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L'escatologia biblica luce e critica della politica

sintesi della relazione di Armido Rizzi
Verbania Pallanza, 14 dicembre 2002

Escatologia, termine impiegato solo negli ultimi decenni, deriva dal greco "escaton", l'ultimo. Un tempo si parlava di "Novissimi" per indicare le realtà ultime.
Solo negli ultimi secoli a ridosso della nascita di Gesù troviamo una visione escatologica, intesa come vita altra, con cui mettere a confronto la vita buona sulla terra. La dimensione escatologica era percepita in un altro modo.
Non parlerò del rapporto tra escatologia e politica nel senso inteso da Metz, secondo cui il cristiano fa politica con una riserva escatologica, con la consapevolezza cioè che la riuscita del regnum hominis non può mai essere piena, superando la tentazione in quegli anni ricorrente di maggiorare le attese sulla politica. La memoria sovversiva di Gesù sorregge l'impegno di trasformazione dell'ordine esistente ma con la consapevolezza dell'impossibilità di instaurare un ordine perfetto.
Non si parlerà del modo in cui la fede in una vita nell'al di là influenzi l'al di qua, come modello o come limite.
Parlerò delle realtà ultime non come quelle oltre le quali non c'è più nulla, ma come le più profonde, come quell'ordine di realtà esistenziali, di motivazioni del nostro agire, più profonde delle quali non se ne danno altre. È il fine di ogni nostro agire, di ogni nostro progetto, che è anche il principio. Infatti comincio sempre dal fine quando faccio un progetto, mentre nell'esecuzione dall'inizio (prius in intentione est ultimus in executione).
Questo vale anche per il fine che chiamo escaton, quel fine che è tale non perché l'ho scelto, ma perché è scritto dentro di noi, perché è già dentro la vita. È ciò che la filosofia occidentale ha spesso chiamato "il bene".
L'escaton è "il non c'è nulla di più importante", come quando Pintor in Servabo scrive che Non c'è in un'intera vita cosa più importante da fare che chinasi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi. Non c'è ragione più profonda del nostro agire.
Anche Bultmann parla di escaton in questo senso, rifacendosi al vangelo dei Giovanni: l'escaton è già presente in mezzo a noi, dentro di noi.
Per politica poi intendo, non tanto l'attività dei partiti, quanto l'arte del vivere e del convivere bene, il buon governo delle relazioni. L'uomo è un animale politico non perché di fatto vive in società, ma perché vive dentro un tessuto di relazioni da cui riceve la sua identità e a cui contribuisce a dare identità.

rapporto tra escatologia e politica
L'escaton è il fine della politica, cioè non si può produrre una buona politica se non con la motivazione di un qualcosa che non ci inventiamo noi.
Ora, basandomi soprattutto sulle scritture ebraiche, mostrerò come sia sul versante del soggetto che su quello oggettivo, la buona politica è basata sull'escaton.

per creare un mondo buono ci vuole un cuore giusto

Solo la presenza di cuori giusti produce un mondo buono di relazioni: Frutto della giustizia sarà la pace (Isaia 32,17). Pace in questo caso non è la semplice assenza di conflitti. Shalom è la pienezza armonica degli individui e delle relazioni tra individui. Sinonimo di pace è vita, non come sopravvivenza ma come pienezza e qualità. Pace e vita sono frutto della benedizione divina. Nella descrizione del giardino di Eden (Genesi 2) c'è la più lunga trattazione della concezione biblica della pace, dell'essere umano in armonia con la natura, del rapporto armonico uomo donna come primo atto politico (unirsi al di fuori della famiglia di origine), del rapporto armonico di ognuno con se stesso (erano nudi).

un cuore giusto (versante soggettivo)
La bibbia dice che la pace, cioè la misura giusta e proporzionata delle cose e delle relazioni, nasce dalla misura giusta del cuore, dal cuore giusto.
Non è il cuore come sede degli affetti, ma come centro decisionale della persona. Il cuore come libertà chiamata a seguire il bene, ma che porta dentro di sé la possibilità di rifiutarlo.
Chi poi all'interno della società ha responsabilità particolari ha necessità di una ulteriore dose di sapienza, l'arte non solo di convivere bene, ma del governare bene le relazioni: Dio dà al re la tua giustizia, al figlio del re il tuo giudizio (Salmo 72). È l'aspetto cognitivo della giustizia: il conoscere secondo giustizia, per poter agire secondo giustizia.
Il cuore giusto è il soggetto in prima persona, non in quanto soggetto capace di formulare teorie o grandi progetti, ma come soggetto in cui resti vivo e palpitante il senso della politica come convivenza buona per tutti. Il cuore giusto illumina come possibilità il mondo buono, per far diventare questa possibilità una realtà.

il povero (versante oggettivo)
C'è un criterio per dire cosa è oggettivamente operare secondo giustizia, con un cuore giusto? Il criterio secondo la bibbia è il povero.
Il luogo che contiene la ragione ultima del mio agire è ogni individuo umano nella sua situazione di povertà.
La povertà è anzitutto la fragilità, la debolezza, la precarietà propria di ogni condizione umana.
La povertà poi può essere propria di particolari situazioni, può colpire all'improvviso (colui che è assalito dai briganti nella parabola del Samaritano).
La povertà, infine, può riguardare una situazione strutturale.
In tutti e tre i casi c'è il massimo di dignità, perché "Dio li avvolge nel suo sguardo", perché "Sono le pupille dei suoi occhi".
È il correlato oggettivo del cuore giusto. L'assoluto soggettivo, motivazione ultima per agire, trova il suo punto di riferimento nell'assoluto oggettivo, che è il bisogno che l'altro ha di non essere violentato e poi di essere promosso.
Ognuno di noi in quanto libertà, essere libero, è soggetto di doveri (non di diritti come afferma la modernità), di responsabilità verso chi ha bisogno, e in quanto povero, essere bisognoso, è soggetto di diritti.
Nella reciprocità in cui ciascuno si prende cura dell'altro, in cui si è reciprocamente responsabili, nasce la buona convivenza, nasce la politica. Senza questo fondamento, senza questa cellula della politica non ci può essere democrazia o stato. E se lo stato rimane in piedi di fatto lo è solo per quel tanto di volontà di prendersi reciprocamente cura.
Sono riflessioni scaturite dalla lettura della bibbia, ma valgono per chiunque. La bibbia è un testo ricco di sapienza per tutti.
Completando quello che scriveva Pintor, non solo non c'è cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi, ma anche ciascuno di noi è quell'altro che ha bisogno che qualcuno reputi la cosa più importante da fare il rialzarlo, nella reciprocità.

utopia di Marx e shalom biblico

Secondo una parabola cinese l'inferno e il paradiso sono come una lunga tavola imbandita, attorno alla quale, dall'una e dall'altra parte, stanno tanti convitati, ognuno con un proprio piatto di riso e con lunghissimi bastoncini legati alle estremità delle mani. Nell'inferno ciascuno cerca di mangiare il riso dal proprio piatto, senza mai riuscirvi, nel paradiso invece ciascuno prende il riso dal piatto dell'altro e lo imbocca.
È la reciprocità: ciascuno è soggetto, cioè è dotato di capacità e ciascuno è bisognoso, cioè ha fame. La mia capacità di prendere il riso è a servizio del bisogno dell'altro e viceversa.
Le nostre capacità non si identificano con la libertà di fare ciò che non nuoce agli altri (l'altro è solo un limite alla mia libertà), ma nel prendersi cura dell'altro, nella reciprocità.
È anche l'utopia di Marx, quando afferma che nella società futura veramente umana (Programma di Gotha) ciascuno darà secondo le proprie capacità e riceverà secondo i propri bisogni e ciò avverrà spontaneamente senza bisogno di imperativi.
Marx vede lo shalom come lo vede la bibbia. La diversità sta nell'individuare la radice ultima dello shalom. Per Marx la nuova umanità liberata dipende dal cambiamento dell'economia, del modo di produzione, dalla struttura (la struttura economica determina la coscienza). Basta cambiare la struttura economica capitalistica, responsabile della alienazione umana, per far nascere l'uomo solidale.
La bibbia e la parabola cinese a proposito dell'uomo solidale, della libertà solidale, dello shalom, non indicano un dato di fatto, ma danno un messaggio. Non formulano una profezia come fa Marx, che dice che occorre ribaltare la struttura economica per creare l'uomo solidale. La bibbia afferma che la pace, la pienezza di vita scaturiscono dal cuore giusto, dall'individuo che si assume in prima persona la responsabilità per l'altro.

un sì da dire ogni giorno
La bibbia non dice che il paradiso c'è o non c'è, ma che se noi ci prenderemo reciprocamente cura gli uni degli altri allora ci sarà il paradiso. E questo deve avvenire ogni giorno. Il contratto non si firma solo all'inizio della campagna elettorale, ma ogni giorno. L'utopia pienamente realizzata su questa terra non ci sarà mai, non una volta per tutte faremo la società giusta e quindi felice. Ogni giorno, nella vita quotidiana, siamo chiamati a dire il nostro sì.

salvare un individuo è salvare l'umanità
Ma in questo modo non si salva solo qualcuno e non l'intera umanità? Non bisogna forse risolvere il problema a livello globale?
Scrive Moni Ovadia nella prefazione a Pappagalli verdi di Gino Strada: "I tempi delle palingenesi rivoluzionarie sono finiti, ma ci sono luoghi di rivoluzione nei posti più impensati. Uno di questi luoghi è sicuramente il bisturi di Gino Strada." È il messianismo della vita quotidiana.
Quando salvo un corpo, salvo "un" mondo, salvo "il" mondo", perché in ognuno c'è tutta l'umanità. Ogni persona è un fine in sé. Il Samaritano salvando non uno dei suoi, ma un anonimo, salva l'intera umanità (avrebbe salvato qualunque altro al suo posto). Ogni individuo è un tutto dal punto di vista del valore. L'errore è ritenere l'individuo solo come una parte del tutto e quindi che solo salvando il tutto posso salvare l'individuo. Ogni individuo invece è un piccolo tutto, e salvando l'individuo salvo l'umanità. Il mondo buono nasce dal cuore giusto, e il mondo buono è anche una sola persona a cui ho salvato la via, a cui ho ridato speranza.

salvare tutti salvando ognuno
Occorre insieme aver presente che l'orizzonte si estende a tutti. Non posso dire di aver salvato il mondo fintantoché ci sarà anche solo una persona a non essere salvata. Il compito è salvare tutti salvando il piccolo tutto che ognuno è. Ambedue le dimensioni devono essere tenute presenti.

una libertà solidale sempre fallibile
Proprio perché ogni giorno siamo chiamati a dire il nostro sì (la cura dell'altro non può essere esercitata una volta per tutte), noi non possiamo garantire che domani la nostra libertà sarà ancora libertà solidale. La libertà umana è essenzialmente fallibilità. L'amore fedele e infallibile è solo prerogativa divina. Possiamo promettere la fedeltà (ti sposo per sempre), ma non garantire la sua efficace durata. Questo vale ancor più per quel matrimonio di tutti con tutti che dovrebbe essere la politica, nel senso di coesistenza buona. Non lo si può garantire, neppure facendo i contratti.

un garante esterno: lo stato
È sempre possibile che uno dei contraenti non rispetti i patti. Non basta la stretta di mano, ci vuole un garante esterno, diverso dai contraenti: lo stato. È lo stato come unico detentore della forza, dato che lo stato non può garantire la buona volontà di coloro che hanno fatto il contratto. Se non si fa una certa cosa per convinzione, la si fa per paura della sanzione.
Se noi fossimo solo libertà buona e solidale lo stato sarebbe perfettamente inutile. Invece siamo libertà continuamente chiamate a scegliere fra il bene e il male. Di qui la necessità dello stato, come surrogato delle libertà buone.
La crisi attuale dello stato nazionale deriva dai processi di globalizzazione non governabili e non sanzionabili dai singoli stati. E l'assenza di un governo globale è fonte di insicurezza.
Sono perplesso di fronte all'attribuzione alla stato di ruoli importantissimi. È vero che lo stato si è socializzato grazie alle lotte del movimento operaio, ma i diritti sociali sono garantiti in modo che chi non li osserva viene sanzionato.
La politica si colloca a metà strada tra la circolazione di volontà buone che producono spazi di shalom e le imposizioni dello stato. Se il messianismo nella vita quotidiana è espressione del cuore giusto, della libertà solidale, della volontà buona, la convivenza buona della polis ha bisogno anche della forza.

gli insuccessi della volontà buona e la geografia nascosta dell'amore
Non solo la volontà buona può venir meno, ma anche lì dove non viene meno può fallire nel risultato. È una cosa tremenda e rivelativa: l'amore non si identifica coi risultati raggiunti, ma per essere vero amore deve volere i risultati. Insieme buone intenzioni e risultati (l'intenzione vuole il risultato dell'azione).
Ma l'atto di amore, che ha voluto veramente il bene dell'altro, anche se ha fallito, non è insensato e inutile.
Forse quello che io ho fatto (l'essermi buttato per salvare una vita in pericolo, senza raggiungere lo scopo, anzi magari perdendo anche la mia vita) rivive in qualcuno di quelli che hanno visto e che hanno capito che in fondo il senso ultimo della vita è quello che io volevo fare. È lo splendore della carità, da qualunque parte venga, credenti o no.
Il risultato non è quello che è stato perseguito da chi ha compiuto quel gesto (salvare un vita), ma quello di accendere la stessa forza di amore in un altro.
Vi è poi la geografia nascosta dell'amore. Credere in Dio vuol dire credere che quello che è stato inserito nella storia continua a vivere e a girare. Quell'atto di amore, apparentemente inefficace, circola nel corpo mistico dell'umanità buona, anche se nessuno lo vede.
Secondo le Scritture ebraiche la persona giusta fa fiorire il giardino. E poiché l'esperienza dice invece che spesso il giusto è infelice, dalla fede scaturisce l'idea di una ulteriorità, dove si realizzerà la congiunzione tra giustizia e felicità, tra giustizia e pace. È ciò che sostiene anche Kant in base a una intuizione filosofica: se perseguo il bene per amore del bene sono degno della felicità; e poiché la felicità non alberga in questo mondo ci deve essere un Dio che dà la felicità ai giusti.
Non si tratta di ricevere un premio: c'è un nesso interno tra uomo giusto e felicità.
È il corpo spirituale di cui parla Paolo, che io traduco come libertà solidale. Alla morte ciò che resta di noi è la libertà d'amore che abbiamo maturato. Senza un briciolo d'amore resteremo nella morte.
Credo che il paradiso sia questo: è l'amore che liberandosi continua a vivere in un mondo dove tutte le relazioni tra gli uomini e con le cose saranno davvero lo shalom, l'eden, in cui ciascuno vive come soggetto amante e solidale.

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