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Nostalgie di Dio nella coscienza contemporanea

sintesi della relazione di Giannino Piana
Verbania Pallanza, 21 ottobre 1995

Qual è il senso dei ritorni di Dio nel contesto storico-culturale di oggi? Non si tratta semplicemente di descrivere e cogliere il dato ma di interpretarlo, di far emergere quel senso che è riposto nelle profondità del dato. Per questo occorre una analisi non solo sociologica ma sociologico-culturale.
"Nostalgie" del divino non solo per i modi differenziati di percepire il sacro, ma anche perché si tratta di esperienze deboli, fioche, difficili da interpretare e ambivalenti, che nascondono negatività e positività.
Nella prima relazione verrà condotta un'analisi in chiave culturale dei ritorni di Dio, della situazione dell'uomo contemporaneo di fronte alla domanda religiosa, mostrandone le ambivalenze. Nella seconda la prospettiva sarà quella della ricostruzione in senso positivo, propositivo di questi ritorni, al fine di indicare delle prospettive per il recupero del vero Dio, resistendo al richiamo dell'idolatria.

le diverse figure dell'indifferenza

Ho scelto la categoria della indifferenza come chiave interpretativa dei "ritorni di Dio".
La categoria della indifferenza viene usata oggi non solo per interpretare l'atteggiamento religioso ma anche la condizione in generale dell'uomo contemporaneo, la sua situazione di smarrimento, di difficoltà a trovare identità forti.
L'indifferenza è il prodotto della cultura della complessità, che, moltiplicando le differenze e le appartenenze, le rende così più deboli, ne stempera i contorni.
L'affermarsi del pensiero debole o nichilista sta ad indicare la tendenza da parte dell'uomo contemporaneo a porsi sempre meno le grandi domande di senso, a progettare in generale, con il conseguente ripiegamento sul quotidiano.
Sullo sfondo di questa situazione culturale la categoria della indifferenza, intesa in tre accezioni diverse ma interagenti, può essere un'utile chiave interpretativa della domanda religiosa dell'uomo d'oggi.

1^ figura: indifferenza come crisi radicale della domanda religiosa
Trent'anni fa la secolarizzazione era vista come un fenomeno irreversibile e almeno in parte positivo, come il riconoscimento del valore autonomo della politica e della cultura, viste non più come immediatamente dipendenti dal sacro. La società medievale e per molti aspetti anche la società moderna era dominata da un universo simbolico sacrale che permeava di sé tutti gli aspetti della vita, con indebite confusioni tra sacro e fede.
Negli anni 60 la secolarizzazione diventa un fenomeno di massa, producendo un arretramento del divino in senso sacrale e favorendo anche un recupero di autenticità nell'ambito della fede, liberata da incrostazioni sacrali, come lo stesso concilio riconobbe.
Oggi quel processo di secolarizzazione non sembra più così irresistibile, e si assiste a ritorni di sacro, anche in forme magico-superstiziose.
A mio avviso, comunque, il processo di secolarizzazione è nonostante tutto vincente. I "ritorni" sono quantitativamente non rilevanti e qualitativamente spuri.
Dominante è ancora la secolarizzazione come destituzione di senso della domanda religiosa. La secolarizzazione tende ad erodere la stessa possibilità del rapportarsi dell'uomo al divino.
Indifferenza in questa prospettiva significa messa in crisi della domanda religiosa di senso. Non si tratta di ripresa dell'ateismo. L'ateismo, in quanto esplicita negazione di Dio, è pur sempre affermazione della rilevanza del problema religioso (altrimenti non lo si combatterebbe). La secolarizzazione non combatte Dio ma lo dimentica.
a) Un primo fattore di questa messa in crisi è costituito dalla cultura del pensiero debole e del nichilismo, come negazione della possibilità di porsi delle domande di senso, che nega pertanto la possibilità stessa del religioso. Il religioso è il tentativo dell'uomo, consapevole del proprio limite e dell'apertura infinita del suo desiderio, di rispondere alla domanda di senso della sua esistenza attraverso il ricorso al mistero, all'assoluto.
b) Ma la secolarizzazione compiuta non è solo erosione del sacro ma anche dei valori su cui costruire l'esistenza. Oggi è in crisi l'etica. Proprio perché non si sa più dove trovare valori comuni di riferimento si ricorre alle regole del gioco in chiave neoutilitarista, neocontrattualista, neoconsensualista. In questo orizzonte la domanda religiosa è messa tra parentesi.
c) È in crisi infine il senso del mistero. La cultura contemporanea ha un atteggiamento essenzialmente problematico, secondo il quale per ogni cosa è possibile trovare una soluzione in termini di sperimentazione, di verificabilità, di ricerca scientifico-tecnologica. La verità si identifica con la verificabilità. La razionalità dominante è quella ideologica, oggi però gravemente in crisi, e quella strumentale. Tutto è ridotto a ciò che si può verificare. Non c'è spazio per il mistero.
Il mistero invece non può essere totalmente spiegato. Una visione misterica implica lo sforzo incessante della ragione umana, ma unito alla consapevolezza di non poter esplorare tutto. Implica ricerca e accoglienza. Il mistero va anche accolto.
La domanda religiosa della vita rientra in una interpretazione della realtà in tutta la sua ricchezza. Se viene meno il senso del mistero, il mistero presente nelle persone, nelle cose... viene meno la stessa possibilità della domanda religiosa. Posso spiegare tutto, sono autosufficiente e non ho bisogno di aprirmi ad una alterità.

2^ figura: l'indifferenza come indifferentismo religioso
Oggi ci troviamo di fronte al diffondersi di un sincretismo accomodante e di basso profilo che mescola indifferentemente molteplici forme di sacro, dal sacro naturale, a quello magico-superstizioso, a quello orientaleggiante, a quello autentico. Indifferenza come indifferenziazione di fronte alla religione.
Si tratta di un processo inverso a quello descritto nella prima figura: è un ritorno del sacro. Nell'uomo contemporaneo vi è una oscillazione tra progressiva secolarizzazione e ritorno del sacro in molteplici forme.
Si tratta di un sacro come risposta a bisogni umani: al bisogno di recupero di identificazione dentro una società massificata che disperde l'io; al bisogno di recupero di una securizzazione psicologica di fronte ad una società che carica l'io di solitudine; al bisogno di recupero di appartenenza sociale all'interno di una società caratterizzata dalla disgregazione.
È un sacro che risponde più a bisogni antropologici che a una domanda forte di senso religioso. È un sacro che ritorna più sotto la spinta di una irrazionalità che non nella ricerca di nuove forme di razionalità. Di fronte alla crisi della ragione ideologica o strumentale si fugge nell'irrazionale.
È un sacro che cerca di esorcizzare la terribile esperienza di paura dell'uomo contemporaneo, una paura che non nasce più dall'esterno, di fronte ad un mondo non conosciuto e non dominato, ma dall'interno, dalla consapevolezza che la conoscenza e il dominio del mondo ha prodotto processi sconvolgenti.
È un sacro allora che nasce prevalentemente sul negativo. Non ci troviamo qui di fronte all'uomo adulto, maturo, di Bonhoeffer, che va alla ricerca di un senso ulteriore, ma all'uomo che va alla ricerca di un senso compensativo della negatività dell'esperienza umana.
Ci sono vari ritorni del sacro: dal sacro magico-superstizioso, al demoniaco, al sacro assunto da altre visioni religiose, al sacro devozionale, sino al sacro naturale (come in certo ecologismo che sacralizza la natura novella dea madre). Ritorni al sacro come bisogno di punti fermi, come vago sentimento del religioso in cui si compone tutto. Il ritorno del sacro si esprime anche nella diffusione delle sette, che offrono sicurezza e semplificazione di fronte alla società complessa che problematizza tutto. Vivere la complessità è difficile.

3^ figura: indifferenza come in-differenza, come forte bisogno di differenziazione della domanda religiosa, come bisogno autentico di soggettivizzazione della esperienza religiosa
Oggi l'esperienza religiosa non viene più trasmessa dalla cultura, dato che non è più dominante un universo simbolico sacrale. La scelta religiosa implica un coinvolgimento personale, responsabile. Di qui scaturisce l'esigenza di personalizzare in senso forte la fede, di vivere l'esperienza ecclesiale non nell'ottica della dipendenza, ma in quella della valorizzazione del contributo di ciascuno, secondo il proprio carisma. È presente l'esigenza di una chiesa diversa, una chiesa che non offra tutto e tutto in modo indifferenziato, che non metta in una condizione di passività, ma che si costruisca a partire dalle soggettività individuali, che faccia fare esperienze comuni di fede incentrate nell'accoglienza di queste soggettività. Si tratta pertanto di esigenza di personalizzazione della fede e di responsabilizzazione in ordine all'appartenenza ecclesiale. Tutto ciò implica un arretramento della consistenza gerarchica della chiesa, una gestione diversa del ministero gerarchico, molto più al servizio dei carismi di tutti.
L'in-differenza come volontà di differenziazione ha anche dei risvolti negativi, come la relativizzazione della fede, come l'emergere di una credenza religiosa che prescinde da qualsiasi riferimento oggettivo, come il diffondersi di appartenenze parziali, deboli, limitate, selettive.
L'attuale maggiore considerazione attribuita alle istituzioni, anche all'istituzione-chiesa, come rilevano le indagini sociologiche, esprime il bisogno di sicurezza, di garanzia. Non si tratta di un ritorno ad accogliere globalmente il messaggio, ma un ritorno all'istituzione in modo selettivo, della quale si prende solo ciò che ci serve al momento.

prospettive per la nuova evangelizzazione

Nell'affrontare la parte più propositiva della riflessione sui ritorni di Dio saranno delineate tre piste che corrispondono alla tre figure della indifferenza prima delineate. La negazione radicale della domanda religiosa, la risposta in termini indifferenziati alla domanda religiosa o la risposta in termini differenziati, non sono figure applicabili semplicemente a diversi tipi di persone (esiste anche una suddivisione di questo genere), ma sono dimensioni compresenti all'interno di uno stesso individuo: ci sono momenti in cui prevale il rifiuto della domanda, altri di tentazione di appoggiarsi a qualunque forma di sacro, altri ancora di risposta personalizzata.
Come risignificare in questo clima di "ritorni di Dio" il religioso, il divino, il trascendente, non in modo generico, ma in senso specificamente cristiano? Quali piste percorrere per recuperare un senso autentico della fede?

1^ pista: ricreare le condizioni perché la domanda religiosa possa porsi
Non si può fare evangelizzazione senza tener conto delle premesse, delle pre-condizioni alla fede. La cultura di oggi non crea quelle premesse, ma è dominata da linguaggi, da forme simboliche, da categorie ideologiche, da modi di considerare la vita e i significati della vita che non fanno spazio all'apertura al trascendente, al divino. Occorre pertanto ricreare quelle condizioni per cui la domanda religiosa possa porsi. La fede è dono di Dio, ma esige, per poter essere accolta, che nell'uomo vi sia un'apertura ad una visione della realtà che consenta il sorgere della domanda del trascendente.

a) Precondizione è la restituzione di significato alla domanda di senso. Dove non ha senso il porsi la domanda di senso è impossibile che emerga la domanda religiosa. Dove ci si accontenta dei significati immediati, limitati, dove si interpreta la vita in un permanente presente quotidiano o in una mitizzazione della soggettività non vi sono le condizioni perché la domanda possa porsi e balenare all'orizzonte della coscienza. Come superare una cultura positivistica, soggettivistica, aprogettuale in vista di una cultura misterica, capace di mettere l'uomo in una condizione progettuale e in un rete di rapporti (con gli altri e con l'Altro...). La scoperta di Dio può avvenire solo nell'esperienza di relazioni umane che danno senso all'esistere e che fanno nascere la nostalgia di un rapporto più compiuto. La dimensione misterica, della progettualità e della relazionalità sono la precondizione per il riproporsi della domanda di senso.
La ricostituzione della domanda di senso implica la capacità di leggere il senso dentro i significati immediati. I giovani vivono di significati immediati, che racchiudono in modo latente una domanda più radicale. Compito dell'educatore è cogliere il tutto, il senso profondo, l'infinito dentro il frammento, il quotidiano.
Non è pensabile che si possano risuscitare le domande attraverso un processo intellettualistico. È l'esperienza che va letta e scavata per far emergere ciò che è presente ma nascosto.

b) Altra precondizione è risignificare la razionalità perché la domanda di senso possa porsi.
Di fronte alla crisi delle forme di razionalità ideologica o strumentale, per non fuggire nell'irrazionale, nel magico-superstizioso, nel sacro negativo occorre operare una risignificazione della ragione, che lasci spazio all'accoglienza della fede.
Non però della ragione classica, tradizionale, della dialettica che tutto spiega, della ragione dell'ideologia illuminista, o di quella scientifico-tecnologica del secondo illuminismo. Occorre risignificare una razionalità che smantelli la pretesa totalizzante o la visione puramente strumentale, utilitaristica, pragmatica per la quale vale solo ciò che serve, che è utile, che si può consumare. Occorre accedere ad una forma di ragione aperta. al contrario della ragione chiusa della totalità e della strumentalità, che vuole spiegare tutto, che ritiene vero ciò che rientra nel sistema o ciò che è verificabile...
Non è la ragione del pensiero debole, la ragione della differenza, ma la ragione che assume la differenza andando oltre. Non si rinuncia alla ragione nella interpretazione della realtà, partendo però dal presupposto che la ragione non può spiegare tutto. Non la ragione della totalità ma quella dell'infinito (Levinas). Solo una ragione aperta può fare spazio alla domanda religiosa.
Il pensiero debole nasce come reazione alla ragione della totalità come ideologia, alla ragione ideologica, incentrata sulla categoria della dialettica. La categoria della differenza sostituisce quella della dialettica, che è stata centrale in tutte le ideologie contemporanee, sia del progresso scientifico-tecnologico che del cambiamento politico. La dialettica voleva sistemare tutto, creando conflittualità, La crisi della dialettica fa nascere l'attenzione alle differenze. Mentre il rischio della dialettica è quello della totalità, quello della differenza è l'incomunicabilità. Se radicalizziamo le differenze creiamo le condizioni perché al massimo ci sia una tolleranza passiva, non invece un interscambio, delle interazioni. Le differenze indicano un sistema in cui ci sono tante isole senza comunicazione.
Solo la riscoperta del simbolo consente di uscire della differenza radicalizzata senza ricadere nella dialettica. Il simbolo mette insieme il diverso, le differenze, creando le condizioni per un continuo cammino in avanti. Un superamento continuo non secondo la logica della dialettica ma di quella simbolica che è evocativa. Il simbolo connette i diversi evocando l'altro, l'altro che non è frutto di una elaborazione razionale ma di un processo creativo vitale. È la razionalità estetica, dell'arte, della musica, una razionalità che procede per contrapposizioni, che consente di cogliere Dio come tutto e come niente (S. Giovanni della croce). Si può fare esperienza dell'assenza di Dio attraverso la sua presenza (Bonhoeffer). Pregare è fare esperienza della presenza e dell'assenza di Dio. È la logica simbolica. Nel momento in cui Dio si fa vicino all'uomo nell'alleanza, nel primo comandamento impone di non far immagine alcuna, perché è altro.

c) Altra precondizione è la necessità di far emergere alcune esigenze etiche fondamentali.
La costruzione della domanda di senso passa anche attraverso l'esperienza di alcune fondamentali esigenze etiche. Si tratta di ricostruire nella coscienza un tessuto di valori. La coscienza avaloriale è dominata da logiche pragmatiche e concepisce il momento etico al massimo come il momento della elaborazione delle regole attraverso il consenso sociale. Dove non c'è istanza etica forte non c'è domanda di senso. Dove c'è domanda di senso si impongono istanze etiche forti.
Alcuni valori sono desueti perché non corrispondono alle logiche dominanti: i valori della gratuità, della superfluità, dell'ospitalità, dell'imprevedibile, della diversità.
Non ci si apre alla domanda religiosa se non si recupera la domanda di senso come domanda fondante, se non si recupera una forma nuova della razionalità, se non si recuperano delle istanze valoriali che costituiscono il punto di riferimento dell'esistenza.

2^ pista: ridefinire in modo corretto l'identità cristiana, per superare il sincretismo religioso, il vago sentimento religioso che tutto mescola
Si è tentati, nella ricerca di identità cristiana, di ritornare indietro, di ritornare al cristianesimo sociologico, di ripensare con nostalgia al regime di cristianità.
Ma sono evidenti i guasti del regime di cristianità, di guasti per la fede, mistificata dietro le pretese di un sistema, di guasti per la società, per un sistema sociale e politico appoggiato o imposto dalla chiesa, indipendentemente dai bisogni della società.
Neppure è proponibile un ritorno all'ideologia cattolica, ad un cristianesimo che pretende di essere una ideologia interpretativa in senso globale della vita personale e sociale (la prima fase della dottrina sociale della chiesa non è immune da questa piegatura ideologica).
Invece l'identità deve essere recuperata nel segno del radicalismo evangelico. La vera identità cristiana è il vangelo sine glossa, come ci ha mostrato Francesco d'Assisi. Ritornare ad una identità forte non significa diventare non dialogici, anzi, come ci ha mostrato Francesco, maggiore radicalità evangelica, maggiore dialogicità. La non dialogicità deriva da una identità cristiana di tipo sociologico (la società cristiana si oppone ad altre società) o ideologico (l'ideologia cristiana contro altre ideologie).
Il recupero di questa identità comporta che sia resa trasparente in un ethos che risignifichi nella vita i valori evangelici. Non basta recuperare astrattamente l'identità cristiana, ma concretamente come testimonianza di singoli credenti e di comunità. Occorre assumere stili di vita che rendano trasparente all'uomo d'oggi il senso del discorso della montagna.
La povertà evangelica, risignificata nell'oggi, diventa la strada per ridare qualità alla vita, per uscire dalla logica del quantitativo. È questo il senso della identità, del paradosso cristiano. Tutto ciò che nel vangelo è vangelo è paradosso, come la croce di Cristo, il rivelarsi di Dio nel segno dell'impotenza. La croce contraddice tutte le teodicee, le etiche, le interpretazioni di Dio che sono state elaborate nell'ottica dell'onnipotenza. Il Dio crocifisso, povero, spogliato acquista significato in quanto è il Dio come essere per gli altri (Bonhoeffer). Non è lo spogliamento fine a se stesso che ha valore, ma in quanto dono di sè radicale, essere totalmente per gli altri.
Solo diventando pazzi si è cristiani (Francesco d'Assisi).

3^ pista: personalizzazione dell'esperienza di fede, come risposta al bisogno di cammini differenziati
La catechesi, spesso del tutto modellata in modo oggettivo, dovrebbe essere ripensata prendendo sul serio il positivo che viene dalla cultura della soggettività, favorita dalla complessità sociale che determina processi di differenziazione. L'attenzione a ricostruire l'identità soggettiva non significa rinuncia alle appartenenze collettive. Non c'è contrasto tra identità e appartenenza. Tanto più si appartiene agli altri, alla famiglia, al mondo, quanto più si porta un proprio contributo soggettivo alla edificazione dei processi sociali.
Anche nel campo della fede occorre rispettare l'esigenza di soggettività, di identità, di personalizzazione. Occorre offrire cammini diversi, puntando sull'essenziale, e restando aperti alle diversità delle esperienze.
Nella chiesa, ognuno, nell'esprimere la propria fede, deve poter rimanere se stesso, deve poter realizzare le proprie potenzialità comprese le dinamiche passionali. Bonhoeffer nell'Etica afferma che prima di pensare astrattamente al senso della vita occorre incominciare a vivere la vita, superando la tentazione del soprannaturalismo, presente sia nella tradizione cattolica che protestante, che ha mortificato le passioni e i desideri.
Occorre calare la fede dentro la realtà vitale, ricomprendere l'uomo nella sua totalità, limiti e devianze comprese.
L'esigenza di cammini differenziati implica una chiesa capace di fare spazio al proprio interno, nella gestione della pastorale della vita cristiana, ai carismi, ai talenti di ciascuno. Sollecita l'esperienza di una chiesa come comunione nella e della diversità. La comunione è tanto più ricca quanto più ciascuno porta il proprio contributo. Un'unità non uniforme, omologata, massificata, ma che implica l'assunzione da parte di ciascuno della propria diversità, il rispetto e il potenziamento dei carismi di ciascuno, l'articolazione dei ministeri, nella consapevolezza che lo Spirito soffia dove vuole.

La chiesa ha oggi bisogno di fare i conti con la povertà. Solo una chiesa povera, che vive la condizione di povertà può essere una chiesa dei poveri, attenta ai poveri. Povertà come spogliamento dal potere, non solo dai beni economici, come uso di strumenti poveri, come capacità di vivere dentro le situazioni umane più disperate. Il cuore del messaggio evangelico, la croce, è dire una parola di speranza ai disperati di questo mondo. Se non si riesce a far questo significa che prevalgono altre logiche rispetto a quella di rendere trasparente ciò che è centrale nel messaggio cristiano, la croce, segno dell'impotenza di Dio e del riscatto che Dio fa dell'umano, del negativo, attraverso l'impotenza.
La croce rende visibile la logica e l'essere stesso di Dio, il Dio trinitario come amore. L'amore è per definizione gratuità, dono radicale di sé. Cristo sulla croce fa la rivelazione più alta di ciò che Dio è, della natura ultima e intima di Dio.
La croce ha bisogno di essere resa visibile attraverso una chiesa che si fa croce, una chiesa che non adotta la logica del potere, del successo, ma quella dello scomparire, del diventare fermento, del diventare seme che muore...
Una chiesa che fa l'esperienza della povertà può annunciare ai poveri la speranza di Dio, la speranza di una vita che va oltre la vita, di una vita che acquista senso nonostante il non senso della vita presente.
Le piste offerte possono essere un punto di partenza per le successive riflessioni: che cosa significa essere credenti in una situazioni di "ritorni di Dio".

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