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Il pane e le rose

sintesi della relazione di Armido Rizzi
Verbania Pallanza, 13 gennaio 2001

Oggi l'approccio alla bellezza ha un carattere prevalentemente soggettivistico. Molti ritengono che, al posto dei difficili discorsi razionali elaborati da filosofi e teologi, occorra far leva, come via regale per andare a Dio, sulla via pulchritudinis, sulla via della bellezza. Se vogliamo parlare ai giovani dobbiamo abbandonare, si dice, la presentazione oggettiva e razionale della verità cristiana, e far breccia sulla loro affettività, prendendo in considerazione quegli aspetti che, come la bellezza, possano parlare alla loro soggettività.
Non credo che si possa andare a Dio per questa strada. L'attuale soggettivizzazione del religioso, o il prendere dalle religioni solo ciò che possa soddisfare e gratificare il mio personale bisogno di senso non porta tanto a Dio quanto a se stessi. Dio diventa un momento della mia soggettività. La scoperta della dimensione religiosa spesso si presenta come tormento, come ricerca faticosa esistenziale e anche intellettuale. Non è solo gratificazione immediata.
La bellezza, più che un cammino verso Dio, diventa un sostituto (debole) di Dio nell'epoca della eclisse e del silenzio di Dio, come alcuni anni fa era un sostituto (forte) di Dio la militanza, l'impegno politico, l'utopia totalizzante.
In un mondo del disincanto, l'unico incanto possibile sembra essere quello delle cose belle di cui possiamo sempre più abbondantemente circondare la nostra vita.

la bellezza come strada regale per andare a Dio

Nel "Simposio" di Platone c'è un testo molto noto che riporta un discorso riguardante cosa è l'amore, o meglio l'eros, il desiderio. E' un testo che esprime una concezione che, battezzata, è servita da base sino a Lutero per tutta la spiritualità cristiana.
Dio è visto come bellezza, come bellezza sussistente, e l'uomo è eros, desiderio di questa bellezza. E' un desiderio che inizialmente si ignora e viene attivato da ciò che vede attorno a sé (nel Simposio sono i corpi dei giovinetti). Da questo punto di partenza il desiderio viene mosso da oggetti sempre più ricchi di bellezza (dal corpo singolo, alla universalità dei corpi, dall'anima, alle leggi...). La ragion d'essere dell'eros o desiderio, che noi siamo, è d'essere fatto per il punto finale, per il divino come bellezza. Dio, in quanto bellezza, è il punto terminale, il fine di ciò che noi siamo.
Aristotile allargherà questa visione dal soggetto umano a tutto il cosmo. Dio, motore immobile, attira tutto a sé.

eros platonico e Dio creatore

Ma il Dio biblico non è il terminale di un cammino da parte del desiderio umano, il Dio biblico è il protagonista del rapporto con l'uomo. Dio nella bibbia non è l'amato che affascina e attira, ma è l'amante. E' lui che assume in libertà l'iniziativa, è lui che ha creato e eletto un popolo.
I teologi cristiani, fino a Lutero, hanno assunto la visione platonica, introducendo in essa la visione del Dio creatore, del Dio che liberamente ha deciso di creare e che crea tutte le cose belle. Nell'idea del Dio creatore viene incorporata la filosofia platonica del rapporto tra l'uomo come desiderio e Dio come fine e compimento del desiderio.
Ma questa idea di creazione inserita nella visione platonica è estrinseca al movimento del cammino verso Dio. Il fatto che le cose belle siano anche create non modifica a fondo la visione: ciò che muove il mio cuore è la bellezza delle cose, non il fatto che siano create. La logica resta ancora quella platonica.

un desiderio infinito

Si è sostenuto allora che l'essere belle delle cose coincide con il loro essere create da Dio. E' la concezione della creazione come partecipazione: tutte le cose partecipano dell'essere e della bellezza di Dio. In ogni cosa che conosciamo implicitamente conosciamo Dio e in ogni cosa che amiamo implicitamente amiamo Dio (Tommaso d'Aquino). E poiché il mio cuore è fatto per l'infinito, non può fermarsi alla bellezza delle cose. Il desiderio è di natura sua infinito.
Se però osserviamo i nostri desideri (analisi fenomenologica), nulla ci dice che il nostro desiderio sia desiderio di infinito. Il nostro desiderio non è mai contento, che è tutt'altra cosa dall'affermare che è desiderio di infinito.
La caratteristica del desiderio è quella di tenersi vivo in forza dell'assenza dell'oggetto. Raggiunto l'oggetto il desiderio appassisce, si logora e si desiderano altri oggetti. E' la logica del desiderio di volere sempre di più, ma non un sempre "oltre", verso oggetti sempre più ricchi di bellezza.

un Dio in cerca dell'uomo

La rivelazione biblica indica un asse discendente: non l'uomo in cerca di Dio, ma Dio in cerca dell'uomo. Soprattutto il Nuovo Testamento per parlare dell'amore si usa il termine agape, che non deve essere confuso con eros. Eros e agape sono termini non inconciliabili, ma irriducibili, nel senso che la radice o è l'eros o è l'agape, e sulla radice dell'uno può poi innestarsi l'altro. Nella visione biblica la radice di tutto è l'agape, l'amore con cui Dio ha assunto l'iniziativa libera, la decisione di creare il mondo e di creare l'uomo e di stringere con questo un'alleanza.
L'agape non è sulla corda del desiderio. Dio ha creato l'uomo, non perché desiderasse avere un amico fedele (avrebbe creato ben altro!), ma per amore gratuito, senza nessun altra ragione che l'amore stesso, perché l'uomo fosse felice.
Il destinatario dell'agape non è Dio, ma l'uomo. E l'uomo ha il compito di aprirsi all'agape, di accoglierlo (è la fede). Dio ci chiede di lasciarci amare, più che di amarlo. O meglio ci chiede anche l'amore, ma per gli altri, nella logica dell'agape.

per un'estetica biblica

La creazione è certamente sette volte buona e bella. Ma le cose sono belle e buone innanzitutto in se stesse, non in quanto suscitano e colmano i nostri desideri, anzi proprio perché sono buone e belle in se stesse, suscitano e colmano i nostri desideri.
dietro la bellezza delle cose c'è la bellezza dell'amore
Le cose create sono belle e buone perché non tradiscono, perché dentro e dietro loro c'è l'amore di Dio che le dona. Le cose sono segni, concrezioni dell'amore di Dio.
Come non c'è un legame necessario tra il valore intrinseco di un oggetto-dono che ricevo e il valore dell'amore della persona che me lo ha donato, allo stesso modo l'oggetto creato non è partecipazione alla bellezza di Dio, ma segno del suo amore.
Nel mondo del disincanto posso benissimo esaurire la mia esperienza nella fruizione dell'oggetto bello (può essere la musica, la poesia, l'amicizia, un tramonto...). Ma da questa dimensione non passo necessariamente ad un'altra dimensione. Se passo ad un'altra dimensione, alla dimensione religiosa o di fede, è perché scopro che in quella poesia, in quell'amicizia, in quel tramonto, in tutto ciò che vivo c'è un amore che conferisce senso.
Nel salmo 136 si loda Dio per tutti i suoi interventi: dalla creazione alla liberazione di Israele. Ma il salmo si dilata a cantare il gesto della sollecitudine universale di Dio, che "dà il pane ad ogni uomo". Il pane della tavola, dato e condiviso, è il punto di arrivo nella quotidianità, di tutta la bontà e bellezza della creazione e della liberazione. In questo salmo si contempla la bellezza che sta dietro-dentro le cose.
"Svegliati mio cuore, sveglierò l'aurora" si dice nei salmi 57 e 108. Come è possibile svegliare l'aurora, se è l'aurora che ci sveglia? Il rapporto biblico col mondo non parte dal mondo ma parte da Dio. E' la parola di Dio che sveglia e costituisce il nostro cuore, il nostro centro decisionale, ed è il nostro cuore, svegliato dalla parola di Dio, che sveglia e fa cantare il mondo.

importanza della lode

Facciamo cantare il mondo a partire da ciò che ci canta nel nostro cuore. Se ci canta la parola di Dio, allora scaturisce la lode. Non lode della bellezza di Dio in sé e per sé, ma lode per la bellezza di Dio manifestatasi nella sua creazione e nella sua alleanza con gli umani.
La lode è la fede che canta. (Oltre alla fede che canta c'è anche la fede paziente e fiduciosa dei momenti di tormento e di deserto).

un eros rigenerato

L'accogliere l'amore di Dio e la bellezza dell'amore di Dio non espelle l'eros, ma lo reintegra e gli dà una nuova base. Il desiderio non è cancellato dalla fede o dall'amore di solidarietà verso gli altri, ma viene rifondato, rinverdito, rigenerato. La fede che loda ha la capacità di tener viva l'effervescenza dell'eros, di ritrovare ogni mattina la bellezza delle Alpi, di svegliare l'aurora, di ritornare ogni giorno al dono della luce, di mettersi nel mattino della creazione e di vedere le cose con quello sguardo con cui Dio vide che erano sette volte buone e belle. In questo modo il desiderio non si logora mai.

la bellezza dell'uomo e il dono della legge

Anche noi umani siamo creati e siamo creati ad immagine di Dio, in quanto Dio ha fatto alleanza con l'uomo, e, con il dono della legge, lo ha chiamato a essere suo partner, a stare di fronte a lui, a vivere l'alleanza.
La bellezza propriamente umana sta nell'essere chiamati ad essere immagine di Dio, nell'accogliere il dono della legge, o nel vivere l'esperienza etico-religiosa (viene da Dio e chiama ad una libera e responsabile obbedienza).
La bellezza propria degli umani è di coloro che vivono in conformità alla volontà dei Dio.
È la bellezza dei gesti santi: è la bellezza di don Puglisi che sorride a chi lo sta uccidendo, è la bellezza dei gesti di Gino Strada, il chirurgo che ha messo a disposizione il suo bisturi e le sue competenze a favore di chi è ferito e colpito dalla sciagura della guerra.
È la bellezza dell'uomo giusto.

la bellezza del crocifisso

La bellezza di Gesù è la bellezza del crocifisso. Non è la bellezza che affascina e che attira le folle. Il fascino di Gesù non ha portato molto lontano. Nel momento critico della passione scappano via tutti. Gesù rifiuta il "come è bello stare qui" del momento della Trasfigurazione, per rinviare alla passione e alla morte.
La bellezza del crocifisso è dello stesso tipo della bellezza di don Puglisi che sorride all'uccisore.
Dalla fonte della croce di Gesù sono poi sgorgati altri frutti.
E' il significato anche del film di Benigni "La vita è bella": dalla morte viene la risurrezione, dal finto gioco e dal martirio del padre riprende la vita del bambino.

il pane e le rose

Si risponde al dono della creazione, non trattenendola, ma facendola circolare. Tutto quanto abbiamo ricevuto è una specie di debito che dobbiamo pagare non direttamente a Dio, ma a Dio colmando il bisogno dei nostri fratelli: è la bellezza dell'amore gratuito in quanto amore dovuto.
La bellezza dell'amore nella quotidianità diventa la bellezza della fraternità, della solidarietà.
La bellezza biblica delle cose è farle arrivare ad essere quello che sono: segni concreti dell'amore di Dio e della nostra risposta all'amore di Dio nella solidarietà e condivisione.
Non sono la stessa cosa avere e custodire i granai pieni o condividere con tutti il pane sulla tavola: imboscare il grano è negare la sua bellezza ultima, la quale è affermata, invece, nel farlo arrivare lì dove serve, facendolo giungere al suo compimento.
In questo senso non è la bellezza che salva il mondo, ma è il mondo salvato dall'amore che è bellezza.

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