ogni volta che rispondiamo all'invito di Cristo di cambiare vita. Si è convinti che i cristiani che formano la chiesa devono testimoniare l'amore verso Dio e verso i fratelli, contratto nell'impegno battesimale; però si ha la coscienza della possibilità di peccare e quindi della necessità di una penitenza canonica, che ha aspetti derivanti dall'Antico Testamento, ma ha anche aspetti originali, fondati sulla unità della comunità della Nuova Alleanza.
Per noi ci sono degli spunti che devono farci riflettere. Il variare dell'elenco dei peccati a seconda dei tempi (attenuazione del peccato di idolatria, accentuazione delle colpe sociali) così anche i peccati di superstizione), ci dice come ogni ambiente ha delle particolari infedeltà alla vita cristiana. Anche i motivi per rimettere i peccati sono vari: preghiera, elemosina, ecc. sono tutti modi che efficacemente ottengono il perdono di Dio.
Veramente il Signore Gesù dicendo "fate penitenza" - "cambiate la vostra vita", volle che tutta l'esistenza del cristiano fosse una lotta contro l'egoismo ed il peccato, sia negli atteggiamenti interiori che esteriori, per questo dotò la sua chiesa di tutto quello che era necessario per comunicare fruttuosamente e rendere operante questo suo dono.

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