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Crisi e rinnovamento della morale

sintesi della relazione di Armido Rizzi
Verbania Pallanza, 15-16 dicembre 1984

L'attuale crisi della morale ha avuto un lungo processo di gestazione.

crisi della morale

1. dalla fondazione religiosa dell'etica alla sua secolarizzazione

Anzitutto c'è stata la crisi del riferimento trascendente.
Il cammino dell'autonomia della morale inizia con Grozio (1583-1645), che sostiene che dobbiamo imparare a vivere moralmente come se Dio non esistesse. Il fondamento del nostro agire morale non viene più cercato nel Dio trascendente, ma nella nostra stessa natura umana. Si è mossi non dalla volontà di rimuovere l'idea di Dio, ma di trovare una base comune al di là delle contrapposizioni sul piano religioso, al di là delle differenze confessionali, causa di guerre e lacerazioni. Il passaggio da una morale fondata sulla religione ad una morale fondata sulla natura ha l'elaborazione più compiuta in Kant. Kant non bandisce l'idea di Dio dall'ambito del discorso morale, ma non fa più di Dio il presupposto della morale.
Nel passato la morale veniva fatta derivare dall'idea di Dio creatore. Si partiva dal mondo per dimostrare l'esistenza di Dio, da cui venivano fatte derivare le regole di condotta per l'uomo (Dio principio dell'essere e del dover essere).
Kant nega la passibilità per l'uomo di risalire dal mondo all'esistenza di Dio (l'ambito del conoscere è quello dell'esperienza). L'uomo può cogliere il carattere vincolante delle norme etiche prescindendo dal principio di Dio come dover essere attraverso la ragione esistenziale etica pratica. Abbiamo direttamente una intuizione dei valori morali, dell'imperativo categorico senza condizioni. Non "devi" perché Dio comanda così, ma il "devi" ha la trasparenza e la capacità di legittimare se stesso. Il mio io, individuo, è portatore di questo mistero-voce-valore-presenza di valore universale. È dentro di me: non io prendo lui, ma lui prende me. Senza togliere nulla della sua assolutezza Kant porta dentro l'uomo la voce-legge che è la fonte del comportamento morale dell'uomo.
L'autonomia della morale non significa che io sono legge a me stesso, ma che la legge è in me senza appartenermi, anzi alla quale io appartengo. L'uomo diventa adulto in quanto non riceve più dall'alto, ma ha in sé la capacità di giudicare le realtà fondamentali che orientano la sua vita. Maturità è la vera statura intellettuale e morale per cui l'uomo sa regolarsi da sé (Tommaso d'Acquino: l'uomo virtuoso giudica il male e il bene per connaturalità e non perché gli viene detto da una legge esterna). Kant dà una formulazione rigorosa alla linea dell'interiorità della legge morale.
Storicamente, ben oltre le intenzioni di Kant, la sua posizione è il primo passo di un processo che porta alla crisi morale di oggi.

2. dall'universalità al relativismo morale

Un secondo momento del processo di crisi della morale è il passaggio dall'universalità delle leggi morali alla loro relatività e condizionatezza storica, causato dall'incontro con le culture "altre". Nel Cinquecento vi è la scoperta dell'America (ma non degli americani), vi è la scoperta di una terra, ma non di coloro che vivevano su quella terra con una propria identità e cultura. Vi sono due reazioni: una di condanna nei confronti di costumi diabolicamente diversi; un'altra di identificazione, per la scoperta di popoli che avevano una sostanziale identità di condotta morale nonostante l'assenza di evangelizzazione. In ogni caso non veniva riconosciuta la loro alterità. Invece proprio la diversità di culture divenne oggetto di studio da parte dell'etnologia nell'Ottocento. La cultura è l'insieme della prassi dell'uomo e delle espressioni in cui questa prassi si oggettiva dalle più elementari alle espressioni più alte (dagli strumenti, ai disegni, ai miti, ai riti...). Fu un cambiamento radicale di prospettiva: non siamo noi europei ad essere la civiltà nei confronti degli altri, ma ogni civiltà è un valore in sé, autonomo, che va giudicato per se stesso. I valori morali non sono più universali, ma sono funzionali all'interno di una certa cultura.

3. la critica all'oggettività sociale come ideologia

Il terzo passo di erosione del sistema delle sicurezze morali avviene con Marx, il quale sostiene che la morale dominante è la morale delle classi dominanti. La classe borghese, detentrice dei mezzi di produzione materiale, detiene anche l'ideologia che giustifica questo possesso. Il disordine morale non è più solo legato alle scelte individuali difformi dall'ordine sociale, ma il disordine morale è già dentro l'ordine sociale stesso.

4. la critica alla coscienza

Quarta figura dell'itinerario di crisi della morale è il passaggio da una concezione del valore assoluto delle norme morali al loro valore relativo, cioè funzionale, secondo la metapsicologia di Freud. Per Freud principio del piacere (ricerca della propria soddisfazione) e principio di realtà sono alla base della costituzione del soggetto. Non è possibile convivere se non si disciplina il principio di piacere sulla realtà (presenza di ostacoli e presenza di altri). L'istanza del principio di realtà è rappresentata per il bambino dai genitori, in particolare dalla figura paterna, che viene progressivamente interiorizzata (super-io). La morale è questo super-io, io ideale che fa da normatore, da disciplinatore della ricerca del piacere che, lasciata a se stessa, diventerebbe minacciosa per gli altri e per contraccolpo per l'individuo stesso. La morale è funzionale alla conservazione dell'individuo e della specie. L'imperativo categorico o la voce della coscienza non è altro che la interiorizzazione delle norme di comportamento che la società impone all'individuo. Qui si consuma il processo di perdita di consistenza del principio morale. Anche l'idea di bene non è che l'espressione del nostro bisogno di conciliare il soddisfacimento dei nostri bisogni con i bisogni degli altri. Anche il bene è funzione per campare su questa terra.

figure fondamentali della morale

morale della natura

La si ritrova in tutta la storia delle civiltà dalle più primitive alle più elaborate.
Natura (dal latino nascere) è il principio da cui nasce tutto ciò che esiste e contemporaneamente è l'insieme ordinato di tutto ciò che esiste. La natura è percepita come divina, trascendente nel senso che l'uomo si trova immerso in questo grande organismo vitale, da cui sa di dipendere. Non solo il suo essere ma anche il suo dover essere è imposto dalla appartenenza alla natura. Per millenni questa concezione è stata patrimonio comune dell'umanità, in parole tradotte in simboli e miti. I miti, che non sono leggende o favole, sono racconti che esprimono in forma narrativa (non in forma concettuale come facciamo noi oggi) le leggi profonde della vita, la legge radicale della natura che dà all'uomo l'essere e gli impone il dover essere, perché solo assecondando la natura l'uomo può salvaguardare la propria vita e prolungarla e passarla ai figli. L'uomo deve ripetere i gesti compiuti originariamente dagli dei o dagli eroi "in illo tempore". La condotta dell'uomo è buona o giusta quando rispecchia il comportamento divino.
In termini concettuali diciamo che l'uomo non inventa la propria condotta, non progetta la propria esistenza, ma cerca di cogliere le movenze della natura per assecondarle nella propria condotta. È un'etica naturale. Di fronte a nuove situazioni e in assenza di modelli da seguire subito nasce l'esigenza di inventarne di nuovi e di mitizzarli, di divinizzarli nel racconto mitico.
Anche con l'avvento del logos nella cultura greca permane, anche se in modo più articolato, questo rapporto con la natura come principio di condotta dell'uomo. Ogni cosa partecipa del mondo, come cosmos ordinato. Dentro il cosmo ordinato c'è la polis, l'aggregazione umana con le sue leggi che sono un riflesso delle leggi cosmiche. Dentro la polis c'è l'individuo, piccolo cosmos, che deve vivere in armonia con il cosmo. L'uomo, a differenza delle altri parti del cosmo, ha il logos e deve pertanto conoscere i ritmi del mondo per adeguarvisi. La virtù è emanazione automatica della conoscenza (illuminismo greco). Questa concezione passerà nella tradizione cristiana: ciò che costituisce la bontà della condotta umana è la conformità all'ordine naturale delle cose, percepito come frutto dell'intervento creatore di Dio. La natura, insieme sdivinizzata (è creatura) e ridivinizzata (concetto di partecipazione), esige una grande rispetto. Questa concezione di natura come espressione della verità di Dio è alla base della lettera enciclica Humanae vitae (1968) che ritiene illecite le manipolazioni dei ritmi della natura.
Nella tradizione cristiana però c'è la convinzione che la coscienza ha valore normativo, che deve essere seguita (anche nel caso di giudizi non corrispondenti allo stato delle cose). Nel naturalismo pesante dell'etica cristiana c'è così una breccia: l'assecondamento della natura non è l'unica fonte della rettitudine morale dell'uomo.

l'etica del progetto

Qui la ragione ultima della condotta dell'uomo è la stessa libertà del soggetto umano, la sua autoprogettualità. L'uomo non è buono perché si commisura ad una bontà del mondo, a una bontà della propria essenza, a una bontà del disegno di Dio. Inizialmente l'uomo non è né buono né cattivo. È buttato nel mondo e si trova ad esistere col dinamismo di progettare, di scegliere. L'uomo è l'esistente la cui esistenza consiste nel formulare progetti di sé.
La libertà trae da se stessa i suoi ordinamenti (Sartre). Non è libertà pura e deve tener conto della realtà per non fallire. La realtà non presenta norme, ma solo ostacoli o opportunità da sfruttare.
Questa concezione dell'etica si sta ulteriormente diffondendo con il trionfo della tecnologia, che tende a ritenere la natura non più un cosmo ordinato ma un insieme di materie prime disponibili all'intervento umano.
Al di fuori di me ci sono o materiali non ancora toccati dal progetto dell'uomo, o materiali già elaborati da altri, ma privi di valori per me. Il valore è circoscritto all'autore di ogni singolo progetto.
La situazione attuale è però anche di confusione: nelle stesse persone albergano una visione progettuale e una visione naturalistica (giovani che insieme sono abortisti ed ecologisti).

morale della persona

Un'etica della persona è irriducibile ad un'etica naturalistica (semplice gestione dell'esistente) o ad un'etica progettuale.
Questa irriducibilità appare già nella tradizione biblica, in cui non esiste il concetto teorico di natura come il tutto, né il concetto dell'uomo che si costruisce in assoluta autonomia. L'etica nella bibbia si esprime nell'uomo di fronte al Dio-altro che lo chiama.
Il riferimento biblico non ha valore solo per chi parte da presupposti di fede.
La morale della persona coinvolge l'uomo nel nucleo della sua soggettività e si costituisce di fronte ad una istanza originaria, l'istanza del giusto, del bene.
Nella tradizione biblica l'etica si costituisce nel rapporto di alleanza tra Dio e Israele.
Israele conosce Dio per quello che Dio fa per lui, per l'atto di liberazione dall'Egitto, atto con cui Dio si fa Signore di questo popolo. Questo atto è sollecitato dal grido di Israele oppresso.
Alle spalle del rapporto tra Dio e Israele non c'è già una certa idea filosofica o anche religiosa per quello che Dio sarebbe in se stesso o per quello che avrebbe fatto sul piano universale, il suo essere creatore del cielo e della terra. Solo successivamente Israele rifletterà sul rapporto tra Dio e l'intera umanità. L'idea che Israele ha di Dio non è ricavata dall'idea generale di un Dio creatore o causa del mondo, ma dall'esperienza del rapporto a partire dalla quale risalirà all'idea di Dio creatore.
Una morale della persona che parta dall'idea di Dio creatore per concludere con un Dio principio dell'etica compie un salto non permesso dalla logica.
Affermare: Dio ti ha creato dunque gli devi obbedienza, contraddice con il fatto che non mi ha chiesto di crearmi.
Così pure è illogico dedurre l'obbedienza dall'asserzione: Dio è buono perché mi ha dato la vita. Resta da dimostrare che la vita è buona. È buona perché me l'ha data lui? È un circolo vizioso.
La mia esperienza del mondo è tale che la bontà del reale è estremamente problematica. Dopo Auschwitz è possibile parlare di bontà ma anche di malignità o indifferenza.
Il cammino religioso di Israele dimostra che la base di partenza non è l'idea di Dio creatore, ma l'esperienza diretta. Prima c'è l'alleanza, poi la creazione. È un primum come istanza di giustizia.
L'etica della persona nasce qui, in questo comprendermi come alla presenza di una istanza assoluta.
Ciò che qualifica la mia esistenza è la libertà che porta dentro di sé una vocazione, una libertà che crea responsabilità. La natura agisce secondo come è fatta, la libertà sceglie, vuole, decide di agire. L'etica è la libertà che emerge al di sopra della natura. Non è libertà di fronte ad un vuoto di indicazioni, ma è libertà chiamata, restando libertà.
Ciò che mi fa persona è che la mia adesione al bene porta dentro di sé la vittoria della possibilità del male. Il mio sì mi segna come persona positiva, il no come persona negativa. Dio non ha creato il male nel mondo, ma ha creato questa situazione di discrimine tra il bene e il male che comporta la possibilità che io introduca il male nel mondo. Essere persona è assumere tutta la propria natura dentro un atto di libera scelta. Una scelta che sceglie di accettare la misura che le viene offerta da questo senza volto che è l'istanza di giustizia, di bene.

morale della persona di fronte agli altri
Noi siamo per costituzione biopsichica egocentrici, il nostro rapporto con l'altro è in relazione con le sue qualità. Accogliamo l'altro se le sue qualità ci possono servire, lo espelliamo se ci minacciano. Persino l'amore materno può essere una forma di egocentrismo.
Nell'atto etico non vedo l'altro come strumento per la mia realizzazione. La nuda presenza dell'altro diventa la misura del mio esistere, negativamente nel non uccidere (non posso disporre dell'altro, l'altro anche il più indegno, anche Caino, non mi appartiene), positivamente nel promuovere la vita dell'altro. L'esempio evangelico è la parabola del buon samaritano. La presenza del principio di giustizia e di bontà mi fa libertà responsabile nei confronti dell'altro. L'altro diventa mio fratello restando altro. È l'amore di agape di Paolo (1Cor) senza il quale non sono nulla anche se mi faccio in quattro. È un amore molto concreto e che non tramonta mai. Nel mondo delle realtà ultime ci sarà il pieno dispiegamento di cos'è l'amore.
Io sono persona in quanto sono libertà responsabile e tratto l'altro come persona, come qualcosa che non mi appartiene, come fine in sé e non come mezzo.
C'è questo triangolo: Dio come signore dell'esistenza dell'uomo, l'altro come povero radicale, io come libertà responsabile.

morale della persona di fronte alle cose
Il rapporto con l'altro è rivestire, nutrire, scaldare quella carne bisognosa: è un rapporto che passa attraverso le cose. Le cose sono lì per essere assunte dalla mano che si lascia guidare dalla libertà responsabile e messe a disposizione della carne bisognosa. Le cose sono create buone, cioè sono al servizio della bontà come rapporto interpersonale. Nel concetto biblico di creazione non c'è il tema della produzione dal nulla, ma della destinazione delle cose all'altro. La dimensione più profonda delle cose è la intenzionalità di dono: dalla persona come libertà responsabile alla persona come esistenza bisognosa. La dimensione strumentale e fruitiva delle cose è avvolta dentro la intenzionalità ultima. L'essere è definito dal dover essere, l'ontologia dall'etica.

morale della persona di fronte a se stessi
Anch'io sono carne bisognosa, piena di esigenze, di attese, di bisogni di cose. Anch'io sono povertà radicale. Sono come l'altro e scoprendo l'altro scopro me stesso. Scopro cos'è l'amore giusto alla presenza dell'altro. È l'altro che mi viene anzitutto affidato e poi, attraverso la mediazione di questa presenza, scopro l'altro che è in me ed amo anche me stesso di un amore giusto. Un'etica della persona è anche un'etica della cura di se stessi, un'etica che ritrova l'istanza della felicità dentro l'istanza della obbligazione. Nell'esodo verso l'altro sotto il segno dell'istanza di giustizia, si può tornare a riprendere se stessi.

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